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giovedì 31 marzo 2022

Prendere il mare

Sto leggendo Storia di Gordon Pym, di Edgar Allan Poe. Mi colpisce il desiderio insopprimibile del giovane protagonista di prendere il mare. Una desiderio che è in realtà un richiamo irresistibile, generato dal desiderio di cambiare la propria vita, abbandonare lo status quo per qualcosa di nuovo. Forse questo aspetto del libro mi colpisce perché mi ricorda tutte le volte che avrei potuto imboccare una direzione diversa, magari rischiando, senza che l'abbia mai imboccata.

mercoledì 30 marzo 2022

26.4.1986

 

Nel 1986 avevo 16 anni e ricordo perfettamente la tragedia di Chernobyl. O meglio, ricordo i telegiornali che ne hanno parlato incessantemente per giorni e giorni; ricordo il timore dei miei genitori, dei miei amici, dei miei insegnanti. Si creò una specie di psicosi collettiva riguardo agli effetti che ne sarebbero potuti derivare (la nube radioattiva arrivò in Italia nella notte tra il 29 e il 30 aprile, ma il suo potenziale radioattivo era già quasi completamente esaurito. Si registrò solamente un lieve aumento della radioattività in Lombardia ma con valori sempre sotto la soglia di pericolo). 

Mi è capitato per caso tra le mani questo libro e, preso dalla curiosità, ho voluto leggerlo per conoscere nei particolari l'intera vicenda.  

È una vicenda che lascia allibiti. Non tanto e non solo per la sua immane tragicità e per le conseguenze civili e politiche che ne derivarono, ma per il fatto che a causarla fu una incredibile sequenza di errori umani. Niente può essere addebitato alla sfortuna o al caso, in questa tragedia, ma solo agli errori commessi dagli operatori che quella notte erano in servizio al reattore 4, quello che esplose: disattivazione dei sistemi di sicurezza, sottovalutazione dei segnali di instabilità che il reattore già mostrava prima che cominciassero i test (per una specie di paradosso la tragedia fu causata dall'esecuzione di un test, uno dei tanti che a cadenza regolare venivano effettuati, che doveva testare proprio la sicurezza del reattore), violazione delle più basilari procedure previste in questi casi nei manuali. Errori commessi non solo nei momenti in cui si era capito che si stava per verificare il disastro, ma anche dopo, a esplosione e incendio del reattore avvenuti, come quello di tentare di soffocare la fuoriuscita di fumo dal reattore gettandovi sopra, tramite l'uso di elicotteri (avvicinarsi via terra era impossibile), sabbia, piombo, dolomite e boro, per un totale di oltre 5000 tonnellate di materiali. La sabbia inizialmente contribuì a fare abbassare la temperatura dell'incendio, ma ci fu una conseguenza inattesa: una volta coperte, le sostanze radioattive ancora incandescenti iniziarono a surriscaldarsi, formando un gigantesco magma alla base della centrale, dal quale si sprigionò poi una nube di vapore radioattivo che andò ad aggiungersi alla nube radioattiva già espulsa dal reattore dopo l'esplosione.

Ma anche la gestione della tragedia da parte dei vertici della centrale prima e della autorità poi fu incredibile. Si cercò inizialmente di minimizzare quanto successe. Ancora molte ore dopo l'esplosione del reattore e conseguente incendio si cercò di non fare trapelare nulla. Neppure i dipendenti della centrale stessa furono messi al corrente, tanto che quelli del turno della mattina successiva al disastro si presentarono regolarmente al lavoro. Solo due giorni dopo la tragedia, agli abitanti di Pripyat, il paese di 50.000 abitanti nelle immediate vicinanze della centrale (Chernobyl è a una quindicina di chilometri), verrà detto di evacuare la città e verranno a loro messi a disposizione dei pullman per allontanarsi. Ma - di nuovo incredibilmente - sarà comunicato loro di non preoccuparsi: l'allontanamento sarebbe stato a puro scopo precauzionale e dopo tre giorni tutti sarebbero potuti rientrare. I cittadini, quindi, lasciarono le loro abitazioni senza prendere bagaglio, se non lo stretto indispensabile per un breve soggiorno fuori città, e se ne andarono dalle proprie case lasciandole così come si trovavano; coi panni stesi sui balconi, le scorte di cibo e acqua per cani e gatti, senza immaginare che a causa degli elevatissimi valori radioattivi nessuno sarebbe mai più tornato. Pripyat è ancora oggi, dopo 36 anni da allora, una città fantasma.

Quello che fecero le autorità governative per cercare di nascondere alla popolazione e al resto del mondo ciò che succedeva è sconcertante. Nessun organo di informazione ne parlava. Nel 1986 internet non esisteva, quindi neppure i social, e giornali e telegiornali erano filtrati dal governo. Ma intanto la nube radioattiva era in viaggio. Inizialmente si spostò verso nord. Oltre che in Ucraina, valori alti di radioattività cominciarono a registrarsi in Russia, Bielorussia, Repubbliche Baltiche, Svezia, Norvegia e Finlandia. Poi un successivo cambio dei venti spinse la nube radioattiva verso ovest: Polonia, Germania settentrionale, Danimarca, Olanda, Regno Unito. Tra aprile e maggio il flusso d'aria contaminato toccherà Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia, Francia, Svizzera, Austria, Italia settentrionale e centrale. Nei paesi in cui si registrano alti tassi di radioattività ci si comincia a interrogare sulla provenienza di questa attività radioattiva. Alcuni paesi fanno alzare in volo aerei da ricognizione per cercare di capire da dove arrivi la radioattività. E alla fine ciò che doveva restare segreto non lo è più. Il 14 maggio Gorbačëv, tramite un messaggio in televisione alla Russia, in diretta dal Cremlino annuncia ai russi e al mondo quello che il mondo sa già.

La tragedia di Chernobyl è una storia, come tantissime altre, di errori, mancanze, colpe, sottovalutazioni, omissioni, ma soprattutto è una storia che riguarda l'uomo e la sua natura. L'uomo è colui che ha commesso gli errori, errori nella gestione della tragedia ed errori nella progettazione e costruzione dei reattori (lo appureranno incontrovertibilmente tutte le inchieste successive). Ma l'uomo, l'uomo di oggi, è anche colui che ha raggiunto un livello tecnico talmente avanzato per cui la sua capacità di fare è infinitamente superiore alla sua capacità di prevedere gli effetti del suo fare.

lunedì 28 marzo 2022

Phil Collins


A me che Phil Collins non faccia più concerti dal vivo a causa dei suoi gravi problemi di salute dispiace un sacco. Sono molto legato a lui perché un lungo pezzo della mia vita l'ho trascorso in compagnia della sua musica, come batterista e poi cantante dei Genesis prima, e come autore solista poi. In più è molto amato anche dalle mie figlie, che hanno cominciato a conoscerlo dopo che scrisse la bellissima colonna sonora del film di animazione Tarzan, della Disney. Partendo da lì hanno cominciato ad avvicinarsi anche loro alla sua musica del periodo solista, e sul mio canale YouTube c'è ancora un video di parecchi anni fa in cui io, al pianoforte, accompagno mia figlia più grande, Michela, mentre canta Against all odds.

Insomma, qua Phil è uno di noi.

La cancellazione dell'uomo

Quando papa Bergoglio dice di smetterla di fare la guerra prima che la guerra cancelli l'uomo dalla storia, come si fa non essere d'accordo? Tra l'altro la cancellazione dell'uomo dalla storia, intesa come effetto ultimo dell'eventuale dispiegamento dell'intero suo arsenale distruttivo, non è un'ipotesi astratta e improbabile. Tutt'altro. Quello a cui però generalmente non si pensa è che se anche l'uomo si autocancellasse dalla storia il mondo mica finirebbe. 

Il nostro pianeta ha 4,5 miliardi di anni e i nostri più antichi progenitori sono comparsi due milioni e mezzo di anni fa. Ciò significa che la casa che ci ospita se n'è stata tranquillamente in beata pace per quasi tutto il lunghissimo corso della sua vita, poi siamo arrivati noi, abbastanza accidentalmente, abbiamo combinato un po' di casini e tra un po' ci estingueremo. Dopodiché la suddetta casa continuerà a esistere e a fare il suo corso come ha sempre fatto e come se niente fosse per altri miliardi di anni.

Ovviamente non voglio dire con questo che non sia giusto che la guerra si fermi e che si cerchi in tutti i modi di evitare una sua degenerazione dalle conseguenze imprevedibili. D'altra parte siamo tutti dentro questo mondo e tutti abbiamo piacere di continuare a condurre le nostre esistenze nel migliore dei modi possibile. Dico solo che, se si guarda la cosa da un punto di vista più ampio, se si allarga lo sguardo lasciando da parte per un attimo il nostro gigantesco e antropocentrico ego, una nostra eventuale cancellazione dalla storia sarebbe un evento dei tanti che hanno costellato la storia del mondo, niente di più, niente di meno.

domenica 27 marzo 2022

Tra batteria e chitarra


Una svista ci sta, può capitare. Magari uno è sopra pensiero, un attimo distratto e zac, ecco l'errore. Ma, nel caso specifico, se si ha l'accortezza di guardare un attimo la foto si capisce bene che Taylor Hawkins non sta suonando una chitarra. E ci si arriva anche senza essere musicisti. 

Una svista, dicevo, ci sta, il problema è che i giornali e i siti informativi traboccano di errori/sviste simili. Il buon Paolo Attivissimo ci ha quasi costruito un blog intero raccogliendo queste perle, in cui si trovano errori di ortografia, obbrobri linguistici, inesattezze storiche, strafalcioni geografici, scientifici e chi più ne ha più ne metta. E allora, forse, il problema è un po' più grave di una svista e riguarda la qualità del giornalismo di oggi (sistema di lavoro, criteri con cui vengono assunti i giornalisti nelle redazioni, competenze ecc.).

A margine, stavo pensando che, in fondo, sotto alcuni aspetti non è neppure una svista così grave, ed è perfino palusibile che, errore giornalistico a parte, ci siano realmente persone che effettivamente non conoscono la differenza tra una chitarra e una batteria. 

Prendete ad esempio un ragazzino di oggi che cresce ascoltando solo Sfera Ebbasta et similia e che magari ascolta questa "musica" (la chitarra elettrica non esiste più e il resto è quasi tutto costruito artificialmente con campionatori e computer) guardando i videoclip su YouTube. Se gli vai a spiegare che una volta la musica si faceva con strumenti veri e che ogni strumento aveva un suo ruolo e produceva un certo suono, potrebbe anche stupirsi.

La stanza segreta di Auschwitz


Un paio di giorni fa Michela, mia figlia maggiore, mi aveva suggerito la lettura di questo libro, che lei aveva appena terminato trovandolo bellissimo e terribile (bellissimo per la trama e lo stile narrativo e terribile per il contenuto). Così sollecitato, ho cominciato a leggerlo senza però nutrire grosse aspettative, immaginando che fosse niente più di uno degli innumerevoli romanzi in circolazione che hanno sullo sfondo le atrocità commesse dai tedeschi nei campi di sterminio dell'Europa orientale durante la Seconda guerra mondiale. 

Mi sono dovuto ricredere. L'autore, fino a un paio di giorni fa a me totalmente sconosciuto, è stato capace di riunire ottimamente in un unico libro, dopo essersi documentato per anni relativamente alla storia e al funzionamento dei campi di concentramento, il romanzo storico e una storia avvincente, tra l'altro basata su una vicenda realmente accaduta. 

Molto brevemente, il romanzo racconta le vicende di due sorelle nella Polonia occupata dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Una di esse, Ania, viene rastrellata dalle SS e, causa la sua avvenenza, è destinata al bordello del campo di concentramento di Wysznica. Sua sorella, Danuta, riesce a sfuggire ai rastrellamenti e si unisce alla resistenza polacca (l'Arma Krajowa). Dopo alterne vicende che si snodano nel corso di alcuni anni, entrambe si ritrovano nello stesso campo di concentramento ma in condizioni opposte. Ania come prostituta del campo (condizione a cui ha accettato, pur tra mille tormenti, di sottostare per avere salva la vita ed evitare i trattamenti inumani e degradanti a cui erano sottoposti i normali detenuti) e Danuta come prigioniera di guerra appartenente alla resistenza polacca. Quest'ultima, Danuta, verrà "giustiziata" con un colpo di pistola da un ufficiale tedesco sotto gli occhi della sorella.

Ania sopravvive fino all'arrivo dei soldati dell'Armata Rossa, che nel gennaio del 1945 liberano il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove nel frattempo sono stati condotti i prigionieri. Dopo la liberazione Ania abbandona la Polonia, dove non ha più nessuno (tutta la sua famiglia è stata sterminata dai tedeschi durante i rastrellamenti) e ricomincia una nuova vita negli USA. Qui trova lavoro in una casa di riposo per anziani. Un giorno arriva un nuovo ospite, un ultra ottantenne dal temperamento molto sopra le righe e a tratti arrogante che Ania, dopo lunghe ricerche e indagini, scopre essere l'ufficiale che tanti anni prima aveva ucciso sua sorella davanti ai suoi occhi. Qui mi fermo per non rivelare cosa farà e come si comporterà Ania nei suoi confronti. Insomma, per non svelare il finale.

Oltre che avere uno stile avvincente, questo libro è anche molto istruttivo e ho imparato alcune cose che non sapevo, tipo ad esempio che ad Auschwitz c'era veramente un bordello, nel blocco 24. È vero anche che in uno dei lager i prigionieri che arrivavano coi treni (quelli che sopravvivevano al viaggio) venivano accolti da una orchestrina che nei pressi dei binari suonava una musica rassicurante, e le SS avevano addirittura fatto in modo che i prigionieri, una volta arrivati, potessero inviare a casa cartoline ai loro parenti dalla città (fittizia) di Waldensea. Nel libro si cita anche la storia nota secondo cui Hitler intrattenne rapporti incestuosi con la sua "nipotastra" Geli Raubel, storia oggi corroborata da innumerevoli prove e documenti (su questo argomento Fabio Massimi scrisse un paio d'anni fa un libro bellissimo: L'angelo di Monaco, di cui avevo brevemente accennato qui). Anche la resistenza polacca (l'Arma Krajowa) è realmente esistita anche se è stato abbastanza scioccante, per l'autore ma anche per me, scoprire che anche tra alcuni dei suoi appartenenti c'erano tracce di antisemitismo.

Credo che il giudizio di Michela su questo libro sia condivisibile: bellissimo e terribile.

sabato 26 marzo 2022

Di nuovo su Orsini

Siccome il mio post di ieri su Alessandro Orsini ha messo in mostra nei commenti una certa divergenza di opinioni, ci torno un attimo sopra per evidenziare brevemente alcuni concetti e alcune cose che mi sembra di avere capito su di lui. Per farlo, mi sono sobbarcato la visione della intera puntata di Piazza Pulita dello scorso 13 marzo, puntata in cui è intervenuto il personaggio che ha creato lo scompiglio mediatico che sappiamo e che, a causa delle sue posizioni sul conflitto in corso in Ucraina, si è visto negare la definizione di un contratto con la Rai che prevedeva la partecipazione ad alcune trasmissioni di approfondimento. 

La visione della intera puntata ha richiesto da parte mia una buone dose di pazienza e di stoica rassegnazione a fare qualcosa che non faccio più da anni: guardare la tv, e nello specifico i talk-show. Siccome, però, l'origine delle polemiche sta proprio in ciò che Orsini ha detto in quella trasmissione, l'ho guardata e l'ho ascoltato, bypassando così tutto il chiacchiericcio da bar che l'ha frettolosamente è superficialmente definito un filo-putiniano e cose di questo genere.

Ascoltare ciò che ha detto mi ha permesso di capire alcune cose. La prima è che chi l'ha accusato di filo-putinismo non ha capito niente e si è probabilmente fatto influenzare dal solito passaparola internettiano, a cui siamo ormai abituati da anni, privo di agganci alla realtà, cosa questa che è l'ennesima dimostrazione che i social network (ma anche la televisione) e la complessità sono antitetici. Basta ascoltare ciò che ha detto per capirlo. È stata la prima cosa che ha messo in chiaro: condanna senza se e senza ma all'operato di Putin ed evidenziazione del fatto che provare a capire le ragioni che l'hanno portato a invadere l'Ucraina non significa condividerle. Capire, in questo particolare contesto semantico, va inteso come provare a ribaltare gli schemi e il pensiero unico costituito e mettersi per un attimo nella visione delle cose di Putin, ma non significa condividere ciò che ha fatto Putin. Questo concetto del provare a capire il "nemico" (e qui apro una piccola parentesi) è lo stesso che predicavano scienziati come Telmo Pievani, Roberto Burioni e altri, i quali dicevano che per sconfiggere il nemico, in quel caso il coronavirus, condizione primaria è capirlo, mettersi nei suoi panni, perché non si può sconfiggere un nemico se non si capisce come è fatto e come ragiona. E questo vale anche per la geopolitica, non solo per la biologia.

Si può discutere, ovviamente, ed è sacrosanto farlo, sulla idea di Orsini che con Putin si possa e si debba trattare per arrivare alla pace, ma questa teoria, che sostanzialmente si appoggia al famoso "se non li puoi cambattere fatteli amici", non c'entra niente con un ipotetico avallo delle ragioni di Putin, è semplicemente un modo diverso, un diverso percorso, per tentare di arrivare ai medesimi risultati: il cessate il fuoco e la pace. Io non ho la competenza per sapere se le cose che ha detto Orsini siano giuste o sbagliate, se tentare di dialogare e scendere a compromessi con Putin sia una via migliore rispetto a quella di imbottire di armi gli Ucraini per arrivare alla pace. Personalmente sarei tentato di pensare di sì, ma la mia è una opinione generata da idee personali, visioni, retaggi culturali miei, opinione che ha lo stesso peso e lo stesso valore di chi pensa il contrario.

In sostanza, ciò che ho voluto dire nel post precedente è che io non contesto ciò che dice Orsini, io contesto il fatto che a causa di ciò che pensa e delle idee che ha venga ostracizzato e sia preso come casus belli di una divaricazione netta, manichea e a tratti violenta, tra sostenitori e detrattori, come non si era vista neppure tra si-vax e no-vax. In sostanza non difendo le sue idee, su gran parte delle quali neppure concordo, difendo il suo diritto di esternarle in pubblico come chiunque altro.

Per chi voglia farsi un'idea di ciò che ha detto, ho elencato qui di seguito i minuti di ogni intervento del discusso professore, in modo che si possa ascoltare senza equivoci o filtri il suo pensiero e farsi una propria idea.

1:22:40

1:30:20

1:41:15

1:55:30

2:03:25

2:24:15

2:46:30

2:57:35

3:11:45

Microplastiche (nel sangue)

Uno studio olandese ha per la prima volta dimostrato che le microplastiche possono essere assorbite dal sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano. In particolare, nel sangue dei soggetti analizzati sono state trovate tracce di vari polimeri (le molecole di cui è costituita la plastica), la cui parte del leone la fa il famoso/famigerato Pet (polietilene teraftalato), ossia il costituente delle normali bottiglie di plastica. 

Ricordo una conferenza di qualche tempo fa di Telmo Pievani in cui il grande biologo documentava come le microplastiche, ossia le piccole parti di plastica inferiori a un terzo di millimetro, siano ormai da tempo presenti all'interno della maggior parte delle specie di pesci marini, e avvertiva che se non si modificherà il trend attuale, nel 2050 la massa totale della plastica presente nei mari avrà superato la massa totale di tutta la fauna ittica, giungendo alla conclusione che noi Sapiens siamo la prima specie di questo pianeta a cibarsi dei rifiuti che produce.

giovedì 24 marzo 2022

Sul professor Orsini

Per come la vedo io, in linea generale non è mai buona cosa censurare chi esprime opinioni, come è accaduto al professor Orsini, allontanato dalla Rai per le sue posizioni - si dice in giro, personalmente non l'ho mai ascoltato - filo-russe. Ma credo occorra fare un distinguo relativo al merito della questione su cui si dibatte. Personalmente sono convinto che le ragioni che hanno spinto Putin a invadere l'Ucraina non abbiano alcuna sostenibilità e siano da rigettare in toto. Ma non credo che questo sia un motivo valido per non ascoltare chi la pensa diversamente. Perché? Perché una differenza di visioni e di idee non ha alcun impatto pratico sullo svolgersi delle vicende. Questo spiega perché non vedo il motivo di censurare Orsini. A me, tanto per fare un esempio, non dà alcun fastidio che in televisione si inviti un terrapiattista o un teorico del complotto undicisettembrino, perché tali interventi non hanno il potere di influire concretamente su niente e, al massimo, possono concorrere a coprire di ridicolo la trasmissione che eventualmente li ospita.

Diverso, invece, sarebbe (come purtroppo è successo) invitare Povia o Red Ronnie a pontificare di vaccini in televisione. Qui la censura è sacrosanta, perché invitare dei novax in televisione mentre è in corso una pandemia che solo in Italia ha fatto quasi 160.000 morti, può avere ricadute sulla collettività (aumento della diffidenza verso i vaccini, verso le misure adottate per cercare di limitare i contagi ecc.). A mio parere il discrimine è tutto qui. Si vuole invitate in televisione uno che spiega eventuali ragioni di Putin? Un terrapiattista? Un sostenitore di qualche complotto? Si faccia, non vedo dove sia il problema. Red Ronnie a parlare di vaccini? No.

mercoledì 23 marzo 2022

Sogni

Di solito non ricordo i sogni. Quello di stanotte sì. 

Camminavo su un ponte, un ponte antico, di quelli fatti ad arco. I parapetti erano di pietra, alti, e non potevo vedere cosa ci fosse al di là. Il passaggio era ricoperto di ghiaino, con ciuffi d'erba che crescevano ai lati. A un certo punto, improvvisamente, mi sono buttato oltre il parapetto. Ma non è stato un gesto volontario, è come se qualcuno mi avesse spinto, anche se ero completamente solo. Sotto c'era il vuoto, uno spazio immenso e altissimo, e intravedevo a malapena una striscia di terra in fondo. Mentre precipitavo mi rendevo conto che per me era finita, una volta arrivato in fondo mi sarei sfracellato al suolo senza speranza. 

Qui, però, è accaduta una cosa strana: non mi sono lasciato andare alla disperazione, non mi sono agitato, non ho urlato dimenandomi scompostamente mentre precipitavo, ma - incredibile! - ho posizionato le braccia a mo' di ali. Ricordo di aver pensato: Ok, per me è finita, ma questo volo me lo voglio godere. O qualcosa di simile. Mentre precipitavo (volavo?) mi sono a un certo punto reso conto che quella striscia di terra era in realtà una spiaggia bagnata dal mare, e quindi ho cercato di dirigermi verso l'acqua per tentare di salvarmi. Non so come sia finita, non ricordo altro.

Non ricordo chi sia stato a dire che i sogni, prima di essere materiale per psicanalisti, sono il teatro della nostra follia. Perché noi nasciamo folli e questa follia ci abita, ma la nascondiamo con le regole della razionalità a cui siamo soggetti quando siamo svegli. Una volta abbandonata la coscienza con l'arrivo del sonno, torniamo al nostro stato originario di follia. Che nel mio caso deve essere molto consistente.

Ambivalenti

Lo so, è una banalità, ma magari non sempre ci si pensa: gran parte delle tragedie e dei disastri a cui assistiamo non accadono per sfortuna o per caso, ma accadono perché siamo noi a farle accadere. È stato così per la guerra ed è stato così per la pandemia, le ultime due grandi catastrofi che ci hanno colpito. La follia dell'uomo ha cominciato la guerra e sempre l'uomo ha creato le condizioni affinché il Sars-CoV-2 facesse il salto di specie. 

 Noi Sapiens Sapiens siamo quella strana specie di animali capaci di fare cose grandissime e stupefacenti, che nessuna altra specie è in grado di eguagliare. Allo stesso tempo, siamo quella strana specie di animali in grado di farsi del male come nessun'altra specie è in grado di fare. Siamo grottescamente ambivalenti.

martedì 22 marzo 2022

Della gentilezza e del coraggio

 

Il Gianrico Carofiglio romanziere lo conoscevo già da tempo. Il Gianrico Carofiglio saggista no, e devo dire che è stata una bellissima scoperta. Della gentilezza e del coraggio non è un saggio in senso stretto, diciamo che è più un insieme di riflessioni e di "regole" (meglio: suggerimenti) da adottare per permettere a ogni cittadino di utilizzare al meglio il suo potere nascosto, quello che nasce dalla capacità di porre e porsi buone domande e di esercitare sempre l'esercizio del dubbio.

Scrive l'autore: "Porre domande - vere domande - è né più né meno che un'attività sovversiva contro ogni tipo di autoritarismo, palese o mascherato che sia. La democrazia e la pacifica convivenza si fondano anche, se non soprattutto, sulla controllabilità delle asserzioni di chi esercita il potere. In altri termini: sulla visibilità del potere stesso, concetto su cui si è soffermato Norberto Bobbio, per il quale il principio fondamentale dello stato democratico è appunto il principio di pubblicità, ovvero del potere visibile. Vi è poi un altro aspetto non meno importante che emerge dalla riflessione sul rapporto tra domande, dubbio e qualità della vita civile. La tolleranza dell'incertezza, la tolleranza dell'errore e la disponibilità ad ammetterlo sono infatti requisiti fondamentali di personalità e società sane, e di democrazie vitali. Esse accettano l'idea che la complessità del mondo in cui viviamo supera spesso la nostra capacità di comprenderlo, e proprio questa (coraggiosa) accettazione è una delle premesse per un agire politico laico, tollerante ed efficace. Al contrario, le società e le culture caratterizzate dall'evitamento dell'incertezza, in cui le persone sentono il bisogno di rigidi codici di comportamento e di pensiero per incasellare, spesso artificiosamente, la complessità del reale, sono poco capaci di progredire, di sviluppare più libertà e più intelligenza."

Le riflessioni di Carofiglio sono di tipo politico, incentrate sulle dinamiche comunicative che utilizza oggi la politica, ma sono pertinenti anche ad altri ambiti, come la normale dialettica tra persone nella vita reale ma anche in rete. Una distinzione interessante, a questo proposito, è quella tra un buon comunicatore e un efficace manipolatore. "Un buon comunicatore trasferisce contenuti, cioè pratica un'azione munita di senso. Il criterio ispiratore, il valore alla base della comunicazione politica, per esempio, è la verità. Non intesa come verità assoluta, oggettiva, bensì come il punto di vista in buona fede, correttamente raccontato, del soggetto parlante. In quello che dice un manipolatore (il massimo esponente mondiale della categoria è probabilmente il quarantacinquesimo presidente americano Donald Trump) non vi è contenuto ma solo la sua apparenza. Le parole sono svuotate dei loro significati e vi è invece un dilagare, più o meno visibile, dell'ego e del narcisismo. [...] Una caratteristica della politica manipolatoria consiste nel funzionare non per letture della realtà ma per applicazione di una serie di etichette, di schemi, di classificazioni banali e preconcette. Tutte cose che servono a evocare la parte peggiore dei destinatari del messaggio. Le etichette, gli schemi, le categorie precostituite aiutano la demagogia, consentono magari di vincere un'elezione, ma non di capire la realtà e influire positivamente su di essa. Perché, una volta applicata l'etichetta, questa diventa la persona, il gruppo di persone o il fenomeno a cui si riferisce. Il modo in cui la interpretiamo, il modo in cui ne parliamo, il modo in cui la ricordiamo. Soprattutto, salvo eventi eccezionali, l'etichetta diventa un potente paraocchi. Ci impedisce di vedere ciò che non le corrisponde, i significati divergenti, dove di regola si nasconde la verità."

L'abilità del manipolatore politico è soprattutto abilità di manipolare e distorcere il significato delle parole. Qui Carofiglio, a mo' di esempio, prende il sostantivo popolo. Quante volte si sentono cose come "è desiderio della volontà popolare", "il popolo ha deciso" e cose simili? Scrive l'autore:

"La parola più abusata e manomessa, in tale lessico [riferito al lessico utilizzato da alcuni leader politici], è sicuramente popolo. Il termine è stato sempre molto amato dai demagoghi di ogni risma, avendo in sé una naturale ambiguità che si accorda alla perfezione con la funzione mistificatoria del discorso populista. Di cosa parliamo - anzi di cosa parlano - quando parliamo di popolo? Stando alla definizione dei vocabolari, il popolo sarebbe il complesso di individui dello stesso paese. Una universalità, si direbbe in linguaggio giuridico. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1, co. 2). Significa che il voto popolare a suffragio universale è il principio di legittimazione delle istituzioni democratiche, nel quadro delle norme che lo regolano. Il popolo come entità unitaria esiste solo come indicazione di una universalità che è la base legittimante della democrazia. Non esiste il popolo come entità omogenea e, soprattutto, non esiste una categoria come 'la volontà popolare' che si possa considerare in modo unitario. Nel migliore dei casi (e peraltro con una evidente semplificazione) si può parlare della volontà di una maggioranza di cittadini che abbiamo esercitato il diritto di voto. La creazione del concetto di volontà popolare e il suo uso spregiudicato, quando non sgangherato, sono la forma più classica dell'esercizio del populismo. Immaginiamo che si tengano delle elezioni politiche nel nostro paese; immaginiamo che vada a votare il 60 per cento degli aventi diritto; immaginiamo che un ipotetico Partito del popolo ottenga il miglior risultato raccogliendo il 40% (percentuale altissima e improbabile) dei volti validi. Prescindiamo da questioni relative al sistema elettorale, al tema delle alleanze, alle ipotesi di governabilità che non ci interessano per questo piccolo, elementare esperimento mentale. Il suddetto Partito del popolo, legittimo vincitore delle elezioni, avrebbe ottenuto il 24% dei voti del corpo elettorale. Avrebbe naturalmente il diritto-dovere di (provare a) governare. I suoi dirigenti non avrebbero invece titolo a dire cose del tipo 'siamo stati votati dal popolo', 'esprimiamo la volontà del popolo' o altre analoghe sciocchezze."

Sembra una banalità, questo concetto, ma quante volte si sente dire da chi ha vinto una tornata elettorale che è stato votato dal popolo? 

Uno dei capitoli più belli è intitolato Fallacie. In esso vi sono elencate e descritte le principali. Le fallacie sono errori nella costruzione di un discorso che invalidano le argomentazioni e che di fatto rendono inutile proseguire la conversazione. A volte sono involontarie, altre volte vengono costruite deliberatamente con l'intento di ingannare l'interlocutore e il pubblico che ascolta. I dibattiti politici in televisione, per chi ancora li segue, sono il luogo in cui le suddette fallacie vengono utilizzate. Una delle più utilizzate e insidiose è chiamata argomento fantoccio, che consiste nella scorretta rappresentazione della tesi che si vuole contrastare. Scrive l'autore: "Si immagini una discussione sul tema della legalizzazione delle droghe leggere. Uno dei due interlocutori afferma l'opportunità di tale legalizzazione, sostenendo che essa toglierebbe spazi di manovra e profitti alla criminalità organizzata e precisando che già ora sono ammessi la produzione, la vendita e il consumo di sostanze almeno altrettanto dannose per la salute, come il tabacco o l'alcol. L'avversario della tesi della legalizzazione risponde che l'accesso indiscriminato alle sostanze psicotrope priva una società di ogni senso delle regole e dunque della capacità di funzionare correttamente. In questo caso l'argomento fantoccio viene attuato con l'estremizzazione della posizione avversaria, fino al suo stravolgimento. Il sostenitore della legalizzazione non ha infatti ipotizzato un accesso indiscriminato alle sostanze psicotrope (prospettiva difficilmente condivisibile), ma solo di legalizzare la coltivazione, la vendita e l'uso personale della cannabis. L'interlocutore scorretto sostituisce all'argomento x del suo avversario un nuovo argomento y, in apparenza simile, in realtà diverso, molto più debole e attaccabile. In questo modo la discussione si sposta su y e l'argomento x non viene affrontato. Ma l'argomento y non esiste, non è mai stato proposto, è stato costruito per mettere in difficoltà l'interlocutore, ed è per questo che viene definito fantoccio."

Ci sono altri argomenti che Carofiglio tocca con la sua tagliente efficacia, come il potere della stupidità, il vittimismo da complotti, l'umorismo (una delle più grandi, oggi ormai rarissima, virtù politiche), il coraggio, l'ironia. È un saggio agile (poco più di un centinaio di pagine), godibile, a tratti ironico. Io l'ho letto in un pomeriggio. Fateci un pensierino, se questi argomenti vi interessano: garantisco io.

domenica 20 marzo 2022

Profughi di serie A e di serie B

C'è da giorni una generale mobilitazione per aiutare concretamente i profughi ucraini che arrivano in Italia. Succede anche qui nei posti dove abito io: si organizzano tramite passaparola sui social punti di raccolta di beni di prima necessità, si fanno collette, si individuano famiglie che abbiano possibilità di fornire alloggi. Sono iniziative lodevoli e degne della massima considerazione e stima, naturalmente. 

Mi chiedo però - senza intenti polemici, sia chiaro - perché una simile mobilitazione non si verifichi per tutti i profughi indipendentemente dalla loro provenienza. I rapporti sui flussi migratori dicono che, pur nell'indifferenza generale, continua ad arrivare nel nostro paese un elevato numero di persone tramite la rotta mediterranea e balcanica, ma verso queste non c'è lo stesso attivismo solidale che si vede nei confronti dei profughi ucraini. Perché questa distinzione? Mi sono fatto alcune idee. 

La prima è che i flussi migratori via mare non sono più considerati una emergenza ma ormai quasi una normalità, nel senso che, trattandosi di un fenomeno che pur tra alti e bassi esiste da da almeno due decenni, ha ormai perso quell'aura di gravità e drammaticità che aveva agli inizi (se mai l'ha avuta). Un'altra motivazione potrebbe risiedere nel fatto che i profughi che arrivano dall'Africa via mare o dal Medio Oriente via rotta balcanica (più i primi dei secondi) devono scontare anni e anni di demonizzazione mediatica perpetrata dai partiti di destra. 

Non serve che stia qui a ricordare tutti gli epiteti che sono stati loro rivolti e le discriminazioni razziali di cui sono stati fatti oggetto in questi anni dagli esponenti dei due maggiori partiti di destra Lega e Fratelli d'Italia. Tra l'altro, giusto pochi giorni fa, è stato lo stesso Salvini a ribadire che è giusto aiutare chi scappa realmente dalla guerra rispetto a chi la guerra ce la porta in casa, argomentazione, questa, epistemologicamente fallace ma proprio per questo di facile presa su un pubblico notoriamente non troppo abituato a problematizzare gli slogan. 

Ultima spiegazione che ipotizzo: la "mediaticità" della guerra in corso. Basta accendere una televisione, aprire un giornale, navigare su qualsiasi social per venire investiti da un profluvio di immagini ritraenti distruzione, morte, atrocità di ogni tipo, cosa che non succede con altre situazioni. Non ci sono telegiornali che fanno vedere cosa succede nei lager libici; non vengono trasmessi reportage che documentano le tappe drammatiche del viaggio che compie chi parte da un paese subsahariano, attraversa il deserto, viene rinchiuso nei lager libici tra torture, sevizie di ogni tipo, uccisioni sommarie e poi, se sopravvive, prende un barcone e, se riesce ad attraversare il Mediterraneo senza affogare, approda su una nostra spiaggia. 

Tutto questo non per stigmatizzare o criticare chi si prodiga per aiutare i profughi ucraini (cosa che nel mio piccolissimo faccio anch'io), ma solo per tentare di evidenziare i motivi di questa disparità di trattamento. 

Ci sarebbe, in aggiunta, una spiegazione di tipo "antropologico", diciamo così, basata sul fatto che la nostra psiche - l'ho letto una volta in un libro - tende a rapportarsi in misura maggiore a ciò che emotivamente la coinvolge di più, che generalmente corrisponde a fatti che avvengono nelle immediate vicinanze. Sintetizzando, è il motivo per cui se muore un nostro congiunto ci disperiamo, se muore il nostro vicino ci dispiace, se ogni minuto muoiono nel mondo sei bambini di fame... si, dispiace, ma pazienza. Tra l'altro, la mediaticità della guerra in corso sta alla base del paradosso per cui ci sentiamo più empatici verso profughi, gli ucraini, che rispetto a quelli provenienti dall'Africa sono distanti dieci volte tanto.

Al netto di tutto questo discorso, trovo disgustoso che una certa politica (che poi è sempre quella) divida i disperati in disperati di serie A e disperati di serie B. Ognuno aiuti chi vuole e come vuole, ma ci venga almeno risparmiato questa rivoltante e strumentale suddivisione.

50 minuti

50 minuti di un gigantesco Galimberti. Per sentire qualcosa di diverso, non necessariamente giusto e corretto, ma alternativo e originale, non conformato alla lettura unica imperante della nostra società che ci viene inculcata ogni giorno. E anche per mettere un po' in crisi qualche nostro pregiudizio. Perché noi siamo pieni di pregiudizi, anche se pensiamo il contrario. E non è una cosa sbagliata avere pregiudizi, basta saperci stare dentro nel modo giusto.

Matrimoni finti

Le finte nozze di Berlusconi con la sua ultima fiamma mi sembrano la perfetta metafora di cosa è la società di oggi: pura apparenza. Il matrimonio è finto, simbolico, né religioso né civile, non produce alcun effetto pratico. Però c'è la scenografia: gli invitati, la musica, la (finta) cerimonia. Ma è solo apparenza. Niente, meglio di questa patetica sceneggiata, è l'emblema di cosa siamo diventati oggi.

Wojtyla Segreto


Storicamente sono esistiti due Karol Wojtyla. Uno è il Giovanni Paolo II trascinatore di folle, carismatico, osannato fino all'idolatria da milioni di fedeli nel mondo. L'altro è il Giovanni Paolo II meno conosciuto, che assomma in sé atteggiamenti, visioni, comportamenti e azioni che definire controversi può risultare quanto meno eufemistico. Come si premurano di precisare i due autori di questo saggio, il vaticanista Giacomo Galeazzi e il giornalista Ferruccio Pinotti, questo non è un libro "contro" Giovanni Paolo II ma un libro "su" Giovanni Paolo II, scritto nella convinzione che compito dell'informazione è quello di scavare per poter offrire tutti gli elementi utili per potere farsi l'idea più precisa e obiettiva possibile su un avvenimento o un personaggio, e papa Wojtyla, nel bene o nel male, è stato uno dei grandi personaggi storici del Novecento, senza il quale probabilmente molte cose sarebbero andate diversamente, in Europa ma anche fuori dai confini europei. 

Karol Wojtyla nacque nel 1920 in Polonia e trascorse la giovinezza prima sotto la dittatura nazista poi, al termine della Seconda guerra mondiale, sotto la dittatura comunista. Gran parte della sua vita la trascorse "combattendo" contro quest'ultima e l'ossessione contro il comunismo sarà ciò che guiderà la sua azione pastorale e politica fino alla morte. Non sono pochi gli storici che oggi attribuiscono il crollo dell'Unione Sovietica e la fine delle dittature comuniste di molti paesi mitteleuropei per gran parte al suo operato.

Un operato che, se da una parte ha avuto indiscutibili meriti, dall'altra è però stato macchiato da non poche ombre e contraddizioni, e una delle storicamente più evidenti è la differenza di trattamento tra dittature di sinistra e di destra. La "spietatezza" con cui ha combattuto le dittature comuniste dell'Est si è infatti sempre trasformata in indulgenza, se non addirittura in approvazione, nei confronti di dittature di destra, come quelle che per tutta la seconda parte del Novecento hanno insanguinato molti paesi latino-americani. Celeberrima, a titolo di esempio, è rimasta nella memoria collettiva l'immagine in cui Wojtyla si affaccia al balcone della Moneda benedicendo Pinochet, responsabile del colpo di stato militare, organizzato dalla CIA, che nel 1973 insanguinò il Cile e rovesciò il presidente socialista, democraticamente eletto, Salvador Allende. Anche la palese avversione nei confronti della Teologia della liberazione e dei suoi esponenti e seguaci si inserisce nel solco di queste sue preferenze.

Durante i suoi 27 lunghi anni di pontificato Wojtyla si è circondato e ha difeso strenuamente personaggi che definire discutibili è sicuramente eufemistico. Ne cito alcuni qui di seguito (fonte):


4 marzo 1983. All'aeroporto di Managua in Nicaragua Giovanni Paolo II svillaneggia pubblicamente il ministro della Cultura padre Ernesto Cardenal, inginocchiato di fronte a lui in segno di rispetto, per aver accettato di partecipare al governo sandinista. In seguito, in combutta con il cardinal Joseph Ratzinger, combatterà duramente la teologia della liberazione, di cui Cardenal era uno dei principali esponenti, riducendola al silenzio. 

 20 febbraio 1987. L'arcivescovo Paul Marcinkus, presidente dello IOR, riceve un mandato di cattura dal tribunale di Milano per il coinvolgimento della banca vaticana nello scandalo del Banco Ambrosiano: lo stesso che porterà alla morte dei bancarottieri Michele Sindona e Roberto Calvi. Il papa fa quadrato attorno al "banchiere di Dio", noto per aver dichiarato che "non si dirige una chiesa con le Ave Maria", e lo lascerà al suo posto fino al pensionamento per i raggiunti limiti di età nel 1997. 

3 aprile 1987. A Santiago del Cile Giovanni Paolo II si affaccia sorridente a salutare la folla dal balcone del Palazzo Presidenziale in compagnia del dittatore Augusto Pinochet, e prega con lui nella cappella del Palazzo: lo stesso in cui nel 1973 era stato assassinato da Pinochet il presidente democraticamente eletto Salvador Allende. In seguito, nel 1993, impartirà al dittatore cileno una benedizione apostolica speciale in occasione delle sue nozze d'oro. E nel 1999, quando Pinochet sarà arrestato in Inghilterra per crimini contro l'umanità, gli manderà un messaggio di solidarietà. 

6 ottobre 2002. Giovanni Paolo II canonizza, dopo averlo già beatificato il 17 maggio 1992, il prete franchista Josemaria Escrivà de Balaguer, fondatore dell'Opus Dei. Paga così il debito nei confronti della Prelatura della Santa Croce, i cui membri e simpatizzanti l'avevano dapprima eletto al soglio pontificio, e avevano poi sanato i debiti dello IOR, dissanguato dai finanziamenti a Solidarnosc. Alla cerimonia di canonizzazione partecipano, tra gli altri, per loro e nostra vergogna, anche Massimo D'Alema e Valter Veltroni. 

24 marzo 2003. Giovanni Paolo II ricorda con affetto il cardinal Hans Hermann Groer, dimessosi da primate d'Austria nel 1998 per aver abusato sessualmente di circa duemila ragazzi. Recentemente il cardinal Schoenborn ha denunciato la sistematica copertura di Groer e altri violentatori, da parte della curia di Giovanni Paolo II, e in particolare dell'ex segretario di Stato cardinal Sodano e dell'ex segretario particolare del papa cardinal Dziwisz, ma è stato messo a tacere e redarguito ufficialmente da Benedetto XVI. 

30 novembre 2004. Giovanni Paolo II abbraccia pubblicamente padre Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, nella fastosa e festosa celebrazione dei suoi sessant'anni di sacerdozio, e lo omaggia per "un ministero sacerdotale colmo dei doni dello Spirito Santo". Dimentica di dire che per mezzo secolo il prete ha sistematicamente violentato seminaristi e fedeli, e ha convissuto regolarmente e contemporaneamente con quattro donne, da cui ha avuto cinque figli, che ha sia violentato che portato in udienza dal Papa.


Sul fronte dottrinale, l'operato di Wojtyla si è inserito a pieno titolo nel solco della restaurazione, rinnegando platealmente il nuovo corso di aperture nato dal Concilio Vaticano II che aveva trovato tra i suoi più fervidi sostenitori pontefici come Giovanni XXIII e Paolo VI. Wojtyla si è dimostrato un papa reazionario, "oscuro", autoritario, intollerante verso i "dissidenti" e contro chiunque, all'interno della chiesa o fuori, si facesse portatore di aperture verso temi etici o di istanze che chiedessero una minore marginalizzazione delle donne nella vita della chiesa. Il suo pontificato si è sempre mosso all'insegna della mortificazione di tutte le istanze riformatrici e progressiste che nel corso degli anni arrivavano da teologi, movimenti ecclesiali e associazioni sparsi in ogni parte del globo. Il tutto in perfetta coerenza col definitivo "la chiesa non è democratica", ribadito in occasione della sua visita in Austria del 1998 in risposta agli appelli per l'avvio di riforme, da molti ritenute non più procrastinabili, che ne attualizzassero il corso.

sabato 19 marzo 2022

Solidarność e ricordi

Nel libro su Wojtyla che sto leggendo in questi giorni, un capitolo è naturalmente dedicato a Solidarność, un sindacato polacco di matrice cattolica e anticomunista nato in Polonia nel 1980 e lautamente (e più o meno legalmente) finanziato dallo IOR, la famosa (e famigerata) banca vaticana.

Mentre leggevo mi è tornato alla memoria un episodio che risale a quand'ero bambino e frequentavo la parrocchia. Un giorno, mentre mi trovavo assieme ad altri nello studio di don Natale, il parroco di allora, vidi su un mobile, assieme a libri e altri oggetti, una targhetta piccola, di legno chiaro, con su impressa in rosso la scritta "Solidarność". Ricordo che mi chiesi cosa significasse quella parola a me totalmente oscura e facevo molte congetture in proposito. Immaginavo che, vista l'assonanza, avesse a che fare con solidarietà (come effettivamente è), ma da bambino ero talmente timido che non osai mai chiederne il significato a don Natale. Comunque la curiosità svaniva subito e mi dimenticavo della cosa non appena lasciavo lo studio del don, altrimenti l'avrei potuto chiedere ai miei genitori una volta a casa. 

Ho un bel ricordo dello studio di don Natale. Sulla sua scrivania, abbastanza incasinata, c'era una macchina da scrivere (i PC erano ancora lontani) con a fianco risme di fogli bianchi semisommersi da oggetti di ogni tipo e la libreria alle spalle della poltrona era piena di libri. Forse è per queste cose che ne ho un bel ricordo.

venerdì 18 marzo 2022

Armamenti

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina la Germania ha deciso di investire 100 miliardi di euro nella corsa agli armamenti perché, dice il neocancelliere Scholz, "il mondo non è più quello di prima" (ma va'?) e quindi "dobbiamo investire di più nella sicurezza del nostro paese". Si muove in questo senso anche la Francia, con Macron che appena pochi giorni prima dell'invasione, in occasione di un comizio elettorale in vista delle presidenziali di aprile, ha spiegato che la Francia aumenterà le spese per la difesa perché non è più preparata ad affrontare eventuali conflitti di lunga durata.

Potevamo noi restare impassibili di fronte a cotanta entusiastica mobilitazione guerresca? No di certo. Ed ecco infatti Draghi annunciare alla Camera, qualche giorno fa, un ordine del giorno nel quale si prevede un aumento delle spese militari fino al 2% del Pil. In pratica, fino a oggi il nostro paese spendeva 68 milioni di euro al giorno in armi, adesso questa cifra salirà a 104 milioni al giorno.

In realtà non è stata la guerra a dare il la a questa stupida (a mio parere) corsa, in quanto gli accordi tra i paesi Nato per rimodernare gli apparati militari del comparto difesa risalgono ad alcuni anni fa. Diciamo che la guerra ha solo portato a un'accelerazione di un processo che era già in corso. E così, dopo settanta e passa anni dall'ultimo conflitto mondiale ci si comincia a organizzare e preparare per il futuro. D'altra parte, settant'anni sono un periodo che giustifica ampiamente la rimozione di qualsiasi memoria storica.

giovedì 17 marzo 2022

I segreti d'Italia


Ho terminato poco fa questo bellissimo saggio storico di Corrado Augias. In realtà, come specifica lo stesso autore nella prefazione, "segreti" è una parola impegnativa, con tutto quello che è successo nel nostro paese in tanti secoli (per raccontarli tutti non basterebbe una biblioteca intera). L'unico segreto da svelare, che li riassume tutti, è questo: perché le cose sono andate come sono andate? Perché la storia della nostra penisola ha conosciuto così numerosi contorcimenti e passioni e sventure e occasioni mancate? E perché, al contrario, questo lembo di terra gettato di sghembo in mezzo al Mediterraneo lungo un confine pericoloso e ambiguo tra Balcani, Nordafrica, Europa, è stato popolato come pochi da una tale quantità di geni? 

Scrive Augias: "I primi responsabili di queste incertezze sono gli italiani stessi che non sempre hanno ben chiaro il loro possibile ruolo. Chi sono gli italiani? Gli emigranti che sbarcarono in terre lontane con un sacco di stracci sulle spalle? Quelli che accettavano di fare, per quattro soldi, i lavori più umili e pericolosi? Oppure i brillanti architetti, i grandi stilisti, gli artisti sommi che si sono imposti all'ammirazione del pianeta? Non esiste un altro popolo - quanto meno non in Europa - che abbia toccato estremi così lontani. Questo è il nostro vero segreto che racchiude (quasi) tutti gli altri."

Il libro si snoda, spesso con le sembianze del romanzo, nel racconto di vari episodi storici (dalle cupe atmosfere della Palermo di Cagliostro all'elegante corte di Maria Luigia a Parma; dalla nascita del ghetto di Venezia alle eroiche giornate dell'insurrezione napoletana contro i nazifascisti; dall'Italia rappresentata nel romanzo Cuore, di De Amicis, a quella rappresentata ne Il piacere di D'Annunzio), indugiando in aspetti poco noti o generalmente trascurati delle vicende.

È un libro che si propone lo scopo di cercare di capire chi siamo ma che non lo raggiunge perché, come scrive l'autore nella chiusa citando Benedetto Croce: "Il carattere di un popolo è la sua storia, tutta la sua storia." [...] "Lì dobbiamo cercare questo segreto per imparare a riconoscerlo e, chissà, in un domani a correggerlo." Questo concetto, con altre parole, fu fatto suo da Francesco Guccini in Radici, quando scriveva: "...e tu ricerchi là le tue radici, se vuoi capire l'anima che hai."

Il guaio è che oggi, purtroppo, con le radici e con la storia abbiamo ormai poca o nulla dimestichezza.


mercoledì 16 marzo 2022

Dad

Stamattina mia figlia maggiore, educatrice in una scuola media, ha fatto lezione da casa in dad perché uno dei due bambini che segue è positivo al covid. Ogni tanto, dalla cucina, ascoltavo quello che si dicevano. A un certo punto ho sentito il bambino che diceva: "Maestra, ti vedo, ma sei lontana..." 
Boh, non so, sicuramente la dad avrà avuto una qualche utilità nel cercare di lenire gli effetti di questa pandemia, non lo discuto, ma non c'è niente di naturale e di umano in tutto ciò.

Perfetto Maggiore

Da un paio di settimane mi è comparso un acufene nell'orecchio destro e stamattina sono andato a fare una visita di controllo da una otorinolaringoiatra. Terminato il test audiometrico faccio notare alla dottoressa che gli ultimi tre suoni dei cinque che mi ha fatto ascoltare tramite l'orecchio destro sono disposti in una successione di toni che forma un accordo di perfetto Maggiore. La dottoressa rimane perplessa. 
"Davvero? E lei come lo sa?" 
"Sono musicista per hobby." 
"Ah, non lo sapevo, ho imparato una cosa nuova." 
"Eh," faccio io, "si impara sempre qualcosa, nella vita." :-)

martedì 15 marzo 2022

La posizione del pacifista

Non ho una idea chiara sul fatto se sia giusto o no che si inviino armamenti all'Ucraina per aiutarla a contrastare l'invasione militare russa, invio di armi che, senza troppo clamore, è stato deliberato dal consiglio dei ministri di qualche giorno fa e nel cui solco si sta muovendo anche l'Europa. Ma tendo a pensare che sia sbagliato. Un po' perché sono di idee pacifiste, riconducibili a quel pacifismo se vogliamo un po' idealista e ingenuo alla John Lennon oggi così dileggiato da tutti, e un po' perché vedo un grosso controsenso in tutto ciò.

Ok, in teoria l'Ucraina ha tutto il diritto di difendersi, ma forse è sul modo di farlo che ci sarebbe qualcosa da dire. L'Italia e l'Europa vendono armamenti sia all'Ucraina che alla Russia da decenni, e in misura molto maggiore a quest'ultima. Dal 1998 al 2020 l'Unione europea (Italia compresa) ha venduto armi all'Ucraina per 509 milioni di euro e alla federazione russa per 1,9 miliardi di euro (fonte). L'Italia in questo commercio si è particolarmente distinta col governo Berlusconi del 2011 e col governo Renzi del 2015. In altre parole, prima abbiamo imbottito la Russia di armi e adesso che la Russia con quelle armi perpetra massacri in Ucraina, imbottiamo di armi l'Ucraina. Dove sta scritto che a un invio ancora più massiccio di armamenti corrisponderà una de-escalation del conflitto? Abbiamo precedenti storici a cui attingere a supporto di questa teoria? Se sì, ben vengano.

Forse non è tanto questione di pacifismo o non pacifismo, ma è semplice buon senso. Nell'immaginario collettivo il pacifista è visto un po' come un coglioncello che davanti alla scena di una persona aggredita da un assassino se ne sta buono e si limita a chiedere ai due contendenti di fare pace. Ma se la pistola è stata venduta all'assassino da colui che assiste alla scena, la questione assume tutta un'altra prospettiva, e in questa prospettiva il pacifista è colui che invece di dare una pistola anche all'aggredito, magari si adopera in qualche modo per aiutarlo a sfuggire all'aggressione. 

È idealismo, questo? Può darsi, ma fino a che non mi si dimostrerà che imbottire di armi chi è stato aggredito sarà una soluzione migliore per limitare i danni di una guerra, io mi tengo il mio idealismo.

Due quasi ottuagenari

Leggo che il 21 giugno i Rolling Stones saranno a San Siro, per una data del loro tour mondiale che celebra i sessant'anni di attività della band. Mick Jagger e Keith Richards hanno entrambi 79 anni e non è un mistero che nella loro vita si siano concessi ogni eccesso immaginabile. Eppure ancora oggi, a un passo dagli 80 anni, sul palco saltano e ballano come ragazzi di venti. Comincio a pensare che la famosa "Sympathy for the devil" abbia portato a loro bene e che quella simpatia sia stata in qualche modo ricambiata :-)

lunedì 14 marzo 2022

E anche se l'avessimo saputo?

Non parlo dei motivi che hanno generato il conflitto tra Russia e Ucraina perché non ho le competenze per farlo. Potrei documentarmi, è vero, cosa che nel mio piccolo sto cercando di fare, ma dovrei comunque operare una scelta tra le molteplici, diverse e spesso contraddittorie teorie che sono sul tavolo e - siamo sempre lì - non ho le competenze per farlo. Lascio questo compito a chi è più titolato di me. 

Dicono i bene informati che si sapeva da diversi anni che questo conflitto covava sotto la cenere e che prima o poi sarebbe esploso, perché era evidente che l'allargamento della Nato verso est stava diventando sempre più ingombrante, e poi c'era già stata l'invasione della Crimea da parte dei russi qualche anno fa, e poi tutta l'annosa questione delle angherie perpetrate dal governo ucraino verso i separatisti filo-russi delle regioni del Donbass. Insomma, i prodromi che facevano presagire ciò che oggi è in atto ci sarebbero stati, e chi lo sostiene ammanta questa affermazione - impressione mia - con qualcosa che assomiglia molto a un atto d'accusa, come a voler implicitamente sottolineare che si sapeva e non si è fatto niente.

Ma se anche si fosse saputo, se anche ci si fosse resi conto dell'esistenza di questi prodromi, come ci si sarebbe potuti muovere? Concretamente, dico, cosa si sarebbe potuto fare? Abbiamo avuto quasi quattro decenni di Guerra fredda combattuta sottotraccia e in via non ufficiale da due superpotenze in possesso della bomba atomica, quarant'anni di timore costante che si verificasse quello che allora veniva chiamato "olocausto nucleare" (e nella famosa crisi dei missili di Cuba nel 1962, e in un altro paio di occasioni, ci siamo andati a un passo), e questo significa che abbiamo avuto quarant'anni di prodromi dell'arrivo di un possibile disastro globale, ma pur sapendolo (e lo sapevamo tutti) chi di noi comuni mortali, anche volendo, avrebbe potuto fare qualcosa? 

Non vuole essere, questo, un tentativo di avallare una sorta di deresponsabilizzazione collettiva, solo un mettere nero su bianco ciò che tutti sanno: su ciò che decidono le poche persone che stanno ai vertici del mondo l'immensa platea di persone comuni ha pochissima o nulla influenza. È sempre stato così e sarà sempre così. Adesso, come è naturale che sia, tutti speriamo che questa guerra finisca, perché non sopportiamo di vedere le immagini di civili, che questa guerra non hanno voluto, sotto le bombe, e anche perché (ipocrita nasconderselo) nutriamo il neanche tanto latente timore che arrivi fino a noi (tra i confini occidentali dell'Ucraina e Trieste c'è la stessa distanza che separa Trieste da Napoli), per non parlare di tutti gli effetti collaterali già visibili (aumento dei prezzi, problemi coi profughi ecc.).

Questo conflitto ci impressiona per due motivi. Il primo è che è relativamente vicino a noi; il secondo è che dopo sette decenni si è spezzato drammaticamente e anche abbastanza inaspettatamente quel patto non scritto secondo cui, memori di ciò che successe nei due conflitti mondiali del Novecento, le controversie tra nazioni si risolvono sedendosi a un tavolo. Ma a quel tavolo non si sono mai sedute le persone comuni.

domenica 13 marzo 2022

Un Pasolini a metà

Ho abbandonato a metà Ragazzi di strada, il primo romanzo di Pasolini, pubblicato a metà degli anni Cinquanta. Mi capita rarissimamente di abbandonare un libro e la cosa mi ha sorpreso, considerando che Scritti corsari, che ho letto recentemente, mi è piaciuto tantissimo. Evidentemente preferisco il Pasolini saggista al Pasolini romanziere.

sabato 12 marzo 2022

Galimberti a Cesena

 

 

Uno dei momenti più emozionanti di ieri: Umberto Galimberti che mi autografa I miti del nostro tempo, uno dei suoi saggi più belli sulle distorsioni e le contraddizioni della società contemporanea. 

Come avevo scritto in un post precedente, ieri ho assistito a una sua conferenza, a Cesena, nella chiesa di sant'Agostino, sui temi della scuola, dell'istruzione e dell'educazione. Con me c'erano mia moglie, mia figlia maggiore, che riguardo a questi temi è molto sensibile essendo educatrice in una scuola media, e il fidanzato di lei. 

Purtroppo l'intervento di Galimberti è stato abbastanza breve, poco più di un'oretta, probabilmente anche a causa del gelo che regnava nella chiesa in cui si è tenuta la conferenza, totalmente priva di riscaldamento. (Capisco che le chiese siano generalmente luoghi freddi, visto che anche Nietzsche le definiva "le fosse e i sepolcri di Dio", ma gli organizzatori avrebbero potuto attivarsi in qualche modo per riscaldare un po' l'ambiente. Pazienza.)

Il filosofo, nel suo intervento, ha fatto una panoramica sullo stato della scuola dal suo punto di vista, descrivendo le molte carenze sia strutturali che programmatiche di cui soffre. Impossibile, naturalmente, riportare in un post una conferenza intera, mi limiterò a riassumere brevissimamente qualche punto.

Uno di quelli su cui ha battuto di più riguarda l'educazione. A suo parere, infatti, la scuola non dovrebbe essere mero strumento di passaggi di nozioni dall'insegnante all'allievo, non dovrebbe solo istruire, ma dovrebbe anche educare. Educare significa seguire l'allievo non solo dal punto di vista didattico ma anche emotivo/sentimentale. Uno potrebbe obiettare che l'educazione dev'essere a carico della famiglia, non della scuola. Che in linea di principio è vero. Il problema è che la nostra società è strutturata in modo che una famiglia, oggi, per poter tirare avanti, necessiti del lavoro di entrambi i genitori, e questo influisce più di quanto si possa pensare sull'educazione dei figli.

Ma la scuola non educa non perché non voglia, semplicemente perché oggettivamente non può farlo. Per seguire un ragazzo anche dal punto di vista emotivo, oltre che didattico, occorre infatti che le classi siano composte al massimo di 14 o 15 studenti. Non esistono oggi scuole con meno di 30 allievi per classe, quindi si è già deciso in partenza che la scuola non deve educare, ma solo insegnare (quando riesce).

Altro punto su cui ha battuto molto è la funzione del ruolo, che secondo lui andrebbe abolito (mugugni in platea, qui, visto che molti dei partecipanti erano insegnanti) per evitare che insegnanti totalmente inadeguati possano demotivare generazioni di studenti. Se un insegnante non ha capacità didattiche, relazionali, empatiche, lo sa il preside, lo sanno i colleghi, lo sanno i genitori, lo sa il consiglio d'istituto, lo sanno tutti però nessuno lo può muovere di lì perché è di ruolo. Sarebbe come se uno volesse fare il meccanico senza sapere niente di motori, dice Galimberti, o come se uno alto un metro e mezzo volesse fare il corazziere. Non lo fai, fai qualcos'altro. 

Oltre a questo, i professori, specie quelli delle medie, che hanno a che fare con giovani che sono nel delicatissimo passaggio dall'infanzia all'adolescenza, prima di insegnare dovrebbero seguire corsi di psicologia dell'età evolutiva, e anche di teatro, come accade già in molti paesi del nord Europa. Perché la cattedra è anche un palcoscenico, e se un professore sa spiegare la Divina commedia come Benigni, magari i ragazzi la studiano pure. "Io non ho nessun problema con un professore che mi plagia una classe" dice Galimberti, "io ho un problema con un professore che me la demotiva". Molto bella, a questo proposito, la citazione di Platone secondo cui per aprire la mente di una persona devi prima aprirgli il cuore. Tutti, del resto, abbiamo studiato più volentieri le materie dei professori che ci piacevano, no?

Questi sono stati, tra i tanti, i punti che mi sono piaciuti di più. Ho dato un'occhiata su Youtube ma questa conferenza non è stata ancora caricata. C'era però un tipo che faceva delle riprese con una telecamera, quindi presumo che verrà messa online a breve. Quando sarà disponibile lo segnalerò nei commenti.

Terminata la conferenza, siamo andati a scaldarci in una pizzeria lì nei dintorni, e naturalmente ne è nata una bella chiacchierata in cui ci siamo scambiati pareri su ciò che avevamo appena ascoltato. È stata una bella giornata.

venerdì 11 marzo 2022

Destra e sinistra

Non fatevi ingannare dal titolo: non c'entra la politica. C'entrano le neuroscienze. Vi siete mai chiesti perché la stragrande maggioranza delle persone scrive e fa la maggior parte delle cose con la mano destra invece che con la sinistra? In teoria nulla impedirebbe che la percentuale di persone che scrive con la destra fosse il 50% del totale e l'altro 50% scrivesse con la sinistra. Ma sarebbe stato plausibile anche che il 100% delle persone scrivesse con la destra, oppure con la sinistra. Invece no: la maggior parte degli esseri umani sul pianeta scrive con la destra, in una percentuale che grosso modo è attorno all'80%. Perché? Beh, c'entra l'evoluzione e c'entra, in qualche misura, anche la gallina e, più in generale, tutti i pennuti con gli occhi posizionati ai lati del capo.
Lo spiega Giorgio Vallortigara, uno dei più noti neuroscienziati italiani, nei quindici minuti di lezione del video qui sotto.


mercoledì 9 marzo 2022

Letta che asfalta (la Le Pen)

Tramite questo post di Gwendalyne mi sono imbattuto nel video che ripubblico qui sotto. Si vede, e soprattutto si ascolta, un battagliero Enrico Letta che asfalta la Le Pen avvalendosi di una perfetta padronanza del francese ed esternando concetti più che condivisibili. Non nutro particolari simpatie per Letta, e anzi giusto qualche giorno fa non gliele ho mandate a dire riguardo alla questione del reddito minimo, ma trovo che sia un politico garbato, intelligente e serio, attributi ormai abbastanza rari nel panorama politico odierno. E comunque mi sta particolarmente simpatico da quando l'altra macchietta del panorama politico italiano, Renzi, lo fece fuori col famoso "Enrico stai sereno" di sette anni fa.

Ma la cosa interessante del video è la differenza che corre tra un dibattito televisivo in Francia e qua da noi in Italia. Se ci fate caso, Letta parla senza essere mai, eccetto in un paio di punti, interrotto dalla Le Pen. Conoscendo il suo garbo, presumo che anche la sua interlocutrice abbia potuto parlare senza essere a sua volta interrotta. Adesso pensate a un normale dibattito politico in televisione qua da noi: sovrapponimenti, interruzioni reciproche, urla, spesso insulti. Un altro pianeta, la Francia, e forse anche un'altra politica.


martedì 8 marzo 2022

Viaggio al confine

Breve storia triste: Salvini va Przemysl, città polacca a pochi chilometri dal confine con l'Ucraina, per una non meglio precisata missione di pace (sempre a favore di telecamere e social, ça va sans dire). Viene salutato dal sindaco della cittadina, il quale inizialmente ringrazia l'Italia per l'appoggio e la solidarietà dati all'Ucraina, poi, abbastanza inaspettatamente, tira fuori una maglietta con su l'effigie di Putin, esattamente identica a quella indossata da Salvini nella sua visita a Mosca di qualche anno fa, con la quale il leghista si faceva i selfie e dimostrava il suo apprezzamento per il leader russo. Il sindaco di Przemysl dice quindi a Salvini di non essere disposto a riceverlo e lo invita, tra gli sberleffi dei presenti, a recarsi al confine per condannare Putin e l'invasione militare dell'Ucraina.

Probabilmente la patetica macchietta nostrana pensava che in Polonia fossero più smemorati degli italiani e avessero dimenticato dieci anni di propaganda incessante a favore dell'attuale capo del Cremlino. Evidentemente, invece, i polacchi hanno una memoria migliore di tanti italiani e il risultato è stato una figura di palta di dimensioni difficilmente quantificabili. Niente di male per lui, intendiamoci, di figure del genere ne ha collezionate talmente tante da essere ormai entrate a fare parte del suo normale ménage quotidiano. Il lato positivo della faccenda è che, forse per la prima volta, il leader leghista ha provato sulla sua pelle cosa significa arrivare a un confine ed essere respinto come indesiderato.


lunedì 7 marzo 2022

Us and them

Alla stazione radio che ascoltiamo ogni mattina qui in azienda c'è un programma che si chiama "Mi metti un disco?" Gli ascoltatori mandano un SMS o un messaggio su WhatsApp, chiedono una canzone e il conduttore la trasmette. A un certo punto arriva il vocale WhatsApp di un tipo che dice: "Buongiorno, vorrei ascoltare la canzone Us and them, dei Pink Floyd. Grazie." Il conduttore tergiversa un po'. "Ah, sì, gran bel pezzo, e poi i Pink Floyd, cavolo, dei genî della musica mondiale. Solo che, come dire?, è un pezzo che dura quasi otto minuti... insomma è un po' inusuale mandare in radio un pezzo così lungo. I tempi della radio sono diversi. In genere le canzoni, oggi, durano tre o quattro minuti..." 

Dentro di me pensavo: Non la trasmetterà mai! Anche se sotto sotto ci speravo. E invece - sorpresa! - sento che alla fine dice: "Va bene, via, per stavolta facciamo un'eccezione" e la trasmette. Ok, alla fine ha tagliato un paio di minuti il finale, amen, ma mi ha fatto piacere, tra uno strilletto della Pausini e una demenzialità musicale di Sfera Ebbasta, riascoltare questo classico della mia giovinezza. Diciamo che qua si è contenti con poco :-)


Commuoversi

Mi è piaciuto questo post di Galatea. Commuoversi per fatti tragici che non ci toccano da vicino (per ora) non è così scontato, specie in una società come la nostra dove il metro dell'utilità (serve, non serve) viene spesso applicato anche ai sentimenti. Commuoversi davanti a un telegiornale non fa finire una guerra, certo, ma autorizza a immaginare che nella naturale ambivalenza male/bene (capacità di fare il male e capacità di provare dolore per il male inflitto da uomini ad altri uomini) sia prevalente la seconda. 

domenica 6 marzo 2022

Galimberti a Cesena


Venerdì prossimo qua a Cesena ci sarà una conferenza di Umberto Galimberti, uno dei filosofi e pensatori contemporanei che leggo e seguo di più, anche se sovente non concordo con le cose che dice. Se non interverranno impedimenti dell'ultimo momento, credo che farò un salto ad ascoltarlo, sperando che non crolli la chiesa.
(È una vecchia battuta che mi rivolgono spesso amici e familiari, i quali, conoscendomi, pensano che il solo avvicinarmi a una chiesa possa essere sufficiente a farla crollare.) :-)

sabato 5 marzo 2022

Cosa dobbiamo fare con la cultura russa?


Credo che la cosa ci stia un po' sfuggendo di mano. Dopo la vicenda di Paolo Nori e della lezione su Dostoevskij saltata alla Bicocca, a Firenze qualcuno ha pensato bene di mobilitarsi per gettare nell'Arno la statua dell'autore de I fratelli Karamazov e altre immortali opere, statua che fu donata l'anno scorso al comune dall'ambasciata russa in occasione dei 200 anni dalla nascita di Dostoevskij. Il sindaco Nardella ha ovviamente respinto questa idiozia.

Dostoevskij a parte, sta prendendo piede una sorta di "maccartismo" generalizzato e insensato nei confronti della cultura russa. A Reggio Emilia è stata ad esempio cancellata la mostra di un fotografo russo, Alexander Gronsky, che era in programma al Festival fotografia europea 2022; a Macerata è stato sospeso un concerto che doveva essere diretto dal direttore d'orchestra Valery Gergiev, il quale deve scontare la gravissima colpa di essere amico di Putin. Se si spulciano un po' le cronache si scopre che sono molti, in giro per lo stivale, gli eventi culturali sospesi o soppressi perché animati da personalità legate alla cultura russa.

A mio avviso è una cosa completamente priva di senso. Ora, se può essere in qualche modo comprensibile sospendere eventi diretti da personalità russe che avallano ciò che sta facendo Putin, a mo' di segnale, se volete, o come forma di sensibilizzazione, non ha viceversa alcun senso colpire indistintamente chiunque sia espressione della cultura russa. Cosa c'entra Alexander Gronsky con l'invasione dell'Ucraina? Per non parlare poi di Dostoevskij, poveretto. 

Se basiamo il nostro agire su questi parametri, dobbiamo a questo punto togliere dalle nostre librerie anche Roth, Hemingway, Poe, Steinbeck, Bukowski, King e tutti gli altri, visto tutte le porcate che hanno fatto gli americani in giro per il mondo (dall'Iraq all'Afghanistan; dal Vietnam al colpo di stato del 1973 in Cile organizzato dalla CIA ecc.). Ma allora dobbiamo cominciare a eliminare anche Leopardi, Manzoni, Sciascia, Montale, Eco e tutti gli altri, visto cosa ha combinato l'Italia in Libia e nella guerra d'Etiopia, solo per citare le vicende storicamente più note. Ma non lo facciamo, perché sappiamo distinguere, all'interno di un medesimo contesto, ciò che è bene e ciò che è male.

Eppure sembra che adesso questa distinzione non siamo più in grado di farla. E quindi cosa facciano? Oltre a Dostoevskij mettiamo al bando anche Gogol', Pasternak, Turgenev? Andiamo nelle librerie e gettiamo al macero Il dottor Zivago? Noi non siamo in guerra con la cultura russa solo perché un autocrate con evidenti problemi psichici ha avviato la criminale invasione di un paese sovrano dando inizio a una guerra. A me non sembra così difficile capire questa cosa. Eppure...

Pier Paolo Pasolini

Cento anni fa, oggi, nasceva Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, saggista, regista, uno degli intellettuali più importanti del secondo dopoguerra. Di lui avevo già scritto qui e qui. Questo breve post solo per segnalare che, in occasione del centenario della nascita, a partire da questa mattina escono, allegate ogni sabato al Corriere della Sera, le sue opere letterarie. Oggi è in edicola Ragazzi di vita, romanzo controverso che gli costò un processo per oltraggio al pudore e che naturalmente ho già portato a casa e leggerò a breve.
Mi piacciono queste iniziative editoriali. Mi piace vedere che c'è ancora in giro una certa circolazione della cultura, di libri che fanno pensare, che stimolano il pensiero critico, che cercano di emanciparsi ed emancipare dalla sciatteria e superficialità dilaganti in ogni dove. Forse non c'è mai stato, come in questo particolare periodo storico, bisogno di queste cose.

venerdì 4 marzo 2022

Dieci anni senza Lucio

Il primo marzo di dieci anni fa ci lasciava il grande Lucio Dalla. Mi sono seduto al pianoforte e ho accennato qualcosa.


Il niente


Seguo la politica da almeno un trentennio, pur con alterni periodi di interesse, ma non ricordo in tutti questi anni un politico con le caratteristiche di Salvini. Certo, che la politica sia oggi soprattutto ricerca di consenso e visibilità e poco altro è noto, ma non ricordo nessun altro politico in cui la totale assenza di un'idea coerente, di un progetto, di una visione, fosse così palese come nel tipo in questione. 

Un "politico" capace, in totale sprezzo di ogni pudore e dignità, di cambiare idea ogni due ore, di riuscire a dire e fare tutto e il contrario di tutto da un giorno all'altro. Di cavalcare strumentalmente, avendo come unico faro la visibilità, qualsiasi situazione contingente, fosse pure la più delicata e dolorosa. 

Pure Berlusconi, che ha prosperato per vent'anni dicendo continuamente tutto e il contrario di tutto, e mentendo spudoratamente su qualsiasi cosa, aveva una visione e un progetto, fossero anche solo quelli di sfangare il gabbio e salvare le sue aziende dalla bancarotta. Salvini no, niente di niente, solo consenso e visibilità fini a se stessi. Oltre a questo, il vuoto. 

Lo sappiamo, oggi decide l'economia, non la politica, tanto è vero che ai politici è rimasto solo di andare in televisione e farsi selfie sui social, e quindi in fondo Salvini non fa altro che azzerbinarsi a questa situazione. Ma la costanza, la sfacciataggine e quasi la protervia con cui il tipo persegue questo modus operandi, senza neppure tentare di camuffare in qualche modo il vuoto su cui campa, è alla fine quasi ammirevole.

giovedì 3 marzo 2022

Negoziati

"Le grandi manovre di pochi potenti decidono la vita di uomini stanchi 

Di generazioni costrette a sparare per credo, per noia, ma spesso per fame..."

Mi è venuta in mente questa canzone mentre leggevo dei negoziati in corso per tentare di arrivare a un cessate il fuoco, che appare sempre più lontano. E pensavo che all'elenco delle motivazioni che costringono le generazioni a sparare manca la lucida follia di pochi potenti.


Fiabe

Nel libro Le ossa parlano, di Antonio Manzini, a un certo punto viene citata e riassunta Il soldatino di stagno, una delle fiabe più tristi dell'universo, e a me, improvvisamente, è tornato in mente il ricordo dolce e bellissimo di quando mia madre la leggeva a me e a mio fratello. 
I libri fanno anche questo.

mercoledì 2 marzo 2022

Dostoevskij, Paolo Nori e la Bicocca

Da qualsiasi parte la si guardi, la decisione della Bicocca, ora ritrattata, di non affidare a Paolo Nori una serie di lezioni su Dostoevskij "per evitare polemiche in questo momento di grande tensione", non sta in piedi da qualsiasi parte la si guardi. Tra l'altro, questa cosa puzza di "cancel culture" lontano un chilometro. Però tutta questa polemica un merito l'ha avuto: mi ha fatto venire voglia di rileggere Delitto e castigo, che lessi per la prima volta qualche anno fa (ne avevo accennato qui).

Per quanto riguarda questa assurda e a mio parere stupida moda della cosiddetta "cancel culture", su cui ho già scritto e non ci torno su, vale sempre ciò che in proposito disse qualche tempo fa il grande Alessandro Barbero (qui).

martedì 1 marzo 2022

Altre pandemie

Giorgio Palù, presidente dell'Aifa, uno che in televisione si è visto molto poco, ha dichiarato che ci saranno altre pandemie. Detta così, sembra una delle tante frasi che ogni tanto fanno capolino nel mare magnum delle cose, più o meno credibili, che si dicono da due anni e mezzo in qua. Ma non è da prendere sottogamba. Anthony Fauci, forse il maggiore virologo vivente, già due anni fa definiva il periodo storico in cui viviamo l'"era pandemica". Con questa espressione ha voluto dire che, a differenza di quanto avveniva in passato, oggi le probabilità che si verifichino pandemie, anche a distanza ravvicinata tra loro, sono molto più alte.

La differenza con quanto accadeva in passato è che oggi lo sappiamo. Sappiamo di essere in questa situazione di pericolo ma non facciamo niente per evitare che si verifichi di nuovo. La pandemia che ci ha colpiti oggi si sapeva che sarebbe arrivata. Chi ha letto Spillover, di David Quammen, lo sa, perché Quammen, dieci anni fa, aveva fatto in quel libro una previsione in otto punti in cui descriveva la prossima pandemia che ci avrebbe colpito (sarebbe stato un coronavirus, sarebbe partito da un wet market, probabilmente dalla Cina ecc.) e li ha azzeccati tutti. L'unica incognita era solo il quando. Quammen non è un mago o un indovino, è semplicemente un giornalista scientifico che gira il mondo e studia queste cose.

Il modo in cui viviamo e abbiamo organizzato il mondo lo ha trasformato nell'ambiente ideale perché un virus faccia il salto di specie, esattamente ciò che ha fatto il Sars-CoV-2 passando dai pipistrelli all'uomo. Diciamo che, nella sfortuna, siamo stati fortunati, dal momento che il Sars-CoV-2 ha un indice di mortalità dell'1%, ma la prossima volta potrebbe non andare così bene. L'OMS, a proposito di future pandemie, già da qualche tempo sta mettendo in guardia sul fatto, molto preoccupante, che ci sono sempre più batteri (non virus), come ad esempio quello della tubercolosi, che stanno diventando resistenti a tutti gli antibiotici conosciuti. Questa cosa è nota da tempo, e in qualche modo si cerca di sensibilizzare, ma con poco successo.

Purtroppo noi umani siamo affetti da una sorta di... tara cognitiva, se così si può dire, che non ci permette di adottare provvedimenti per impedire il verificarsi di un evento avverso se poi non vediamo il risultato del provvedimento preso. È il motivo, giusto per fare un esempio, per cui un'amministrazione comunale preferisce costruire una bella fontana nella piazza del paese piuttosto che pulire i fossi per evitare un'alluvione. La fontana si vede, fa figura; la pulizia dei fossi non la nota nessuno e, se fatta, magari evita l'alluvione, ma una alluvione che non si verifica autorizza a pensare che non si sarebbe verificata neppure se i fossi non si fossero puliti, quindi perché pulirli? Siamo fatti così, siamo animali strani, noi. E la prossima pandemia, come quella attuale, farà sicuramente tesoro di questa nostra stranezza.