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giovedì 31 marzo 2022
Prendere il mare
mercoledì 30 marzo 2022
26.4.1986
Nel 1986 avevo 16 anni e ricordo perfettamente la tragedia di Chernobyl. O meglio, ricordo i telegiornali che ne hanno parlato incessantemente per giorni e giorni; ricordo il timore dei miei genitori, dei miei amici, dei miei insegnanti. Si creò una specie di psicosi collettiva riguardo agli effetti che ne sarebbero potuti derivare (la nube radioattiva arrivò in Italia nella notte tra il 29 e il 30 aprile, ma il suo potenziale radioattivo era già quasi completamente esaurito. Si registrò solamente un lieve aumento della radioattività in Lombardia ma con valori sempre sotto la soglia di pericolo).
Mi è capitato per caso tra le mani questo libro e, preso dalla curiosità, ho voluto leggerlo per conoscere nei particolari l'intera vicenda.
È una vicenda che lascia allibiti. Non tanto e non solo per la sua immane tragicità e per le conseguenze civili e politiche che ne derivarono, ma per il fatto che a causarla fu una incredibile sequenza di errori umani. Niente può essere addebitato alla sfortuna o al caso, in questa tragedia, ma solo agli errori commessi dagli operatori che quella notte erano in servizio al reattore 4, quello che esplose: disattivazione dei sistemi di sicurezza, sottovalutazione dei segnali di instabilità che il reattore già mostrava prima che cominciassero i test (per una specie di paradosso la tragedia fu causata dall'esecuzione di un test, uno dei tanti che a cadenza regolare venivano effettuati, che doveva testare proprio la sicurezza del reattore), violazione delle più basilari procedure previste in questi casi nei manuali. Errori commessi non solo nei momenti in cui si era capito che si stava per verificare il disastro, ma anche dopo, a esplosione e incendio del reattore avvenuti, come quello di tentare di soffocare la fuoriuscita di fumo dal reattore gettandovi sopra, tramite l'uso di elicotteri (avvicinarsi via terra era impossibile), sabbia, piombo, dolomite e boro, per un totale di oltre 5000 tonnellate di materiali. La sabbia inizialmente contribuì a fare abbassare la temperatura dell'incendio, ma ci fu una conseguenza inattesa: una volta coperte, le sostanze radioattive ancora incandescenti iniziarono a surriscaldarsi, formando un gigantesco magma alla base della centrale, dal quale si sprigionò poi una nube di vapore radioattivo che andò ad aggiungersi alla nube radioattiva già espulsa dal reattore dopo l'esplosione.
Ma anche la gestione della tragedia da parte dei vertici della centrale prima e della autorità poi fu incredibile. Si cercò inizialmente di minimizzare quanto successe. Ancora molte ore dopo l'esplosione del reattore e conseguente incendio si cercò di non fare trapelare nulla. Neppure i dipendenti della centrale stessa furono messi al corrente, tanto che quelli del turno della mattina successiva al disastro si presentarono regolarmente al lavoro. Solo due giorni dopo la tragedia, agli abitanti di Pripyat, il paese di 50.000 abitanti nelle immediate vicinanze della centrale (Chernobyl è a una quindicina di chilometri), verrà detto di evacuare la città e verranno a loro messi a disposizione dei pullman per allontanarsi. Ma - di nuovo incredibilmente - sarà comunicato loro di non preoccuparsi: l'allontanamento sarebbe stato a puro scopo precauzionale e dopo tre giorni tutti sarebbero potuti rientrare. I cittadini, quindi, lasciarono le loro abitazioni senza prendere bagaglio, se non lo stretto indispensabile per un breve soggiorno fuori città, e se ne andarono dalle proprie case lasciandole così come si trovavano; coi panni stesi sui balconi, le scorte di cibo e acqua per cani e gatti, senza immaginare che a causa degli elevatissimi valori radioattivi nessuno sarebbe mai più tornato. Pripyat è ancora oggi, dopo 36 anni da allora, una città fantasma.
Quello che fecero le autorità governative per cercare di nascondere alla popolazione e al resto del mondo ciò che succedeva è sconcertante. Nessun organo di informazione ne parlava. Nel 1986 internet non esisteva, quindi neppure i social, e giornali e telegiornali erano filtrati dal governo. Ma intanto la nube radioattiva era in viaggio. Inizialmente si spostò verso nord. Oltre che in Ucraina, valori alti di radioattività cominciarono a registrarsi in Russia, Bielorussia, Repubbliche Baltiche, Svezia, Norvegia e Finlandia. Poi un successivo cambio dei venti spinse la nube radioattiva verso ovest: Polonia, Germania settentrionale, Danimarca, Olanda, Regno Unito. Tra aprile e maggio il flusso d'aria contaminato toccherà Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia, Francia, Svizzera, Austria, Italia settentrionale e centrale. Nei paesi in cui si registrano alti tassi di radioattività ci si comincia a interrogare sulla provenienza di questa attività radioattiva. Alcuni paesi fanno alzare in volo aerei da ricognizione per cercare di capire da dove arrivi la radioattività. E alla fine ciò che doveva restare segreto non lo è più. Il 14 maggio Gorbačëv, tramite un messaggio in televisione alla Russia, in diretta dal Cremlino annuncia ai russi e al mondo quello che il mondo sa già.
La tragedia di Chernobyl è una storia, come tantissime altre, di errori, mancanze, colpe, sottovalutazioni, omissioni, ma soprattutto è una storia che riguarda l'uomo e la sua natura. L'uomo è colui che ha commesso gli errori, errori nella gestione della tragedia ed errori nella progettazione e costruzione dei reattori (lo appureranno incontrovertibilmente tutte le inchieste successive). Ma l'uomo, l'uomo di oggi, è anche colui che ha raggiunto un livello tecnico talmente avanzato per cui la sua capacità di fare è infinitamente superiore alla sua capacità di prevedere gli effetti del suo fare.
lunedì 28 marzo 2022
Phil Collins
La cancellazione dell'uomo
Quando papa Bergoglio dice di smetterla di fare la guerra prima che la guerra cancelli l'uomo dalla storia, come si fa non essere d'accordo? Tra l'altro la cancellazione dell'uomo dalla storia, intesa come effetto ultimo dell'eventuale dispiegamento dell'intero suo arsenale distruttivo, non è un'ipotesi astratta e improbabile. Tutt'altro. Quello a cui però generalmente non si pensa è che se anche l'uomo si autocancellasse dalla storia il mondo mica finirebbe.
Il nostro pianeta ha 4,5 miliardi di anni e i nostri più antichi progenitori sono comparsi due milioni e mezzo di anni fa. Ciò significa che la casa che ci ospita se n'è stata tranquillamente in beata pace per quasi tutto il lunghissimo corso della sua vita, poi siamo arrivati noi, abbastanza accidentalmente, abbiamo combinato un po' di casini e tra un po' ci estingueremo. Dopodiché la suddetta casa continuerà a esistere e a fare il suo corso come ha sempre fatto e come se niente fosse per altri miliardi di anni.
Ovviamente non voglio dire con questo che non sia giusto che la guerra si fermi e che si cerchi in tutti i modi di evitare una sua degenerazione dalle conseguenze imprevedibili. D'altra parte siamo tutti dentro questo mondo e tutti abbiamo piacere di continuare a condurre le nostre esistenze nel migliore dei modi possibile. Dico solo che, se si guarda la cosa da un punto di vista più ampio, se si allarga lo sguardo lasciando da parte per un attimo il nostro gigantesco e antropocentrico ego, una nostra eventuale cancellazione dalla storia sarebbe un evento dei tanti che hanno costellato la storia del mondo, niente di più, niente di meno.
domenica 27 marzo 2022
Tra batteria e chitarra
Una svista ci sta, può capitare. Magari uno è sopra pensiero, un attimo distratto e zac, ecco l'errore. Ma, nel caso specifico, se si ha l'accortezza di guardare un attimo la foto si capisce bene che Taylor Hawkins non sta suonando una chitarra. E ci si arriva anche senza essere musicisti.
Una svista, dicevo, ci sta, il problema è che i giornali e i siti informativi traboccano di errori/sviste simili. Il buon Paolo Attivissimo ci ha quasi costruito un blog intero raccogliendo queste perle, in cui si trovano errori di ortografia, obbrobri linguistici, inesattezze storiche, strafalcioni geografici, scientifici e chi più ne ha più ne metta. E allora, forse, il problema è un po' più grave di una svista e riguarda la qualità del giornalismo di oggi (sistema di lavoro, criteri con cui vengono assunti i giornalisti nelle redazioni, competenze ecc.).
A margine, stavo pensando che, in fondo, sotto alcuni aspetti non è neppure una svista così grave, ed è perfino palusibile che, errore giornalistico a parte, ci siano realmente persone che effettivamente non conoscono la differenza tra una chitarra e una batteria.
Prendete ad esempio un ragazzino di oggi che cresce ascoltando solo Sfera Ebbasta et similia e che magari ascolta questa "musica" (la chitarra elettrica non esiste più e il resto è quasi tutto costruito artificialmente con campionatori e computer) guardando i videoclip su YouTube. Se gli vai a spiegare che una volta la musica si faceva con strumenti veri e che ogni strumento aveva un suo ruolo e produceva un certo suono, potrebbe anche stupirsi.
La stanza segreta di Auschwitz
sabato 26 marzo 2022
Di nuovo su Orsini
Siccome il mio post di ieri su Alessandro Orsini ha messo in mostra nei commenti una certa divergenza di opinioni, ci torno un attimo sopra per evidenziare brevemente alcuni concetti e alcune cose che mi sembra di avere capito su di lui. Per farlo, mi sono sobbarcato la visione della intera puntata di Piazza Pulita dello scorso 13 marzo, puntata in cui è intervenuto il personaggio che ha creato lo scompiglio mediatico che sappiamo e che, a causa delle sue posizioni sul conflitto in corso in Ucraina, si è visto negare la definizione di un contratto con la Rai che prevedeva la partecipazione ad alcune trasmissioni di approfondimento.
La visione della intera puntata ha richiesto da parte mia una buone dose di pazienza e di stoica rassegnazione a fare qualcosa che non faccio più da anni: guardare la tv, e nello specifico i talk-show. Siccome, però, l'origine delle polemiche sta proprio in ciò che Orsini ha detto in quella trasmissione, l'ho guardata e l'ho ascoltato, bypassando così tutto il chiacchiericcio da bar che l'ha frettolosamente è superficialmente definito un filo-putiniano e cose di questo genere.
Ascoltare ciò che ha detto mi ha permesso di capire alcune cose. La prima è che chi l'ha accusato di filo-putinismo non ha capito niente e si è probabilmente fatto influenzare dal solito passaparola internettiano, a cui siamo ormai abituati da anni, privo di agganci alla realtà, cosa questa che è l'ennesima dimostrazione che i social network (ma anche la televisione) e la complessità sono antitetici. Basta ascoltare ciò che ha detto per capirlo. È stata la prima cosa che ha messo in chiaro: condanna senza se e senza ma all'operato di Putin ed evidenziazione del fatto che provare a capire le ragioni che l'hanno portato a invadere l'Ucraina non significa condividerle. Capire, in questo particolare contesto semantico, va inteso come provare a ribaltare gli schemi e il pensiero unico costituito e mettersi per un attimo nella visione delle cose di Putin, ma non significa condividere ciò che ha fatto Putin. Questo concetto del provare a capire il "nemico" (e qui apro una piccola parentesi) è lo stesso che predicavano scienziati come Telmo Pievani, Roberto Burioni e altri, i quali dicevano che per sconfiggere il nemico, in quel caso il coronavirus, condizione primaria è capirlo, mettersi nei suoi panni, perché non si può sconfiggere un nemico se non si capisce come è fatto e come ragiona. E questo vale anche per la geopolitica, non solo per la biologia.
Si può discutere, ovviamente, ed è sacrosanto farlo, sulla idea di Orsini che con Putin si possa e si debba trattare per arrivare alla pace, ma questa teoria, che sostanzialmente si appoggia al famoso "se non li puoi cambattere fatteli amici", non c'entra niente con un ipotetico avallo delle ragioni di Putin, è semplicemente un modo diverso, un diverso percorso, per tentare di arrivare ai medesimi risultati: il cessate il fuoco e la pace. Io non ho la competenza per sapere se le cose che ha detto Orsini siano giuste o sbagliate, se tentare di dialogare e scendere a compromessi con Putin sia una via migliore rispetto a quella di imbottire di armi gli Ucraini per arrivare alla pace. Personalmente sarei tentato di pensare di sì, ma la mia è una opinione generata da idee personali, visioni, retaggi culturali miei, opinione che ha lo stesso peso e lo stesso valore di chi pensa il contrario.
In sostanza, ciò che ho voluto dire nel post precedente è che io non contesto ciò che dice Orsini, io contesto il fatto che a causa di ciò che pensa e delle idee che ha venga ostracizzato e sia preso come casus belli di una divaricazione netta, manichea e a tratti violenta, tra sostenitori e detrattori, come non si era vista neppure tra si-vax e no-vax. In sostanza non difendo le sue idee, su gran parte delle quali neppure concordo, difendo il suo diritto di esternarle in pubblico come chiunque altro.
Per chi voglia farsi un'idea di ciò che ha detto, ho elencato qui di seguito i minuti di ogni intervento del discusso professore, in modo che si possa ascoltare senza equivoci o filtri il suo pensiero e farsi una propria idea.
1:22:40
1:30:20
1:41:15
1:55:30
2:03:25
2:24:15
2:46:30
2:57:35
3:11:45
Microplastiche (nel sangue)
Uno studio olandese ha per la prima volta dimostrato che le microplastiche possono essere assorbite dal sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano. In particolare, nel sangue dei soggetti analizzati sono state trovate tracce di vari polimeri (le molecole di cui è costituita la plastica), la cui parte del leone la fa il famoso/famigerato Pet (polietilene teraftalato), ossia il costituente delle normali bottiglie di plastica.
Ricordo una conferenza di qualche tempo fa di Telmo Pievani in cui il grande biologo documentava come le microplastiche, ossia le piccole parti di plastica inferiori a un terzo di millimetro, siano ormai da tempo presenti all'interno della maggior parte delle specie di pesci marini, e avvertiva che se non si modificherà il trend attuale, nel 2050 la massa totale della plastica presente nei mari avrà superato la massa totale di tutta la fauna ittica, giungendo alla conclusione che noi Sapiens siamo la prima specie di questo pianeta a cibarsi dei rifiuti che produce.
giovedì 24 marzo 2022
Sul professor Orsini
mercoledì 23 marzo 2022
Sogni
Ambivalenti
martedì 22 marzo 2022
Della gentilezza e del coraggio
Il Gianrico Carofiglio romanziere lo conoscevo già da tempo. Il Gianrico Carofiglio saggista no, e devo dire che è stata una bellissima scoperta. Della gentilezza e del coraggio non è un saggio in senso stretto, diciamo che è più un insieme di riflessioni e di "regole" (meglio: suggerimenti) da adottare per permettere a ogni cittadino di utilizzare al meglio il suo potere nascosto, quello che nasce dalla capacità di porre e porsi buone domande e di esercitare sempre l'esercizio del dubbio.
Scrive l'autore: "Porre domande - vere domande - è né più né meno che un'attività sovversiva contro ogni tipo di autoritarismo, palese o mascherato che sia. La democrazia e la pacifica convivenza si fondano anche, se non soprattutto, sulla controllabilità delle asserzioni di chi esercita il potere. In altri termini: sulla visibilità del potere stesso, concetto su cui si è soffermato Norberto Bobbio, per il quale il principio fondamentale dello stato democratico è appunto il principio di pubblicità, ovvero del potere visibile. Vi è poi un altro aspetto non meno importante che emerge dalla riflessione sul rapporto tra domande, dubbio e qualità della vita civile. La tolleranza dell'incertezza, la tolleranza dell'errore e la disponibilità ad ammetterlo sono infatti requisiti fondamentali di personalità e società sane, e di democrazie vitali. Esse accettano l'idea che la complessità del mondo in cui viviamo supera spesso la nostra capacità di comprenderlo, e proprio questa (coraggiosa) accettazione è una delle premesse per un agire politico laico, tollerante ed efficace. Al contrario, le società e le culture caratterizzate dall'evitamento dell'incertezza, in cui le persone sentono il bisogno di rigidi codici di comportamento e di pensiero per incasellare, spesso artificiosamente, la complessità del reale, sono poco capaci di progredire, di sviluppare più libertà e più intelligenza."
Le riflessioni di Carofiglio sono di tipo politico, incentrate sulle dinamiche comunicative che utilizza oggi la politica, ma sono pertinenti anche ad altri ambiti, come la normale dialettica tra persone nella vita reale ma anche in rete. Una distinzione interessante, a questo proposito, è quella tra un buon comunicatore e un efficace manipolatore. "Un buon comunicatore trasferisce contenuti, cioè pratica un'azione munita di senso. Il criterio ispiratore, il valore alla base della comunicazione politica, per esempio, è la verità. Non intesa come verità assoluta, oggettiva, bensì come il punto di vista in buona fede, correttamente raccontato, del soggetto parlante. In quello che dice un manipolatore (il massimo esponente mondiale della categoria è probabilmente il quarantacinquesimo presidente americano Donald Trump) non vi è contenuto ma solo la sua apparenza. Le parole sono svuotate dei loro significati e vi è invece un dilagare, più o meno visibile, dell'ego e del narcisismo. [...] Una caratteristica della politica manipolatoria consiste nel funzionare non per letture della realtà ma per applicazione di una serie di etichette, di schemi, di classificazioni banali e preconcette. Tutte cose che servono a evocare la parte peggiore dei destinatari del messaggio. Le etichette, gli schemi, le categorie precostituite aiutano la demagogia, consentono magari di vincere un'elezione, ma non di capire la realtà e influire positivamente su di essa. Perché, una volta applicata l'etichetta, questa diventa la persona, il gruppo di persone o il fenomeno a cui si riferisce. Il modo in cui la interpretiamo, il modo in cui ne parliamo, il modo in cui la ricordiamo. Soprattutto, salvo eventi eccezionali, l'etichetta diventa un potente paraocchi. Ci impedisce di vedere ciò che non le corrisponde, i significati divergenti, dove di regola si nasconde la verità."
L'abilità del manipolatore politico è soprattutto abilità di manipolare e distorcere il significato delle parole. Qui Carofiglio, a mo' di esempio, prende il sostantivo popolo. Quante volte si sentono cose come "è desiderio della volontà popolare", "il popolo ha deciso" e cose simili? Scrive l'autore:
"La parola più abusata e manomessa, in tale lessico [riferito al lessico utilizzato da alcuni leader politici], è sicuramente popolo. Il termine è stato sempre molto amato dai demagoghi di ogni risma, avendo in sé una naturale ambiguità che si accorda alla perfezione con la funzione mistificatoria del discorso populista. Di cosa parliamo - anzi di cosa parlano - quando parliamo di popolo? Stando alla definizione dei vocabolari, il popolo sarebbe il complesso di individui dello stesso paese. Una universalità, si direbbe in linguaggio giuridico. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1, co. 2). Significa che il voto popolare a suffragio universale è il principio di legittimazione delle istituzioni democratiche, nel quadro delle norme che lo regolano. Il popolo come entità unitaria esiste solo come indicazione di una universalità che è la base legittimante della democrazia. Non esiste il popolo come entità omogenea e, soprattutto, non esiste una categoria come 'la volontà popolare' che si possa considerare in modo unitario. Nel migliore dei casi (e peraltro con una evidente semplificazione) si può parlare della volontà di una maggioranza di cittadini che abbiamo esercitato il diritto di voto. La creazione del concetto di volontà popolare e il suo uso spregiudicato, quando non sgangherato, sono la forma più classica dell'esercizio del populismo. Immaginiamo che si tengano delle elezioni politiche nel nostro paese; immaginiamo che vada a votare il 60 per cento degli aventi diritto; immaginiamo che un ipotetico Partito del popolo ottenga il miglior risultato raccogliendo il 40% (percentuale altissima e improbabile) dei volti validi. Prescindiamo da questioni relative al sistema elettorale, al tema delle alleanze, alle ipotesi di governabilità che non ci interessano per questo piccolo, elementare esperimento mentale. Il suddetto Partito del popolo, legittimo vincitore delle elezioni, avrebbe ottenuto il 24% dei voti del corpo elettorale. Avrebbe naturalmente il diritto-dovere di (provare a) governare. I suoi dirigenti non avrebbero invece titolo a dire cose del tipo 'siamo stati votati dal popolo', 'esprimiamo la volontà del popolo' o altre analoghe sciocchezze."
Sembra una banalità, questo concetto, ma quante volte si sente dire da chi ha vinto una tornata elettorale che è stato votato dal popolo?
Uno dei capitoli più belli è intitolato Fallacie. In esso vi sono elencate e descritte le principali. Le fallacie sono errori nella costruzione di un discorso che invalidano le argomentazioni e che di fatto rendono inutile proseguire la conversazione. A volte sono involontarie, altre volte vengono costruite deliberatamente con l'intento di ingannare l'interlocutore e il pubblico che ascolta. I dibattiti politici in televisione, per chi ancora li segue, sono il luogo in cui le suddette fallacie vengono utilizzate. Una delle più utilizzate e insidiose è chiamata argomento fantoccio, che consiste nella scorretta rappresentazione della tesi che si vuole contrastare. Scrive l'autore: "Si immagini una discussione sul tema della legalizzazione delle droghe leggere. Uno dei due interlocutori afferma l'opportunità di tale legalizzazione, sostenendo che essa toglierebbe spazi di manovra e profitti alla criminalità organizzata e precisando che già ora sono ammessi la produzione, la vendita e il consumo di sostanze almeno altrettanto dannose per la salute, come il tabacco o l'alcol. L'avversario della tesi della legalizzazione risponde che l'accesso indiscriminato alle sostanze psicotrope priva una società di ogni senso delle regole e dunque della capacità di funzionare correttamente. In questo caso l'argomento fantoccio viene attuato con l'estremizzazione della posizione avversaria, fino al suo stravolgimento. Il sostenitore della legalizzazione non ha infatti ipotizzato un accesso indiscriminato alle sostanze psicotrope (prospettiva difficilmente condivisibile), ma solo di legalizzare la coltivazione, la vendita e l'uso personale della cannabis. L'interlocutore scorretto sostituisce all'argomento x del suo avversario un nuovo argomento y, in apparenza simile, in realtà diverso, molto più debole e attaccabile. In questo modo la discussione si sposta su y e l'argomento x non viene affrontato. Ma l'argomento y non esiste, non è mai stato proposto, è stato costruito per mettere in difficoltà l'interlocutore, ed è per questo che viene definito fantoccio."
Ci sono altri argomenti che Carofiglio tocca con la sua tagliente efficacia, come il potere della stupidità, il vittimismo da complotti, l'umorismo (una delle più grandi, oggi ormai rarissima, virtù politiche), il coraggio, l'ironia. È un saggio agile (poco più di un centinaio di pagine), godibile, a tratti ironico. Io l'ho letto in un pomeriggio. Fateci un pensierino, se questi argomenti vi interessano: garantisco io.
domenica 20 marzo 2022
Profughi di serie A e di serie B
50 minuti
Matrimoni finti
Wojtyla Segreto
Storicamente sono esistiti due Karol Wojtyla. Uno è il Giovanni Paolo II trascinatore di folle, carismatico, osannato fino all'idolatria da milioni di fedeli nel mondo. L'altro è il Giovanni Paolo II meno conosciuto, che assomma in sé atteggiamenti, visioni, comportamenti e azioni che definire controversi può risultare quanto meno eufemistico. Come si premurano di precisare i due autori di questo saggio, il vaticanista Giacomo Galeazzi e il giornalista Ferruccio Pinotti, questo non è un libro "contro" Giovanni Paolo II ma un libro "su" Giovanni Paolo II, scritto nella convinzione che compito dell'informazione è quello di scavare per poter offrire tutti gli elementi utili per potere farsi l'idea più precisa e obiettiva possibile su un avvenimento o un personaggio, e papa Wojtyla, nel bene o nel male, è stato uno dei grandi personaggi storici del Novecento, senza il quale probabilmente molte cose sarebbero andate diversamente, in Europa ma anche fuori dai confini europei.
Karol Wojtyla nacque nel 1920 in Polonia e trascorse la giovinezza prima sotto la dittatura nazista poi, al termine della Seconda guerra mondiale, sotto la dittatura comunista. Gran parte della sua vita la trascorse "combattendo" contro quest'ultima e l'ossessione contro il comunismo sarà ciò che guiderà la sua azione pastorale e politica fino alla morte. Non sono pochi gli storici che oggi attribuiscono il crollo dell'Unione Sovietica e la fine delle dittature comuniste di molti paesi mitteleuropei per gran parte al suo operato.
Un operato che, se da una parte ha avuto indiscutibili meriti, dall'altra è però stato macchiato da non poche ombre e contraddizioni, e una delle storicamente più evidenti è la differenza di trattamento tra dittature di sinistra e di destra. La "spietatezza" con cui ha combattuto le dittature comuniste dell'Est si è infatti sempre trasformata in indulgenza, se non addirittura in approvazione, nei confronti di dittature di destra, come quelle che per tutta la seconda parte del Novecento hanno insanguinato molti paesi latino-americani. Celeberrima, a titolo di esempio, è rimasta nella memoria collettiva l'immagine in cui Wojtyla si affaccia al balcone della Moneda benedicendo Pinochet, responsabile del colpo di stato militare, organizzato dalla CIA, che nel 1973 insanguinò il Cile e rovesciò il presidente socialista, democraticamente eletto, Salvador Allende. Anche la palese avversione nei confronti della Teologia della liberazione e dei suoi esponenti e seguaci si inserisce nel solco di queste sue preferenze.
Durante i suoi 27 lunghi anni di pontificato Wojtyla si è circondato e ha difeso strenuamente personaggi che definire discutibili è sicuramente eufemistico. Ne cito alcuni qui di seguito (fonte):
4 marzo 1983. All'aeroporto di Managua in Nicaragua Giovanni Paolo II svillaneggia pubblicamente il ministro della Cultura padre Ernesto Cardenal, inginocchiato di fronte a lui in segno di rispetto, per aver accettato di partecipare al governo sandinista. In seguito, in combutta con il cardinal Joseph Ratzinger, combatterà duramente la teologia della liberazione, di cui Cardenal era uno dei principali esponenti, riducendola al silenzio.
20 febbraio 1987. L'arcivescovo Paul Marcinkus, presidente dello IOR, riceve un mandato di cattura dal tribunale di Milano per il coinvolgimento della banca vaticana nello scandalo del Banco Ambrosiano: lo stesso che porterà alla morte dei bancarottieri Michele Sindona e Roberto Calvi. Il papa fa quadrato attorno al "banchiere di Dio", noto per aver dichiarato che "non si dirige una chiesa con le Ave Maria", e lo lascerà al suo posto fino al pensionamento per i raggiunti limiti di età nel 1997.
3 aprile 1987. A Santiago del Cile Giovanni Paolo II si affaccia sorridente a salutare la folla dal balcone del Palazzo Presidenziale in compagnia del dittatore Augusto Pinochet, e prega con lui nella cappella del Palazzo: lo stesso in cui nel 1973 era stato assassinato da Pinochet il presidente democraticamente eletto Salvador Allende. In seguito, nel 1993, impartirà al dittatore cileno una benedizione apostolica speciale in occasione delle sue nozze d'oro. E nel 1999, quando Pinochet sarà arrestato in Inghilterra per crimini contro l'umanità, gli manderà un messaggio di solidarietà.
6 ottobre 2002. Giovanni Paolo II canonizza, dopo averlo già beatificato il 17 maggio 1992, il prete franchista Josemaria Escrivà de Balaguer, fondatore dell'Opus Dei. Paga così il debito nei confronti della Prelatura della Santa Croce, i cui membri e simpatizzanti l'avevano dapprima eletto al soglio pontificio, e avevano poi sanato i debiti dello IOR, dissanguato dai finanziamenti a Solidarnosc. Alla cerimonia di canonizzazione partecipano, tra gli altri, per loro e nostra vergogna, anche Massimo D'Alema e Valter Veltroni.
24 marzo 2003. Giovanni Paolo II ricorda con affetto il cardinal Hans Hermann Groer, dimessosi da primate d'Austria nel 1998 per aver abusato sessualmente di circa duemila ragazzi. Recentemente il cardinal Schoenborn ha denunciato la sistematica copertura di Groer e altri violentatori, da parte della curia di Giovanni Paolo II, e in particolare dell'ex segretario di Stato cardinal Sodano e dell'ex segretario particolare del papa cardinal Dziwisz, ma è stato messo a tacere e redarguito ufficialmente da Benedetto XVI.
30 novembre 2004. Giovanni Paolo II abbraccia pubblicamente padre Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, nella fastosa e festosa celebrazione dei suoi sessant'anni di sacerdozio, e lo omaggia per "un ministero sacerdotale colmo dei doni dello Spirito Santo". Dimentica di dire che per mezzo secolo il prete ha sistematicamente violentato seminaristi e fedeli, e ha convissuto regolarmente e contemporaneamente con quattro donne, da cui ha avuto cinque figli, che ha sia violentato che portato in udienza dal Papa.
Sul fronte dottrinale, l'operato di Wojtyla si è inserito a pieno titolo nel solco della restaurazione, rinnegando platealmente il nuovo corso di aperture nato dal Concilio Vaticano II che aveva trovato tra i suoi più fervidi sostenitori pontefici come Giovanni XXIII e Paolo VI. Wojtyla si è dimostrato un papa reazionario, "oscuro", autoritario, intollerante verso i "dissidenti" e contro chiunque, all'interno della chiesa o fuori, si facesse portatore di aperture verso temi etici o di istanze che chiedessero una minore marginalizzazione delle donne nella vita della chiesa. Il suo pontificato si è sempre mosso all'insegna della mortificazione di tutte le istanze riformatrici e progressiste che nel corso degli anni arrivavano da teologi, movimenti ecclesiali e associazioni sparsi in ogni parte del globo. Il tutto in perfetta coerenza col definitivo "la chiesa non è democratica", ribadito in occasione della sua visita in Austria del 1998 in risposta agli appelli per l'avvio di riforme, da molti ritenute non più procrastinabili, che ne attualizzassero il corso.
sabato 19 marzo 2022
Solidarność e ricordi
venerdì 18 marzo 2022
Armamenti
Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina la Germania ha deciso di investire 100 miliardi di euro nella corsa agli armamenti perché, dice il neocancelliere Scholz, "il mondo non è più quello di prima" (ma va'?) e quindi "dobbiamo investire di più nella sicurezza del nostro paese". Si muove in questo senso anche la Francia, con Macron che appena pochi giorni prima dell'invasione, in occasione di un comizio elettorale in vista delle presidenziali di aprile, ha spiegato che la Francia aumenterà le spese per la difesa perché non è più preparata ad affrontare eventuali conflitti di lunga durata.
Potevamo noi restare impassibili di fronte a cotanta entusiastica mobilitazione guerresca? No di certo. Ed ecco infatti Draghi annunciare alla Camera, qualche giorno fa, un ordine del giorno nel quale si prevede un aumento delle spese militari fino al 2% del Pil. In pratica, fino a oggi il nostro paese spendeva 68 milioni di euro al giorno in armi, adesso questa cifra salirà a 104 milioni al giorno.
In realtà non è stata la guerra a dare il la a questa stupida (a mio parere) corsa, in quanto gli accordi tra i paesi Nato per rimodernare gli apparati militari del comparto difesa risalgono ad alcuni anni fa. Diciamo che la guerra ha solo portato a un'accelerazione di un processo che era già in corso. E così, dopo settanta e passa anni dall'ultimo conflitto mondiale ci si comincia a organizzare e preparare per il futuro. D'altra parte, settant'anni sono un periodo che giustifica ampiamente la rimozione di qualsiasi memoria storica.
giovedì 17 marzo 2022
I segreti d'Italia
Ho terminato poco fa questo bellissimo saggio storico di Corrado Augias. In realtà, come specifica lo stesso autore nella prefazione, "segreti" è una parola impegnativa, con tutto quello che è successo nel nostro paese in tanti secoli (per raccontarli tutti non basterebbe una biblioteca intera). L'unico segreto da svelare, che li riassume tutti, è questo: perché le cose sono andate come sono andate? Perché la storia della nostra penisola ha conosciuto così numerosi contorcimenti e passioni e sventure e occasioni mancate? E perché, al contrario, questo lembo di terra gettato di sghembo in mezzo al Mediterraneo lungo un confine pericoloso e ambiguo tra Balcani, Nordafrica, Europa, è stato popolato come pochi da una tale quantità di geni?
Scrive Augias: "I primi responsabili di queste incertezze sono gli italiani stessi che non sempre hanno ben chiaro il loro possibile ruolo. Chi sono gli italiani? Gli emigranti che sbarcarono in terre lontane con un sacco di stracci sulle spalle? Quelli che accettavano di fare, per quattro soldi, i lavori più umili e pericolosi? Oppure i brillanti architetti, i grandi stilisti, gli artisti sommi che si sono imposti all'ammirazione del pianeta? Non esiste un altro popolo - quanto meno non in Europa - che abbia toccato estremi così lontani. Questo è il nostro vero segreto che racchiude (quasi) tutti gli altri."
Il libro si snoda, spesso con le sembianze del romanzo, nel racconto di vari episodi storici (dalle cupe atmosfere della Palermo di Cagliostro all'elegante corte di Maria Luigia a Parma; dalla nascita del ghetto di Venezia alle eroiche giornate dell'insurrezione napoletana contro i nazifascisti; dall'Italia rappresentata nel romanzo Cuore, di De Amicis, a quella rappresentata ne Il piacere di D'Annunzio), indugiando in aspetti poco noti o generalmente trascurati delle vicende.
È un libro che si propone lo scopo di cercare di capire chi siamo ma che non lo raggiunge perché, come scrive l'autore nella chiusa citando Benedetto Croce: "Il carattere di un popolo è la sua storia, tutta la sua storia." [...] "Lì dobbiamo cercare questo segreto per imparare a riconoscerlo e, chissà, in un domani a correggerlo." Questo concetto, con altre parole, fu fatto suo da Francesco Guccini in Radici, quando scriveva: "...e tu ricerchi là le tue radici, se vuoi capire l'anima che hai."
Il guaio è che oggi, purtroppo, con le radici e con la storia abbiamo ormai poca o nulla dimestichezza.
mercoledì 16 marzo 2022
Dad
Perfetto Maggiore
martedì 15 marzo 2022
La posizione del pacifista
Due quasi ottuagenari
lunedì 14 marzo 2022
E anche se l'avessimo saputo?
domenica 13 marzo 2022
Un Pasolini a metà
sabato 12 marzo 2022
Galimberti a Cesena
Uno dei momenti più emozionanti di ieri: Umberto Galimberti che mi autografa I miti del nostro tempo, uno dei suoi saggi più belli sulle distorsioni e le contraddizioni della società contemporanea.
Come avevo scritto in un post precedente, ieri ho assistito a una sua conferenza, a Cesena, nella chiesa di sant'Agostino, sui temi della scuola, dell'istruzione e dell'educazione. Con me c'erano mia moglie, mia figlia maggiore, che riguardo a questi temi è molto sensibile essendo educatrice in una scuola media, e il fidanzato di lei.
Purtroppo l'intervento di Galimberti è stato abbastanza breve, poco più di un'oretta, probabilmente anche a causa del gelo che regnava nella chiesa in cui si è tenuta la conferenza, totalmente priva di riscaldamento. (Capisco che le chiese siano generalmente luoghi freddi, visto che anche Nietzsche le definiva "le fosse e i sepolcri di Dio", ma gli organizzatori avrebbero potuto attivarsi in qualche modo per riscaldare un po' l'ambiente. Pazienza.)
Il filosofo, nel suo intervento, ha fatto una panoramica sullo stato della scuola dal suo punto di vista, descrivendo le molte carenze sia strutturali che programmatiche di cui soffre. Impossibile, naturalmente, riportare in un post una conferenza intera, mi limiterò a riassumere brevissimamente qualche punto.
Uno di quelli su cui ha battuto di più riguarda l'educazione. A suo parere, infatti, la scuola non dovrebbe essere mero strumento di passaggi di nozioni dall'insegnante all'allievo, non dovrebbe solo istruire, ma dovrebbe anche educare. Educare significa seguire l'allievo non solo dal punto di vista didattico ma anche emotivo/sentimentale. Uno potrebbe obiettare che l'educazione dev'essere a carico della famiglia, non della scuola. Che in linea di principio è vero. Il problema è che la nostra società è strutturata in modo che una famiglia, oggi, per poter tirare avanti, necessiti del lavoro di entrambi i genitori, e questo influisce più di quanto si possa pensare sull'educazione dei figli.
Ma la scuola non educa non perché non voglia, semplicemente perché oggettivamente non può farlo. Per seguire un ragazzo anche dal punto di vista emotivo, oltre che didattico, occorre infatti che le classi siano composte al massimo di 14 o 15 studenti. Non esistono oggi scuole con meno di 30 allievi per classe, quindi si è già deciso in partenza che la scuola non deve educare, ma solo insegnare (quando riesce).
Altro punto su cui ha battuto molto è la funzione del ruolo, che secondo lui andrebbe abolito (mugugni in platea, qui, visto che molti dei partecipanti erano insegnanti) per evitare che insegnanti totalmente inadeguati possano demotivare generazioni di studenti. Se un insegnante non ha capacità didattiche, relazionali, empatiche, lo sa il preside, lo sanno i colleghi, lo sanno i genitori, lo sa il consiglio d'istituto, lo sanno tutti però nessuno lo può muovere di lì perché è di ruolo. Sarebbe come se uno volesse fare il meccanico senza sapere niente di motori, dice Galimberti, o come se uno alto un metro e mezzo volesse fare il corazziere. Non lo fai, fai qualcos'altro.
Oltre a questo, i professori, specie quelli delle medie, che hanno a che fare con giovani che sono nel delicatissimo passaggio dall'infanzia all'adolescenza, prima di insegnare dovrebbero seguire corsi di psicologia dell'età evolutiva, e anche di teatro, come accade già in molti paesi del nord Europa. Perché la cattedra è anche un palcoscenico, e se un professore sa spiegare la Divina commedia come Benigni, magari i ragazzi la studiano pure. "Io non ho nessun problema con un professore che mi plagia una classe" dice Galimberti, "io ho un problema con un professore che me la demotiva". Molto bella, a questo proposito, la citazione di Platone secondo cui per aprire la mente di una persona devi prima aprirgli il cuore. Tutti, del resto, abbiamo studiato più volentieri le materie dei professori che ci piacevano, no?
Questi sono stati, tra i tanti, i punti che mi sono piaciuti di più. Ho dato un'occhiata su Youtube ma questa conferenza non è stata ancora caricata. C'era però un tipo che faceva delle riprese con una telecamera, quindi presumo che verrà messa online a breve. Quando sarà disponibile lo segnalerò nei commenti.
Terminata la conferenza, siamo andati a scaldarci in una pizzeria lì nei dintorni, e naturalmente ne è nata una bella chiacchierata in cui ci siamo scambiati pareri su ciò che avevamo appena ascoltato. È stata una bella giornata.
venerdì 11 marzo 2022
Destra e sinistra
mercoledì 9 marzo 2022
Letta che asfalta (la Le Pen)
Tramite questo post di Gwendalyne mi sono imbattuto nel video che ripubblico qui sotto. Si vede, e soprattutto si ascolta, un battagliero Enrico Letta che asfalta la Le Pen avvalendosi di una perfetta padronanza del francese ed esternando concetti più che condivisibili. Non nutro particolari simpatie per Letta, e anzi giusto qualche giorno fa non gliele ho mandate a dire riguardo alla questione del reddito minimo, ma trovo che sia un politico garbato, intelligente e serio, attributi ormai abbastanza rari nel panorama politico odierno. E comunque mi sta particolarmente simpatico da quando l'altra macchietta del panorama politico italiano, Renzi, lo fece fuori col famoso "Enrico stai sereno" di sette anni fa.
Ma la cosa interessante del video è la differenza che corre tra un dibattito televisivo in Francia e qua da noi in Italia. Se ci fate caso, Letta parla senza essere mai, eccetto in un paio di punti, interrotto dalla Le Pen. Conoscendo il suo garbo, presumo che anche la sua interlocutrice abbia potuto parlare senza essere a sua volta interrotta. Adesso pensate a un normale dibattito politico in televisione qua da noi: sovrapponimenti, interruzioni reciproche, urla, spesso insulti. Un altro pianeta, la Francia, e forse anche un'altra politica.
martedì 8 marzo 2022
Viaggio al confine
lunedì 7 marzo 2022
Us and them
Commuoversi
domenica 6 marzo 2022
Galimberti a Cesena
sabato 5 marzo 2022
Cosa dobbiamo fare con la cultura russa?
Pier Paolo Pasolini
venerdì 4 marzo 2022
Dieci anni senza Lucio
Il primo marzo di dieci anni fa ci lasciava il grande Lucio Dalla. Mi sono seduto al pianoforte e ho accennato qualcosa.
Il niente
Seguo la politica da almeno un trentennio, pur con alterni periodi di interesse, ma non ricordo in tutti questi anni un politico con le caratteristiche di Salvini. Certo, che la politica sia oggi soprattutto ricerca di consenso e visibilità e poco altro è noto, ma non ricordo nessun altro politico in cui la totale assenza di un'idea coerente, di un progetto, di una visione, fosse così palese come nel tipo in questione.
Un "politico" capace, in totale sprezzo di ogni pudore e dignità, di cambiare idea ogni due ore, di riuscire a dire e fare tutto e il contrario di tutto da un giorno all'altro. Di cavalcare strumentalmente, avendo come unico faro la visibilità, qualsiasi situazione contingente, fosse pure la più delicata e dolorosa.
Pure Berlusconi, che ha prosperato per vent'anni dicendo continuamente tutto e il contrario di tutto, e mentendo spudoratamente su qualsiasi cosa, aveva una visione e un progetto, fossero anche solo quelli di sfangare il gabbio e salvare le sue aziende dalla bancarotta. Salvini no, niente di niente, solo consenso e visibilità fini a se stessi. Oltre a questo, il vuoto.
Lo sappiamo, oggi decide l'economia, non la politica, tanto è vero che ai politici è rimasto solo di andare in televisione e farsi selfie sui social, e quindi in fondo Salvini non fa altro che azzerbinarsi a questa situazione. Ma la costanza, la sfacciataggine e quasi la protervia con cui il tipo persegue questo modus operandi, senza neppure tentare di camuffare in qualche modo il vuoto su cui campa, è alla fine quasi ammirevole.
giovedì 3 marzo 2022
Negoziati
"Le grandi manovre di pochi potenti decidono la vita di uomini stanchi
Di generazioni costrette a sparare per credo, per noia, ma spesso per fame..."
Mi è venuta in mente questa canzone mentre leggevo dei negoziati in corso per tentare di arrivare a un cessate il fuoco, che appare sempre più lontano. E pensavo che all'elenco delle motivazioni che costringono le generazioni a sparare manca la lucida follia di pochi potenti.
Fiabe
mercoledì 2 marzo 2022
Dostoevskij, Paolo Nori e la Bicocca
martedì 1 marzo 2022
Altre pandemie
Giorgio Palù, presidente dell'Aifa, uno che in televisione si è visto molto poco, ha dichiarato che ci saranno altre pandemie. Detta così, sembra una delle tante frasi che ogni tanto fanno capolino nel mare magnum delle cose, più o meno credibili, che si dicono da due anni e mezzo in qua. Ma non è da prendere sottogamba. Anthony Fauci, forse il maggiore virologo vivente, già due anni fa definiva il periodo storico in cui viviamo l'"era pandemica". Con questa espressione ha voluto dire che, a differenza di quanto avveniva in passato, oggi le probabilità che si verifichino pandemie, anche a distanza ravvicinata tra loro, sono molto più alte.
La differenza con quanto accadeva in passato è che oggi lo sappiamo. Sappiamo di essere in questa situazione di pericolo ma non facciamo niente per evitare che si verifichi di nuovo. La pandemia che ci ha colpiti oggi si sapeva che sarebbe arrivata. Chi ha letto Spillover, di David Quammen, lo sa, perché Quammen, dieci anni fa, aveva fatto in quel libro una previsione in otto punti in cui descriveva la prossima pandemia che ci avrebbe colpito (sarebbe stato un coronavirus, sarebbe partito da un wet market, probabilmente dalla Cina ecc.) e li ha azzeccati tutti. L'unica incognita era solo il quando. Quammen non è un mago o un indovino, è semplicemente un giornalista scientifico che gira il mondo e studia queste cose.
Il modo in cui viviamo e abbiamo organizzato il mondo lo ha trasformato nell'ambiente ideale perché un virus faccia il salto di specie, esattamente ciò che ha fatto il Sars-CoV-2 passando dai pipistrelli all'uomo. Diciamo che, nella sfortuna, siamo stati fortunati, dal momento che il Sars-CoV-2 ha un indice di mortalità dell'1%, ma la prossima volta potrebbe non andare così bene. L'OMS, a proposito di future pandemie, già da qualche tempo sta mettendo in guardia sul fatto, molto preoccupante, che ci sono sempre più batteri (non virus), come ad esempio quello della tubercolosi, che stanno diventando resistenti a tutti gli antibiotici conosciuti. Questa cosa è nota da tempo, e in qualche modo si cerca di sensibilizzare, ma con poco successo.
Purtroppo noi umani siamo affetti da una sorta di... tara cognitiva, se così si può dire, che non ci permette di adottare provvedimenti per impedire il verificarsi di un evento avverso se poi non vediamo il risultato del provvedimento preso. È il motivo, giusto per fare un esempio, per cui un'amministrazione comunale preferisce costruire una bella fontana nella piazza del paese piuttosto che pulire i fossi per evitare un'alluvione. La fontana si vede, fa figura; la pulizia dei fossi non la nota nessuno e, se fatta, magari evita l'alluvione, ma una alluvione che non si verifica autorizza a pensare che non si sarebbe verificata neppure se i fossi non si fossero puliti, quindi perché pulirli? Siamo fatti così, siamo animali strani, noi. E la prossima pandemia, come quella attuale, farà sicuramente tesoro di questa nostra stranezza.