Non ho mai amato fare bilanci di fine anno, anche perché per me è stato un anno senza novità degne di rilievo, normale insomma. Mi capita sovente di sentire dire, anche da persone che conosco bene: "Ah, se vincessi al Superenalotto, allora sì che la mia vita cambierebbe." E io mi chiedo in cosa cambierebbe, dal momento che chi sento auspicare questa fantasmagorica vincita è generalmente sistemato, in salute, tranquillo economicamente e sicuro dal punto di vista lavorativo. Tutte cose considerate da chi ne è in possesso normali, quasi dovute, e questo dare tutto per scontato e consolidato credo che impedisca di vedere le altre situazioni che stanno attorno, situazioni in cui per molti queste cose non sono affatto scontate. Anzi. Un augurio che in questo ultimo giorno del 2019 faccio a voi e a me, quindi, è quello di saper vedere al di là di ciò che si tende a dare per scontato.
Buon 2020 a tutti.
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martedì 31 dicembre 2019
Andiamo a letto?
La ragazza al tavolino accanto al mio, mentre beve il caffè dice al ragazzo: "Comincio a essere stanca, andiamo a letto?" Lui: "Ma no, dài, sono appena le sei, andiamo in giro un altro po'."
Massi, andate in giro un altro po', intanto io timbro.
Bah!
lunedì 30 dicembre 2019
Stiamo scomparendo senza invasioni
Diceva Massimo Cacciari che la prima cosa che dovrebbe studiare un politico per essere un buon politico è la demografia, perché niente meglio di questa scienza descrive l'evolversi di una comunità e niente meglio di questa scienza riesce a indirizzarne le leggi. Noi non abbiamo politici che studino la demografia; diciamo pure che, tranne poche eccezioni, non abbiamo politici che studino tout court, e questo lo sappiamo.
Perché la demografia? Perché l'ISTAT ha pubblicato oggi uno studio da cui si evincono sostanzialmente due cose: (1) siamo il paese più vecchio del mondo perché nessuno fa più figli e perché si campa troppo a lungo; (2) gli stranieri rappresentano l'otto e rotti per cento della popolazione, quindi non c'è nessuna invasione, come invece vuole la narrazione e la propaganda dell'ex ministro della paura e del giornalame di destra.
Il declino demografico e generale del nostro paese va naturalmente a braccetto col declino demografico dell'Europa, tanto che, diceva sempre Cacciari, se noi europei non vorremo sparire nell'arco delle prossime tre generazioni dovremo nei prossimi anni aprire le porte a milioni di lavoratori da altre zone del mondo.
Il futuro dell'Italia e dell'Europa è un argomento che dovrebbe stare a cuore ai cosiddetti sovranisti, ma è noto che questi signori non hanno mai dato eccessive prove di intelligenza e lungimiranza, e lo dimostra il fatto che in Europa si sono già costruiti mille chilometri di muri (dieci volte quello di Berlino) per tenere fuori chi vorrebbe entrare. E pure Salvini, qualche tempo fa, delirava di un muro da costruire sui nostri confini orientali per fermare i migranti della rotta balcanica. Perché? Perché nei deliri ignoranti di questa gente c'è il sogno di un'Italia popolosa, prospera e abitata solo da italiani.
Ora, che ogni popolo abbia i governanti che merita sarà anche vero, ma ci dovrebbe essere anche un limite.
Perché la demografia? Perché l'ISTAT ha pubblicato oggi uno studio da cui si evincono sostanzialmente due cose: (1) siamo il paese più vecchio del mondo perché nessuno fa più figli e perché si campa troppo a lungo; (2) gli stranieri rappresentano l'otto e rotti per cento della popolazione, quindi non c'è nessuna invasione, come invece vuole la narrazione e la propaganda dell'ex ministro della paura e del giornalame di destra.
Il declino demografico e generale del nostro paese va naturalmente a braccetto col declino demografico dell'Europa, tanto che, diceva sempre Cacciari, se noi europei non vorremo sparire nell'arco delle prossime tre generazioni dovremo nei prossimi anni aprire le porte a milioni di lavoratori da altre zone del mondo.
Il futuro dell'Italia e dell'Europa è un argomento che dovrebbe stare a cuore ai cosiddetti sovranisti, ma è noto che questi signori non hanno mai dato eccessive prove di intelligenza e lungimiranza, e lo dimostra il fatto che in Europa si sono già costruiti mille chilometri di muri (dieci volte quello di Berlino) per tenere fuori chi vorrebbe entrare. E pure Salvini, qualche tempo fa, delirava di un muro da costruire sui nostri confini orientali per fermare i migranti della rotta balcanica. Perché? Perché nei deliri ignoranti di questa gente c'è il sogno di un'Italia popolosa, prospera e abitata solo da italiani.
Ora, che ogni popolo abbia i governanti che merita sarà anche vero, ma ci dovrebbe essere anche un limite.
Tra politeismo e monoteismo
[...]
Oltre duemila anni di lavaggio del cervello monoteistico hanno fatto sì che la maggior parte degli occidentali consideri il politeismo come un'idolatria ignorante e infantile. Questo è uno stereotipo assolutamente ingiusto. Se vogliamo comprendere la logica interna del politeismo, è necessario afferrare bene l'idea centrale su cui si basa la credenza in molti dèi.
Il politeismo non mette necessariamente in discussione l'esistenza di una singola potenza o legge che governa l'intero universo. In effetti, la maggior parte delle religioni politeistiche e anche animiste riconosce un potere supremo che sta dietro tutti i differenti dèi, demoni, spiriti e luoghi sacri. Nel politeismo greco classico Zeus, Era, Apollo e i loro colleghi erano soggetti a una potenza superiore e onnicomprensiva - il Fato (Moira, Ananke). Anche le divinità nordiche erano alla mercé del fato, che destinava loro di perire nel cataclisma di Ragnaröck (il Crepuscolo degli dèi). Nella religione politeistica degli Yoruba dell'Africa occidentale, tutti gli dèi erano nati dal dio supremo Olodumare e restavano a lui sottoposti. Nel politeismo indù un unico principio vitale, Atman, controlla la miriade di dèi e di spiriti, tutta l'umanità e il mondo biologico e fisico. Atman è l'essenza eterna ovvero l'anima dell'intero universo, così come di ogni individuo e di ogni fenomeno.
L'assunto fondamentale del politeismo, e ciò che lo distingue dal monoteismo, è che il supremo potere che governa il mondo, che sta al di là e al di sopra degli dèi, è privo di qualsiasi interesse e pregiudizio, e dunque è indifferente riguardo ai desideri, alle attenzioni e alle preoccupazioni degli umani. È inutile chiedere a tale potere la vittoria in guerra, la salute o la pioggia, perché dal suo punto di vista che tutto abbraccia, non fa alcuna differenza che in battaglia vinca questo o quel regno, che una particolare città prosperi o impoverisca, che una certa persona guarisca o muoia. I greci non sprecavano alcun sacrificio destinandolo al Fato, e gli indù non costruirono templi ad Atman.
[...]
Il politeismo contribuisce Inoltre al formarsi di una tolleranza religiosa. Poiché i politeisti credono, da un lato, in un potere supremo e completamente disinteressato, e dall'altro in molti poteri parziali e caratterizzati, non è affatto difficile, per i devoti di un dio, accettare l'esistenza e l'efficacia di altri dèi. Il politeismo è una forma di religione implicitamente liberale, e di rado perseguita gli "eretici" e gli "infedeli".
Anche quando popoli politeisti conquistarono vasti imperi, non cercarono di convertire le genti assoggettate. Gli Egizi, i Romani e gli Aztechi non inviarono missionari in terre straniere allo scopo di diffondere il culto di Osiride, di Giove o di Huitzilopochtli (il principale Dio azteco), e certamente non inviarono eserciti a quello scopo. Dai popoli dominati ci si aspettava che rispettassero gli dèi e i rituali dell'impero, poiché quegli dèi e quei rituali proteggevano e legittimavano l'impero stesso. Ma non veniva loro richiesto di rinunciare alle divinità e ai riti locali. Nell'impero azteco, i popoli dominati erano obbligati a costruire templi in onore di Huitzilopochtli, ma questi venivano eretti accanto a quelli delle divinità locali, e non al loro posto. In molti casi la stessa élite imperiale adottò dèi e rituali dei popoli sottomessi - i Romani aggiunsero tranquillamente al loro pantheon la dea asiatica Cibele e la dea egizia Iside.
L'unica divinità che i Romani si rifiutarono a lungo di tollerare fu il monoteistico ed evangelizzante dio dei cristiani. L'impero romano non imponeva ai cristiani di rinunciare al loro credo e ai loro riti, si aspettava però che essi portassero rispetto agli dèi protettori dell'impero e alla figura divinizzata dell'imperatore. Ciò era interpretato come un atto di lealtà politica. Ma quando i cristiani si rifiutarono di obbedire, continuando a respingere ogni tentativo di compromesso, i romani reagirono con la persecuzione di quella che consideravano una fazione politicamente sovversiva. E persino tale iniziativa fu condotta in modo non sistematico. Nei 300 anni che trascorsero fra La crocifissione di Cristo e la conversione dell'imperatore Costantino, gli imperatori politeisti romani misero in atto non più di quattro persecuzioni generali dei cristiani. Alcuni amministratori e governatori locali incitarono per proprio conto azioni di violenza anticristiana. Ma se mettiamo insieme tutte le vittime di queste persecuzioni, risulta che durante i tre secoli in questione i romani politeisti trucidarono non più di qualche migliaio di cristiani.
Al confronto, nel corso dei successivi 1500 anni, i cristiani massacrarono altri cristiani a milioni, e solo per difendere interpretazioni leggermente differenti della religione dell'amore e della compassione. Esemplari, a questo riguardo, furono le guerre di religione fra cattolici e protestanti che devastarono l'Europa nel XVI e nel XVII secolo. Tutti coloro che ne furono coinvolti credevano nella divinità di Cristo e nel suo messaggio di compassione e di amore. Sulla natura di questo amore, però, c'erano dei disaccordi. I protestanti credevano che il divino amore fosse così grande che Dio aveva voluto farsi carne e sangue, e aveva lasciato che lo torturassero e crocifiggessero, redimendo con ciò il peccato originale e aprendo le porte del Paradiso a tutti quelli che professavano la fede in lui. I cattolici sostenevano invece che la fede, per quanto essenziale, non bastava. Per entrare in paradiso i credenti dovevano partecipare ai riti ecclesiastici e fare opere buone. I protestanti non erano d'accordo e dissero che un tale do ut des veniva a sminuire la grandezza è l'amore di Dio. Pensare che l'ingresso in paradiso dovesse dipendere dalle buone azioni significava mettere in rilievo il ruolo dell'individuo, implicando con ciò che le sofferenze di Cristo sulla croce e l'amore di Dio per l'umanità non erano abbastanza.
Queste dispute teologiche si fecero così violente che durante il XVI e il XVII secolo cattolici e protestanti si ammazzano a centinaia di migliaia. Il 23 agosto 1572 i cattolici francesi, che avvaloravano l'importanza delle buone azioni, attaccarono le comunità dei loro connazionali protestanti, che al posto più alto mettevano l'amore di Dio per l'umanità. Durante la notte di San Bartolomeo furono uccisi, nel giro di 24 ore, fra i 5.000 e 10.000 protestanti. Quando il Papa a Roma ricevette le notizie provenienti dalla Francia fu talmente sopraffatto dalla gioia che indisse preghiere di ringraziamento e commissionò a Giorgio Vasari la decorazione di una delle stanze del Vaticano con un affresco che celebra la strage (al momento i visitatori non hanno accesso alla stanza in questione). In quelle 24ore vennero uccisi più cristiani, da parte dei fratelli cristiani, di quanti ne avesse ucciso il politeistico Impero Romano nel corso di alcuni secoli.
(da Sapiens, da animali a dèi. Breve storia dell'umanità, Y. N. Harari)
Oltre duemila anni di lavaggio del cervello monoteistico hanno fatto sì che la maggior parte degli occidentali consideri il politeismo come un'idolatria ignorante e infantile. Questo è uno stereotipo assolutamente ingiusto. Se vogliamo comprendere la logica interna del politeismo, è necessario afferrare bene l'idea centrale su cui si basa la credenza in molti dèi.
Il politeismo non mette necessariamente in discussione l'esistenza di una singola potenza o legge che governa l'intero universo. In effetti, la maggior parte delle religioni politeistiche e anche animiste riconosce un potere supremo che sta dietro tutti i differenti dèi, demoni, spiriti e luoghi sacri. Nel politeismo greco classico Zeus, Era, Apollo e i loro colleghi erano soggetti a una potenza superiore e onnicomprensiva - il Fato (Moira, Ananke). Anche le divinità nordiche erano alla mercé del fato, che destinava loro di perire nel cataclisma di Ragnaröck (il Crepuscolo degli dèi). Nella religione politeistica degli Yoruba dell'Africa occidentale, tutti gli dèi erano nati dal dio supremo Olodumare e restavano a lui sottoposti. Nel politeismo indù un unico principio vitale, Atman, controlla la miriade di dèi e di spiriti, tutta l'umanità e il mondo biologico e fisico. Atman è l'essenza eterna ovvero l'anima dell'intero universo, così come di ogni individuo e di ogni fenomeno.
L'assunto fondamentale del politeismo, e ciò che lo distingue dal monoteismo, è che il supremo potere che governa il mondo, che sta al di là e al di sopra degli dèi, è privo di qualsiasi interesse e pregiudizio, e dunque è indifferente riguardo ai desideri, alle attenzioni e alle preoccupazioni degli umani. È inutile chiedere a tale potere la vittoria in guerra, la salute o la pioggia, perché dal suo punto di vista che tutto abbraccia, non fa alcuna differenza che in battaglia vinca questo o quel regno, che una particolare città prosperi o impoverisca, che una certa persona guarisca o muoia. I greci non sprecavano alcun sacrificio destinandolo al Fato, e gli indù non costruirono templi ad Atman.
[...]
Il politeismo contribuisce Inoltre al formarsi di una tolleranza religiosa. Poiché i politeisti credono, da un lato, in un potere supremo e completamente disinteressato, e dall'altro in molti poteri parziali e caratterizzati, non è affatto difficile, per i devoti di un dio, accettare l'esistenza e l'efficacia di altri dèi. Il politeismo è una forma di religione implicitamente liberale, e di rado perseguita gli "eretici" e gli "infedeli".
Anche quando popoli politeisti conquistarono vasti imperi, non cercarono di convertire le genti assoggettate. Gli Egizi, i Romani e gli Aztechi non inviarono missionari in terre straniere allo scopo di diffondere il culto di Osiride, di Giove o di Huitzilopochtli (il principale Dio azteco), e certamente non inviarono eserciti a quello scopo. Dai popoli dominati ci si aspettava che rispettassero gli dèi e i rituali dell'impero, poiché quegli dèi e quei rituali proteggevano e legittimavano l'impero stesso. Ma non veniva loro richiesto di rinunciare alle divinità e ai riti locali. Nell'impero azteco, i popoli dominati erano obbligati a costruire templi in onore di Huitzilopochtli, ma questi venivano eretti accanto a quelli delle divinità locali, e non al loro posto. In molti casi la stessa élite imperiale adottò dèi e rituali dei popoli sottomessi - i Romani aggiunsero tranquillamente al loro pantheon la dea asiatica Cibele e la dea egizia Iside.
L'unica divinità che i Romani si rifiutarono a lungo di tollerare fu il monoteistico ed evangelizzante dio dei cristiani. L'impero romano non imponeva ai cristiani di rinunciare al loro credo e ai loro riti, si aspettava però che essi portassero rispetto agli dèi protettori dell'impero e alla figura divinizzata dell'imperatore. Ciò era interpretato come un atto di lealtà politica. Ma quando i cristiani si rifiutarono di obbedire, continuando a respingere ogni tentativo di compromesso, i romani reagirono con la persecuzione di quella che consideravano una fazione politicamente sovversiva. E persino tale iniziativa fu condotta in modo non sistematico. Nei 300 anni che trascorsero fra La crocifissione di Cristo e la conversione dell'imperatore Costantino, gli imperatori politeisti romani misero in atto non più di quattro persecuzioni generali dei cristiani. Alcuni amministratori e governatori locali incitarono per proprio conto azioni di violenza anticristiana. Ma se mettiamo insieme tutte le vittime di queste persecuzioni, risulta che durante i tre secoli in questione i romani politeisti trucidarono non più di qualche migliaio di cristiani.
Al confronto, nel corso dei successivi 1500 anni, i cristiani massacrarono altri cristiani a milioni, e solo per difendere interpretazioni leggermente differenti della religione dell'amore e della compassione. Esemplari, a questo riguardo, furono le guerre di religione fra cattolici e protestanti che devastarono l'Europa nel XVI e nel XVII secolo. Tutti coloro che ne furono coinvolti credevano nella divinità di Cristo e nel suo messaggio di compassione e di amore. Sulla natura di questo amore, però, c'erano dei disaccordi. I protestanti credevano che il divino amore fosse così grande che Dio aveva voluto farsi carne e sangue, e aveva lasciato che lo torturassero e crocifiggessero, redimendo con ciò il peccato originale e aprendo le porte del Paradiso a tutti quelli che professavano la fede in lui. I cattolici sostenevano invece che la fede, per quanto essenziale, non bastava. Per entrare in paradiso i credenti dovevano partecipare ai riti ecclesiastici e fare opere buone. I protestanti non erano d'accordo e dissero che un tale do ut des veniva a sminuire la grandezza è l'amore di Dio. Pensare che l'ingresso in paradiso dovesse dipendere dalle buone azioni significava mettere in rilievo il ruolo dell'individuo, implicando con ciò che le sofferenze di Cristo sulla croce e l'amore di Dio per l'umanità non erano abbastanza.
Queste dispute teologiche si fecero così violente che durante il XVI e il XVII secolo cattolici e protestanti si ammazzano a centinaia di migliaia. Il 23 agosto 1572 i cattolici francesi, che avvaloravano l'importanza delle buone azioni, attaccarono le comunità dei loro connazionali protestanti, che al posto più alto mettevano l'amore di Dio per l'umanità. Durante la notte di San Bartolomeo furono uccisi, nel giro di 24 ore, fra i 5.000 e 10.000 protestanti. Quando il Papa a Roma ricevette le notizie provenienti dalla Francia fu talmente sopraffatto dalla gioia che indisse preghiere di ringraziamento e commissionò a Giorgio Vasari la decorazione di una delle stanze del Vaticano con un affresco che celebra la strage (al momento i visitatori non hanno accesso alla stanza in questione). In quelle 24ore vennero uccisi più cristiani, da parte dei fratelli cristiani, di quanti ne avesse ucciso il politeistico Impero Romano nel corso di alcuni secoli.
(da Sapiens, da animali a dèi. Breve storia dell'umanità, Y. N. Harari)
domenica 29 dicembre 2019
Bologna
Ieri pomeriggio tardi ero in giro per il centro storico di Bologna. Luci, gente, alberi di Natale, le principali vie decorate con luminarie, le torri illuminate, piazza Maggiore, san Petronio, signore e signori che uscivano dai negozi con borse piene di cose. E poi i portici, via Indipendenza, e gli straccioni stesi dentro scatole di cartone, rannicchiati negli angoli con la mano tesa. Le persone passavano senza neppure guardarli, al cellulare, con le loro borse di Zara, di fretta. Probabilmente quando ce li si trova sotto i portici ogni giorno poi ci si abitua, diventano quasi parte del paesaggio. O forse si fa finta di non vederli. In piccolo, sotto i portici, c'è lo specchio di quelle diseguaglianze immense che affliggono ormai ogni società in ogni parte del pianeta, diseguaglianze che stridono, urtano, e che si cerca di non guardare.
sabato 28 dicembre 2019
A cosa serve la bocca
[...]
La divisione tra uomini e donne è forse un prodotto dell'immaginazione, come il sistema delle Caste in India e il sistema razziale in America, oppure è una separazione naturale con profonde radici biologiche? Alcune disparità culturali, giuridiche e politiche tra uomini e donne non sono che il riflesso delle ovvie differenze biologiche tra i sessi. Fare bambini è sempre stato compito delle donne, perché gli uomini non hanno l'utero. Tuttavia intorno a questo fondamento universale, ogni società ha depositato uno strato dopo l'altro di concetti culturali e di norme che hanno poco a che fare con la biologia. Le varie società associano alla mascolinità e alla femminilità una quantità enorme di attributi che, per la maggior parte, non hanno alcun fondamento biologico preciso.
Per esempio, nella democratica Atene del quinto secolo avanti Cristo possedere l'utero significava non avere uno status giuridico indipendente e vedersi vietata la partecipazione alle assemblee popolari o la possibilità di ricoprire il ruolo di giudice. Con poche eccezioni, chi aveva l'utero non poteva beneficiare di una buona educazione, né dedicarsi al commercio o impegnarsi in speculazioni filosofiche. Nessuno dei leader politici di Atene, nessuno dei suoi grandi filosofi, oratori, artisti o mercanti aveva l'utero. Forse avere un utero rende una persona inadatta biologicamente a queste professioni? Gli antichi ateniesi pensavano di sì.
Non concordano gli ateniesi moderni. Nell'Atene di oggi le donne votano, vengono elette ai pubblici uffici, fanno discorsi, progettano di tutto, dai gioielli agli edifici e ai software, e vanno all'università. Il loro utero non impedisce loro di fare tutte queste cose con altrettanta bravura degli uomini. Certo sono ancora sottorappresentate nel mondo politico e in quello finanziario: nel parlamento greco le donne sono solo il 12% dei Deputati. Ma non esiste una barriera legale alla loro partecipazione politica, e la maggior parte dei Greci moderni ritiene che sia assolutamente normale per una donna avere un incarico pubblico. Numerosi Greci di oggi pensano anche che una parte integrante della qualità maschile stia nel essere attratto sessualmente soltanto dalle donne, e nell'avere rapporti sessuali esclusivamente con l'altro sesso. Non lo considerano un dato culturale quanto piuttosto una realtà biologica: i rapporti tra due persone di sesso opposto sono naturali, e innaturali quelli tra persone dello stesso sesso. In realtà, però, a Madre natura non importa nulla se gli uomini si sentono attratti sessualmente l'uno dall'altro. Sono solo le madri umane radicate in particolari culture che danno in escandescenze se il loro figlio ha una storia con il ragazzo della porta accanto. Se alla mamma saltano i nervi, ciò non è un imperativo biologico. Un numero significativo di culture umane ha considerato le relazioni omosessuali non solo legittime, ma anche costruttive dal punto di vista sociale, e gli antichi Greci ne sono stati l'esempio più eloquente. L'Iliade non fa menzione di eventuali obiezioni di Teti ai rapporti che suo figlio Achille aveva con Patroclo. La regina Olimpia di Macedonia fu una delle donne più caratteriali e volitive del mondo antico, e suo marito, re Filippo, fu assassinato. Tuttavia, non si infuriò quando suo figlio, Alessandro Magno, portò a a casa a cena il suo amante Efestione.
Come possiamo distinguere ciò che è biologicamente determinato da ciò che cerchiamo di giustificare tirando in ballo miti biologici? Una buona regola dice: "La biologia consente, la cultura proibisce". La biologia è propensa a tollerare uno spettro di possibilità assai ampio. È la cultura che impone alla gente di attuare certe possibilità proibendone altre. La biologia consente alle donne di avere bambini - alcune culture obbligano le donne ad attuare questa possibilità. La biologia consente agli uomini di godere sessualmente l'uno dell'altro - alcune culture proibiscono agli uomini di attuare questa possibilità. La cultura tende a sostenere che essa proibisce solo ciò che è innaturale. Ma da un punto di vista biologico, niente è innaturale. Tutto quello che è possibile è, per definizione, anche naturale. Un comportamento realmente innaturale, cioè che vada contro le leggi di natura, semplicemente non può esistere, per cui non avrebbe bisogno di alcuna proibizione. Nessuna cultura si è mai data la pena di proibire agli uomini di fare la fotosintesi, alle donne di correre più veloci della luce, o agli elettroni a carica negativa di attirarsi reciprocamente. In verità, i nostri concetti di naturale e innaturale non sono ricavati dalla biologia, ma dalla teologia Cristiana. Il significato teologico di naturale è di essere "consonante con gli intenti di Dio che ha creato la natura". I teologi cristiani sostennero che Dio aveva creato il corpo umano intendendo che ciascun membro e organo servisse a un particolare scopo. Se noi usiamo le nostre membra e i nostri organi per gli scopi previsti da Dio, si tratta di un'attività naturale, usarli in modo differente da quello inteso da Dio diventa una cosa innaturale. Ma l'evoluzione non ha alcuno scopo. Gli organi non si sono sviluppati in vista di uno scopo, e il modo in cui trovano uso è in costante cambiamento. Non c'è un singolo organo nel corpo umano che faccia solo il lavoro che il suo prototipo faceva quando comparve centinaia di milioni di anni fa. Gli organi si evolvono per svolgere una particolare funzione, ma una volta che si sono realizzati, possono adattarsi anche ad altri usi.
Le bocche, per esempio, comparvero perché i primissimi organismi pluricellulari avevano bisogno di un modo per assumere sostanze nutritive nel loro corpo. Noi usiamo ancora la nostra bocca per tale scopo, ma anche per baciare, parlare e, se siamo Rambo, per tirare via la sicura dalle bombe a mano. Forse che alcuni di questi usi sono innaturali semplicemente perché 600 milioni di anni fa i nostri antenati larvali non facevano queste cose con la loro bocca? Allo stesso modo, non è che le ali comparvero improvvisamente in tutta la loro gloria aerodinamica. Si svilupparono da organi che servivano ad altri scopi. Secondo una teoria, le ali degli insetti si svilupparono milioni di anni fa da protuberanze del corpo su insetti che non volavano. Gli insetti con bernoccoli avevano una superficie più ampia di quella degli insetti senza bozzi, e questo fatto consentiva loro di assorbire più luce solare e di stare quindi più caldi. Attraverso un lento processo evoluzionistico, questi scaldini solari si fecero più grandi. La stessa struttura che consentiva un massimo assorbimento di luce - superficie estesa e piccolo peso - conferiva per caso anche un po' di slancio quando gli insetti dovevano zompare e saltare. Quelli che avevano protusioni più grandi potevano saltare più lontano. Alcuni insetti cominciarono a usarle per planare, e da lì il passo fu breve perché questi organi diventassero ali con cui alzarsi in volo. La prossima volta che una zanzara ronza vicino al vostro orecchio, accusatela pure di comportamento innaturale. Perché se fosse stata educata e paga di ciò che Dio le aveva dato, avrebbe dovuto usare le sue ali solo come pannelli solari.
Una identica sorte di molteplicità funzionale può essere riferita ai nostri organi e comportamenti sessuali. Il sesso dapprima si evolse per la procreazione e i rituali di corteggiamento come metodo con cui valutare l'idoneità di un potenziale partner, ma numerosi animali tendono a utilizzare entrambe queste finalità per una moltitudine di scopi sociali che hanno poco a che fare con la replicazione di sé. Gli scimpanzè, per esempio, usano il sesso per cementare alleanze politiche, stabilire intimità con qualcuno, allentare tensioni. È forse innaturale tutto questo?
[...]
(da Sapiens, da animali a dèi. Breve storia dell'umanità, Y. N. Harari)
La divisione tra uomini e donne è forse un prodotto dell'immaginazione, come il sistema delle Caste in India e il sistema razziale in America, oppure è una separazione naturale con profonde radici biologiche? Alcune disparità culturali, giuridiche e politiche tra uomini e donne non sono che il riflesso delle ovvie differenze biologiche tra i sessi. Fare bambini è sempre stato compito delle donne, perché gli uomini non hanno l'utero. Tuttavia intorno a questo fondamento universale, ogni società ha depositato uno strato dopo l'altro di concetti culturali e di norme che hanno poco a che fare con la biologia. Le varie società associano alla mascolinità e alla femminilità una quantità enorme di attributi che, per la maggior parte, non hanno alcun fondamento biologico preciso.
Per esempio, nella democratica Atene del quinto secolo avanti Cristo possedere l'utero significava non avere uno status giuridico indipendente e vedersi vietata la partecipazione alle assemblee popolari o la possibilità di ricoprire il ruolo di giudice. Con poche eccezioni, chi aveva l'utero non poteva beneficiare di una buona educazione, né dedicarsi al commercio o impegnarsi in speculazioni filosofiche. Nessuno dei leader politici di Atene, nessuno dei suoi grandi filosofi, oratori, artisti o mercanti aveva l'utero. Forse avere un utero rende una persona inadatta biologicamente a queste professioni? Gli antichi ateniesi pensavano di sì.
Non concordano gli ateniesi moderni. Nell'Atene di oggi le donne votano, vengono elette ai pubblici uffici, fanno discorsi, progettano di tutto, dai gioielli agli edifici e ai software, e vanno all'università. Il loro utero non impedisce loro di fare tutte queste cose con altrettanta bravura degli uomini. Certo sono ancora sottorappresentate nel mondo politico e in quello finanziario: nel parlamento greco le donne sono solo il 12% dei Deputati. Ma non esiste una barriera legale alla loro partecipazione politica, e la maggior parte dei Greci moderni ritiene che sia assolutamente normale per una donna avere un incarico pubblico. Numerosi Greci di oggi pensano anche che una parte integrante della qualità maschile stia nel essere attratto sessualmente soltanto dalle donne, e nell'avere rapporti sessuali esclusivamente con l'altro sesso. Non lo considerano un dato culturale quanto piuttosto una realtà biologica: i rapporti tra due persone di sesso opposto sono naturali, e innaturali quelli tra persone dello stesso sesso. In realtà, però, a Madre natura non importa nulla se gli uomini si sentono attratti sessualmente l'uno dall'altro. Sono solo le madri umane radicate in particolari culture che danno in escandescenze se il loro figlio ha una storia con il ragazzo della porta accanto. Se alla mamma saltano i nervi, ciò non è un imperativo biologico. Un numero significativo di culture umane ha considerato le relazioni omosessuali non solo legittime, ma anche costruttive dal punto di vista sociale, e gli antichi Greci ne sono stati l'esempio più eloquente. L'Iliade non fa menzione di eventuali obiezioni di Teti ai rapporti che suo figlio Achille aveva con Patroclo. La regina Olimpia di Macedonia fu una delle donne più caratteriali e volitive del mondo antico, e suo marito, re Filippo, fu assassinato. Tuttavia, non si infuriò quando suo figlio, Alessandro Magno, portò a a casa a cena il suo amante Efestione.
Come possiamo distinguere ciò che è biologicamente determinato da ciò che cerchiamo di giustificare tirando in ballo miti biologici? Una buona regola dice: "La biologia consente, la cultura proibisce". La biologia è propensa a tollerare uno spettro di possibilità assai ampio. È la cultura che impone alla gente di attuare certe possibilità proibendone altre. La biologia consente alle donne di avere bambini - alcune culture obbligano le donne ad attuare questa possibilità. La biologia consente agli uomini di godere sessualmente l'uno dell'altro - alcune culture proibiscono agli uomini di attuare questa possibilità. La cultura tende a sostenere che essa proibisce solo ciò che è innaturale. Ma da un punto di vista biologico, niente è innaturale. Tutto quello che è possibile è, per definizione, anche naturale. Un comportamento realmente innaturale, cioè che vada contro le leggi di natura, semplicemente non può esistere, per cui non avrebbe bisogno di alcuna proibizione. Nessuna cultura si è mai data la pena di proibire agli uomini di fare la fotosintesi, alle donne di correre più veloci della luce, o agli elettroni a carica negativa di attirarsi reciprocamente. In verità, i nostri concetti di naturale e innaturale non sono ricavati dalla biologia, ma dalla teologia Cristiana. Il significato teologico di naturale è di essere "consonante con gli intenti di Dio che ha creato la natura". I teologi cristiani sostennero che Dio aveva creato il corpo umano intendendo che ciascun membro e organo servisse a un particolare scopo. Se noi usiamo le nostre membra e i nostri organi per gli scopi previsti da Dio, si tratta di un'attività naturale, usarli in modo differente da quello inteso da Dio diventa una cosa innaturale. Ma l'evoluzione non ha alcuno scopo. Gli organi non si sono sviluppati in vista di uno scopo, e il modo in cui trovano uso è in costante cambiamento. Non c'è un singolo organo nel corpo umano che faccia solo il lavoro che il suo prototipo faceva quando comparve centinaia di milioni di anni fa. Gli organi si evolvono per svolgere una particolare funzione, ma una volta che si sono realizzati, possono adattarsi anche ad altri usi.
Le bocche, per esempio, comparvero perché i primissimi organismi pluricellulari avevano bisogno di un modo per assumere sostanze nutritive nel loro corpo. Noi usiamo ancora la nostra bocca per tale scopo, ma anche per baciare, parlare e, se siamo Rambo, per tirare via la sicura dalle bombe a mano. Forse che alcuni di questi usi sono innaturali semplicemente perché 600 milioni di anni fa i nostri antenati larvali non facevano queste cose con la loro bocca? Allo stesso modo, non è che le ali comparvero improvvisamente in tutta la loro gloria aerodinamica. Si svilupparono da organi che servivano ad altri scopi. Secondo una teoria, le ali degli insetti si svilupparono milioni di anni fa da protuberanze del corpo su insetti che non volavano. Gli insetti con bernoccoli avevano una superficie più ampia di quella degli insetti senza bozzi, e questo fatto consentiva loro di assorbire più luce solare e di stare quindi più caldi. Attraverso un lento processo evoluzionistico, questi scaldini solari si fecero più grandi. La stessa struttura che consentiva un massimo assorbimento di luce - superficie estesa e piccolo peso - conferiva per caso anche un po' di slancio quando gli insetti dovevano zompare e saltare. Quelli che avevano protusioni più grandi potevano saltare più lontano. Alcuni insetti cominciarono a usarle per planare, e da lì il passo fu breve perché questi organi diventassero ali con cui alzarsi in volo. La prossima volta che una zanzara ronza vicino al vostro orecchio, accusatela pure di comportamento innaturale. Perché se fosse stata educata e paga di ciò che Dio le aveva dato, avrebbe dovuto usare le sue ali solo come pannelli solari.
Una identica sorte di molteplicità funzionale può essere riferita ai nostri organi e comportamenti sessuali. Il sesso dapprima si evolse per la procreazione e i rituali di corteggiamento come metodo con cui valutare l'idoneità di un potenziale partner, ma numerosi animali tendono a utilizzare entrambe queste finalità per una moltitudine di scopi sociali che hanno poco a che fare con la replicazione di sé. Gli scimpanzè, per esempio, usano il sesso per cementare alleanze politiche, stabilire intimità con qualcuno, allentare tensioni. È forse innaturale tutto questo?
[...]
(da Sapiens, da animali a dèi. Breve storia dell'umanità, Y. N. Harari)
Pinocchio? Mah...
Confesso di essermi annoiato, durante la visione di Pinocchio targato Benigni. Mi aspettavo... boh, non so neppure io cosa mi aspettassi, fatto sta che l'ho trovato monotono e ripetitivo, anche perché il film segue pedissequamente la trama del libro, senza concedere nulla a variazioni o libere interpretazioni. Nulla da eccepire invece riguardo all'interpretazione del sempre grande Benigni, calato perfettamente nei panni di un Geppetto ingenuo ma vero, povero tra i poveri ma caratterizzato da una grande dignità. Anche il ragazzino (non ricordo il nome) che interpreta Pinocchio mi è piaciuto, perfettamente calato nel personaggio protagonista. Diciamo che la lentezza e la prevedibilità (inevitabile) della narrazione è controbilanciata dalla prova recitativa di Benigni e del ragazzino.
venerdì 27 dicembre 2019
Non è solo colpa dell'investitore
Come forse si poteva prudentemente mettere in conto fin dall'inizio, prudenza naturalmente evitata in nome dell'effetto titolone in stile sbatti il mostro in prima pagina, la responsabilità della tragedia di corso Francia a Roma, in cui hanno perso la vita le due ragazzine, non è solo del conducente dell'auto, ma in parte non irrilevante anche loro. Non lo dico io, lo mette nero su bianco il giudice nelle nove pagine dell'ordinanza con le quali obbliga il giovane ai domiciliari in attesa del processo.
In sostanza, scrive il giudice, è vero che il ragazzo alla guida era sotto gli effetti dell'alcol (non della droga), è vero che viaggiava a una velocità ben superiore a quella consentita in quel tratto, ed è altresì vero che tutto ciò concorre a mettere sul suo conto gran parte della responabilità; ma è altrettanto vero che se le due ragazze non avessero attraversato correndo, lontano dalle strisce, col rosso per i pedoni (verde per le auto), sotto la pioggia, scavalcando il guardrail, probabilmente la tragedia non sarebbe successa.
Non sto difendendo il ragazzo, intendiamoci bene, sto solo rimarcando ciò che ha scritto il giudice al riguardo: "...le due vittime hanno tenuto una condotta vietata e incautamente spericolata così concorrendo alla causa del sinistro mortale." È importante rimarcare questa cosa? Forse sì, forse no. Forse è utile limitatamente al ristabilimento di un pur limitato contrappeso alla piega manichea che aveva preso la tragedia nelle ore immediatamente successive al suo verificarsi. Per il resto, credo che ormai conti ben poco.
Avete qualche senso di colpa?
La domanda, ovviamente ironica, è rivolta ai miei 32 lettori, i quali presumo siano tutti a casa per ponte o ferie mentre lo scrivente è in piedi dalle cinque.
Eh, almeno un pochino, su.
giovedì 26 dicembre 2019
Le persone non si sfogliano
Entrata del Supercinema, Santarcangelo. Sono in fila alla cassa con mia moglie e mia figlia minore, la quale a un certo punto mi dice: "Ecco, babbo, vedi, questa è la civiltà: persone in carne e ossa che parlano tra loro, e non c'è bisogno di sfogliarle."
Ho come l'impressione che abbia voluto dirmi qualcosa.
Libri 2019
Come di consueto, pubblico l'elenco dei libri che mi hanno tenuto compagnia in questo 2019 che sta per chiudersi. C'è dentro un po' di tutto: narrativa, saggistica, poesia, e ognuno di questi libri, da quelli che ho apprezzato di più a quelli che mi sono piaciuto meno, ha lasciato qualcosa, e forse anche io ho lasciato qualcosa a lui.
1. Una storia di amore e di tenebra - A. Oz
2. Il giovane Holden - J. D. Salinger
3. Libro - J. L. Peixoto
4. Addio alle armi - E. Hemingway
5. Il talismano - S. King
6. Patria - E. Deaglio
7. La spia che venne dal freddo - J. le Carré
8. Nel fuoco - N. Evans
9. Elevation - S. King
10. Madame Bovary - G. Flaubert
11. Pista nera - A. Manzini
12. Canzoni - F. Guccini
13. L'amore in una strada buia - I. Shaw
14. L'epoca delle passioni tristi - M. Benasayag
15. In quelle tenebre - G. Sereny
16. I dolori del giovane Werther - J. W. Goethe
17. Patria - F. Aramburu
18. Quante volte figliolo? - D. Lodge
19. Io confesso - J. Grisham
20. Le anime morte - N. Gogol'
22. I miti del nostro tempo - U. Galimberti
23. Migrazioni e intolleranza - U. Eco
24. Osa sapere - I. Dionigi
25. Per un nuovo umanesimo - L. Ciotti, V. Alberti
26. Le parole sono importanti - M. Balzano
27. Vita di Leonardo - B. Nardini
28. L'ora del blu - E. Scalfari
29. La scatola dei bottoni di Gwendy - S. King
30. I presocratici e la nascita della filosofia - E. Severino
31. Tecnologie per il potere - G. Ziccardi
32. Negli occhi di chi guarda - M. Malvaldi
33. Nietzsche - T. Tuppini
34. L'ombra del corvo - T. Harris
35. Grandi speranze - C. Dickens
36. Storia del fascismo - P. Milza, S. Berstein
37. Cittanòva blues - F. Guccini
38. Il suggeritore - D. Carrisi
39. Homo stupidus stupidus - V. Andreoli
40. L'uomo che amava le nuvole - P. Halter
41. Autobiografia di un romanziere - P. Roth
42. L'ultimo venerdì della signora Kliemann - G. Faletti
43. I figli degli eroi - L. Trouillot
44. Newton e la rivoluzione scientifica - P. Rossi
45. Bianco letale - R. Galbraith
46. La regola dell'equilibrio - G. Carofiglio
47. Una penna e una matita - G. Faletti
48. Dentro la follia del mondo - V. Andreoli
49. Donne che non perdonano - C. Läckberg
50. Graffiti - G. Faletti
51. The danish girl - D. Ebershoff
52. Marx - M. Cingoli
53. Moby Dick - H. Melville
54. Tempo da elfi - F. Guccini L. Machiavelli
55. Tutto è fatidico - S. King
56. In nome di Dio - M. Burleigh
57. Le verità nascoste - P. Mieli
58. L'Istituto - S. King
59. Francesco e la musica - C. Di Sante
60. La testa degli italiani - B. Severgnini
61. Norimberga - N. Scevola
62. Insciallah - O. Fallaci
63. Socrate - R. Radice
64. Tocca l'acqua, tocca il vento - A. Oz
65. Omeopatia: bugie, leggende e verità - R. Burioni
66. Racconti del terrore - E. A. Poe
67. L'Italia araba - A. Vanoli
68. Perché? Storie e pensieri di 100 filosofi - U. Galimberti
69. Doctor Sleep - S. King
70. Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici) - P. Odifreddi
71. Mia cugina Rachele - D. Du Maurier
72. Ricordati che eri straniero - B. Spineli
73. L'isola del giorno prima - U. Eco
74. J.F.K. - F. Zacchè
75. Da animali a dèi, breve storia dell'umanità - Y. N. Harari
mercoledì 25 dicembre 2019
Dio arriva gratis?
"Mentre qui in terra tutto pare rispondere alla logica del dare per avere, Dio arriva gratis", ha detto il Papa nella messa di Natale. E ha poi proseguito affermando che "il suo [di Dio] amore non è negoziabile." Ora, che qui in terra tutto risponda alla logica del dare per avere è fuor di dubbio - Marx ma anche altri l'avevano già evidenziato da ben prima di Bergoglio. Che la Chiesa si sia tenuta fuori da questo mercimonio, almeno da Bonifacio VIII in qua, è storia - non molto edificante, tra l'altro. Storia che a mio avviso consiglierebbe al Papa una maggiore prudenza nel tirare fuori certi argomenti.
Rhymes and reasons
Da ragazzo ascoltavo John Denver e mi piaceva un sacco la sua musica. Molte delle sue canzoni mi facevano venire i brividi. Anche oggi, riascoltandole, penso che siano bellissime.
Verità di fede e pregiudizi
Io non credo che due più due faccia quattro, io so che due più due fa quattro. Viceversa, io credo che Dio esista perché non lo so, se lo sapessi, se avessi la prova provata, allora potrei dire di sapere che Dio esiste. Ma allora non ci sarebbe più la fede, perché si ha fede (cioè ci si fida, come dice la parola) di ciò di cui non si ha contezza. Ecco perché non ha senso parlare di "verità di fede", come fa il cardinal Ravasi e come fanno molti cattolici.
La verità ha un proprio statuto, che è diversissimo da quello della fede, così come la fede ha un proprio statuto che è diverso da quello della verità. E verità e/o fede c'entrano coi pregiudizi? La prima no, la seconda sì. Qui il sostantivo pregiudizio viene analizzato nel suo senso lato, quindi non necessariamente nella accezione negativa in cui siamo soliti inquadrarlo. Tutti noi nasciamo con dei pregiudizi, che sono il frutto del posto in cui siamo nati, della famiglia in cui siamo vissuti, degli insegnanti che abbiamo incontrato, dei libri che abbiamo letto, dell'educazione che abbiamo ricevuto, del contesto religioso in cui siamo nati ecc., e questi pregiudizi, che fanno parte della nostra identità, è difficilissimo metterli in discussione, metterli in "crisi", modificarli, svecchiarli. È difficilissimo perché appunto fanno parte dell'identità. Ma metterli in discussione non significa rinunciarvi, significa solo ammettere che magari non sono più attuali e che comunque non sono verità assolute.
Una delle più belle conferenze di Umberto Galimberti.
La verità ha un proprio statuto, che è diversissimo da quello della fede, così come la fede ha un proprio statuto che è diverso da quello della verità. E verità e/o fede c'entrano coi pregiudizi? La prima no, la seconda sì. Qui il sostantivo pregiudizio viene analizzato nel suo senso lato, quindi non necessariamente nella accezione negativa in cui siamo soliti inquadrarlo. Tutti noi nasciamo con dei pregiudizi, che sono il frutto del posto in cui siamo nati, della famiglia in cui siamo vissuti, degli insegnanti che abbiamo incontrato, dei libri che abbiamo letto, dell'educazione che abbiamo ricevuto, del contesto religioso in cui siamo nati ecc., e questi pregiudizi, che fanno parte della nostra identità, è difficilissimo metterli in discussione, metterli in "crisi", modificarli, svecchiarli. È difficilissimo perché appunto fanno parte dell'identità. Ma metterli in discussione non significa rinunciarvi, significa solo ammettere che magari non sono più attuali e che comunque non sono verità assolute.
Una delle più belle conferenze di Umberto Galimberti.
La specie più ferale
"Non credete agli ecologisti che abbracciano gli alberi, secondo i quali i nostri antenati vivevano in armonia con la natura. Molto tempo prima della Rivoluzione industriale, Homo sapiens conquistò il record, tra tutti gli organismi, di chi portò all'estinzione la maggior parte delle specie vegetali e animali. A noi spetta il triste primato di essere la specie più ferale che esista negli annali della biologia." È una delle considerazioni finali del capitolo intitolato La rivoluzione cognitiva, del bellissimo saggio di Yuval Noah Harari Sapiens, da animali a dèi. Breve storia dell'umanità che sto leggendo in questi giorni (ebbene sì, leggo anche a Natale). La considerazione dello scienziato israeliano nasce dallo studio degli spostamenti, e relativi disastri, provocati dai Sapiens una volta usciti dall'Africa alla conquista dell'Europa e dell'Asia prima, delle Americhe e dell'Australia poi. Alcuni dati.
Homo sapiens giunse in Australia tra i 40.000 e i 45.000 anni fa. In capo a poche migliaia di anni dopo il suo arrivo scomparve il 90% della megafauna che da milioni di anni popolava indisturbata il continente e la stragrande maggioranza delle specie vegetali. Nelle Americhe, invece, sempre il Sapiens arrivò attorno a 13.000 anni fa attraversando a piedi (allora si poteva) la striscia di terra che collegava la Siberia nord-orientale e l'Alaska nord-occidentale e provocando, dopo essersi poco a poco insediato nei territori delle due Americhe, il secondo disastro ecologico per importanza dopo quello australiano.
Scrive Harari: "La colonizzazione dell'America da parte dei Sapiens fu tutt'altro che incruenta, e si lasciò dietro una lunga scia di vittime. La fauna americana di 14.000 anni fa era assai più ricca di quanto non lo sia oggi. Quando i primi americani scesero dall'Alaska nelle pianure del Canada e negli Stati Uniti occidentali, incontrarono mammut e mastodonti, roditori della taglia di un orso, mandrie di cavalli e cammelli, leoni enormi e decine di specie possenti, di tipo oggi completamente sconosciuto, tra cui gli spaventosi felini coi denti a sciabola e i giganteschi bradipi terrestri che arrivavano a pesare otto tonnellate e a un'altezza di sei metri. L'America del sud ospitava una congerie ancora più esotica di grossi animali, rettili e uccelli. Le Americhe furono un grande laboratorio di sperimentazione evoluzionistica, un posto dove animali e piante sconosciuti in Asia e Africa si erano sviluppati e avevano prosperato magnificamente. Poi tutto questo finì. Nel giro di duemila anni dall'arrivo dei Sapiens moltissime di queste specie uniche si estinsero. Secondo le stime correnti, in quell'intervallo di tempo relativamente breve il Nord America perse trentaquattro delle quarantasette specie di grandi mammiferi. Il Sud America ne perse cinquanta su sessanta. I felini dai denti a sciabola, dopo aver vissuto indisturbati per trenta milioni di anni, scomparvero; e così i gigantechi bradipi terrestri, i leoni giganti, i cavalli e i cammelli nativi americani, gli enormi roditori e i mammut. E si estinsero pure migliaia di specie di mammiferi di taglia minore, di rettili, di uccelli e anche di insetti e parassiti."
Questo scenario si ripeté, pari pari, nelle isole della Nuova Zelanda, del Madagascar e in tutte le isole grandi e piccole del Pacifico, dell'Atlantico, dell'Artico e del Mediterraneo, e in generale in ogni posto che a causa della barriera opposta dal mare aveva sviluppato specie animali e vegetali proprie. Ovunque arrivassero i Sapiens, portavano con sé morte ed estinzione delle specie già presenti, come i giganteschi mammut, prosperati per milioni di anni in gran parte dell'emisfero settentrionale e ritiratisi, via via che il Sapiens avanzava, fino all'ultimo rifugio, l'isola di Wrangel, duecento chilometri a nord nel mare Artico, finché i Sapiens arrivarono anche lì.
Non è una storia che è finita, come molti potrebbero pensare, ma che continua ancora oggi con le grandi specie di animali marini. Scrive Harari: "Se noi ci rendessimo conto di quante specie abbiamo già sradicato, potremmo essere più motivati a proteggere quelle che ancora sopravvivono. Questo vale in particolar modo per i grandi animali degli oceani. A differenza delle loro controparti terrestri, i grandi animali marini hanno sofferto relativamente poco con la Rivoluzione cognitiva e quella agricola. Ma molti di loro sono ora sull'orlo dell'estinzione per effetto dell'inquinamento industriale e dell'eccessivo sfruttamento delle risorse oceaniche. Se le cose continuano al passo attuale, è probabile che balene, squali, tonni e delfini seguiranno la sorte di diprotodonti, bradipi terrestri e mammut. Fra tutte le grandi creature che ci sono al mondo, i soli sopravvissuti all'inondazione umana saranno gli umani stessi e gli animali da cortile che servono da schiavi rematori nell'Arca di Noè."
martedì 24 dicembre 2019
Buone feste
Avevo messo in conto una vigilia tranquilla, e invece ho lavorato fino a tardi, poi ho dovuto fare qualche giro e mi sono ridotto a casa solo adesso. E venerdì, ciliegina sulla torta, sarò di nuovo al lavoro. Vabbe', vi auguro buone feste con questo breve video che ha già qualche anno (adesso ho i capelli corti).
Ciao a tutti.
Ciao a tutti.
domenica 22 dicembre 2019
Auguri, grande Piero
C'è un signore che oggi spegne 91 candeline, un signore a cui sono molto legato e affezionato perché credo di dovere in parte anche a lui il mio essere sempre curioso, dubbioso ed estremamente razionale. Sono legato a lui non solo per le trasmissioni televisive che ho seguito per anni ma anche, anzi soprattutto, per i suoi libri di divulgazione scientifica, molti dei quali affollano la mia libreria. Uno, in particolare, ricordo molto bene: La straordinaria storia della vita sulla Terra, un mattone di ottocento pagine che lessi tanti anni fa e che mi piacque talmente tanto che lo ricominciai appena terminato.
Tanti auguri, grande Piero, e lunga vita.
J. F. K. I misteri intorno alla fine di un sogno americano
Mi è capitato in mano questo bellissimo saggio, edito dal Corriere della Sera e firmato da Francesco Zacchè, sulla storia di John Fitzgerald Kennedy, il più giovane presidente della storia degli Stati Uniti, e l'ho letteralmente divorato.
La storia di Kennedy non l'avevo mai approfondita e la conoscevo a grandi linee. In realtà neppure questo saggio ne offre una visione globale e approfondita, ma tratteggia con dovizia di particolari le principali tappe che l'hanno contraddistinta e che hanno contribuito al passaggio di Kennedy dalla storia al mito: dal suo passato in Marina nella Seconda guerra mondiale alla sua attività in politica nel Partito democratico fino all'elezione alla Casa Bianca nel 1960, quella Casa Bianca governata oggi da quel figuro che sta a Kennedy come Salvini sta a De Gasperi, giusto per fare il primo paragone che mi viene in mente.
I tre anni dal 1960 al 1963, anno in cui fu assassinato a Dallas per mano di Lee Oswald, sono stati anni in cui accaddero molti fatti di rilevanza mondiale di cui Kennedy fu coprotagonista, accadimenti che se fossero andati (bastava anche solo uno) in maniera diversa da come si sono svolti, forse oggi non saremmo qui a scrivere. Si era ad esempio nel periodo di massima tensione della cosiddetta Guerra fredda, ed è indubbio che Kennedy ebbe un ruolo non da poco nella distensione dei rapporti est-ovest; c'era poi la questione di Cuba, che lui definiva la sua maggiore "spina nel fianco", e della rivoluzione castrista, guardata con simpatia da Kennedy alla sua nascita, negli anni '50, e via via con crescente diffidenza, poi ostilità, man mano che Fidel Castro si avvicinava a Mosca e Pechino.
In questo contesto si inserirà il cosiddetto "fallimento perfetto", l'errore strategico di Kennedy che mandò a monte il tentativo, orchestrato dalla CIA, di rovesciare il regime di Castro. Seguì quella che la storia ricorda come la Crisi missilistica di Cuba, uno di quegli avvenimenti che se fosse andato in maniera diversa forse oggi non saremmo qui. Andò invece come doveva andare, e dopo tre settimane di febbrili negoziati più o meno sottobanco, sotto la sua regia si arrivò a una soluzione pacifica e una distensione tra le due superpotenze.
Un terzo del libro è dedicato all'analisi delle numerosissime teorie complottiste fiorite dopo l'uccisione del presidente, secondo le quali la morte di Kennedy non fu opera isolata di Lee Harvey Oswald, lo squilibrato espulso con disonore dai Marines e disertore in Russia che alle 12.30 del 22 novembre 1963 sparò a Kennedy in Dealey Plaza a Dallas. Teorie secondo cui la sua mano fu "accompagnata", di volta in volta, dal FBI, dalla Cia, dai Servizi segreti, dalla mafia, dalla Russia, da Cuba e da chi più ne ha più ne metta. Teorie complottiste a cui all'indomani della morte di Kennedy dava credito il settanta per cento degli americani e che ancora oggi, complici la continua pubblicazione di libri e di una vasta filmografia (è noto da sempre chi il complottismo è un filone che tira), godono di un certo credito.
Uno dei saggi più belli letti quest'anno.
sabato 21 dicembre 2019
Meno Papeete e più ricollocamenti
Qualcuno ha mai visto la signora Lamorgese? Si sa che voce abbia? Credo che pochi lo sappiano, dal momento che non mi risulta abbia account su alcun social, non si scrofani di Nutella, hamburgers e mojito e non passi tutto il giorno a fare dirette facebook o dare in pasto ragazze al suo esercito di leoni da tastiera su Twitter o Instagram. Mi pare si veda rarissimamente anche in televisione e nei talk-show (sottolineo il mi pare, dal momento che la tv non la guardo).
In questo silenzio, dalla data del suo insediamento al posto del peggior ministro della storia repubblicana, la signora Lamorgese ha ricollocato in Europa cinque volte i migranti che ricollocava l'impresario della paura, mantenendo oltretutto un trend costante, anzi addirittura in crescita. E tutto questa senza strepiti, ultimatum, stupide dirette facebook e ignobili sceneggiate aventi per protagonisti dei poveri cristi tenuti prigionieri su navi, alla fine tutti regolarmente sbarcati - era importante la sceneggiata per il pubblico, il resto andasse come andasse.
Oggi l'ex ministro della paura strepita e s'indigna pateticamente per i probabili processi a cui andrà incontro per sequestro di persona, abuso di potere e quant'altro, tutte cose che si sarebbe potuto evitare se magari avesse fatto meno propaganda e lavorato di più, esattamente come fa la signora Lamorgese. Ma non poteva, perché aveva una narrazione da portare avanti e da cavalcare politicamente per la marea di tontoloni che ancora crede alle sue palle, quella del prode difensore dei nostri confini da una inesistente (dati alla mano) invasione. E se a uno così togli la teatralità e la propaganda, poi magari qualcuno dei suoi seguaci c'è il rischio che mangi la foglia.
In questo silenzio, dalla data del suo insediamento al posto del peggior ministro della storia repubblicana, la signora Lamorgese ha ricollocato in Europa cinque volte i migranti che ricollocava l'impresario della paura, mantenendo oltretutto un trend costante, anzi addirittura in crescita. E tutto questa senza strepiti, ultimatum, stupide dirette facebook e ignobili sceneggiate aventi per protagonisti dei poveri cristi tenuti prigionieri su navi, alla fine tutti regolarmente sbarcati - era importante la sceneggiata per il pubblico, il resto andasse come andasse.
Oggi l'ex ministro della paura strepita e s'indigna pateticamente per i probabili processi a cui andrà incontro per sequestro di persona, abuso di potere e quant'altro, tutte cose che si sarebbe potuto evitare se magari avesse fatto meno propaganda e lavorato di più, esattamente come fa la signora Lamorgese. Ma non poteva, perché aveva una narrazione da portare avanti e da cavalcare politicamente per la marea di tontoloni che ancora crede alle sue palle, quella del prode difensore dei nostri confini da una inesistente (dati alla mano) invasione. E se a uno così togli la teatralità e la propaganda, poi magari qualcuno dei suoi seguaci c'è il rischio che mangi la foglia.
Nubi e vento
Sono appena rientrato da una passeggiata in collina, in maniche corte e maglietta, tra nubi, squarci di sole, vento e temperatura tipica di ottobre. A pochi giorni da Natale.
L'isola del giorno prima
Confesso di avere avuto più volte la tentazione di abbandonarlo per strada, questo libro, fondamentalmente per due motivi. Il primo è, e chi conosce Eco lo sa, l'ampio uso di una terminologia ricercata, arcaica, ostica, che se non si ha nel cassetto una laurea in lettere o comunque una grande confidenza con la lingua italiana, obbliga a leggerlo tenendo accanto un dizionario. Poi, certo, il significato di molti termini si desume dal contesto sintattico in cui sono inseriti, ma è comunque indubbio che il lettore medio, quale è lo scrivente, trovi qualche difficoltà. Il secondo motivo alla base della tentazione di abbandonarlo è la trama deboluccia e con ben poco mordente.
A fare da contraltare a tutto ciò, pagine e pagine in cui il professor Eco, dall'alto del suo monumentale bagaglio culturale, si inoltra in vicende storiche e geografiche interessantissime relative a ciò che accadeva nel 1600, secolo in cui è ambientato il romanzo. A queste si aggiungono lunghe elucubrazioni metafisiche, teologiche, psicologiche, spazio-temporali, ma anche pagine di pura poesia. Quando l'ho iniziato sapevo a cosa andavo incontro, perché di Eco ho letto in passato altri libri, e quindi l'ho affrontato con quello spirito "battagliero", diciamo così, con cui ho affrontato tutti gli altri. È un libro che consiglio? Dipende. Se si è lettori "agguerriti" e nei romanzi oltre alle delizie rilassanti offerte da un racconto si cerca anche un aspetto pedagogico-istruttivo, allora sì. Se si è esclusivamente lettori di Fabio Volo o della Rowling, forse è meglio restare su questi generi e lasciare stare Eco.
(A scanso di fraintendimenti, preciso che non ho nulla contro Volo o la Rowling, dal momento che l'anno scorso ho divorato tutti i libri della saga di Harry Potter e mi sono pure piaciuti. Ho usato questi riferimenti solo per rendere l'idea.)
venerdì 20 dicembre 2019
Serate così
Stasera sono a casa da solo. Me ne sto sul divano con una lampada accesa e leggo le ultime pagine de L'isola del giorno prima, di Eco. Birba è accanto a me, qui sul divano, un po' ronfa e un po' mi guarda. Fuori si è alzato un vento fortissimo che fa gemere le tapparelle e che ulula giù per le grondaie. La strada è quasi deserta e dalla finestra riesco a vedere un'insegna luminosa che dondola vigorosamente in balia del vento. La tipica serata in cui sembra di essere in un romanzo di Stephen King.
La domenica delle salme
Ispirato da questo bel post di Gwendalyne, mi è venuta in mente questa canzone di De André che risale al 1990. Tra le tante che ha scritto, La domenica delle salme è quella che mi salta subito alla mente quando penso al cantautore genovese, scomparso già da vent'anni ma ancora vivissimo nella memoria di chi lo ama. Qui trovate una breve spiegazione del pezzo e della sua genesi.
Sea Watch torna in mare
Un tribunale italiano ha disposto il dissequestro della Sea Watch 3 perché "la capitaneria di porto di Licata non ha titolo per trattenere la nave e deve lasciarla libera di tornare in mare". La Sea Watch è la nave che, capitanata da Carola Rackete, l'estate scorsa forzò il divieto di ingresso nel porto di Lampedusa sfidando i decreti sicurezza (che con la sicurezza non c'entrano nulla) voluti da Salvini. La Rackete fu fermata e trattenuta in stato di fermo per giorni, prima che un giudice dimostrasse l'inconsistenza delle accuse formulate nei suoi confronti e annullasse il fermo restituendole la libertà.
Queste due sentenze dimostrano, una volta di più, che per legiferare occorrono competenza, serietà, ponderazione e congnizione di causa, e che se invece si legifera in fretta e furia sull'onda della pancia della gente e in vista di un consenso immediato da capitalizzare, si va a sbattere.
Queste due sentenze dimostrano, una volta di più, che per legiferare occorrono competenza, serietà, ponderazione e congnizione di causa, e che se invece si legifera in fretta e furia sull'onda della pancia della gente e in vista di un consenso immediato da capitalizzare, si va a sbattere.
giovedì 19 dicembre 2019
Prima l'uomo
"Bisogna mettere da parte gli interessi economici per mettere al centro la persona". Non posso fare a meno di notare come il Papa, col quale non ho nulla da spartire, sia rimasta l'unica voce massmediaticamente rilevante, oggi, a tuonare contro i guasti del capitalismo, chiedendo ripetutamente un cambio di rotta che riporti la persona al centro. Guasti già denunciati per tempo dai vari Marx, Bukowski, Kant e altri.
Sulla gelosia
[...]
Roberto sapeva che la gelosia si forma senza alcun rispetto per quel che è, o che non è, o che forse non sarà mai; che è un trasporto che da un male immaginato trae un dolore reale; che il geloso è come un ipocondriaco che diventa malato per paura di esserlo. Quindi guai, si diceva, lasciarsi prendere da questa ciancia dolorifica che ti obbliga a raffigurararti l'Altra con un Altro, e nulla come la solitudine sollecita il dubbio, nulla come il fantasticare trasforma il dubbio in certezza. Però, aggiungeva, non potendo evitare d'amare non posso evitare di ingelosire e non potendo evitare di ingelosire non posso evitare di fantasticare.
(da L'isola del giorno prima, Umberto Eco)
Roberto sapeva che la gelosia si forma senza alcun rispetto per quel che è, o che non è, o che forse non sarà mai; che è un trasporto che da un male immaginato trae un dolore reale; che il geloso è come un ipocondriaco che diventa malato per paura di esserlo. Quindi guai, si diceva, lasciarsi prendere da questa ciancia dolorifica che ti obbliga a raffigurararti l'Altra con un Altro, e nulla come la solitudine sollecita il dubbio, nulla come il fantasticare trasforma il dubbio in certezza. Però, aggiungeva, non potendo evitare d'amare non posso evitare di ingelosire e non potendo evitare di ingelosire non posso evitare di fantasticare.
Infatti la gelosia è, tra tutti i timori, il più ingrato: se tu temi la morte, trai sollievo dal poter pensare che, al contrario, godrai di una lunga vita o che nel corso di un viaggio troverai la fontana dell'eterna giovinezza; e se sei povero trarrai consolazione dal pensiero di trovare un tesoro; per ogni cosa temuta, c'è una opposta speranza che ci sprona. Non così quando si ama in assenza dell'amata: l'assenza è all'amore come il vento al fuoco: spegne il piccolo, fa avvampare il grande.
Se la gelosia nasce dall'intenso amore, chi non prova gelosia per l'amata non è amante, o ama a cuor leggero, tanto che si sa di amanti i quali, temendo che il loro amore si quieti, lo alimentano trovando a ogni costo ragioni di gelosia.
[...]
(da L'isola del giorno prima, Umberto Eco)
mercoledì 18 dicembre 2019
La Russa e il drogato
Io non so da cosa si misuri la statura politica di un parlamentare. Penso però che un senatore che ne offende un altro definendolo drogato, dovrebbe stare in qualsiasi posto tranne che in Parlamento, anche se, lo concedo, in questi ultimi anni il Parlamento è stato teatro di scene che definire poco edificanti è un eufemismo. E allora lasciamo stare il politico e guardiamo l'uomo, l'uomo La Russa in questo caso, da sempre espressione, lui ma non solo lui, della destra più becera, cinica e supponente.
Insultare una persona con l'epiteto drogato significa una serie di cose che magari non saltano subito all'occhio, specie in un contesto sociale in cui insultare tirando in ballo difetti fisici, condizioni personali, tendenze sessuali e quant'altro è ormai squallida prassi. Cosa ha dimostrato La Russa con la sua offesa? Molte cose, la prima delle quali è il disprezzo per chi, per qualsiasi motivo, è entrato in questo tunnel. Non si offende infatti il prossimo ascrivendolo a una categoria di cui si ha stima, ma disprezzo. Disprezzare chi si droga elevandolo a motivo di offesa, però, significa disprezzare tutti indistintamente.
Io non ho mai avuto a che fare con la droga, per fortuna, ma mi è capitato di conoscere persone che in questo baratro sono cadute. Poi magari hanno cercato di uscirne in ogni modo, a volte facendocela e a volte no, purtroppo. Credo che nella droga si cada per svariati motivi: stupidità, desiderio di emulazione, disagio, disperazione, impossibilità di vedere vie d'uscita da una situazione, desiderio di anestetizzare la propria insignificanza sociale a cui si è condannati da una società che ha subordinato ogni declinazione di umanità al denaro e al profitto, ma anche per altro, ed è da cinici fingere di ignorare questa complessità.
Non sto difendendo chi si droga, intendiamoci, sto solo evidenziando che dietro a questo dramma ci sono persone, spesso in condizioni di debolezza e/o disagio, e io non mi permetterei mai di offendere qualcuno utilizzando chi è in queste condizioni. E se non lo faccio io, normale cittadino, a maggiore ragione non lo dovrebbe fare chi è deputato a rappresentare tutti i cittadini, il quale, come recita la Costituzione, ha l'obbligo, in virtù della carica che ricopre, di assolvere alla sua funzione con onore e decoro, quell'onore e quel decoro divenuti antiquati cimeli ormai caduti in disuso.
lunedì 16 dicembre 2019
La bufala del portachiavi col microchip
Mi è arrivato poco fa il messaggio-catena sulla bufala del portachiavi col microchip, naturalmente con preghiera di diffonderlo immediatamente a tutti i miei contatti. Non conoscevo questa storia ma mi è puzzata fin da subito, e infatti è stato sufficiente dare in pasto a Google i termini portachiavi e microchip per avere conferma dei miei sospetti.
Pensavo che per certi versi è affascinante il meccanismo psicologico tramite il quale non ci si ferma un attimo a pensare (magari perdendo cinque secondi per controllare) prima di inoltrare. No, si dà subito per scontato che ogni pseudo-allarme che circola sui nostri cellulari sia assolutamente attendibile e vero. Magari all'abbassamento delle difese contribuisce anche il fatto che il messaggio ci arriva da una persona che conosciamo, può essere. Ma è comunque sconsolante questo "abboccamento" collettivo.
Pensavo che per certi versi è affascinante il meccanismo psicologico tramite il quale non ci si ferma un attimo a pensare (magari perdendo cinque secondi per controllare) prima di inoltrare. No, si dà subito per scontato che ogni pseudo-allarme che circola sui nostri cellulari sia assolutamente attendibile e vero. Magari all'abbassamento delle difese contribuisce anche il fatto che il messaggio ci arriva da una persona che conosciamo, può essere. Ma è comunque sconsolante questo "abboccamento" collettivo.
La mia storia con Fiorella Mannoia
Ovviamente si tratta di un sogno, dal quale mi sono appena svegliato, nel quale io e Fiorella Mannoia avevamo una storia. Una storia che però non mi soddisfava granché perché lei era sempre in tour e io mica potevo stare sempre in giro con lei. Così le ho posto un ultimatum: o me o i concerti. "I concerti, ci mancherebbe", ha risposto lei.
Ecco, dopo un sogno così galvanizzante posso anche iniziare la mia settimana lavorativa.
domenica 15 dicembre 2019
Non contatevi, Sardine, non serve a nulla
Care Sardine, guardate che se vi avviate partendo dalle prove di forza non andate lontano. Sì, va bene, fate una botta di conti se volete, ma non montatevi la testa coi numeri di quelli che scendono in piazza perché non andate lontano. Anche Salvini ha riempito piazza San Giovanni, e anche quei buzzurri del Popolo della famiglia qualche anno fa. Anche Mussolini riempiva le piazze ma quello che diceva in quelle adunate lo sappiamo. La piazza va bene, è un momento di incontro, di festa, ci si rincuora a vicenda, ma non fatevi illusioni su quei numeri lì perché il numero silenzioso di quelli che vanno nelle urne è infinitamente maggiore di quelli che occupassero anche tutte le piazze d'Italia. E poi, quando arrivano i riscontri reali, sono dolori.
La Bibbia non parla di Dio
Uno dei miei peggiori difetti, come i miei lettori di più vecchia data sanno, è quello di essere al tempo stesso curioso e dubbioso e di non accontentarmi mai della prima spiegazione che mi viene data. Lo considero un difetto, ma magari è un pregio, non lo so, so solo che questa cosa a volte mi crea qualche problema nei rapporti con le altre persone. Mettere sempre tutto in discussione, o quanto meno accettarlo in prima battuta col beneficio del dubbio e, in seconda battuta, con la riserva di verificare dal punto di vista epistemologico la consistenza di quel tutto, è infatti un atteggiamento che tende a isolare, specie in una società dove ormai si accetta ogni cosa acriticamente senza porsi tante domande (società dove non a caso regnano i Salvini, i Renzi, i Berlusconi e compagnia bella, solo per restare alla politica).
Quando poi questo atteggiamento filo-socratico, diciamo così, viene applicato non solo alla politica ma anche alla religione, apriti cielo! E i motivi sono semplici da intuire. Politica e religione sono infatti i maggiori ambiti in cui si esprime l'identità di ciascuno e metterli in discussione non ne disturba i relativi "pregiudizi" (qui il sostantivo è da intendersi nella sua accezione latu sensu, non in quella negativa a cui siamo abituati) ma l'irritazione nasce dal fatto che collegata a quei pregiudizi c'è l'identità, che è tutta un'altra faccenda. Ma della cosa, tutto sommato, m'importa relativamente, dal momento che non ho mai scritto su questo blog, che gestisco dal 2006, per avere "consenso" (ho infatti poche decine di lettori) ma esclusivamente per mettere nero su bianco ciò che mi inquieta e perché ho sempre considerato terapeutico scrivere. Non so se capiti anche ad altri, ma a me succede che la rielaborazione scritta di un fatto che m'inquieta, m'incuriosisce, mi stupisce, mi fa incazzare, oppure gioire, o commuovere, me ne modifichi la percezione, quasi la sostanza, e la cosa mi piace.
Perché questo palloso preambolo? Da qualche tempo seguo, ogni tanto, spezzoni di conferenze di Mauro Biglino e la prossima settimana farò un salto in biblioteca per leggere qualcuno dei suoi libri. Biglino è un saggista e scrittore che per vent'anni ha fatto di mestiere il traduttore della Bibbia dai cosiddetti codici masoretici (sarebbero le matrici ebraiche dei testi) all'italiano per le edizioni San Paolo, la casa editrice di Famiglia Cristiana, per capirci. Sono in circolazione in Italia diciassette edizioni della Bibbia tradotte da lui per la San Paolo, ovviamente approvate dalla CEI. Diciamo che è uno che ha quindi una certa competenza in materia. Bene, facendo questo mestiere si è accorto che c'è una differenza enorme tra la traduzione letterale di quei testi e la loro interpretazione. L'interpretazione è ciò che si trova nelle Bibbie "ufficiali" che abbiamo nelle nostre case, la traduzione letterale è quella che si trova nei testi degli studiosi della Bibbia e che non vengono messi a disposizione del pubblico.
Il motivo è semplice: traduzione letterale e interpretazione di quesi testi raccontano due storie diverse. Non un po' diverse: totalmente diverse. Quella che lui offre è la traduzione letterale, niente di più e niente di meno, ed è un discorso, come si premura di ribadire nei suoi interventi, che non ha nulla a che vedere con la fede o con l'esistenza di Dio, ma unicamente con la traduzione letterale e non interpretativa di quei testi. Lui la mette sul piatto; chi la trova degna di attenzione la può approfondire, chi la ritiene un mucchio di sciocchezze la può tranquillamente buttare nella spazzatura, amici come prima.
A me Biglino in sé non dice granché, ma, tornando a ciò di cui scrivevo sopra, trovo interessanti e degni di credito i suoi assunti perché dal punto di vista delle argomentazioni addotte a supporto non mi pare ci sia nulla da eccepire. Insomma, per dirla alla Socrate, stanno benissimo in piedi da sole. Ognuno, poi (mi riferisco naturalmente a chi è interessato a queste tematiche), si regoli come crede.
Il motivo è semplice: traduzione letterale e interpretazione di quesi testi raccontano due storie diverse. Non un po' diverse: totalmente diverse. Quella che lui offre è la traduzione letterale, niente di più e niente di meno, ed è un discorso, come si premura di ribadire nei suoi interventi, che non ha nulla a che vedere con la fede o con l'esistenza di Dio, ma unicamente con la traduzione letterale e non interpretativa di quei testi. Lui la mette sul piatto; chi la trova degna di attenzione la può approfondire, chi la ritiene un mucchio di sciocchezze la può tranquillamente buttare nella spazzatura, amici come prima.
A me Biglino in sé non dice granché, ma, tornando a ciò di cui scrivevo sopra, trovo interessanti e degni di credito i suoi assunti perché dal punto di vista delle argomentazioni addotte a supporto non mi pare ci sia nulla da eccepire. Insomma, per dirla alla Socrate, stanno benissimo in piedi da sole. Ognuno, poi (mi riferisco naturalmente a chi è interessato a queste tematiche), si regoli come crede.
Il TAV come simbolo di un paese destinato a morire
Tempo fa un commentatore del mio blog mi chiedeva cosa ne pensassi del TAV e io gli ribadii ciò che ho sempre pensato fin da quando cominciai a interessarmi della faccenda, cioè, sostanzialmente, che si tratta di un'opera inutile, dannosa, e di cui non ci possiamo permettere i costi. Qualche giorno fa Marco Travaglio ha presentato in una conferenza un suo libro in cui, dati alla mano, spiega i motivi che lo hanno spinto a scrivere quel libro. Tra le righe e le parole è facile capire, TAV a parte, perché questo paese è sostanzialmente ormai finito. E non è pessimismo, è realismo.
sabato 14 dicembre 2019
Val d'Aosta, il cerchio (della mafia) si chiude
Tra le notizie arrivate e rapidamente sparite, c'è l'accusa al presidente della regione Val d'Aosta di collusioni con la 'ndrangheta e voto di scambio.
Ora, avete presente la Val d'Aosta? È quella piccola porzione dell'Italia nord-occidentale caratterizzata da verdi vallate con mucche al pascolo, paesaggi bellissimi e tradizioni montanare antichissime, e con alcune tra le vette più alte e più belle d'Europa. Ecco, se le indagini confermeranno le accuse, vorrà dire che anche questo piccolo angolo di paradiso, che io sempre pensato essere immune dal cancro della mafia, ne sarà invece stato infettato.
Quella mafia da noi inventata, esportata nel mondo, e che è anche una delle prime "aziende" del paese per fatturato, risalendo ogni regione dello stivale avrà conquistato anche la piccola Val d'Aosta, e il cerchio si sarà chiuso. Ma nessuno ne parla, e c'è stato pure qualcuno che per quattordici mesi ci ha fatto credere che il problema più grosso che abbiamo in Italia sono i poveracci che arrivano coi barconi sulle nostre coste.
Primavera?
E poi, dopo che ieri è nevicato e il vento per poco non si portava via il tetto, arriva una giornata come quella di oggi: sole, temperatura gradevolissima (sono appena rientrato da una passeggiata in collina in maniche corte) e voglia di tirare fuori la bicicletta. E tutto questo a pochi giorni dal Natale. Una volta il meteo dava delle certezze, oggi nemmeno lui ne dà più.
Bah!
Bojo e la Brexit
La tornata elettorale appena conclusasi in Inghilterra non era naturalmente la classica competizione tra laburisti e conservatori, o almeno non era solo quello, ma era in pratica un secondo referendum sulla Brexit, e la schiacciante vittoria di un figuro come Boris Johnson, l'alter ego europeo e cialtronesco di Trump, dice chiaramente che gli abitanti della perfida Albione sono stanchi di melina e vogliono uscire una volta per tutte da quella Europa a loro sempre stata abbastanza stretta. A questo punto mi pare ci siano ben pochi ostacoli alla realizzazione del loro desiderio.
Che fosse una competizione pro o contro l'uscita della Gran Bretagna dall'Europa è dimostrato anche dal fatto che molti dei collegi in cui i laburisti hanno perso sonoramente e in maniera decisamente inaspettata, come ad esempio Blyth Valley, Workington e altri delle West Midlands, in cui dominavano da almeno un secolo, sono composti da popolazione generalmente anziana e di classe medio-bassa - difficile infatti pensare che i giovani cosmopoliti di oggi, che considerano l'Europa una patria unica senza confini, vedano favorevolmente l'uscita dall'Unione Europea. Sia come sia, questo il popolo vuole. Diceva Churchill che la democrazia è il peggior sistema di governo esistente ma finora non se n'è trovato uno migliore, e forse è vero, basta guardare in casa nostra per rendersene conto.
Naturalmente, in caso l'Inghilterra esca davvero dall'Europa senza accordi, come tutto lascia pensare che succederà, saranno non poche le grane a cui andrà incontro, grane che si paleseranno in tutta la loro consistenza e pesantezza una volta che la sbornia e i festeggiamenti saranno evaporati. L'Inghilterra dovrà ad esempio rivedere e ridiscutere gli accordi commerciali non solo con l'Europa (è facile immaginare che, per ripicca, quest'ultima ben difficilmente si mostrerà benevola) ma con ogni paese del mondo, e sarà interessante vedere ad esempio come si interfaccerà con gli USA di Trump o la Cina di Xi Ping senza il supporto dell'"ombrello" europeo. Ma Bojo, un tizio abituato a governare per slogan che ha sempre rifuggito la complessità, avrà sicuramente già messo in preventivo tutto ciò, così come avrà messo in conto la probabile perdita, oltre che dell'Europa, anche della sempre tumultuosa Scozia, dove gli indipendentisti, da sempre supportati dai conservatori dello stesso Johnson, hanno largamente aumentato la loro forza e sarà molto difficile, adesso, opporsi alle loro velleità autonomiste. Ma Bojo avrà certamente messo in conto anche questo. Forse.
Che fosse una competizione pro o contro l'uscita della Gran Bretagna dall'Europa è dimostrato anche dal fatto che molti dei collegi in cui i laburisti hanno perso sonoramente e in maniera decisamente inaspettata, come ad esempio Blyth Valley, Workington e altri delle West Midlands, in cui dominavano da almeno un secolo, sono composti da popolazione generalmente anziana e di classe medio-bassa - difficile infatti pensare che i giovani cosmopoliti di oggi, che considerano l'Europa una patria unica senza confini, vedano favorevolmente l'uscita dall'Unione Europea. Sia come sia, questo il popolo vuole. Diceva Churchill che la democrazia è il peggior sistema di governo esistente ma finora non se n'è trovato uno migliore, e forse è vero, basta guardare in casa nostra per rendersene conto.
Naturalmente, in caso l'Inghilterra esca davvero dall'Europa senza accordi, come tutto lascia pensare che succederà, saranno non poche le grane a cui andrà incontro, grane che si paleseranno in tutta la loro consistenza e pesantezza una volta che la sbornia e i festeggiamenti saranno evaporati. L'Inghilterra dovrà ad esempio rivedere e ridiscutere gli accordi commerciali non solo con l'Europa (è facile immaginare che, per ripicca, quest'ultima ben difficilmente si mostrerà benevola) ma con ogni paese del mondo, e sarà interessante vedere ad esempio come si interfaccerà con gli USA di Trump o la Cina di Xi Ping senza il supporto dell'"ombrello" europeo. Ma Bojo, un tizio abituato a governare per slogan che ha sempre rifuggito la complessità, avrà sicuramente già messo in preventivo tutto ciò, così come avrà messo in conto la probabile perdita, oltre che dell'Europa, anche della sempre tumultuosa Scozia, dove gli indipendentisti, da sempre supportati dai conservatori dello stesso Johnson, hanno largamente aumentato la loro forza e sarà molto difficile, adesso, opporsi alle loro velleità autonomiste. Ma Bojo avrà certamente messo in conto anche questo. Forse.
mercoledì 11 dicembre 2019
Una metallara alla Consulta
Ho esagerato, via, ma secondo quanto scrive l'Ansa, Marta Cartabia, la prima donna nominata al vertice della Corte Costituzionale, tra i suoi interessi annovera anche quello per la musica rock, compresi i Metallica, che a me non piacciono, se si esclude Nothing else matters, perché troppo... "cattivi" (preferisco di gran lunga gli Iron Maiden, per dire).
Poi, vabbe', Metallica a parte, la signora in questione vanta un curriculum che lèvati: tanto di cappello. Salvini, al suo confronto, è come il mago Otelma paragonato a Carlo Rubbia, per dire. Spiace solo che la notizia sia riportata a caratteri cubitali; penso che saremo un paese un po' più civile quando sarà normale che le donne ricoprano cariche così importanti.
Poi, vabbe', Metallica a parte, la signora in questione vanta un curriculum che lèvati: tanto di cappello. Salvini, al suo confronto, è come il mago Otelma paragonato a Carlo Rubbia, per dire. Spiace solo che la notizia sia riportata a caratteri cubitali; penso che saremo un paese un po' più civile quando sarà normale che le donne ricoprano cariche così importanti.
Ghiaccio
C'è ghiaccio, stamattina, sul parabrezza. Aspetto un paio di minuti con la macchina accesa, poi mi avvio. È buio pesto e la Santarcangiolese è deserta, eccetto che per una figura indistinta che corre sulla pista ciclabile che costeggia la strada e che svanisce e ricompare ad ogni lampione.
La radio passa Sailing di Rod Stewart, un pezzo dolcissimo che mi riporta col pensiero a quel periodo ormai andato situato tra l'infanzia e l'adolescenza.
A sinistra vedo dal finestrino una luna imponente che sta tramontando per fare posto al giorno imminente. Davanti a me, in lontananza, le luci del semaforo e alcune auto in coda che fumano nel freddo intenso della mattina. Smetto di navigare con la mente, sulle note di Sailing, e torno alla normale realtà di tutti i giorni.
martedì 10 dicembre 2019
Carrozze, cavalli, lettere
Leggendo Mia cugina Rachele - il romanzo è ambientato nella Cornovaglia della prima metà del 1800 - mi fermo spesso a pensare a come poteva essere la vita in un'epoca in cui non c'erano telefoni, televisori, automobili, treni. Un'epoca in cui ci si spostava in carrozza e un viaggio tra Londra e Firenze poteva richiedere dalle tre alle quattro settimane. Un'epoca in cui le comunicazioni erano affidate alle lettere e ai messaggi che, per brevi tratti, venivano affidati a persone che li consegnavano a piedi al destinatario.
Era un mondo più lento, sicuramente. Dal momento che il viaggio di una lettera poteva durare settimane, chi scriveva lo faceva in maniera articolata, accurata, esaustiva, riflessiva. Ecco, forse si rifletteva di più, e si viveva con una specie di tensione positiva l'attesa di una risposta. Tutto il contrario di oggi, in cui si vive nella luccicante frenesia della vita moderna, dove tutto è veloce, dove scorre la civiltà, quella civiltà dove si spedisce una mail che arriva istantaneamente all'altro capo del mondo e dopo poco si telefona chiedendo: "Perché non mi hai ancora risposto?" Dove si sta continuamente sull'attenti perché potrebbe arrivare una notifica su whatsapp e guai a non rispondere subito.
Quel mondo là era più scomodo, sicuramente, ma magari era più a misura d'uomo rispetto alla civiltà della velocizzazione del tempo, quella civiltà in cui oltre la metà degli abitanti dell'Europa fa uso di antidepressivi.
Etruschi e Toscani
È importante sapere che i Toscani di oggi non sono i discendenti degli antichi Etruschi? No, non lo è. Però è bello, perché generalmente a certe cose non si pensa e anche se ci si pensa si dà per scontato che siano in un certo modo (in Toscana hanno pure una banca, l'Etruria, che si chiama come l'antica terra degli Etruschi), finché arriva uno scienziato come Guido Barbujani che ribalta le convinzioni e spiega, ricorrendo alla biologia, all'antropologia e alla genetica, che i Toscani di oggi non discendono dagli antichi Etruschi. E tu lo ascolti così, un po' estasiato, come si ascolta con piacere chi sa, chi ha una competenza e si mette a spiegare quelle cose a chi non le sa.
Vabbe', se non volete sorbirvi l'intera ora di conferenza (Barbujani è simpaticissimo, oltre che colto), sentitevi gli ultimi dieci minuti circa, in cui lo scienziato spiega perché il razzismo sia figlio principalmente dell'ignoranza. Anche se ci si arriva pure senza Barbujani.
Vabbe', se non volete sorbirvi l'intera ora di conferenza (Barbujani è simpaticissimo, oltre che colto), sentitevi gli ultimi dieci minuti circa, in cui lo scienziato spiega perché il razzismo sia figlio principalmente dell'ignoranza. Anche se ci si arriva pure senza Barbujani.
lunedì 9 dicembre 2019
C'è il telecomando
Mi viene sommessamente la tentazione di segnalare ai tanti italiani che, secondo il Censis, si lamentano della programmazione televisiva serale, in particolar modo per l'eccessiva presenza in video dei politici, che è da molti anni stato inventato un ingegnoso oggetto chiamato telecomando. Viene solitamente fornito in dotazione all'apparecchio televisivo e, tra le funzioni in suo possesso, c'è quella di permettere il cambio dei canali o lo spegnimento dell'apparecchio. Mi rendo conto che la mia segnalazione pecca forse di eccessiva semplificazione, ma assicuro a tutti che spegnere la televisione e fare qualsiasi altra cosa, magari aprire un libro oppure organizzare un torneo di briscola con i figli, è una soluzione pratica, comoda e salva dall'onnipresenza televisiva dei politici.
Umarells
Tra le novità "calendaristiche" di quest'anno fa capolino, oltre ai consueti gatti, cani, criceti, cavalli, Che Guevara, Mussolini, Padre Pio, papa Bergoglio, lati B e quant'altro, il calendario degli Umarells. Con questo termine si definiscono, specialmente qua nella zona dell'Emilia-Romagna, quei signori, generalmente pensionati, che passano parte delle loro giornate a osservare cantieri stradali, cantieri edili e lavori pubblici in genere, signori che già da qualche tempo sono oggetto di un certo chiacchiericcio in rete.
Ecco, quest'anno qualcuno ha deciso di dedicare loro un calendario. Piccola curiosità: degli Umarells esiste una voce su Wikipedia inglese (qui) ma non su quella italiana. O almeno io non l'ho trovata.
sabato 7 dicembre 2019
Mia cugina Rachele (che avevo già letto)
Invogliato da questo bel post di Romina, ho preso in mano Mia cugina Rachele, di Daphne Du Maurier, che ho trovato nella libreria di mia mamma in cui conserva ancora molti dei libri che leggeva da giovane.
Il libro in questione, che vedete qui sopra, fu pubblicato dalla fu Arnoldo Mondadori Editore - oggi credo non esista più con questa denominazione - nel febbraio del 1966, costava all'epoca 350 lire e faceva parte di una collana di classici della letteratura che uscivano a cadenza settimanale e che mio padre regalava a mia madre quand'erano fidanzati.
Arrivato al terzo capitolo ho però realizzato compiutamente ciò che avevo già cominciato a sospettare nel secondo, e cioè di averlo in passato già letto. Non ricordo quando - forse in gioventù - ricordo parzialmente la trama e ho dimenticato completamente l'epilogo, quindi continuerò a leggerlo come se fosse un libro che prendo in mano per la prima volta. Credo che il piacere sarà il medesimo.
Il libro in questione, che vedete qui sopra, fu pubblicato dalla fu Arnoldo Mondadori Editore - oggi credo non esista più con questa denominazione - nel febbraio del 1966, costava all'epoca 350 lire e faceva parte di una collana di classici della letteratura che uscivano a cadenza settimanale e che mio padre regalava a mia madre quand'erano fidanzati.
Arrivato al terzo capitolo ho però realizzato compiutamente ciò che avevo già cominciato a sospettare nel secondo, e cioè di averlo in passato già letto. Non ricordo quando - forse in gioventù - ricordo parzialmente la trama e ho dimenticato completamente l'epilogo, quindi continuerò a leggerlo come se fosse un libro che prendo in mano per la prima volta. Credo che il piacere sarà il medesimo.
Il disagio della libertà
Non so che attendibilità abbia il rapporto Censis secondo cui metà degli interpellati vorrebbe che a dirigere le italiche faccende tornasse un "uomo forte" che stia sopra ad elezioni e parlamento. Istintivamente mi viene da pensare che chi auspica il ritorno a questa sciagura non abbia vissuto il ventennio fascista (molto probabile, vista la distanza temporale) o non abbia mai aperto un libro di storia (altrettanto probabile, vista la voragine culturale in cui è precipitata la nostra società).
A me è venuto in mente un saggio molto bello di Corrado Augias che lessi un paio d'anni fa, quello che vedete qui sotto.
Qui Augias propone un interessantissimo excursus storico in cui analizza i motivi per cui le italiche genti hanno da sempre quella refrattarietà a decidere da sé il proprio avvenire preferendo affidarsi (salvo poi pentirsi) ad autoritarismi più o meno marcati, e il principale di questi motivi è che la libertà vera, fatta di coscienza e impegno, costa fatica, dedizione, e quindi si preferisce spogliarsi di ciò delegando tutto al primo Uomo della provvidenza che faccia capolino.
Una indole che in parte abbiamo per natura e in parte è frutto dei tanti accadimenti che hanno costellato la nostra storia, alcuni addirittura paradossali. Augias cita ad esempio Ermanno Rea quando scrive che "siamo stati noi italiani a inventare il cittadino responsabile, ed è accaduto tra il Trecento e il Cinquecento con l'Umanesimo e il Rinascimento. Una lunga stagione di gloria che durò non meno di centocinquant'anni: poi, lentamente, furono spente tutte le luci e, tra roghi e altre forme di violenta repressione, la Controriforma espulse dall'Italia l'homo novus sostituendolo con un suddito deresponsabilizzato, maschera della sottomissione e della rinuncia a ogni autonomia di pensiero."
Ecco, oggi siamo tornati qui.
A me è venuto in mente un saggio molto bello di Corrado Augias che lessi un paio d'anni fa, quello che vedete qui sotto.
Qui Augias propone un interessantissimo excursus storico in cui analizza i motivi per cui le italiche genti hanno da sempre quella refrattarietà a decidere da sé il proprio avvenire preferendo affidarsi (salvo poi pentirsi) ad autoritarismi più o meno marcati, e il principale di questi motivi è che la libertà vera, fatta di coscienza e impegno, costa fatica, dedizione, e quindi si preferisce spogliarsi di ciò delegando tutto al primo Uomo della provvidenza che faccia capolino.
Una indole che in parte abbiamo per natura e in parte è frutto dei tanti accadimenti che hanno costellato la nostra storia, alcuni addirittura paradossali. Augias cita ad esempio Ermanno Rea quando scrive che "siamo stati noi italiani a inventare il cittadino responsabile, ed è accaduto tra il Trecento e il Cinquecento con l'Umanesimo e il Rinascimento. Una lunga stagione di gloria che durò non meno di centocinquant'anni: poi, lentamente, furono spente tutte le luci e, tra roghi e altre forme di violenta repressione, la Controriforma espulse dall'Italia l'homo novus sostituendolo con un suddito deresponsabilizzato, maschera della sottomissione e della rinuncia a ogni autonomia di pensiero."
Ecco, oggi siamo tornati qui.
Perché non possiamo essere cristiani
Premessa: ho molti amici cattolici, sia tra i miei contatti in rete che tra quelli reali; amici e conoscenti con cui parlo o chiacchiero ogni giorno. Per motivi vari, principalmente lavorativi, sono a contatto anche con persone di religione protestante, musulmana, testimoni di Geova, e con tutti mi trovo benissimo. Capita che si parli di religione, naturalmente, che si discuta, ma sono quasi sempre discussioni tranquille in cui ognuno espone il proprio pensiero in maniera pacata. Io non sono religioso, se per religioso si intende un affiliato a una delle categorie elencate sopra, perché la mia innata curiosità, che mi obbliga a mettere sempre tutto in discussione, non mi permette di "fidarmi" di ciò che una religione, qualsiasi religione, indica come viatico per raggiungere una non meglio precisata salvezza. Se poi la religione in questione è costellata da una sovrabbondanza di dogmi che dal punto di vista razionale non hanno alcun senso, beh, è ancora più difficile che conceda ad essa qualche credito.
Essendo per natura curioso e poco "partigiano", mi è capitato in passato di leggere anche saggi di autori cristiani, come Gianfranco Ravasi, David Maria Turoldo e altri, quindi la lettura di questo saggio di Odifreddi si inserisce nel solco di quella propensione volta a sentire tutte le campane, come si suol dire.
Il saggio in questione non ha nulla a che vedere con la fede, "dono" che alcuni hanno e altri, come lo scrivente, non hanno, ma si limita ad analizzare nel dettaglio tutto ciò su cui si regge la religione cristiana, dalle sacre scritture al complesso apparato di norme, cariche, vestimenti, liturgie, formule che caratterizzano la Chiesa, prescindendo da ogni questione di fede e affidandosi alla sola analisi critica. Ne viene fuori un quadro scomposto, raffazzonato, incoerente, contraddittorio, impreciso, con norme e dettami dogmatici giunti a definizione (non definitiva, tra l'altro) dopo secoli e secoli di concilî, discussioni, litigi, lotte, guerre con morti e feriti, un quadro desunto da cosiddette "sacre" scritture che traboccano di assurdità scientifiche, contraddizioni logiche, falsità storiche, sciocchezze umane, perversioni etiche, bruttezze letterarie e che non si sa su quale base possano dirsi ispirate da una divinità dal momento che, nel corso dei secoli, sono state fatte oggetto di correzioni, revisioni, aggiunte, sottrazioni, modifiche.
Mi si obietterà che non è questa la modalità con cui Bibbia e Vangeli, libri considerati sacri, vanno affrontati, e forse è vero. Non mi risulta però che siano mai state emesse avvertenze che ne prescrivano la lettura alle sole persone dotate di fede, ma sono libri che tutti possono leggere e analizzare, compresi i curiosi come lo scrivente.
venerdì 6 dicembre 2019
Settant'anni
Poco fa mi è passato per le mani Tex, e pensavo che quello in corso è il suo settantesimo anno. Quindi, quando io nascevo lui usciva già nelle edicole da vent'anni. È curioso come basti poco per andare con la mente alla velocità con cui passa il tempo, alle età che non sono più, ai famosi vent'anni cantati da De Gregori, quelli che "sembrano pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più", o al "fugge un cane come la tua giovinezza" di gucciniana memoria.
C'è da dire, comunque, che i suoi settant'anni Tex Willer li porta benissimo. Tipo un eterno Peter Pan. Beato lui.
mercoledì 4 dicembre 2019
Privacy, questa sconosciuta
In circa venticinque minuti, durata della telefonata che la signora due sedie più in là ha fatto ad alta voce nella sala d'aspetto del dentista, sono venuto a sapere:
- Il suo nome
- Il nome del marito
- Il nome della figlia
- Il nome della signora presso cui lavora come badante
- La somma mensile che la suddetta signora le versa ogni mese (ieri badata e badante hanno avuto un alterco a questo proposito)
- Il voto della figlia nel compito in classe di matematica (7--)
- Il menù della cena di stasera
- L'andamento del diabete di una sorella in Ucraina
Tutto in venticinque minuti.
Non capiamo cosa leggiamo
Uno studio pubblicato qualche giorno fa ha rivelato come la maggior parte dei ragazzi italiani abbia serie difficoltà a comprendere ciò che legge. In particolare, solo un quindicenne su venti riesce a distinguere tra fatti e opinioni nella lettura di un testo. Lo studio conferma quanto già riportato in un'altra ricerca dell'Ocse pubblicata qualche anno fa, secondo cui l'Italia è all'ultimo posto in Europa nella comprensione di un testo scritto.
Ora, di fronte a questa situazione, dove credo sia chiaro che la scuola ha ampie responsabilità, la riforma più grande che ogni ministro dell'Istruzione riesce a fare è quella di modificare un pochino la maturità. Fateci caso, all'avvicendamento di ogni governo, cosa che ormai avviena a cadenza se non annuale poco ci manca, ogni ministro che arriva fa una modifichina all'esame di maturità, perché naturalmente deve lasciare un segno del suo passaggio. E ancora c'è gente che pensa che ci risolleveremo, prima o poi.
Ora, di fronte a questa situazione, dove credo sia chiaro che la scuola ha ampie responsabilità, la riforma più grande che ogni ministro dell'Istruzione riesce a fare è quella di modificare un pochino la maturità. Fateci caso, all'avvicendamento di ogni governo, cosa che ormai avviena a cadenza se non annuale poco ci manca, ogni ministro che arriva fa una modifichina all'esame di maturità, perché naturalmente deve lasciare un segno del suo passaggio. E ancora c'è gente che pensa che ci risolleveremo, prima o poi.
La linea sottile
Alla fine di certe giornate lavorative mi viene sempre da pensare che la linea che separa il lavorare per vivere dal vivere per lavorare sia molto sottile.
lunedì 2 dicembre 2019
Anche i libri leggono noi
Hans-Georg Gadamer, filosofo tedesco tra i maggiori esponenti dell'ermeneutica, una volta ha scritto che c'è un motivo ben preciso che spiega perché quando leggiamo un libro alcune storie ci colpiscono più di altre, oppure perché alcuni personaggi li detestiamo mentre altri li amiamo e altri ancora ci sono completamente indifferenti, e il motivo è che noi lettori, quando leggiamo, non ci limitiamo alla lettura passiva della storia ma la interpretiamo. Tramite questa interpretazione, attribuiamo un significato alla storia stessa che si genera dalle nostre idee, dalle esperienze che abbiamo fatto, dal luogo in cui siamo vissuti ecc.
Da ciò deriva che non siamo solo noi a leggere quella storia, ma è anche la storia che legge noi, e lo fa ogni volta che si intreccia con la nostra vita, facendoci pensare a ciò che siamo. In sostanza, Gardener dice che quando leggiamo mettiamo in quelle storie un po' di noi, ma anche loro ci leggono perché ci dicono come siamo fatti. È come se si instaurasse un dialogo tra noi e il libro che stiamo leggendo. Non è bellissima, questa cosa?
La donna cannone (rovinata da me)
Cosa si fa nei pomeriggi piovosi? Si suona un po' il pianoforte.
(Mi scuso anticipatamente con De Gregori, nella malaugurata ipotesi che passi di qui.)
Il salto di qualità
Che la riabilitazione storica dei vari Hitler, Mussolini ecc. venga dall'esercito di ignoranti da social che affollano internet, passi, anche se dà disgusto. Ma che tale riabilitazione venga da un docente universitario (e non è neppure il primo), è il segnale, a mio avviso, di un cambio di rotta che a me preoccupa. E molto.
domenica 1 dicembre 2019
Il mio Black friday
Il mio Black friday è trascorso senza che abbia comprato nulla, per il semplice fatto che non mi serviva nulla (mi pare una motivazione ragionevole, no?). Mi sono limitato, ieri mattina, ad accompagnare mia figlia minore, Francesca, a comprare uno smartphone nuovo, dal momento che il suo, dopo quattro anni di onorato servizio, aveva tirato le cuoia.
Siamo arrivati ai Malatesta attorno a mezzogiorno, pensando che sarebbe stato l'orario con minori probabilità di trovare ressa. E infatti così è stato. Al reparto telefonia c'erano solo un commesso che contrattava con un potenziale cliente e un paio di persone che passavano in rassegna la mercanzia esposta. Francesca sapeva già quale sarebbe stato il suo acquisto e quindi abbiamo fatto presto.
Mentre Francesca sbrigava col commesso le formalità burocratiche, qualche persona era nel frattempo arrivata e il tipo aveva cominciato a chiamare il collega che stava cazzeggiando lì vicino. Quest'ultimo, pur avendo sentito il richiamo del collega impegnato, con la faccia più tosta del mondo ha pensato bellamente di fregarsene e di continuare nella sua attività di cazzeggio e giri a vuoto tra le scansie. "È incredibile," si è poi lamentato il venditore con quelli in attesa, "ogni volta che c'è da fare, lui se la svigna. La gente aspetta e lui, invece di venire qui a darmi una mano, se ne frega tranquillamente."
"Stessa cosa che succede dove lavoro io," ha quindi replicato un signore che era lì in attesa, "e come immagino succeda in ogni luogo di lavoro." Stavo per aggiungere la mia testimonianza a quella del signore e a quella, silenziosa, degli altri astanti che annuivano, poi ho pensato che non ne sarebbe valsa la pena. Mi è venuto in mente quel concetto che ama ripetere Galimberti nelle sue conferenze, secondo cui una civiltà cade per corruzione dei costumi, dove, nello specifico, per corruzione dei costumi si intende il menefreghismo.
Siamo arrivati ai Malatesta attorno a mezzogiorno, pensando che sarebbe stato l'orario con minori probabilità di trovare ressa. E infatti così è stato. Al reparto telefonia c'erano solo un commesso che contrattava con un potenziale cliente e un paio di persone che passavano in rassegna la mercanzia esposta. Francesca sapeva già quale sarebbe stato il suo acquisto e quindi abbiamo fatto presto.
Mentre Francesca sbrigava col commesso le formalità burocratiche, qualche persona era nel frattempo arrivata e il tipo aveva cominciato a chiamare il collega che stava cazzeggiando lì vicino. Quest'ultimo, pur avendo sentito il richiamo del collega impegnato, con la faccia più tosta del mondo ha pensato bellamente di fregarsene e di continuare nella sua attività di cazzeggio e giri a vuoto tra le scansie. "È incredibile," si è poi lamentato il venditore con quelli in attesa, "ogni volta che c'è da fare, lui se la svigna. La gente aspetta e lui, invece di venire qui a darmi una mano, se ne frega tranquillamente."
"Stessa cosa che succede dove lavoro io," ha quindi replicato un signore che era lì in attesa, "e come immagino succeda in ogni luogo di lavoro." Stavo per aggiungere la mia testimonianza a quella del signore e a quella, silenziosa, degli altri astanti che annuivano, poi ho pensato che non ne sarebbe valsa la pena. Mi è venuto in mente quel concetto che ama ripetere Galimberti nelle sue conferenze, secondo cui una civiltà cade per corruzione dei costumi, dove, nello specifico, per corruzione dei costumi si intende il menefreghismo.
Doctor Sleep
Dite quello che volete ma Stephen King è uno che sa scrivere e incolla chi legge alle pagine, e continuo a pensarlo anche dopo aver terminato Doctor Sleep, il seguito di Shining (solitamente i sequel tendono a deludere); perché, dico, qualcuno sarà pur curioso di sapere che fine abbia fatto il piccolo Danny dopo essere sopravvissuto alla distruzione dell'Overlook, no? (Intendo, naturalmente, il Danny del romanzo, non dell'attore che nel 1980 lo interpretò nel celeberrimo film di Stanley Kubrick, che oggi è uno stimato professore di biologia.)
Ogni volta che termino un romanzo che mi è piaciuto, penso: Lasciate perdere tutte quelle bubbole secondo cui bisogna leggere per essere migliori, più bravi ecc. Bisogna leggere perché leggendo può capitare di imbattersi in storie belle, accattivanti, che ti incollano alle pagine e mentre sei lì in magazzino che lavori non vedi l'ora di tornare a casa per riprenderle in mano.
sabato 30 novembre 2019
Rubare ai poveri
Dice Salvini che il Mes ruba ai ricchi per dare ai poveri. Al di la' delle patetiche e idiote semplificazioni, quelle semplificazioni tanto amate da gran parte delle italiche genti, notoriamente refrattarie al pensiero critico ma anche al pensiero in generale, ci sarebbe da far notare che anche la famigerata flat tax ad aliquota unica, come pensata in origine dalla Lega, non e' esattamente uno strumento che agevola i poveri rispetto ai ricchi. Ma lasciamo pure perdere: tentare di spiegarlo all'elettore medio leghista sarebbe il non plus ultra della perdita di tempo.
The Wall, quarant'anni dopo
In questi giorni cade il quarantennale dell'uscita di The Wall, dei Pink Floyd. The Wall e' l'album che mi ha fatto conoscere e amare la leggendaria band inglese capitanata da Roger Waters prima e David Gilmour poi (prima di Waters c'era Syd Barrett, uscito pero' di scena poco dopo la fondazione del gruppo per problemi di droga). Quando usci' l'album io avevo nove anni ed ero un timidissimo bambino all'ultimo anno di elementari, che se le cavava bene nei temi e male a far di conto e che di musica ancora non si interessava. I Pink Floyd li avrei conosciuti qualche anno dopo, per puro caso.
Durante il primo anno di superiori - nel frattempo un po' della timidezza delle elementari se n'era andata, ma appena un po' - divenni particolarmente amico di un tale Alberto, di cui non ricordo il cognome e neppure so che fine abbia fatto, e capitava spesso che il pomeriggio andassi a casa sua; ufficialmente per studiare, in realta' per cazzeggiare (le pagelle di entrambi fornivano ampio riscontro di questo cazzeggio improduttivo). Alberto aveva un fratello piu' grande di cui non so piu' il nome, se mai l'abbia saputo, che era appassionato di musica e che nella sala aveva un impianto stereo notevole corredato di un nutrito numero di vinili. Ogni volta che arrivavo a casa sua, aveva sul piatto questo vinile. Una volta gli chiesi di chi fosse quella musica e lui mi rispose: "Boh, non lo so, sulla copertina si vede solo il disegno di un muro, non ci sono scritte."
"Eh, ho capito," gli risposi io, "ma e' un album doppio, all'interno della copertina ci sara' scritto qualcosa, no?"
"Si', ma chi se ne frega! L'importante e' che non mi becchi mio fratello: se scopre che vado attorno ai suoi dischi..."
Insomma, come e' e come non e', a forza di ascoltare quell'album, seppure a pezzetti - Alberto selezionava solo i pezzi che piacevano a lui - ne memorizzai lentamente le tracce: Mother, Young lust, Another brick in the wall, Hey you, The trial... e non lo abbandonai piu'. Poi, naturalmente, a mo' di slavina venne tutto il resto: Wish you were here, The dark side of the moon, The final cut... e oggi, quarant'anni dopo, i Pink Floyd sono ancora li' a tenermi graditissima compagnia. Quel tipo di compagnia a cui sono collegati ricordi di una giovinezza ormai andata, che si rifanno vivi ad ogni ascolto.
Dalla ringhiera
La donna con l'impermeabile imboccò la scalinata, ricavata nella roccia, che conduceva al piccolo terrazzino dirimpetto sul mare. Era un terrazzino piccolo, pochi metri quadrati, una specie di nicchia, delimitato da una ringhiera in ferro arrugginita in molti punti. Era una mattinata fredda e umida, la foschia aleggiava tutt'intorno e il mare era visibile solo a tratti. In lontananza si sentivano stridere i gabbiani. La donna si avvicinò alla ringhiera bagnata e vi appoggiò sopra una mano, ma la ritrasse immediatamente: era fredda e bagnata. C'erano un tavolino di legno e alcune sedie, al centro del terrazzino, e sopra il tavolo c'era un portacenere di plastica con ai lati impressa la marca di una birra, vestigia di una estate ormai andata in cui sul quel terrazzino si consumavano animate bisbocce serali. Il tavolino era infarcito di scritte, incise con coltellini o chiavi dalla marea di maleducati in circolazione che si credono gli Ungaretti del terzo millennio: date, frasi, citazioni, oscenità, insulti, promesse d'amore eterno, cuori trafitti dalle tante frecce che un instancabile Cupido si ostina ancora a lanciare su questa terra, probabilmente ignorando che gran parte di quelle frecce continuano a rivelarsi buchi nell'acqua.
La donna si sedette su una sedia e si accese una sigaretta. Il fumo azzurrognolo si mescolava alla foschia. Ogni tanto nella foschia si apriva qualche squarcio ed era possibile vedere scorci di mare, un mare grigio come quella giornata. Le venne in mente una canzone, di cui non ricordava il titolo, in cui si parlava del mare d'inverno come di un concetto che il pensiero non considera, e pensò che il mare d'inverno ha invece un fascino particolare che gran parte della gente tende a ignorare.
Con la stessa rapidità con cui si era aperto, quel breve squarcio di visibilità si richiuse. La donna distolse lo sguardo e fissò il fumo azzurrognolo che saliva dalla sigaretta disperdendosi nella foschia. E ripensò al pomeriggio del giorno prima, quando quell'uomo le si avvicinò con la scusa di chiederle se sapesse dove fosse il bagno. Avrebbe potuto chiederlo al barista, ma lo chiese a lei, un modo come un altro, neanche dei più originali, per intavolare una conversazione con una sconosciuta che prende un caffè al bar. Lei glielo indicò e lui la ringraziò, chiedendole se al suo ritorno l'avrebbe trovata ancora seduta lì. Lei gli rispose di no. "Peccato" le disse lui con un sorriso rassegnato, e si avviò. Sì, peccato, pensò la donna. Poi si alzò e se ne andò.
Si aprì un altro squarcio nella foschia e la donna abbandonò quei pensieri, tornando sul terrazzino. Spense la sigaretta nel portacenere che reclamizzava la marca di una birra, si alzò e, prima di andarsene, diede un'ultima occhiata a quel mare grigio che stava al di là della ringhiera, e ai gabbiani che volteggiavano e stridevano forte.
venerdì 29 novembre 2019
Venerdì mattina presto
C'è una barista nuova, stamattina, da Urbinati. Una ragazza bionda che mi fa venire in mente quella "dietro al banco che mischiava birra chiara e Seven Up, bionda senza averne l'aria" di una celebre canzone di Guccini. Cioè, mi fa venire in mente quella canzone, non la ragazza, dal momento che Guccini non la descrive.
La radio passa Bella senz'anima di Cocciante, la bella e dannata a cui Cocciante intima di spogliarsi "come sai fare tu", ché tanto lui non ci casca più. Ma qui non si spoglia nessuno. C'è nebbia fitta, fuori del bar, e le figure che passano sulla strada, tutte belle imbacuccate, compaiono e scompaiono da quella nebbia come spettri in un romanzo di King.
C'è un tipo, due tavolini di fianco a me, che sembra quasi addormentato, il marsupio gli è caduto per terra. Il tipo classico che si incontra nei bar notturni.
Vabbe', vado al lavoro. Buon venerdì a chi passerà di qui.
mercoledì 27 novembre 2019
Tutti promossi
Leggo che alla maturità di quest'anno i promossi sono stati il 99,6% degli studenti ammessi, addirittura in aumento rispetto al 2018. A me piacerebbe chiedere a qualcuno di quello 0,4% come ha fatto a farsi bocciare, quanto impegno ci ha dovuto mettere.
Scherzo, naturalmente, ma mi chiedo quale sia la ratio di queste promozioni di massa. E non mi venite a dire che quel quasi 100% di promossi è effettivamente composto dagli studenti bravi, volenterosi e studiosi, perché non ci credo. Lì in mezzo ci saranno, equamente divisi, quelli che si sono impegnati durante i cinque anni e quelli che non hanno fatto niente, e che senso ha che quelli che non hanno fatto niente vengano promossi come quelli che si sono impegnati? Non è il segno più evidente del fallimento della scuola?
Scherzo, naturalmente, ma mi chiedo quale sia la ratio di queste promozioni di massa. E non mi venite a dire che quel quasi 100% di promossi è effettivamente composto dagli studenti bravi, volenterosi e studiosi, perché non ci credo. Lì in mezzo ci saranno, equamente divisi, quelli che si sono impegnati durante i cinque anni e quelli che non hanno fatto niente, e che senso ha che quelli che non hanno fatto niente vengano promossi come quelli che si sono impegnati? Non è il segno più evidente del fallimento della scuola?