Pagine
▼
mercoledì 25 dicembre 2019
La specie più ferale
"Non credete agli ecologisti che abbracciano gli alberi, secondo i quali i nostri antenati vivevano in armonia con la natura. Molto tempo prima della Rivoluzione industriale, Homo sapiens conquistò il record, tra tutti gli organismi, di chi portò all'estinzione la maggior parte delle specie vegetali e animali. A noi spetta il triste primato di essere la specie più ferale che esista negli annali della biologia." È una delle considerazioni finali del capitolo intitolato La rivoluzione cognitiva, del bellissimo saggio di Yuval Noah Harari Sapiens, da animali a dèi. Breve storia dell'umanità che sto leggendo in questi giorni (ebbene sì, leggo anche a Natale). La considerazione dello scienziato israeliano nasce dallo studio degli spostamenti, e relativi disastri, provocati dai Sapiens una volta usciti dall'Africa alla conquista dell'Europa e dell'Asia prima, delle Americhe e dell'Australia poi. Alcuni dati.
Homo sapiens giunse in Australia tra i 40.000 e i 45.000 anni fa. In capo a poche migliaia di anni dopo il suo arrivo scomparve il 90% della megafauna che da milioni di anni popolava indisturbata il continente e la stragrande maggioranza delle specie vegetali. Nelle Americhe, invece, sempre il Sapiens arrivò attorno a 13.000 anni fa attraversando a piedi (allora si poteva) la striscia di terra che collegava la Siberia nord-orientale e l'Alaska nord-occidentale e provocando, dopo essersi poco a poco insediato nei territori delle due Americhe, il secondo disastro ecologico per importanza dopo quello australiano.
Scrive Harari: "La colonizzazione dell'America da parte dei Sapiens fu tutt'altro che incruenta, e si lasciò dietro una lunga scia di vittime. La fauna americana di 14.000 anni fa era assai più ricca di quanto non lo sia oggi. Quando i primi americani scesero dall'Alaska nelle pianure del Canada e negli Stati Uniti occidentali, incontrarono mammut e mastodonti, roditori della taglia di un orso, mandrie di cavalli e cammelli, leoni enormi e decine di specie possenti, di tipo oggi completamente sconosciuto, tra cui gli spaventosi felini coi denti a sciabola e i giganteschi bradipi terrestri che arrivavano a pesare otto tonnellate e a un'altezza di sei metri. L'America del sud ospitava una congerie ancora più esotica di grossi animali, rettili e uccelli. Le Americhe furono un grande laboratorio di sperimentazione evoluzionistica, un posto dove animali e piante sconosciuti in Asia e Africa si erano sviluppati e avevano prosperato magnificamente. Poi tutto questo finì. Nel giro di duemila anni dall'arrivo dei Sapiens moltissime di queste specie uniche si estinsero. Secondo le stime correnti, in quell'intervallo di tempo relativamente breve il Nord America perse trentaquattro delle quarantasette specie di grandi mammiferi. Il Sud America ne perse cinquanta su sessanta. I felini dai denti a sciabola, dopo aver vissuto indisturbati per trenta milioni di anni, scomparvero; e così i gigantechi bradipi terrestri, i leoni giganti, i cavalli e i cammelli nativi americani, gli enormi roditori e i mammut. E si estinsero pure migliaia di specie di mammiferi di taglia minore, di rettili, di uccelli e anche di insetti e parassiti."
Questo scenario si ripeté, pari pari, nelle isole della Nuova Zelanda, del Madagascar e in tutte le isole grandi e piccole del Pacifico, dell'Atlantico, dell'Artico e del Mediterraneo, e in generale in ogni posto che a causa della barriera opposta dal mare aveva sviluppato specie animali e vegetali proprie. Ovunque arrivassero i Sapiens, portavano con sé morte ed estinzione delle specie già presenti, come i giganteschi mammut, prosperati per milioni di anni in gran parte dell'emisfero settentrionale e ritiratisi, via via che il Sapiens avanzava, fino all'ultimo rifugio, l'isola di Wrangel, duecento chilometri a nord nel mare Artico, finché i Sapiens arrivarono anche lì.
Non è una storia che è finita, come molti potrebbero pensare, ma che continua ancora oggi con le grandi specie di animali marini. Scrive Harari: "Se noi ci rendessimo conto di quante specie abbiamo già sradicato, potremmo essere più motivati a proteggere quelle che ancora sopravvivono. Questo vale in particolar modo per i grandi animali degli oceani. A differenza delle loro controparti terrestri, i grandi animali marini hanno sofferto relativamente poco con la Rivoluzione cognitiva e quella agricola. Ma molti di loro sono ora sull'orlo dell'estinzione per effetto dell'inquinamento industriale e dell'eccessivo sfruttamento delle risorse oceaniche. Se le cose continuano al passo attuale, è probabile che balene, squali, tonni e delfini seguiranno la sorte di diprotodonti, bradipi terrestri e mammut. Fra tutte le grandi creature che ci sono al mondo, i soli sopravvissuti all'inondazione umana saranno gli umani stessi e gli animali da cortile che servono da schiavi rematori nell'Arca di Noè."
Nessun commento:
Posta un commento