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domenica 22 dicembre 2019

J. F. K. I misteri intorno alla fine di un sogno americano


Mi è capitato in mano questo bellissimo saggio, edito dal Corriere della Sera e firmato da Francesco Zacchè, sulla storia di John Fitzgerald Kennedy, il più giovane presidente della storia degli Stati Uniti, e l'ho letteralmente divorato.

La storia di Kennedy non l'avevo mai approfondita e la conoscevo a grandi linee. In realtà neppure questo saggio ne offre una visione globale e approfondita, ma tratteggia con dovizia di particolari le principali tappe che l'hanno contraddistinta e che hanno contribuito al passaggio di Kennedy dalla storia al mito: dal suo passato in Marina nella Seconda guerra mondiale alla sua attività in politica nel Partito democratico fino all'elezione alla Casa Bianca nel 1960, quella Casa Bianca governata oggi da quel figuro che sta a Kennedy come Salvini sta a De Gasperi, giusto per fare il primo paragone che mi viene in mente.

I tre anni dal 1960 al 1963, anno in cui fu assassinato a Dallas per mano di Lee Oswald, sono stati anni in cui accaddero molti fatti di rilevanza mondiale di cui Kennedy fu coprotagonista, accadimenti che se fossero andati (bastava anche solo uno) in maniera diversa da come si sono svolti, forse oggi non saremmo qui a scrivere. Si era ad esempio nel periodo di massima tensione della cosiddetta Guerra fredda, ed è indubbio che Kennedy ebbe un ruolo non da poco nella distensione dei rapporti est-ovest; c'era poi la questione di Cuba, che lui definiva la sua maggiore "spina nel fianco", e della rivoluzione castrista, guardata con simpatia da Kennedy alla sua nascita, negli anni '50, e via via con crescente diffidenza, poi ostilità, man mano che Fidel Castro si avvicinava a Mosca e Pechino.

In questo contesto si inserirà il cosiddetto "fallimento perfetto", l'errore strategico di Kennedy che mandò a monte il tentativo, orchestrato dalla CIA, di rovesciare il regime di Castro. Seguì quella che la storia ricorda come la Crisi missilistica di Cuba, uno di quegli avvenimenti che se fosse andato in maniera diversa forse oggi non saremmo qui. Andò invece come doveva andare, e dopo tre settimane di febbrili negoziati più o meno sottobanco, sotto la sua regia si arrivò a una soluzione pacifica e una distensione tra le due superpotenze.

Un terzo del libro è dedicato all'analisi delle numerosissime teorie complottiste fiorite dopo l'uccisione del presidente, secondo le quali la morte di Kennedy non fu opera isolata di Lee Harvey Oswald, lo squilibrato espulso con disonore dai Marines e disertore in Russia che alle 12.30 del 22 novembre 1963 sparò a Kennedy in Dealey Plaza a Dallas. Teorie secondo cui la sua mano fu "accompagnata", di volta in volta, dal FBI, dalla Cia, dai Servizi segreti, dalla mafia, dalla Russia, da Cuba e da chi più ne ha più ne metta. Teorie complottiste a cui all'indomani della morte di Kennedy dava credito il settanta per cento degli americani e che ancora oggi, complici la continua pubblicazione di libri e di una vasta filmografia (è noto da sempre chi il complottismo è un filone che tira), godono di un certo credito.

Uno dei saggi più belli letti quest'anno.

2 commenti:

  1. Sulla morta di JFK e le molte piste complottiste mi torna in mente la strategia della tensione in Italia, dove i colpevoli dei vari attentati vengono dipinti nei vari colori politici da un sistema che voleva "normalizzare" il paese, che invece chiedeva un cambio. Ecco, normalizzare gli Usa che con JFK, forse, tentavano una via diversa, in quello va ricercato il colpevole della sua brutale morte. A proposito di cinema, ottima la versione/visione di Oliver Stone.

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    1. In effetti ho sentito parlare molto di quel film ma non ho mai avuto occasione di vederlo. Ci farò un pensierino.

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