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martedì 31 agosto 2021

Poi ci si stanca anche

Leggo che, tramite i social, i contrari al Green pass stanno organizzando manifestazioni congiunte in varie grandi città italiane. Personalmente comincio a essere stanco di tirare la carretta per tutti, e forse questo senso di stanchezza, di sensazione che la pazienza sia finita, non li sento solo io. Mi sono vaccinato e l'ho fatto convintamente, ascoltando gli appelli degli scienziati, degli esperti, del governo, ma comincio a stancarmi di questa tolleranza nei confronti di chi non lo fa senza alcuna valida ragione. E non mi venite a dire che dubbi e timori, per quanto legittimi (pure io ne ho avuti), sono una valida ragione per non vaccinarsi.

Le terapie intensive si stanno di nuovo progressivamente riempiendo, siamo tornati a una media di 40/50 decessi al giorno, la Sicilia è tornata in zona gialla e a breve altre regioni la seguiranno; il 90% dei malati di covid che occupano i reparti ospedalieri è composto di persone che non hanno voluto vaccinarsi. Nella mia cerchia di conoscenze so di almeno un paio di no vax intubati nella terapia intensiva dell'ospedale di Rimini, che non si sa se torneranno a casa. 

Un anno e mezzo fa, quando tutto questo cominciò, si disse che o ne usciamo tutti insieme o non ne usciamo. Non ne stiamo uscendo tutti insieme, e se la situazione non ha (ancora) raggiunto i livelli di drammaticità dell'anno scorso è perché adesso abbiamo i vaccini, che però solo alcuni stanno facendo, e non si può pretendere che questi "alcuni" salvino tutti. Da tempo si discute se rendere obbligatorio il vaccino. Sì, si renda obbligatorio, così come sono obbligatori i normali cicli vaccinali a cui tutti ci siamo sottoposti senza tante storie, e lo Stato la pianti di tergiversare e di titubare. Perché noi che ci siamo vaccinati siamo stanchi, e stiamo cominciando a sentirci anche un po' presi per i fondelli.

lunedì 30 agosto 2021

Dopo di lui

Come ho già scritto altre volte, raramente mi è capitato di sentire da Mattarella parole che non dimostrassero intelligenza e buon senso. Le ultime, relative al dramma dei profughi afghani, non fanno eccezione, e si fanno strada col loro buon senso in mezzo al mare di stupidaggini partorite in questi giorni da politicanti di bassissima levatura.

Mattarella, infatti, a differenza di questi ultimi, sa benissimo che il dramma dell'immigrazione, al netto delle vicende afghane, va affrontato con intelligenza, serietà e lungimiranza, anche facendo tesoro di ciò che la storia insegna a partire dalle invasioni barbariche nell'Impero romano in qua; non per mero buonismo o motivi di ordine sentimentale, o almeno non solo per questi, ma per interesse nostro, per non venire travolti dalle tempestose e imprevedibili dinamiche delle migrazioni.

Non so chi succederà a Mattarella, ormai al termine del suo mandato. Leggo in giro che il centrodestra compatto non disdegnerebbe di appoggiare il tipo delle cene eleganti. Se tale ipotesi dovesse diventare realtà, essere travolti da un'ondata migratoria potrebbe essere una salvifica liberazione.

Dalla finestra

La finestra della camera dava sul cortile. Il cortile, a sua volta, era diviso dal marciapiede che fiancheggiava la strada da un'alta cancellata. Renata scostò un attimo la tendina della finestra e guardò fuori. Quella cancellata, così alta e così impossibile da valicare, le ricordava le cancellate dei penitenziari viste tanto tempo prima in qualche vecchio film. Come Le ali della libertà, ad esempio, con quell'attore nero di cui non ricordava mai il nome. Ma non era sicura che attorno al penitenziario di quel film ci fosse una cancellata, forse c'era un muro con del filo spinato sulla sommità. Comunque, cancellata o muro che fosse, il protagonista di quel film riuscì a evadere coprendo il buco nella parete della sua cella con un poster di Rita Hayworth. Quel buco nascondeva l'entrata del tunnel che scavava di nascosto ogni notte, e il nero l'aveva aiutato, questo se lo ricordava bene. Poi, che attorno al penitenziario ci fosse un muro o una cancellata o del filo spinato, in fondo chi se ne fregava? Ciò che importava era che il protagonista alla fine era riuscito a scappare. Lei, invece, da quella stanza non sarebbe mai riuscita a fuggire.

Mentre continuava a guardare fuori dalla finestra, in quel pomeriggio di metà settembre che con vistosa riluttanza cedeva il posto alla sera, vide passare sul marciapiede una bambina su una bicicletta. Procedeva abbastanza speditamente. Aveva un vestitino leggero, rosso, che svolazzava impertinente nella brezza di quel tardo pomeriggio, e aveva capelli biondi raccolti in una coda che le arrivava a metà schiena. La bambina sorrideva, pedalava e sorrideva. A Renata sembrò che la bambina stesse canticchiando qualcosa, ma era solo un'impressione, e comunque, coi vetri chiusi, quei vetri sempre maledettamente chiusi, non poteva averne certezza. Poi, ad un tratto, mentre pedalava, la bambina si girò e guardò verso Renata. Ma fu appunto solo un attimo. L'anziana donna però se ne accorse; istintivamente alzò la mano per accennare un saluto e sorrise alla bambina, sorriso che morì subito quando realizzò che lei era già fuori dallo specchio di visuale consentito dalla finestra. Chissà se la bambina sulla bicicletta era riuscita a vedere il suo accenno di saluto? Sarebbe stato bello. Lasciò andare la tendina che teneva scostata con una mano e, lentamente, con la sua andatura incerta e claudicante, tornò verso il letto accompagnandosi con la sua stampella. Se fosse passata l'infermiera e l'avesse trovata in piedi vicino alla finestra sarebbero stati guai, lo sapeva, era successo altre volte, ma a Renata non importava granché. E poi le infermiere, in fondo, non erano cattive, facevano solo il loro lavoro.

Si rimise a letto e ripensò a quella bambina che era passata sul marciapiede al di là della cancellata, con la sua bicicletta. Anche lei, quando era piccola, aveva una bicicletta, gliela regalò suo padre quando aveva dieci anni. Ora Renata di anni ne aveva molti di più, forse neppure lei ricordava con precisione quanti, sufficienti comunque per essere rinchiusa in quel posto, dove vengono parcheggiati i vecchi che non servono più e di cui ci si vuole liberare, perché oggi il mondo va di fretta e non ha tempo di stare dietro a chi comincia ad avere difficoltà a badare a se stesso, come Renata.

Sentì dei passi nel corridoio. L'infermiera col carrello delle vivande: era ora di cena. L'infermiera aprì la porta, entrò, aiutò Renata a mettersi seduta sul letto, le avvicinò il portavivande e vi posò sopra i piatti coi cibi, poi fece per andarsene. 
"Ho visto passare una bambina su una bicicletta," disse Renata all'infermiera quando quest'ultima era già alla porta. 
"Ah, sì?" rispose l'infermiera girandosi. "Lo sai, Renata, che non devi alzarti dal letto, quante volte te lo devo ripetere?" 
"Mi ha guardata e io l'ho salutata."
"E lei? Anche lei ti ha salutata?"
"Non lo so, andava veloce ed è scomparsa subito. Chissà, forse domani ripasserà, e magari anche lei mi saluterà."
L'infermiera accennò un sorriso, poi se ne andò, chiudendo la porta. Renata assaggiò qualcosa di malavoglia, ma non aveva fame e allontanò da sé il portavivande. Poi, lentamente, scese dal letto, inforcò la sua stampella, e con la sua camminata incerta e claudicante tornò alla finestra e scostò la tendina.

domenica 29 agosto 2021

Casteldelci


Sono rientrato poca fa da Casteldelci, paesino di circa una cinquantina di anime collocato a seicento metri d'altezza sulle colline del Montefeltro. Su uno dei suoi prati ho partecipato a un incontro con amici che non vedevo più da quando ero ragazzino e frequentavo la parrocchia. Con alcuni di loro non avevo più neppure contatti telefonici o telematici, e uno di essi è rientrato appositamente in Italia da Hamilton, Canada, dove svolge attività di ricerca nell'ambito dell'ematologia.

Fa sempre un certo effetto rivedere amici persi di vista da decenni, c'è sempre quella specie di... come dire?, tensione positiva, se così si può dire. Poi, un attimo dopo gli abbracci iniziali (oggi sostituiti da tristi strisciate di gomito), tutto scompare, la tensione si scioglie e il vuoto generato dai decenni si riempie; tutto si ricompone, come se non fosse trascorso l'intervallo di una generazione dall'ultima volta che ci si è visti ma giusto un weekend. 

È stato bello. Forse la prossima estate lo rifaremo.

sabato 28 agosto 2021

Stalin era basso

Scrive Robert Conquest ne Il grande terrore, che sto leggendo in questi giorni, che Stalin era di statura piuttosto bassa. Ma non solo questo. "La testa di Stalin aveva un solido aspetto contadino [le teste dei contadini hanno generalmente un aspetto solido? Non lo sapevo], ma il viso era segnato dal vaiolo e i denti irregolari. [...] Come molti uomini spinti dall'ambizione, Stalin era piuttosto basso, sul metro e cinquantotto circa. Si aumentava la statura di due o tre centimetri con scarpe fatte apposta e alle parate del 1° maggio e del 7 novembre stava ritto su un rialzo che gli aggiungeva altri tre o quattro centimetri."

Questa descrizione di Stalin mi ha fatto venire in mente Berlusconi, il quale, molti ricorderanno, usava aumentarsi artificialmente la bassa statura con calzature modificate e, come Stalin, utilizzando rialzi vari durante i comizi. Certo, tra i due corrono parecchie differenze: Stalin nei vent'anni in cui è stato al potere ha fatto più morti di Hitler, Berlusconi nei vent'anni in cui è stato al potere ha rimbecillito coi suoi media il doppio delle persone uccise da Stalin. Ma la cosa interessante è la correlazione tra la bassa statura e l'ambizione, con quest'ultima che sarebbe inversamente proporzionale all'altezza.

Mi è già capitato di leggere di possibili correlazioni tra le due cose, ma non so dire quanto fondamento abbiano. Credo tuttavia che l'avere una bassa statura incentivi effettivamente ad adottare delle contromisure per compensarla. Non solo contromisure "fisiche" come scarpe più alte, ma anche contromisure di tipo psicologico, diciamo così. Non è inusuale, ad esempio, vedere persone di bassa statura alla guida di giganteschi fuoristrada o comunque di veicoli di grossa taglia, oppure, viceversa, di vedere persone molto alte alla guida di piccoli veicoli. Poco più in su di casa mia, ad esempio, abita un ragazzo che, così a occhio, dovrebbe raggiungere i due metri di altezza e che guida una 500, e a volte mi viene da pensare che per riuscire a entrarci abbia tolto il sedile lato guida e sieda direttamente su quello posteriore.

Tornando a Stalin e alla sua statura, io l'ho buttata un po' sull'ironico, ma leggendo la storia dell'Unione sovietica sotto il suo regno, c'è ben poco da ridere. Ma ci tornerò sopra, più seriamente, quando avrò terminato il libro di Conquest.

venerdì 27 agosto 2021

In regola e strapagata

C'è qualcosa che non mi torna in ciò che ha dichiarato la senatrice Cirinnà, ed è là dove dice che la sua cameriera, quella che l'avrebbe lasciata nei guai andandosene, era "strapagata" e "in regola". I due aggettivi, strapagata e in regola, non mi pare siano coerenti. Se un cameriere lavora in regola non è strapagato, riceve semplicemente quanto previsto dal suo contratto di lavoro, e se la signora Cirinnà accosta le due cose significa che pensa che i contratti dei camerieri prevedano emolumenti troppo elevati per quel genere di mansioni. 
Diciamo che, da qualsiasi parte la si guardi, la sensazione preponderante rimane quella secondo cui la signora Cirinnà ha perso una buona occasione per restarsene in silenzio. A ciò si aggiunga anche la sensazione, che è più una certezza, che in questo paese la sinistra l'abbiamo definitivamente persa.

giovedì 26 agosto 2021

Il "peso" della Resistenza

Mi è capitato, qualche tempo fa, di discutere con un mio collega di Resistenza, partigiani ecc., e di sentirmi dire (un ritornello piuttosto usuale in una certa parte politica) che l'importanza della Resistenza, qui intesa come importanza militare, nella guerra di liberazione è stata praticamente insignificante, se non nulla, e che senza l'intervento alleato non avremmo mai vinto. Non è così, naturalmente, e chiunque abbia letto qualcosa ad esempio di Cesare Pavese, ma anche di altri, sa benissimo che quando gli alleati varcarono la linea del Po, molte delle grandi città del nord come Milano, Torino e Genova, erano già state liberate dai partigiani. 

Mi è venuta in mente questa cosa mentre ascoltavo Alessandro Barbero parlarne nei primi dieci minuti dell'intervento che ripubblico qui di seguito, dove si confuta, documenti storici alla mano, la teoria dell'irrilevanza militare della Resistenza. Ma la parte interessante sta nel concetto che, indipendentemente dalla peso militare nella liberazione, la Resistenza è stata importante per il suo valore morale e d'immagine per il nostro paese, perché ha rappresentato quella parte d'Italia che non si è genuflessa alla dittatura nazifascista ma ha preso le armi e l'ha combattuta.

Ma Barbero lo spiega molto meglio di me.

Ti prendo e ti porto via


Dopo le prime trecento pagine mi sono reso conto che questo libro l'avevo già letto, anche se, pur sforzandomi, non riesco a ricordare quando. Credo sia la prima volta che mi capita di leggere un libro già letto in passato e di accorgermene solo verso la fine. Probabilmente dipende dal fatto che, invecchiando, la memoria tende a giocare questi scherzi; ma può dipendere anche dal fatto che leggendo decine e decine di libri all'anno, qualcuno può capitare di dimenticarselo, specie se magari alla prima lettura non è risultato essere particolarmente interessante. Oppure può dipendere da tutte queste cause messe insieme. Boh, non lo so.

Comunque, questo romanzo mi è piaciuto. L'ho trovato realistico e attuale, molto diretto e con pochi fronzoli. È un libro che indaga gli abissi in cui può cadere l'animo umano, abissi in cui si può precipitare crescendo, come Pietro, il ragazzino 12enne protagonista, in un piccolo e chiuso paesino, con una madre in costante crisi di nervi e un padre alcolizzato e psicopatico. È un romanzo sulla disperazione e la disillusione, crudo, pessimista, con un linguaggio spesso diretto ed esplicito, quasi brutale, un romanzo da evitare se si amano i lieto fine, anche se, alla fine, tutto sommato un semi-lieto fine c'è.

Non ricordo le impressioni che mi fece quando lo lessi la prima volta (d'altra parte, se ho dimenticato di averlo letto, un motivo c'è), ma quest'ultima lettura non credo mi lascerà indifferente.

mercoledì 25 agosto 2021

Era il più tranquillo

Non ho mai amato particolarmente i Rolling Stones. Sì, ho un paio di cd, conosco i loro classici, ma niente di più. Però Charlie Watts mi è sempre piaciuto. Come personaggio, dico. Lui, di quella banda di masnadieri tutta droga, sesso e rock'n'roll era il più tranquillo, sul palco e fuori. Lui faceva il suo mestiere come un buon artigiano, senza eccessi e senza scalmanarsi. Un lavoro abbastanza sottotraccia ma importantissimo. Se vi è capitato di vedere qualche loro concerto su YouTube, o, se avete avuto la fortuna, dal vivo, vi sarete accorti che mentre sul palco succedeva il finimondo, lui se ne rimaneva tranquillo al suo posto, senza scomporsi più di tanto. Certo, era un batterista, ed è noto che i batteristi non possono correre di qua e di là per il palco, ma sono vincolati ai loro tamburi, a differenza del cantante, del chitarrista o del bassista, che col loro strumento a tracolla possono andare più o meno dove vogliono. 

Ma la "tranquillità" di Watts era testimoniata anche dal kit con cui suonava. Un kit minimale e sempre uguale: cassa, rullante, tom, timpano, charleston, crash e ride. I fondamentali. Stop. Laddove gran parte dei batteristi delle più blasonate rock band odierne e passate hanno quasi sempre sfoggiato batterie tipo Titanic, con talmente tanti pezzi che chi c'era dietro scompariva e veniva da chiedersi come facesse con le bacchette ad arrivare dappertutto. Watts era l'opposto: lui giganteggiava e la batteria, minimale, era lì al suo servizio. Probabilmente anche perché Watts veniva dal jazz, dove conta molto la sostanza e molto poco l'apparenza. Dava l'idea di uno che col rutilante e sfavillante mondo del rock, e tutto ciò che gli ruota attorno, non c'entrasse niente. Era sposato dal 1964 ed è rimasto a fedele a sua moglie fino alla morte, a riprova che, forse, con quel mondo lì non c'entrava effettivamente niente.

martedì 24 agosto 2021

La pietraia

Sono in fila fuori dell'ufficio postale. Dietro di me ci sono due signore che chiacchierano tra loro. La giornata è variabile, ci sono nuvole che vanno e vengono e a volte il cielo si oscura, poi si riapre, poi si oscura di nuovo e via così. Una delle due signore, tra una chiacchiera e l'altra, ipotizza che nel pomeriggio potrebbe piovere. L'altra signora replica: "No no, mio figlio oggi va in piscina, sarebbe un guaio se piovesse!"

Vado a memoria, ma credo che l'ultima pioggia degna di questo nome sia caduta da queste parti in giugno. Il Marecchia dall'inizio di agosto è praticamente una pietraia e si potrebbe percorrere a piedi fino al monte Fumaiolo, dove nasce. I campi qua attorno sono per gran parte bruciati, la terra spaccata e i girasoli nei campi non vengono neppure raccolti dai contadini perché la mancanza di acqua ha bruciato anche loro.

Credo che, senza voler generalizzare naturalmente, in generale uno dei più grossi problemi della società contemporanea sia quello di aver perso la capacità di vedere cosa succede fuori del nostro ombelico. Tutto ruota attorno a noi stessi, quel che succede oltre la nostra ombra non ci riguarda, o forse neppure lo sappiamo, il che è anche peggio.

Genialità

Diceva De André che il fenomeno della genialità consiste nel sapere prima di conoscere. Mi è venuto in mente questo suo pensiero dopo essermi imbattuto casualmente nell'esibizione di questa ragazza. Genialità che, qui, non sta tanto nella perfezione tecnica dell'esecuzione, che al limite è mera abilità, ma sta in tutto ciò che emana dalla maniera in cui la musicista interpreta l'opera. E non è una capacità, questa, che si apprende al conservatorio, ma si ha dentro di sé prima ancora di imparare a muovere le dita sui tasti.

domenica 22 agosto 2021

L'amico

Lo scorso weekend è tornato qua un amico che è via da vent'anni, forse anche di più, e che una volta abitava qui vicino a casa mia. Ogni tanto si fa vedere, poi se ne va di nuovo. Abbiamo trascorso tutta l'infanzia assieme ed eravamo legatissimi. Solo a scuola non siamo stati insieme perché lui ha un anno meno di me. Poi, una volta cresciuti, ognuno ha imboccato la propria strada e ci siamo persi di vista. 
 
Dopo le medie lui iniziò a lavorare facendo il piastrellista, mestiere che gli insegnò suo padre. Se ne andò presto, suo padre, ma ormai il mestiere il mio amico l'aveva imparato e cominciò a cavarsela da solo. All'età di vent'anni, più o meno, raccolse le sue cose e si trasferì a Dubai, negli Emirati Arabi, dove vive ancora oggi. All'epoca là era tutto in espansione, c'era una specie di boom economico che ricordava un po' quello dei nostri anni Sessanta. Non fu difficile per lui, che ha sempre avuto una certa intraprendenza, mettere a frutto il mestiere che gli aveva insegnato suo padre. Iniziò a lavorare sotto una ditta, poi, piano piano, riuscì a mettersi in proprio e a fare successo. 

Qualche anno fa, durante un viaggio di lavoro negli Stati Uniti, ha conosciuto una ragazza originaria della Nigeria che fa la hostess per una compagnia aerea degli Emirati Arabi. Si sono sposati e oggi hanno una bellissima bambina mulatta di cui non ricordo il nome. Ogni tanto questo mio amico, che praticamente vive sugli aerei tra gli Emirati Arabi e gli Stati Uniti, torna qua al paesello a trovare gli amici d'infanzia. Ma non spessissimo, a volte tra un suo ritorno e l'altro passano anche anni, e ogni volta ci racconta cosa fa, cosa succede dall'altra parte del mondo, nei posti dove vive e lavora. E io, che sono nato qui e ho trascorso tutta la vita senza quasi mai mettere il naso fuori dal mio paesello, non so mai cosa raccontargli.

sabato 21 agosto 2021

Perché il virus ci ama

Lo so, 50 minuti possono essere un'eternità nel rutilante e velocissimo mondo di oggi, dove la riflessione ponderata e il pensiero organizzato sono visti come fastidiosi e inutili inciampi, ostacoli sulla strada oggi imperante degli slogan, in stragrande maggioranza privi di ragionamento retrostante. Ma se riuscite, prendeteveli questi 50 minuti, garantisco io.

Telmo Pievani, filosofo, biologo ed evoluzionista, in questi 50 minuti spiega in maniera esaustiva, autorevole, chiara (sono riuscito a capire agevolmente pure io) e coinvolgente come e perché si è originata (non c'è nulla di casuale, siamo stati noi) e si è sviluppata la pandemia con cui ancora combattiamo, perché il SARS-CoV-2 ci ama così tanto e perché siamo così stupidi da non aver ancora cominciato a mettere in atto gli accorgimenti affinché quanto accaduto non si ripeta.

Approfitto di questo post per ringraziare pubblicamente Siu, mia affezionata lettrice, per avermi fatto conoscere Telmo Pievani. Sono in debito, Siu ;-)


venerdì 20 agosto 2021

La loggia P2

Quando si sente parlare di P2 la prima associazione che elabora il pensiero riguarda la personificazione del malaffare, ma anche del mistero, del complotto, della segretezza, dell'occulto. Qualcosa di sotterraneo, strisciante, il tutto ammantato di una valenza fortemente negativa. Era tutto questo la famosa/famigerata Propaganda 2 di Licio Gelli? Sì, e forse anche altro.

In un post non è naturalmente possibile descrivere tutto quello che è stata la P2, esaustivamente descritta nel libro che vedete qui sopra e che ho appena terminato di leggere. Sintetizzando, la P2 di Licio Gelli è stata una loggia massonica più o meno segreta, a seconda delle diverse risultanze sia processuali che parlamentari d'inchiesta, che ha lasciato il suo zampino nella stragrande maggioranza dei fatti di cronaca (stragi, attentati, tentati golpe, scalate finanziarie, operazioni di riciclaggio, depistaggi giudiziari, pressioni politiche ecc.) che si sono verificati nel nostro paese negli ultimi tre decenni. Dall'omicidio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, alla morte di Roberto Calvi, "discepolo" di Gelli e presidente del Banco Ambrosiano. Dalla strage di Piazza Fontana all'Italicus; dalla strage di Piazza della Loggia a quella della stazione di Bologna e altre. Il "retroterra culturale" in cui sono maturati questi fatti di sangue è quello della P2.

Scrive l'autore del libro: "All'azione stragista si è poi spesso accompagnata la tecnica golpista; la strategia della tensione è passata infatti anche attraverso l'organizzazione di strutture segrete, paramilitari, militari o semplicemente eversive che, anche godendo di buone coperture internazionali, si sono prodigate nell'organizzazione di autentici o simulati colpi di Stato, al fine di aumentare la percezione di insicurezza nella popolazione. La loggia P2 è stata considerata un'organizzazione di questo tipo, anche se peculiare, in quanto collettore volto al coordinamento di una variegata gamma di azioni eversive, dalla strage al golpe, fino al depistaggio."

Qui ci sarebbe un discorso da fare sulla cosiddetta "strategia della tensione", già citata sopra, una locuzione con la quale è stato contraddistinto il periodo storico che va dalla fine degli anni Sessanta fino alla strage della stazione di Bologna. Come nasce la strategia della tensione, anche detta "anni di piombo"? Scrive Dario Fiorentino: "Le radici storiche della strategia della tensione [...] sono da ricercare nella situazione geopolitica del secondo Dopoguerra: essa infatti si poneva nella logica di lotta al comunismo nel mondo diviso in due blocchi. La situazione italiana, in particolare, è assai delicata, essendo il Paese esattamente al centro del planisfero, confinante con nazioni del blocco sovietico come la Jugoslavia e 'ospitando' quella che è considerata come la più grande anomalia politica del blocco NATO: la presenza del più forte e strutturato Partito Comunista d'Occidente. Dunque, il fine della strategia della tensione era soprattutto quello della guerra psicologica; imprimere il più possibile nella popolazione 'l'eco del boato' [...]. Poco importava l'obiettivo dell'atto terroristico o il numero di vittime, spesso casuali, mietute tra cittadini innocenti; ciò che contava era produrre un'onda d'urto mediatica ed emozionale che, manipolata ad arte, facesse ricadere la responsabilità di questi apparati deviati o delle organizzazioni segrete sugli anarchici prima e sulla sinistra in seguito. Era compito poi di una stampa ben addomesticata 'bombardare' l'opinione pubblica di false notizie per fare in modo che il PCI non uscisse mai vincitore dalle urne, lasciando dormienti certe organizzazioni che [...] avevano il compito di attivarsi in maniera militare nel caso in cui un'eventualità del genere si fosse concretizzata."

Cioè, se non fosse chiaro, la P2 era un'organizzazione che si inseriva nel ramificato sottobosco di movimenti di matrice neofascista che negli anni della strategia della tensione agivano col preciso scopo di evitare che in Italia si verificasse l'infausta ascesa al potere del Partito comunista, e si era pronti perfino a reagire militarmente in caso si fosse concretizzata questa eventualità. La destabilizzazione che si cercava di attuare ricorrendo ad attentati, stragi, golpe veri o simulati, era in realtà, quindi, una operazione di stabilizzazione: destabilizzare per stabilizzare, era il "motto" che caratterizzava le azioni eversive. La "minaccia" comunista era infatti considerata, a livello governativo, totalmente incompatibile coi sistemi politici d'Occidente che aderivano al Patto Atlantico. "Risiede in queste considerazioni la principale chiave di lettura degli avvenimenti della strategia della tensione che a lungo hanno insanguinato l'Italia; nello Stato italiano, la limitazione della sovranità prevista dagli accordi internazionali del Dopoguerra era accentuata inoltre da due ulteriori fattori: in primo luogo l'Italia era un Paese che era uscito sconfitto dal secondo conflitto mondiale e, in secondo luogo, contava la presenza - inquietante agli occhi del governo americano - del principale partito comunista d'occidente. In virtù di ciò, lo Stato italiano si è trovato lungo quasi tutto il periodo della guerrra fredda a dover accettare la stabile supervisione statunitense, la quale si è spesso concretizzata in reiterate interferenze volte ad assicurare il rispetto degli impegni internazionali."

C'è da aggiungere che in tutto il periodo preso in esame furono numerose le operazioni svolte sotto copertura da parte di organizzazioni americane, tra cui l'immancabile CIA, volte ad assicurare che il "pericolo comunista" non andasse al potere. E altrettanto numerosi e cospicui furono i finanziamenti elargiti ai partiti di governo impegnati a respingere le forze comuniste. In Italia fu, notoriamente, il caso della Democrazia Cristiana, che tra il 1948 e il 1968 ricevette ingentissimi versamenti per organizzare le proprie attività politiche. Questa pratica, però, non incontrava favori unanimi, e uno dei suoi detrattori di maggiore spicco fu Aldo Moro, il quale, nel periodo in cui si trovò sotto sequestro, negli appunti stesi durante la sua detenzione scrisse: "Francamente bisogna dire che non è questo un bel modo, un modo dignitoso, di armonizzare le proprie politiche. Perché quando ciò, per una qualche ragione è bene che avvenga, deve avvenire in libertà, per autentica convinzione, al di fuori di ogni condizionamento. E invece qui si ha un brutale do ut des. Ti do questo denaro perché faccia questa politica. E questo, anche se è accaduto, è vergognoso e inammissibile."

Questo descritto sopra è l'"ambiente" in cui si inserisce l'operare della P2, anche se l'organizzazione di Gelli aveva, oltre a questi, obiettivi meno idealisti e più... terreni, tanto che Indro Montanelli scrisse che considerava la P2 "un gruppo di potere e di quattrini, cioè di potere fondato sui quattrini e quattrini fondati sul potere."

La P2 è stata oggetto di numerose inchieste giudiziarie e di tre commissioni d'inchiesta parlamentari, per non parlare del suo fondatore, il "venerabile" Licio Gelli, inquisito innumerevoli volte e accusato di ogni tipo di reato, in particolare reati finanziari e legati all'eversione. Subirà in più o meno egual misura proscioglimenti e condanne. Anche i risultati delle due inchieste sulla P2 hanno portato a risultati differenti. Per la commissione parlamentare d'inchiesta guidata da Tina Anselmi la P2 era una associazione segreta di stampo eversivo che cospirava contro lo Stato. La magistratura, invece, con sentenza passata in giudicato, dopo cinque anni di processo ha certificato  l'insussistenza del carattere di segretezza proprio dell'organizzazione e fatto cadere l'accusa di cospirazione contro lo Stato, non ravvisando elementi sufficienti a confermare questo tipo di accusa.

Sia come sia, negli anni della strategia della tensione la P2 di Licio Gelli è stata senza alcuna ombra di dubbio l'organizzazione che maggiormente ha influito sul corso degli eventi tragici che hanno funestato quel periodo, e questo, indipendentemente dalle risultanze processuali, è sufficiente per inserirla a pieno titolo nel novero delle peggiori eminenze nere prodotte dalla storia in quegli anni.

giovedì 19 agosto 2021

Pizza in due

Stasera si era programmato di cenare tutti e quattro assieme. Ormai le figlie vivono vita a parte (una abita da tempo anche già da sola) e le occasioni per trovarsi tutti e quattro a pranzo o a cena sono rarissime. Stasera sembrava fosse la volta buona. Poi, a Francesca è saltato fuori un impegno all'ultimo momento e a Michela idem. Conclusione: io e mia moglie andremo a mangiarci una pizza da qualche parte da soli. Peccato.
Nonostante il tempo passi, è ancora abbastanza difficile abituarsi al fatto che ormai hanno preso il volo.

martedì 17 agosto 2021

Angela Merkel

Ho sempre pensato che le prime qualità di un buon politico (ma anche di qualsiasi persona "normale") siano onestà morale e intellettuale, caratteristiche che si traducono per esempio nella capacità di riconoscere gli errori commessi e di scusarsi. È questo il motivo per cui ho sempre ammirato Angela Merkel. Certo, spesso non ho condiviso sue posizioni o decisioni, credo sia normale, ma le ho sempre riconosciuto una statura politica fuori del comune, e ho sempre invidiato i tedeschi perché loro ce l'avevano e noi no. Le cose che ha detto ieri a proposito della tragedia dell'Afghanistan - è stata l'unico leader dell'intero Occidente a riconoscere di aver sbagliato, prendersene personalmente la responsabilità e chiedere scusa - non fanno che corroborare l'altissima opinione che ho sempre avuto di lei.

Eutanasia, si fa vivo il Vaticano

Da quando è partita la campagna di Marco Cappato e dei Radicali per raccogliere le firme per il referendum sull'eutanasia, alla quale ho apposto con gioia la mia firma, non avevo ancora letto nessuna uscita o dichiarazione proveniente dalle parti di oltre Tevere. La faccenda mi suonava strana - quando il Vaticano tace su argomenti sensibili c'è sempre sotto qualcosa - ma questo era. Non appena raggiunto l'obiettivo, proprio in questi giorni, delle 500.000 firme raccolte, obiettivo che adesso sale fino a 750.000, così, per stare dalla parte del sicuro, ecco che il Vaticano ha rotto il silenzio. 

A rompere questo strano ma ben motivato silenzio (non parlarne = minore pubblicità alla cosa = maggiore speranza di non raggiungimento delle 500.000 firme), è stato monsignor Paglia, incaricato dalle alte gerarchie di sparare ad alzo zero. 

Gli argomenti, a dire il vero, non sono neppure particolarmente originali, ma grosso modo girano attorno alle stesse paranoie con cui da anni più o meno eminenti porporati amano deliziare il pubblico. L'incipit è comunque interessante. "Non si può affrontare un tema così ampio e complesso con una firma", tuona monsignor Paglia. Certo, dipendesse da loro non si affronterebbe per niente, e potrebbe tranquillamente restare nei cassetti della commissioni parlamentari per altri 37 anni. E comunque nel corso degli ultimi tre decenni di eutanasia si è sempre parlato in conferenze, dibattiti, tavole rotonde, incontri, parlamento, ma magari in Vaticano si era un po' distratti. Forse è anche per questo che ci si è decisi a percorrere la via referendaria: per non farci troppo distanziare dal resto del mondo, che nel frattempo avanza mentre noi chiacchieriamo.

Poi, immancabile, la mai sopita tentazione di tirare in ballo lo spauracchio dell'eugenetica (ah, quel cattivone di Hitler!). "C'è la tentazione di una nuova forma di eugenetica: chi non nasce sano non deve nascere." A parte il fatto che la nascita in questo caso non c'entra assolutamente niente, dal momento che si sta parlando di una forma di regolamentazione del fine vita, ci sarebbe da far presente al monsignore che il fatto che due termini abbiano lo stesso prefisso non significa che hanno anche lo stesso significato. Eutanasia ed eugenetica sono due parole diverse con cui si designano due concetti diversi, e tentare strumentalmente di equipararle dal punto di vista semantico, non rende molto onore all'onestà intellettuale. 

Comunque sia, le firme necessarie sono state raccolte, si continua ancora a raccoglierne e ci sono quindi buone possibilità che il referendum si faccia e che si concluda con l'esito sperato dai promotori e da tutti quelli che hanno aderito. Sono ottimista.

lunedì 16 agosto 2021

Il fallimento della guerra in Afghanistan

C'è un dato incontrovertibile che riguarda la guerra in Afghanistan: è stata un fallimento. Ma non un fallimento generato, come impressione, dal terribile epilogo che i media di tutto il mondo stanno diffondendo in queste ore, dove si vedono persone che per scappare dal paese rincorrono a piedi gli aerei che decollano dall'aereoporto di Kabul. È stata un fallimento su tutta la linea per tutta la sua durata, a partire dal 2001, quando iniziò come ritorsione americana agli attentati dell'11 settembre.

Ma ciò che più impressiona, è che tutti, tranne il popolo americano o comunque gran parte di esso, sapevano che era una guerra persa fin dall'inizio. L'ha svelato, nel 2019, un'inchiesta del Washington Post il quale, dopo tre anni di battaglie legali, è riuscito a entrare in possesso di dichiarazioni, rapporti, interviste confidenziali che gli alti ufficiali dell'esercito americano inviano ai comandi generali. Documenti in cui gli ufficiali stessi ammettevano di non sapere che tipo di guerra si stava combattendo, perché si era lì, quali erano gli obiettivi, se si combatteva per dare forma a un nuovo paese, o magari per i diritti delle donne o per chissà quale altro motivo. 

Venivano falsati i rapporti sulle operazioni militari (gli insuccessi diventavano vittorie), i numeri, e tutto per dipingere un quadro totalmente difforme dalla realtà, per dare all'opinione pubblica americana l'immagine vittoriosa di un conflitto che si è rivelato essere una débâcle fin dal suo esordio e che in vent'anni è costato alle casse americane 23 miliardi di dollari e quasi tremila soldati uccisi, senza contare le decine di migliaia di vittime e centinaia di migliaia di feriti tra gli afghani. E ciò che più stupisce è che tutte le amministrazioni che si sono succedute dal 2001 a oggi (Bush, Obama, Trump) sapevano come stavano realmente le cose.

I talebani che hanno ripreso in mano il paese e il potere non hanno vinto oggi, avevano già vinto vent'anni fa.

domenica 15 agosto 2021

Ferragosto

Quando ero bambino, nel giorno di Ferragosto mia madre non voleva che andassi al mare a fare il bagno. Era proibito. Io imploravo: "Ma almeno in spiaggia, senza entrare in acqua!" Niente da fare: era irremovibile. Questo suo diktat nasceva dalla convinzione che nel giorno di Ferragosto fare il bagno al mare portasse sfortuna.
"Il giorno di Ferragosto succede sempre qualcosa di brutto, al mare," ripeteva, "c'è sempre qualcuno che affoga. Quindi, oggi niente mare."

Non ho mai capito bene da cosa originasse questa sua convinzione, per me ancora più irritante del divieto di entrare in acqua prima delle quattro del pomeriggio per timore delle congestioni. Ma così era, e io, da bravo bambino ubbidiente, mi adeguavo senza fare tante storie, anche perché non sarebbe servito a niente. Credo che questa sua convinzione fosse un lascito di mia nonna materna, ma non ho mai indagato, né ormai mi interessa farlo.

Ovviamente la credenza non aveva alcun senso, anche perché qua, nella bolgia estiva della costa romagnola, qualcuno affoga sempre tutti i giorni, e anche allora era così, ma io non lo sapevo.

Da bambino amavo il mare, volevo sempre stare in spiaggia e in acqua, e durante l'estate avevo la fortuna di poterci andare ogni giorno perché i miei genitori, all'epoca, gestivano una piccola pensione a conduzione familiare in quel di Viserbella, a due passi dalla spiaggia. 

Oggi il mare lo amo solo in inverno, quando non c'è nessuno, e, nei mesi in cui appunto è completamente deserto, ogni tanto prendo la bicicletta e arrivo fino a Torre Pedrera per andare a passeggiare sulla spiaggia. Camminare sulla spiaggia deserta, abbandonata, popolata solo dallo stridore dei gabbiani, è quanto di più bello ci sia.

Buon Ferragosto a chi passerà di qui.

sabato 14 agosto 2021

Ruggeri e il Green pass

Ci sono certe canzoni di Enrico Ruggeri che, a mio avviso, sono dei piccoli capolavori di musica e poesia. Penso ad esempio a Il mare d'inverno, Polvere, Quello che le donne non dicono, Il portiere di notte, Peter Pan, e ne potrei citare tante altre. Tendenzialmente, ho sempre collegato la creatività artistica all'intelligenza. Sono sempre stato convinto, cioè, che la capacità di creare arte, sia essa musica, poesia, pittura, cinema, letteratura, fosse indissolubilmente legata alla capacità di elaborare concetti sensati. La pandemia in corso ha avuto il merito (merito?) di farmi realizzare che, spesso, questo connubio non esiste, o comunque è tutt'altro che automatico: si possono scrivere canzoni bellissime e nel contempo dare l'impressione di elaborare concetti che non brillano per intelligenza. 

Non mi riferisco in particolare all'iniziativa del cantautore che consente di evitare di esibire il Green pass a un suo concerto semplicemente facendo un tampone, che tra l'altro è paradossalmente uno dei requisiti per ottenerlo, quanto alla lunga serie di sue dichiarazioni precedenti che, in maniera più o meno velata, hanno nell'ultimo anno strizzato l'occhio a chi delira di dittatura sanitaria et similia. Un po' come un Salvini o una Meloni qualsiasi, per intenderci, con la differenza che questi ultimi non hanno mai concepito nulla che possa essere etichettato come arte (non che da loro ce lo si aspetti, intendiamoci). Insomma, Ruggeri mi si è abbastanza ridimensionato. Peccato.

venerdì 13 agosto 2021

Il rivoluzionario

Difficile scrivere qualcosa su Gino Strada senza cadere nella retorica un po' melensa degli osanna, ma d'altra parte è inevitabile che sia così, perché se c'è qualcuno che di osanna ne ha meritati davvero è stato lui. Mi piace pensare a lui come a un rivoluzionario. Non nel senso oggi fin troppo abusato del termine, ma nel suo senso più vero e primigenio, che indica chi ancora le rivoluzioni le fa. 

La sua rivoluzione è stata quella, solo in apparenza semplice, di avere alzato il culo dalla sedia e essere andato a sporcarsi le mani col sangue degli ultimi della terra. Essere andato in mezzo alle guerre a salvare quelle persone che oggi, qui, vengono considerate alla meno peggio nemici, senza fare distinzioni tra carnefici e vittime. Tutto qua, non c'è molto altro da aggiungere (o forse ce ne sarebbe fin troppo). In un mondo che si divide tra tantissimi che parlano tanto e pochissimi che fanno, oggi se n'è andato uno di quei pochissimi.

giovedì 12 agosto 2021

Spettacoli umani

C'è mezza Italia che sta bruciando e la gente scende in piazza contro i vaccini. Non ho ancora visto nessuno scendere in piazza contro i piromani, oppure organizzare manifestazioni per sensibilizzare opinione pubblica e governanti sul gravissimo problema dell'impatto delle attività umane sui cambiamenti climatici. Chi ha provato a fare sentire la propria voce su queste tematiche - penso a Greta Thunberg ma anche ad altri - è stato sonoramente spernacchiato e fatto oggetto di dileggio. 

Il mondo sta bruciando, letteralmente; gli scienziati avvertono da tempo che siamo vicini al punto di non ritorno e ancora dobbiamo leggere gli articoli negazionisti de Il Foglio e del giornalame di destra. C'è una pandemia che da un anno e mezzo sta tenendo sotto scacco il mondo e di cui si fatica a vedere la luce in fondo al tunnel; si trova un vaccino che, come tutti i vaccini e i farmaci in generale, non garantisce l'immunità ma permette ove massicciamente usato di tenere lontana la malattia, di arginarla, di potere vivere normalmente, e la gente scende in piazza perché non lo vuole. Strillano alla dittatura sanitaria, questi poveretti, e non posso fare a meno di pensare che se arrivasse davvero una dittatura sarebbero i primi ad accordarsi al dittatore di turno e a ossequiarlo.

Quando ragiono su come sta andando il mondo, mi viene sempre in mente Bukowski, quando diceva che l'umanità è il più grande spettacolo del mondo e per vederla non si paga neppure il biglietto.

mercoledì 11 agosto 2021

Non sono due magistrati

Quello che il sottosegretario leghista Durigon non ha capito è che Falcone e Borsellino non sono due magistrati tra i tanti, sono i magistrati per antonomasia. Toccare loro è come sparare sulla Croce Rossa o come toccare la nazionale di calcio. Sono un valore identitario della nazione attorno a cui tutti, destra e sinistra, si stringono e che tutti riconoscono come tale. Neppure Salvini osa toccarli. Magari dileggia il 25 aprile, come fa regolarmente ogni anno, ma Falcone e Borsellino non oserà mai toccarli. Non perché gli importi qualcosa dei due magistrati uccisi dalla mafia - figuriamoci! - ma perché sa che il suo elettorato non glielo perdonerebbe. 

Ora, capisco che Durigon faccia parte di uno schieramento politico che in generale non ha mai brillato per acume e perspicacia, e nemmeno per basilari conoscenze delle meccaniche che stanno alla base del sentire collettivo, ma era francamente difficile immaginare che nel suo caso potessero arrivare a tali bassi livelli.

martedì 10 agosto 2021

Bologna di sera

C'è una vecchia canzone di Luca Carboni - credo si chiami "Silvia lo sai" - che a un certo punto dice: "Che profumo Bologna di sera, le sere di maggio..." Ogni volta che la ascolto, questa frase mi fa pensare. Chissà di cosa profuma Bologna nelle sere di maggio? Luca (il protagonista tossicodipendente della canzone) sente veramente questo particolare profumo o è solo un'invenzione poetica, magari messa lì per esigenze di rima o di metrica? Chi lo sa. Però mi piace questa associazione, ed in parte è vero che le città, o certe zone di esse, hanno spesso particolari profumi, particolari odori, peculiari sensazioni olfattive tipiche di certe zone, certi quartieri.

Qui, però, sembra più una sensazione olfattiva slegata da particolari posti e legata più al periodo, il mese di maggio, la sera. Quindi è probabile che tutta Bologna, non solo certe sue zone, nelle sere di primavera emani particolari profumi. Forse Luca ama molto Bologna, e il profumo che avverte è un richiamo di questo affetto. Mi viene in mente una canzone di Eugenio Finardi (il titolo non lo ricordo) che a un certo punto recita: "Perché l'amore non è nel cuore, ma è riconoscersi dall'odore." Non c'entra niente, ovviamente, è solo uno dei tanti collegamenti estemporanei che la mia memoria ogni tanto si diverte a fare. È comunque indubbio che gli odori hanno una potente capacità di riportare alla mente luoghi, persone, sensazioni.

Ma un'altra frase, sempre in questa canzone, cattura il mio pensiero ogni volta che la ascolto: "I professori non chiedevano mai se eravamo felici." È vero, i professori non chiedono mai ai loro studenti se sono felici. Neppure a me lo hanno mai chiesto, quando andavo a scuola. Ma ciò che mi chiedo è se i professori debbano domandare ai propri studenti se sono felici. Forse no. Magari non è loro compito. La trasmissione di un sapere è il loro compito, non indagini che coinvolgono i sentimenti degli studenti. Forse è la famiglia, piuttosto che la scuola, che si dovrebbe fare carico di chiedere ai figli se sono felici, invece di limitarsi a chiedere loro se hanno preso su la merenda e a che ora sono rientrati la sera prima. E il fatto che Luca lamenti questa carenza da parte dei professori, sta lì a significare che neppure a casa c'è qualcuno che glielo domanda, anche perché se così fosse, chi se ne frega dei professori?

A volte è sorprendente quanti pensieri e riflessioni possono scaturire dall'ascolto di certe canzoni, ma anche dalla lettura di poesie, libri, articoli di giornale.

sabato 7 agosto 2021

La macchina da scrivere e io

Enrico, il protagonista de Il bordo vertiginoso delle cose, di Gianrico Carofiglio, che sto leggendo in questi giorni, riceve come regalo di compleanno una macchina da scrivere. La riceve, finalmente, dopo averla reiteratamente chiesta come regalo, vincendo la ritrosia dei genitori, che avrebbero preferito regalargli altro, magari una bicicletta, o comunque un regalo che ritenevano più "utile" o adatto per un ragazzino. L'episodio narrato da Carofiglio nel suo libro mi ha fatto tornare in mente i miei approcci fanciulleschi con la macchina da scrivere. 

Quand'ero bambino - i fatti in questione credo risalgano all'epoca delle elementari - capitava spesso che mia madre andasse a trovare una sua amica che abitava (ci abita ancora) in una casa sulle colline qui dietro a casa mia, a due passi da Palazzo Marcosanti. Io e mio fratello la accompagnavamo, naturalmente, e andavamo con piacere perché i due figli dell'amica di mia madre, Caterina e Matteo, più o meno nostri coetanei, avevano una stanza piena di giochi paragonabile alla grotta di Alì Babà (qui Galimberti avrebbe parecchio da rididre, ma lasciamo stare), e mentre le nostre madri chiacchieravano allegramente tra loro, noi quattro ci fiondavamo in questa specie di santuario dei ludi dove c'era di tutto: trenini elettrici, il meccano, casette per le bambole, il tavolo da ping pong, le costruzioni Lego, il Risiko, giochi di società di ogni tipo, il piccolo chimico; addirittura, se non ricordo male, la casa di Ken e della Barbie. Non che a casa mia e di mio fratello mancassero i giochi, intendiamoci, ma qui era veramente un altro pianeta.

Ma il gioco che a me interessava realmente era solo uno: una macchina da scrivere. Era una macchina da scrivere giocattolo, naturalmente, ma funzionante, che simulava perfettamente quelle reali. Bastava infilarci un foglio bianco e si poteva scrivere. Ecco, io volevo andare da Matteo e Caterina solo perché sapevo che avrei giocato con la macchina da scrivere, e ogni volta che noi bambini entravamo nella grotta di Alì Babà chiedevo subito dove fosse. Come ho detto, era il periodo delle elementari, quindi non è che vergassi poemi o romanzi (non li vergo neppure adesso), ma semplicissime frasi sconclusionate che inventavo lì per lì. A differenza degli altri tre, che ritenevano la macchina da scrivere uno dei giochi più noiosi della grotta, a me piaceva un sacco, e per buona parte del tempo me ne stavo un po' in disparte nel mio piccolo mondo fatto di parole sconclusionate scritte pigiando con le dita sui tasti della macchina. 

Ripensandoci oggi, dopo più di quarant'anni, rivedo in quel mio atteggiamento di allora, un po' fuori dagli schemi, forse abbastanza anomalo per gli standard di un bambino, i prodromi di quelli che sarebbero stati, nel bene e nel male, i tratti peculiari del mio carattere da adulto, un carattere sostanzialmente abbastanza "orso", schivo, amante della solitudine, del silenzio, della calma e della tranquillità, dei libri oceanici, della scrittura intesa come sublimazione, di una passeggiata solitaria in collina piuttosto che della bolgia dantesca di una spiaggia in estate. 

Sì, probabilmente allora c'era già in nuce tutto questo, forse ero già un piccolo blogger, e Carofiglio mi ci ha fatto pensare.

Cappuccino e cornetto (senza green pass)

Stamattina sono andato con mia moglie a fare colazione in un bar, qui sulla Santarcangiolese, prima che lei andasse al lavoro. Era abbastanza presto e il locale praticamente deserto. Su ogni tavolino del bar era appiccicato un piccolo tagliandino con su scritto: "A chi si siede verrà chiesto di mostrare il green pass." 
Ci siamo seduti (abbiamo entrambi il green pass sul cellulare). È arrivata la barista, ha preso l'ordinazione e se n'è andata. Poi è tornata, portando ciò che avevamo ordinato. Abbiamo consumato la colazione, io ho dato un'occhiata veloce al giornale, poi ci siamo diretti al banco per pagare e ce ne siamo andati, coi nostri green pass sui cellulari pronti per nuove, mirabolanti avventure.

venerdì 6 agosto 2021

In centro

Ore 5:30, attraverso in bicicletta il centro di Santarcangelo per andare al lavoro. Fuori da una tabaccheria c'è un distributore automatico di qualcosa, forse profilattici, forse sigarette, non ci ho fatto bene caso. Da questo distributore automatico di qualcosa una voce registrata ripete incessantemente qualcosa, rivolgendosi a nessuno, perché la strada è deserta. Istintivamente ho pensato che quella macchinetta che parla a nessuno è la rappresentazione perfetta della nostra società: tutti parlano ripetendo in loop le stesse cose e nessuno ascolta, in un irrimediabile e distopico cicaleccio di voci indirizzato al vuoto. 
Quei pensieri un po' assurdi e quelle associazioni un po' sconclusionate  che elaboro la mattina presto.

mercoledì 4 agosto 2021

Da Molfetta a Napoli e ritorno

Qualche giorno fa Riccardo Muti, forse nel mondo il maggiore direttore d'orchestra vivente, ha festeggiato ottant'anni. Per l'occasione, il Corriere della Sera ha ripubblicato una sua autobiografia, uscita per la prima volta l'anno scorso. Si chiama Prima la musica, poi le parole e la sto leggendo in questi giorni. È interessantissima e gustosissima e tra gli innumerevoli aneddoti che racconta c'è quello relativo al suo luogo di nascita. Lo cito pari pari. Scrive Riccardo Muti:

"Sono nato a Napoli, nonostante mio padre Domenico fosse medico in Puglia, perché mia madre andava assai orgogliosa della sua città e decise, tutte le volte che noi cinque fratelli stavamo per nascere, di prendere il treno, andar lì, partorire e solo quando avevamo qualche giorno riportarci a Molfetta. Appena noi figli raggiungemmo l'età della ragione la trovammo tutti una decisione curiosa: come mai si sottoponeva a un viaggio che, almeno nel mio caso trattandosi del secondo anno di guerra [1941], era lungo, faticoso, e persino pericoloso? Glielo domandammo e lei rispose - senza sapere che almeno uno di noi avrebbe fatto una vita da giramondo in gran parte fuori dai confini d'Italia - con una frase cui allora non facemmo caso ma che adesso non può non apparirmi profetica: 'Se un giorno andrete in giro per il mondo e finirete, che so io, in America, quando vi chiederanno dove siete nati e risponderete A Napoli vi rispetteranno'; pronunciò il verbo aggiungendo alla s una c come sanno fare solo i napoletani. 'Se invece diceste A Molfetta, dovreste perdere un po' di tempo a spiegare dov'è."

Muti, nel prosieguo del racconto, si premura naturalmente di precisare che sua madre non aveva mai avuto alcuna intenzione, con le sue scelte, di recare offesa ai molfettani, ed elogia anzi quella terra menzionando il lungo elenco di personaggi di cultura e di arte ai quali Molfetta ha dato i natali, tra cui Gaetano Salvemini. Riccardo Muti vivrà a Molfetta fino a sedici anni, per poi trasferirsi a Napoli per motivi di studio e poi a Milano, dove prenderà il via la sua straordinaria e ancora incomparata carriera.

martedì 3 agosto 2021

Complotti

L'uomo, o gran parte degli uomini, per sua natura ha la tendenza a cadere in quella che si chiama sindrome del complotto. Certo, i complotti reali esistono, sono sempre esistiti (da quello per uccidere Giulio Cesare a quelli attuali per tentare le scalate a qualche istituzione finanziaria: la storia ne è piena), ma sono infinitamente di più quelli immaginari, e qui si apre un mondo: dal complotto ordito dai Templari che avrebbe dato inizio alla Rivoluzione francese all'affondamento del Titanic ad opera dei Gesuiti; dalla cospirazione ordita dalla Cia per uccidere Kennedy a quello delle scie chimiche; dal falso allunaggio degli americani alle Torri gemelle, che sarebbero state buttate giù da Bush, e non da Bin Laden, per avere il pretesto per invadere l'Iraq e via dicendo. Per restare allo stretto presente, si può citare la teoria del complotto relativo alla pandemia in corso nel mondo, teoria che vuole che il covid 19 sia stato artatamente messo in circolazione non si sa bene da chi per permettere a BigPharma di guadagnare coi vaccini e chi più ne ha, più ne metta.

Come si distingue un complotto reale da uno immaginario? Semplice: il complotto reale, sia che abbia successo o che fallisca, viene scoperto subito, mentre i complotti immaginari attraversano i secoli. Sulla sindrome del complotto esiste una letteratura sterminata. Umberto Eco, nella sua bellissima lectio magistralis di qualche anno fa, intitolata Conclusioni sul complotto. Da Popper a Dan Brown, che ripubblico qui sotto, prende in esame la sindrome del complotto elencando e descrivendo, in una esaustiva rassegna, alcuni di quelli storicamente più noti. Eco si sofferma anche sull'aspetto psicologico della sindrome del complotto. Perché le bufale che stanno dietro alla stragrande maggioranza delle false cospirazioni hanno tanto successo? In primo luogo perché il complotto promette un sapere che è negato agli altri, cosa questa che contribuisce all'aumento della misura del proprio io, in più fa leva sull'aspetto paranoico più o meno latente nel carattere di ognuno. Diciamo che paranoia e sindrome del complotto sono intimamente legati tra loro, e più si è paranoici, più si è indotti a vedere cospirazioni e complotti in ogni dove. Molto interessante, restando alla psicologia, la distinzione tra il paranoico psichiatrico, che sostanzialmente è colui che crede che il mondo intero complotti contro di lui, e il paranoico sociale, il quale invece crede che la persecuzione da parte di particolari poteri occulti sia rivolta al proprio gruppo, alla propria nazione, alla propria religione ecc. 

I complotti piacciono, affascinano, la gente tende istintivamente a dare ad essi credito. Questa cosa l'aveva capita benissimo Silvio Berlusconi (cito lui perché è stato forse il politico che più ossessivamente e con maggiore profitto ha utilizzato questo strumento per il suo tornaconto politico). Pensate ai milioni di suoi seguaci che hanno creduto, e probabilmente credono tuttora, all'inesistente complotto dei magistrati comunisti che per anni avrebbero cospirato contro di lui per eliminarlo dalla vita politica (mi risulta che attualmente sia ancora in politica e per di più a piede libero, quindi o i magistrati cospiratori erano degli incapaci o forse non c'era alcun complotto). Oppure, per tornare a tempi più recenti, pensate al complotto della sostituzione etnica, il famoso Piano Kalergi, a cui naturalmente ha dato ampiamente credito anche Salvini e molto caro all'estrema destra, secondo cui dietro il fenomeno dell'immigrazione ci sarebbe un complotto delle élite europee per sostituire la popolazione autoctona con quella africana. Tra l'altro, questi poveretti non si rendono conto che la mutazione di cui parlano sta avvenendo già da qualche lustro sotto i loro occhi, senza bisogno di alcun complotto ma come conseguenza di un ineluttabile processo storico, ma loro come pretendete che lo capiscano?


lunedì 2 agosto 2021

Le parole del papa


A un certo punto di questo libro, Alessandro Barbero scrive: "Se solo i papi del XX secolo avessero usato queste parole contro Mussolini e Hitler! Sarebbe cambiata la storia del mondo. Ma il linguaggio della Chiesa, a quell'epoca, non era più lo stesso, e le parole che riuscivano così naturali ai papi del Medioevo non potevano più essere pronunciate, anche se venivano direttamente dalla Bibbia." A quali parole si riferisce Barbero? 

Siamo attorno all'anno Mille, XI secolo. È il momento in cui la Chiesa comincia a respingere la subordinazione al potere politico che aveva contraddistinto tutto il primo millennio della sua storia e a rivendicare non solo la sua autorità suprema sui tutti i vescovi del mondo, ma anche la sua supremazia sui titolari del potere politico, all'epoca rappresentato dagli imperatori e dai re. Chiesa che si muoveva forte di questa nuova persuasione che Dio avesse conferito a papi e vescovi l'autorità suprema sul mondo e che re e imperatori dovessero quindi sottostare agli ordini di Roma - quella che è passata alla storia come Lotta delle investiture, che più o meno tutti abbiamo studiato a scuola, affonda le sue radici in questo contesto storico.

Le parole a cui fa riferimento Barbero sono tratte da una lettera pubblica che papa Gregorio IX (siamo nel 1239) vergò indirizzandola a Federico II di Svevia, all'epoca uno dei più implacabili avversari dell'egemonia papale. Lettera che inizia così: "È salita dal mare una bestia piena di parole di bestemmia: infierisce coi piedi dell'orso e la bocca del leone, ha le altre membra come il leopardo e apre la bocca per bestemmiare il nome di Dio." La bestia a cui fa riferimento Gregorio IX è quella famosa citata nell'Apocalisse (Apoc. 12.1) e il destinatario di questo epiteto è appunto Federico II, all'epoca imperatore del Sacro Romano Impero. Ma il breve estratto citato sopra non è che l'incipit dello scritto papale, il quale prosegue con toni se possibile ancora più duri. Questi: "Smettete di stupirvi, tutti voi a cui giungono parole di bestemmia rivolte da questa bestia contro di noi, se noi, assoggettati al servizio di Dio, siamo bersaglio dei dardi della calunnia, perché neppure il Signore rimane indenne da quest'obbrobrio. Smettete di stupirvi, se sfodera contro di noi la spada delle ingiurie colui che aspira a cancellare dal mondo il nome del Signore. Ma piuttosto, affinché possiate resistere alle sue menzogne proclamando la verità e confutare i suoi inganni con mente pura, osservate bene la testa, il corpo e la coda di questa bestia, Federico cosiddetto imperatore..., fabbricante di falsità, che non sa cosa sia la modestia e ignora il pudore, si fa beffe della verità e mente senza arrossire..."

Ora, immaginate un Giovanni Paolo II o un Benedetto XVI o un Francesco che indirizzino una lettera del genere a un capo di stato di oggi. La cosa fa sorridere, a pensarci, ma sottolinea la pertinenza del pensiero di Barbero relativamente al fatto che se invece che a Federico II uno scritto di tale durezza fosse stato inviato a Hitler, magari le cose sarebbero andate diversamente. Purtroppo non è successo, e la Chiesa, come è noto, non solo non ha tuonato con veemenza contro Hitler o Mussolini, ma con quest'ultimo ci ha fatto pure un Concordato, di cui oggi portiamo ancora il peso (per amore di cronaca va detto che la Chiesa, oltre che con Mussolini, ha fatto concordati con Hitler in Germania, Salazar in Portogallo, Franco in Spagna, praticamente con tutti i peggiori sulla piazza). 

Naturalmente, col passare dei secoli, il linguaggio e i toni usati dai papi nei loro discorsi, epistole ed encicliche si è progressivamente ammorbidito, si è fatto più diplomatico e meno arrogante mano a mano che la Chiesa perdeva potere, autorità e prestigio nei confronti del mondo che avanzava e progrediva verso la modernità. Oggi, fortunatamente o sfortunatamente, a seconda dei casi, di quell'antica violenza verbale non è rimasto più niente. Ma il libro di Barbero non è tanto un saggio sui contenuti, quanto sul tipo di linguaggio con cui questi contenuti sono stati nel tempo veicolati, e lo fa prendendo in esame quindici encicliche dall'anno Mille a oggi. Io l'ho trovato interessantissimo ed istruttivo. E poi l'ha scritto Alessandro Barbero, ed è tutto valore aggiunto.

A quell'età lì

Quel giorno avevo dieci anni. Ricordo mio padre e mio nonno Gino, seduto su una sedia con le mani appoggiate al bastone per camminare, che guardavano insistentemente la televisione, ancora in bianco e nero, che stava nella sala. Intuivo che era successo qualcosa di grave, ma a dieci anni l'orrore e la follia dei grandi colpiscono solo di striscio, non se ne avverte ancora tutta la potenza. E poi, a quell'età lì, i bambini hanno già la loro "follia" infantile da gestire, di quella dei grandi non sanno che farsene. 
Adesso che sono grande, e che di quella follia e quell'orrore capisco il significato; adesso che alla visione ogni anno di quell'orologio, fermo alle 10:25, so dare un significato, capisco quanto era bello essere bambino.