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lunedì 30 marzo 2020

Pieni poteri (in Ungheria)

"Oltre all’ampliamento dei poteri del governo, le nuove misure prevedono la sospensione delle elezioni e la possibilità da parte del governo di violare alcune delle leggi in vigore, oltre a un massimo di cinque anni di carcere per chi diffonde notizie false che mettano in cattiva luce la gestione del coronavirus da parte dello Stato.
La legge è stata approvata con 137 voti a favore, 53 contrari e 9 astensioni. Politico scrive che le nuove misure «potranno essere cancellate soltanto con un voto a maggioranza di due terzi dal Parlamento e la firma del presidente». L’unico partito che potrà rimuoverle, quindi, sarà quello che fa capo a Orbán" (fonte: Il Post).

Così, a occhio, non mi sembra una cosa da prendere sottogamba ciò che è successo in Ungheria. Magari si tratta di preoccupazioni infondate o esagerate, ma vorrei far notare che è con dinamiche non molto diverse che da noi iniziò il ventennio.

La normalità della morte

Mi ha colpito questo passo dal libro Danubio, di Claudio Magris, che sto leggendo in questi giorni:

"C'è una poesia di Novomesky dedicata a un cimitero slovacco. In molti villaggi, fra le montagne, i cimiteri non hanno recinto o ne hanno uno che quasi non si nota, sono aperti e si allargano nell'erba del prato, corrono lungo la strada, come a Matiašovce, verso il confine polacco, o si trovano all'inizio del villaggio, come un giardino davanti alla porta di casa. Questa familiarità epica con la morte - che si ritrova ad esempio nelle tombe musulmane in Bosnia, tranquillamente collocate nell'orto di casa, e che il nostro mondo tende invece sempre più nevroticamente a rimuovere - ha la misura della giustizia, è il senso del rapporto fra l'individuo e le generazioni, la terra, la natura, gli elementi che la compongono e la legge che presiede al loro combinarsi e disgregarsi.
Nelle devrenice [povere abitazioni prevalentemente costituite da legno, tipiche della zona mitteleuropea, ndr] accanto a questi cimiteri s'affacciano visi larghi e miti, simili al buon legno delle loro case. Quei cimiteri privi di tristezza dicono quanto sia ingannevole e superstiziosa la paura della morte. Forse, così come questi cimiteri sono collocati davanti o accanto alla quotidianità, anziché in una sezione appartata e rimossa, bisognerebbe imparare a guardare la morte dall'altro lato. Dice una poesia di Milan Rùfus: 'Solo davanti la morte fa paura. / Di dietro / è tutto bello innocente all'improvviso. / Maschera di carnevale, nella quale, / dopo la mezzanotte acqua raccogli / per bere o, sudato, lavarti'."

Magari potrà sembrare irriverente parlare di morte e cimiteri in questo periodo, in cui la morte entra nelle nostre case tutti i giorni con la sua drammatica conta, ma d'altra parte questo passo del libro mi è capitato sotto gli occhi oggi, per cui...

Pensavo che noi non siamo abituati a intendere la morte come un fatto naturale, la morte come parte della vita (perché ci sia vita ci dev'essere necessariamente la morte), tendiamo ad allontanarne il pensiero o a esorcizzarne la paura spesso ricorrendo anche a ridicoli gesti scaramantici. Ci è stato inculcato che con la morte finisce tutto e quindi guardiamo questo traguardo con timore, altre volte con senso di superiorità, altre con rassegnazione, altre ancora con tutti questi sentimenti assieme. Ma in genere preferiamo non pensarci, è la soluzione migliore.

Ogni tanto mi viene in mente che, essendo a un passo dai cinquanta, è più la strada fatta rispetto a quella da fare. Essendo io convinto che tutto finisca una volta esalato l'ultimo respiro, e non avendo quindi il sollievo di chi crede che ci sia una continuazione dall'altra parte, dovrei cominciare a preoccuparmi seriamente, forse ad avere pure un po' di paura. Invece no, almeno al momento, poi andando avanti chissà. Forse perché, avendo letto qualche libro sulla cultura greca antica e vedendo il rapporto che avevano loro con la morte, esemplificato mirabilmente dall'episodio della dipartita di Socrate, non vedo il motivo per cui dovrei preoccuparmi: l'uomo, al pari di ogni altro essere vivente, nasce, cresce, vive, muore. Punto.

Adesso dico così, poi magari verso la fine mi prenderà una strizza indescrivibile, chissà.

Forse dovrei smettere di leggere certi libri.

domenica 29 marzo 2020

Mai tante bufale come in questo periodo

Quando tutto sarà finito e si analizzerà un po' più nel dettaglio quanto successo, si scoprirà che non c'è probabilmente stato altro periodo storico come questo che potrà contemplare una così massiccia e capillare diffusione di bufale. Bufale sul coronavirus, sulla sua genesi, la sua diffusione, il suo contenimento, e bufale anche riguardo a tutto l'"indotto", se così si può dire, cioè su tutto ciò che indirettamente è collegato al coronavirus: provvedimenti politici, economici, sociali.

E non si può non constatare come questa marea di bufale e stupidaggini, compresi richiami a inesistenti complotti, sia diffusa proprio da politici di livello nazionale, quelli cioè che in virtù del ruolo che ricoprono dovrebbero essere i primi a fare uso di particolare cautela nelle loro esternazioni.

Invece niente, qualsiasi scemenza arrivi alle loro orecchie, viene rilanciata senza alcuna verifica nel mare magnum di internet, il veicolo privilegiato con cui veicolare bufale, con Salvini e la Meloni che in questo periodo si stanno particolarmente distinguendo in questo ignobile esercizio - l'ultima bufala in ordine di tempo lanciata da Salvini ha fatto scomodare anche Attivissimo.

Non c'è ponderazione, riflessione, scrupolo, e soprattutto non c'è rispetto di chi vive in questo periodo nell'apprensione e nel dolore, magari perché il virus gli ha portato via una persona cara. A chi può giovare, ad esempio, che venga rilanciato a reti unificate un servizio Rai del 2015 che sembra sostenere tesi complottiste in merito alla creazione del virus, quando invece sono sufficienti due clic del mouse per rendersi conto che col covid-19 non c'entra assolutamente nulla? A chi giova il carico ansiogeno, amplificato dalla potenza di fuoco dei social di ministri con milioni di followers, generato dalla diffusione di queste bufale?

Hanno tolto a noi, giustamente vista la situazione, la libertà di uscire di casa, di muoverci; non si potrebbe o dovrebbe togliere la libertà a certi politici di spandere stupidaggini, almeno in questo periodo di dolore in cui l'unica cosa che servirebbe sarebbe un dignitoso silenzio?

[...]

[...]
La standardizzata altezzosità nei confronti della massa è un comportamento tipicamente massificato. Chi parla della stupidità generale deve sapere di non esserne immune, perché anche Omero ogni tanto s'appisola; deve assumere su di sé come rischio e destino comune degli uomini, conscio di essere qualche volta più intelligente e qualche volta più sciocco del suo vicino di casa o sul tram, perché il vento soffia dove vuole e nessuno può mai essere certo che, in quel momento o un attimo dopo, il vento dello spirito non lo abbandoni. I grandi umoristi e i grandi comici, da Cervantes a Sterne o a Buster Keaton, fanno ridere della miseria umana perché la scorgono anche e in primo luogo in se stessi, e questo riso implacabile implica una intelligenza amorosa del comune destino.

La stupidità è anche un fatto epocale, assume forme e connotati a seconda della stagione storica e quindi insidia e riguarda ognuno, non soltanto gli altri, come credeva Kyselak. Lo scrittore sprezzante che sembra irridere indiscriminatamente tutti, in realtà non ferisce nessuno, perché si rivolge ad ogni suo lettore facendogli credere di ritenerlo l'unico intelligente in una massa di beoti, ma si rivolge in tal modo alla massa di lettori. La tecnica ha in genere successo, perché il lettore può sentirsi solleticato da questa eccezione che lo spregiatore degli altri fa nel suo caso, senza accorgersi egli la fa, appunto per ognuno. Ma la vera letteratura non è quella che lusinga il lettore, confermandolo nei suoi pregiudizi e nelle sue sicurezze, bensì quella che lo incalza e lo pone in difficoltà, che lo costringe a rifare i conti col suo mondo e con le sue certezze.

Non sarebbe male se chi inclina a ritenere semi-uomini i propri vicini prendesse la penna, come Kyselak, solo per scrivere il proprio autografo. Chissà, forse ricopiando quei ghirigori finirebbe per svuotare di senso il suo nome come una parola ripetuta tante volte, per dimenticarsene e deporre ogni presunzione, per diventare Nessuno.

[...]

(Da Danubio, Claudio Magris)

sabato 28 marzo 2020

Dinamiche familiari ai tempi del coronavirus

Prima non ci si vedeva mai, o almeno mai tutti insieme, tranne qualche rara volta per cena. Ognuno aveva infatti impegni, orari e ritmi differenti, senza contare che mia figlia maggiore è stata sei mesi in Austria per il programma Erasmus ed è fortunatamente rientrata un attimo prima che scoppiasse tutto il cancan pandemico.

Ora ci si vede tutti i giorni, tutti e quattro, a colazione, pranzo e cena, eccetto i giorni in cui io lavoro. La cosa ha ormai assunto una propria normalità, adesso, ma i primi tempi questa sorta di riunione/ritrovamento sembrava piacevolmente strana, e ce lo si diceva. Quando tutto questo sarà finito e ognuno tornerà (si spera) alla vita di prima, può darsi che tra tutti i disagi e i patimenti creati dalla pandemia, ci si ricorderà anche di questi momenti piacevoli.

Renzi vuole riaprire

Dice Renzi che si avvicina Pasqua e bisogna cominciare a riaprire. D'altra parte, quando vedi che il tuo partito si avvicina al 3% (la scorsa settimana alcuni sondaggi lo davano più vicino al due) qualcosa ti devi inventare.

I luoghi di confino


In questi tempi in cui si è confinati in casa, leggere libri come questo fa uno strano effetto. Ma si tratta naturalmente di due cose diverse, e il confino di cui si parla in questo saggio della storica Anna Foa è stato ben peggiore di quello a cui siamo obbligati oggi dal coronavirus. Il libro narra infatti la storia dei luoghi in cui il regime fascista confinò inizialmente gli oppositori politici e, dal 1938, anno di promulgazione delle leggi razziali, anche ebrei, zingari e omosessuali.

Alcuni anni fa Silvio Berlusconi, in una delle sue tante apologie del fascismo passate impunite, disse che Mussolini mandava gli oppositori politici in villeggiatura, rifacendosi alla nota propaganda del ventennio secondo cui il regime non perseguitava gli oppositori ma si limitava appunto a mandarli in vacanza. Questa forma di propaganda faceva leva sul fatto che i luoghi in cui venivano isolati e confinati gli oppositori erano isole: Ponza, Ventotene, Lipari, Lampedusa, le Tremiti, solo per citare le principali. Ma non solo isole. Anche borghi sperduti dell'Abruzzo-Molise o della Lucania (l'attuale Basilicata) erano utilizzati per confinare gli oppositori. Tra il 1926 e il 1943 l'Italia è disseminata di luoghi di confino.

Ma cos'è il confino? Non è una prigione, almeno non nel senso tradizionale del termine, con cui si indica un edificio con tante stanze con cancelli e sbarre alla finestra, ma a suo modo lo è comunque. Si tratta di una sorta di soggiorno coatto in un determinato luogo, luogo che non ha sbarre alle finestre ma da cui è impossibile fuggire e in cui si è sottoposti a pesantissime limitazioni della libertà personale, al controllo della corrispondenza e alla censura sui libri, l'impossibilità di vedere altre persone, l'essere obbligati a rispondere ad appelli dei sorveglianti a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ma luoghi anche in cui non di rado si soffre la fame e le durissime condizioni imposte.

L'idea del confino non nasce col regime fascista, il fascismo ne ha solo utilizzato ed enormemente ampliato il concetto e l'attuazione, concetto che risale all'Italia preunitaria. Uno dei più tragici esempi di confino risale ai tempi della guerra di Libia dei primi del Novecento, quando l'isola di Ustica divenne terra di confino per i libici sospettati di appoggiare le rivolte contro gli italiani. Fu un capitolo tragico di questa storia perché molti furono i confinati libici che morirono per le disastrose condizioni a cui erano sottoposti. Ancora oggi, sull'isola, vi è un "cimitero degli arabi" che raccoglie le vittime libiche decedute sull'isola, isola su cui, nel dicembre 1926, venne confinato Antonio Gramsci.

Tra i nomi più noti che il regime fascista spedì al confino nelle varie località delle penisola, figurano, oltre al già citato Gramsci, Cesare Pavese, Sandro Pertini, Giorgio Amendola, Pietro Nenni, Giuseppe Romita, Pietro Secchia, Umberto Terracini, Natalia Ginzburg, Eugenio Colorni, Camilla Ravera, Giuseppe Levi, scienziato e maestro di Rita Levi Montalcini, Lina Merlin, la senatrice nota per la legge con cui furono chiuse le case chiuse, confinata per essersi rifiutata, da insegnante, di giurare fedeltà al fascismo. E poi ancora Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli ed Emilio Lussu, solo per citare i più noti.

Il confino non è stata una villeggiatura, né una forma di vacanza, come amano ripeterci i revisionisti un tanto al chilo che ogni tanto fanno capolino in questi tempi bui, il confino è stato il perseguire non tanto i fatti quanto i sospetti, le intenzioni. Il confino è stato un crimine. Ogni altra definizione è, alla luce della storia, scorretta e tendenziosa.

venerdì 27 marzo 2020

La fine del Conte (di Montecristo)


Mi ci sono voluti una ventina di giorni per terminarlo, ma poco fa ho finalmente girato l'ultima pagina. L'avverbio finalmente non tragga in inganno il lettore; non ha infatti valenza di sollievo, ma nasce dalla constatazione che, pur trattandosi di un romanzo che avvince, non finisce mai. È come guardare un film di quindici ore. Il film è bello, accattivante, coinvolgente, ma quindici ore sono quindici ore, e devo ammettere che più d'una volta, durante la lettura, ho avuto la tentazione di lasciarlo momentaneamente da parte per leggere qualcos'altro e poi magari riprenderlo successivamente. Alla fine, invece, l'ho letto tutto in una volta. D'altra parte è un romanzo d'appendice, e fu pubblicato in diciotto puntate dal 1844 al 1846 - la stesura completa consta di 1540 pagine.

Come si può recensire un romanzo del genere? Difficile, l'unica cosa che si può fare è leggerlo. È sicuramente un romanzo in cui l'uomo (il "cuore dell'uomo", come lo definisce Edmond Dantès) viene sviscerato in tutte le sue sfaccettature: odio, dolore, amore, rabbia, gioia, disillusione, fede, entusiasmo, frustrazione, desiderio di vendetta, ma, alla fine, quello che maggiormente permea tutto il romanzo è proprio quest'ultimo: il desiderio di vendetta, desiderio che Edmond Dantès, alias conte di Montecristo, trasformerà da desiderio in realtà, vendicandosi astutamente e diabolicamente di tutti quelli che, complottando contro di lui, gli tolsero l'amore, il futuro e annullarono con un'azione abietta e meschina tutti i suoi sogni e progetti.

Tuttavia non è un romanzo che fa della vendetta apologia acritica. E questo concetto viene ribadito, tra gli altri, in questo bellissimo passo: "Montecristo impallidì a quello spaventoso spettacolo, comprese di aver oltrepassato i limiti della vendetta, comprese che non poteva più dire: 'Dio è per me e con me'." Non so dire se Alexandre Dumas abbia voluto dare una valenza pedagogica in chiave anti-vendetta al romanzo, tenderei a escluderlo, pur avendone avuto l'impressione, ma è fuor di dubbio che una stigmatizzazione dell'eccedere nell'occhio per occhio e dente per dente ci sia. O almeno così a me è parso.

Chiudo questo breve post con una citazione sulla felicità presa dall'ultima lettera scritta da Edmond Dantès a Maximilien e Valentine: "Non vi sono né felicità né infelicità assolute a questo mondo, vi è soltanto un paragone tra una condizione e l'altra, ecco tutto".

La pandemia e la preghiera

Chi, come me, vede dal punto di vista del non credente il papa pregare pubblicamente Dio perché la pandemia si fermi ("Non lasciarci in balia della tempesta"), la prima cosa che si domanda è perché abbia permesso che la suddetta pandemia si verificasse. Se infatti Dio, secondo il papa e i credenti, ha il potere di fermarla, allo stesso modo dovrebbe avere avuto il potere di impedire che nascesse e dilagasse. Questo se vogliamo stare alla logica e al raziocinio; poi, naturalmente, c'è la fede, che come è noto elabora risposte a tutto.

martedì 24 marzo 2020

Dove sono le ONG?

Se lo chiedono Annalisa Chirico, prestigiosissima firma del Foglio di Ferrara, il giornale preferito dal mio pescivendolo, e Bruno Vespa, entrambi, Vespa e la Chirico, evidentemente a corto di cose più importanti da fare in questi periodi di quarantena obbligata. In fondo, avranno pensato, anche in presenza di una malattia che uccide svariate centinaia di persone al giorno c'è spazio per polemizzare, no? E quale boccone più ghiotto delle tanto vituperate ONG, quelle che ci riempiono di clandestini che non servono a niente mentre adesso che potrebbero fare qualcosa di utile si sono eclissate?

Quindi queste ONG sono davvero sparite dalla circolazione? No, ma a differenza di Vespa e la Chirico lavorano nel silenzio, non polemizzano inutilmente sui social. Medici senza frontiere, ad esempio, ha proprio personale dislocato in vari ospedali del lodigiano, compreso quello di Codogno, da dove tutto è cominciato. Qui e qui ci sono rapporti dettagliati sulle loro attività a supporto del personale sanitario locale.

Anche Emergency di Gino Strada non si è eclissata, come pensano Vespa e la Chirico, ed è scesa in campo principalmente nel milanese. "Emergency ha messo a disposizione delle autorità sanitarie italiane le competenze acquisite negli ultimi anni con l'epidemia di Ebola del 2014/2015 in Sierra Leone. L'Ong fondata da Gino Strada e sua moglie Teresa Sarti ha messo in campo molte iniziative utili a partire da quella di Milano: 'In risposta all’appello fatto dal Comune nell’ambito della piattaforma Milano Aiuta, abbiamo attivato un servizio per le richieste di trasporto di beni (alimentari, farmaci o altri beni di prima necessità) per gli over 65, coloro a cui è stata ordinata la quarantena e le persone fragili a rischio movimento'".

L'elenco completo delle organizzazioni non governative scese in campo a fianco dei medici italiani è qui, con buona pace di Bruno Vespa, di Annalisa Chirico e tutta la folta schiera di quelli che, obbligati a stare in casa, invece di leggere un libro preferiscono attivare polemiche idiote anche in tempi drammatici come questo.

Blog e commenti

Mi ha detto un mio collega di lavoro, stamattina, che non riesce a commentare in questo blog, nel senso che i commenti che lascia, a lui risultano inviati ma a me non risultano pervenuti. Non so da cosa dipenda questo inconveniente, da quel poco che ho trovato in rete potrebbe essere un problema di cookie, nel senso che il browser di chi commenta deve essere impostato in modo da accettare tutti i cookie e non solo quelli del sito visitato.

Altre ipotesi non ne ho. Qui i commenti sono liberi, non c'è moderazione, e si può commentare anche in modalità "anonimo", senza cioè aver fatto il login con Google. Se per caso qualcuno ha avuto o ha lo stesso problema, me lo può segnalare in privato (andreasacchini116@gmail.com). Non credo di poter eventualmente fare granché, è giusto per capire se si tratta del problema di un singolo o anche di altri.

lunedì 23 marzo 2020

Il problema non è Sgarbi

E non è nemmeno Giletti. Il problema, a mio avviso, risiede in un sistema televisivo e sociale in cui personaggi come Sgarbi, purtroppo, fanno ascolti, e ascolti significano entrate pubblicitarie. Sgarbi non viene invitato nei salotti televisivi perché ha una competenza riguardo a qualcosa all'infuori dell'arte, ma perché quella vis polemica becera, troglodita e impetuosa che lo contraddistingue, a molti piace. E poco importa che se dipendesse da me Sgarbi starebbe a dire le sue cialtronate al massimo in un bar o sulla panchina di una bocciofila; al pubblico televisivo piace, Giletti e tutti gli altri lo invitano. Punto. Triste ma è così.

Poi, certo, non è che la reponsabilità di Giletti in tutto questo sia nulla, perché se a distanza di pochi giorni inviti in trasmissione Adriano Panzironi e poi Sgarbi, significa che hai già deciso in partenza di non voler fare informazione o televisione di qualità, ma tv spazzatura in stile D'Urso o De Filippi. Quindi è inutile prendersela con Sgarbi che in diretta insulta uno dei maggiori virologi italiani, è col sistema che permette a Sgarbi di andare in tv che bisognerebbe prendersela.

Prima o poi qualcuno farà uno studio serio, approfondito e circostanziato con cui si valuterà la responsabilità della televisione nell'imbarbarimento culturale generale degli ultimi cinquant'anni.

domenica 22 marzo 2020

Edicole

Tra le attività essenziali che resteranno aperte, anche dopo l'ultima stretta governativa di ieri sera, ci sono le edicole, cosa questa che a me interessa perché lavoro nel ramo. Ciò che mi sfugge è il motivo per cui le edicole vengono considerate attività essenziali. Capisco gli alimentari e le farmacie, ma considerare essenziale l'acquisto dei quotidiani...

Nell'era in cui i giornali cartacei non li legge più nessuno perché tutti si informano tramite siti, smartphone o tv, mi sembra eufemisticamente irrealistico considerare i quotidiani beni essenziali. È vero, molti anziani non utilizzano internet, ma non ne conosco uno che non abbia in casa una tv con cui consultare le decine di TG distribuiti nelle ventiquattrore. Quindi continuerò anche domani, non senza qualche perplessità, ad andare regolarmente al lavoro, per continuare ad assicurare alle edicole le forniture di giornali, che nessuno comprerà perché non si può uscire di casa.

Edmond e Mercédès

Il dialogo tra Edmond Dantès e Mercédès Herrera, dove quest'ultima gli confessa di aver sempre saputo chi si celasse dietro la figura del Conte di Montecristo, e dove implora Dantes di risparmiare la vita del figlio, a mio avviso è una delle pagine più belle di tutta la letteratura mondiale.

sabato 21 marzo 2020

Coronavirus, ibuprofene, Walter Pascale

No, l'ibuprofene non aggrava la patologia del coronavirus nelle persone infettate. O almeno non esistono, allo stato attuale, evidenze scientifiche in merito. Lo scrive il Ministero della salute qui riportando questo comunicato dell'Agenzia europea del farmaco. Per quanto riguarda l'appello attribuito al professor Walter Pascale dell'ospedale Galeazzi di Milano, è una bufala, e lo stesso professor Pascale ha, giustamente, già sporto denuncia per tutelare la propria immagine, dal momento che il messaggio virale che circola su whatsapp non è mai stato né vergato né diffuso da lui (dettagli qui).

Per verificare l'infondatezza di queste due bufale, arrivate anche a me tramite whatsapp, ho impiegato più o meno una trentina di secondi, grosso modo l'equivalente del tempo necessario a inoltrarle acriticamente a tutti senza prendersi la briga di verificare la loro fondatezza.

venerdì 20 marzo 2020

State a casa...

...e approfittate per gustarvi capolavori come questo, se non l'avete già visto.

martedì 17 marzo 2020

Prima di incensarlo

Il tipo delle cene eleganti ha deciso di donare dieci milioni di euro alla Regione Lombardia per la lotta al coronavirus, soldi che tra le altre cose serviranno alla realizzazione del reparto da 400 posti di terapia intensiva alla fiera di Milano. L'azione è sicuramente meritoria, intendiamoci, specialmente in questo drammatico periodo in cui interi reparti sanitari sono vicini al collasso.

Prima però di incensare il leader di Forza Italia come salvatore della patria, va doverosamente ricordato che se la nostra sanità è da almeno un paio di decenni con l'acqua alla gola, i motivi sono essenzialmente due: tagli (o mancati investimenti), effettuati da ogni governo degli ultimi 25 anni; evasione fiscale.

Come spiega la Fondazione Gimbe con un dettagliato studio pubblicato in questi giorni, tutti gli esecutivi, compresi quelli guidati da Berlusconi, hanno negli ultimi vent'anni tagliato nella sanità - anche nella scuola e in altri comparti del welfare, ma quello che qui interessa è la sanità.

Per quanto riguarda invece l'evasione fiscale, chi si interessava di politica (e cronaca giudiziaria) ai tempi in cui il cavaliere dominava ed era ai vertici del sistema istituzionale italiano, non può non ricordare l'infinita sequela di procedimenti istruiti a suo carico, per la stragrande maggioranza per reati di tipo fiscale, culminati nell'agosto 2013 con la celeberrima condanna definitiva a quattro anni per frode fiscale, dove Berlusconi fu riconosciuto colpevole di aver eluso al fisco la ragguardevole cifra di 368 milioni di euro tra il 1994 e il 1998.

L'evasione fiscale, nel corso degli anni sono stati numerosi i personaggi più o meno pubblici balzati alle cronache per questo motivo, drena risorse alla collettività e ai servizi alle persone, compresi quelli sanitari, e siccome le tasse sono sostanzialmente partite di giro, l'elusione dei furbi obbliga gli onesti a pagarne in misura maggiore per compensare i mancati introiti. Furbi, tra l'altro, sempre ampiamente giustificati dal tipo.

lunedì 16 marzo 2020

Desperation e Santarcangelo

Desperation, uscito nel 2006 per la televisione, è la trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di Stephen King pubblicato dieci anni prima. Desperation è una sperduta e abbandonata città mineraria nello sconfinato Nevada. Mi è venuto in mente questo film poco fa, quando, uscito dal lavoro, ho attraversato una Santarcangelo abbandonata e chiusa come non avevo mai visto. Certo, non c'erano cespugli che rotolavano al vento, né gente morta sulle strade, macchine vuote ferme ai semafori, sangue sui muri e orde di corvi e coyote in ogni angolo del paese, ma a parte questo, Santarcangelo sembra Desperation, in questi giorni.

domenica 15 marzo 2020

Quando finirà?

Ogni giorno, verso quest'ora, la Protezione civile sforna l'ormai consueto bollettino di guerra, un triste e drammatico elenco di numeri che ogni volta, almeno finché l'andamento sarà questo, sono peggiori del giorno precedente. Secondo questo ultimo bollettino i contagiati hanno oggi superato le 20.000 unità, le vittime sono quasi 1.900 e i guariti 2.335. Ma sono numeri che fotografano l'istante della rilevazione e che saranno già cambiati quando sarete arrivati alla fine di questo post. Ciò che forse può sfuggire è che il numero di contagiati reali non è quello che ogni sera compare nel bollettino, perché il tampone viene fatto solo a chi presenta sintomi importanti potenzialmente collegabili al covid-19. Siccome però gran parte degli infettati sono totalmente asintomatici, oppure presentano sintomi leggeri che non giustificano il tampone, è verosimile immaginare, come del resto sostengono scienziati ed esperti, che il numero reale di contagiati sia più elevato. Enormemente più elevato. Il guaio vero è che questa stragrande maggioranza "silenziosa", diciamo così, all'interno della quale ci potrei essere anch'io o voi che leggete, è comunque in grado di infettare. Questo è il motivo che ha spinto il governo a chiudere tutti in casa: perché si può essere potenziali veicoli d'infezione anche se si sta bene.

Molti stanno già cominciando a chiedersi quando finirà tutto questo; qualcuno, a mio avviso imprudentemente, azzarda già ipotesi: tre mesi, sei mesi ecc. L'unica cosa certa, almeno secondo l'unanimità degli esperti, è che sicuramente non finirà il tre aprile, data che segna, salvo probabilissime proroghe, la fine delle restrizioni, o comunque un loro allentamento. Riguardo a queste restrizioni, al di là delle legittime critiche circa le modalità con cui il governo le ha gestite, alcune delle quali sicuramente fondate, a me, oggi, procura un elevato sollievo il fatto che a gestire le suddette restrizioni ci sia appunto questo governo. Non per particolari simpatie verso di esso, a mio avviso né migliore né peggiore di altri, ma perché l'idea che la gestione delle nostre libertà potesse essere in mano a gente amante degli stati di polizia e affascinata dall'idea dei pieni poteri, beh, a me dà qualche brivido. Per dirla schietta: penso che a gestire una emergenza di queste dimensioni sia meglio un Conte piuttosto che un Salvini. Il quale Conte, è vero, decide le mosse da fare collegialmente con gli altri ministri e sulla base dei rapporti degli esperti, quindi in fondo è solo una figura di intermediazione, diciamo così; eppure a me solleva il fatto che l'intermediario sia lui piuttosto che il tipo del citofono. Poi, certo, nell'imperscrutabile e insondabile evolversi delle cose, niente esclude che il tipo del Papeete avrebbe potuto fare meglio, ma se si va a guardare la lunga teoria di ondivaghe dichiarazioni dell'ultimo mese, costantemente in bilico tra aprire tutto e chiudere tutto, videomessaggi pubblicati e poi tolti, penso che sia andata bene così. Mi viene da pensare che se Conte, dopo la caduta del suo primo esecutivo, avesse immaginato di trovarsi tra le mani una patata bollente di questo tipo, forse avrebbe tenuto fede alle sue dichiarazioni degli esordi, secondo le quali il Conte uno sarebbe stata la sua prima e unica esperienza di governo. Non è andata così, d'altra parte è noto che chi siede su certi scranni raramente mantiene ciò che dice, basta guardare cosa promise Renzi a reti unificate se il suo referendum costituzionale fosse andato male, giusto per fare il primo esempio che mi viene in mente.

Quindi, quando finirà? C'è una vecchia canzone di Guccini che si chiama Shomèr ma mi-llailah? in cui si narra di una sentinella che veglia nell'oscurità ai margini di un accampamento. Arriva un viandante e gli chiede: "Quanto durerà ancora la notte?" La sentinella gli risponde che la notte ancora non è terminata ma il giorno ancora non è arrivato, e c'è quindi questa situazione di incertezza. Invita però il viandante a tornare e a chiedere ancora, senza stancarsi, metafora della condizione dell'uomo, destinato a fare continuamente domande anche se a molte delle quali non avrà mai risposta, comprese quelle sul coronavirus.

Il primo è andato


Terminato in quattro giorni il primo libro (750 pagine) dei due che compongono il capolavoro di Alexandre Dumas (padre) Il conte di Montecristo, stranamente non menzionato da Il Post nella pagina dei tomi suggeriti per questi giorni di isolamento. Comunque, adesso mi butto sul secondo.
Mai stare in casa è stato così bello, mi spiace solo che, terminata questa settimana di ferie, domani dovrò rientrare al lavoro. Amen.

venerdì 13 marzo 2020

I soldi e la fiducia

L'improvvida uscita di Christine Lagarde, che ha fatto incazzare anche Mattarella, è l'esempio più lampante di come il nostro sistema economico, oggi ma non da oggi, sia basato sulla fiducia e non sui soldi, cosa questa che molti, compresi molti politici, non riescono a capire. I soldi sono fittizi, e gli scambi sono semplici scambi di bit. Quando i giornali scrivono che la borsa di Milano ha bruciato tot miliardi di euro, non stanno parlando di banconote ma di bit. Le banconote non esistono più. E non solo per quanto riguarda la borsa.

L'azienda che ci accredita lo stipendio sul conto corrente non ci sta dando soldi reali, ma virtuali, fideistici, non c'è un passaggio di moneta ma uno scambio di dati: sul bilancio dell'azienda viene segnata un'uscita, sul nostro conto corrente viene segnata un'entrata, ma è tutto fittizio. Poi, certo, se andiamo allo sportello e chiediamo di ritirare soldi in contanti la banca ce li dà, ma solo se non ci presentiamo tutti assieme. Se, ipotesi, ogni correntista di una banca si presentasse allo sportello per ritirare in banconote i propri risparmi, la banca non avrebbe mai i liquidi per accontentare tutti, potrebbe soddisfare il 15 o 20% dei pretendenti, non di più. Appunto perché viviamo in un sistema economico basato sulla fiducia, che è cosa estremamente aleatoria.

Ed è un sistema, questo, che volente o nolente ci tocca accettare e che mette in risalto la stupidità dei cosiddetti sovranisti. Quando Salvini o la Meloni additano l'Europa come un nemico (a volte lo è ma questo è un altro discorso) non fanno altro che danneggiare la tanto amata (a parole) Italia. Perché se noi andiamo d'accordo con l'Europa i mercati mostrano maggiore benevolenza (fiducia) verso l'Italia e sono disposti ad acquistare il nostro debito pubblico a tassi di interesse più bassi; un atteggiamento irresponsabile, invece, allontana la fiducia e per attirare gli investitori dobbiamo alzare i tassi d'interesse, che poi dovremo ripagare, per i nostri titoli di stato. Ed è anche dalla vendita dei nostri titoli che lo stato ricava i soldi per pagare insegnanti, forze dell'ordine, magistrati, pensionati, dipendenti pubblici in generale. In altre parole, è con questo sistema che lo stato sta in piedi e non si sfacela, permettendo tra l'altro ai sovranisti di continuare a dire le loro fesserie.

giovedì 12 marzo 2020

Discorsi alla nazione

Il discorso di Conte di ieri sera, al netto degli inevitabili toni epico-cavallereschi, notoriamente apprezzati dalle italiche genti, mi pare che sia stato eccessivamente indulgente sul comportamento degli italiani. Io, in ossequio al principio di realismo, e pur correndo il rischio di cozzare contro il protocollo, una stoccatina alla marea di irresponsabili che nei giorni scorsi, ma anche in questo momento, in vari modi hanno continuato bellamente a fregarsene delle restrizioni, l'avrei tirata. Ma in fondo, pensandoci, va bene così, in momenti come questo serve tutto tranne che un riattizzarsi delle polemiche.

martedì 10 marzo 2020

Il conte di Montecristo


Ho iniziato stamattina Il conte di Montecristo, di Alexandre Dumas padre, uno dei tanti classici che da ragazzo mi sono perso e che col tempo spero di recuperare.

Si tratta di un'edizione pubblicata nel 1984 dalla Arnoldo Mondadori Editore e tradotta da Emilio Franceschini. I due volumi in cui sono suddivise le oltre 1500 pagine di questo poderoso romanzo, li ho acquistati per pochi euro, più o meno un annetto fa, in una bancarella di libri usati a Santarcangelo.

Dopo le prime cento pagine, finite di leggere poco fa, posso già anticipare che si tratta di uno di quei capolavori da cui è difficilissimo staccarsi. Ma immagino che chi l'abbia letto lo saprà già.

Tra Sylvia Browne, il coronavirus e le preghiere

Forse niente come una grave epidemia ha il potere di svelare il livello di goffaggine intellettuale e deficit neuronale di una imprecisata (ma presumibilmente alta) parte delle italiche genti. Su whatsapp, ad esempio, è tutto un circolare di catene (l'ultima è quella delle 100.000 ave maria) contenenti preghiere per fermare il coronavirus, da inoltrare e far girare senza interrompere la catena, ché sennò gli effetti contro la diffusione del contagio vengono vanificati. Gira poi l'immagine di un crocifisso romano che nel 1600, dicono, ebbe il potere di fermare la peste, la famosa peste narrata anche dal Manzoni che, tra l'altro, non si capisce cosa c'entri con Roma, dal momento che rimase confinata al nord della penisola coprendo un periodo che andava dal 1600 fino al 1634.

Oltre alle preghiere, vanno forte anche i sempre affascinanti complottismi letterari, presunti richiami a libri del passato che in qualche modo avrebbero predetto l'epidemia di questi giorni. Di un paio di questi ha parlato il buon Attivissimo (che il cielo ce lo preservi) qui e qui. L'ultima predizione in questo senso fa riferimento a un libro della scrittrice e veggente (!) Sylvia Browne, che in un suo scritto del 2008 avrebbe predetto ciò che sta succedendo in questi giorni - ne parla qui Il Giornale (e chi se no?), in totale sprezzo di ogni senso del ridicolo. Naturalmente, solo in maniera molto vaga è possibile trovare dei paralleli tra ciò che scriveva la Browne e l'epidemia odierna, come spiegano quelli di bufale.net, ma tanto basta a ringalluzzire e a far partire lancia in resta schiere di complottisti affamati.

Alla fine, rimane sempre quel senso di tristezza misto a rassegnazione, di fronte a moltitudini di persone totalmente refrattarie a mettere in campo un seppur minimo barlume di senso critico e disposte a credere senza batter ciglio a qualsiasi panzana venga loro rifilata. Amen.

lunedì 9 marzo 2020

La grande guerra


Lo so, istintivamente qualcuno avrà collegato il titolo del post a ciò che sta succedendo in questi giorni. Sì, è indubbiamente una guerra anche l'epidemia del coronavirus, ma il titolo è riferito a un bellissimo saggio storico, che ho iniziato ieri e ho terminato poco fa, sulla storia della Prima guerra mondiale, al confronto della quale quella di questi giorni è una scaramuccia tra condòmini.

Questa settimana non sono al lavoro, faccio una settimana di ferie che avevo già programmato tempo fa, prima che scoppiasse lo sconquasso dell'epidemia, e quindi, essendo obbligato a stare in casa, ne approfitto per fare la cosa che più amo fare: leggere, dal mio punto di vista il modo più bello e produttivo per passare il tempo.

Piccolo consiglio a quelli che fossero nelle mie condizioni, e cioè bloccati in casa senza sapere come passare il tempo: spegnete i social e leggete un libro. Quando si legge il tempo vola e la noia scompare.

domenica 8 marzo 2020

Non siamo né maturi né responsabili



Ciò che sta succedendo in queste ore, e non mi riferisco solo ai due casi citati qui sopra, direi che non depone affatto a favore del senso di responsabilità e di maturità che dovrebbe contraddistinguere un popolo civile. Non voglio dare l'idea di generalizzare, so benissimo che tantissimi prendono sul serio le indicazioni straordinarie, per arginare una situazione straordinaria, emanate dal governo sui comportamenti da adottare per cercare di limitare la diffusione del contagio. Ma tantissimi altri no. Se ne fregano, continuando tranquillamente a fare ciò che facevano prima.

Quando tutto questo cancan sarà passato, se mai passerà, ci sarà tempo, eventualmente, per recriminare o per rinfacciare al governo la eccessiva "draconianità" delle misure imposte alla popolazione. Ma, nel frattempo, è così difficile capire che la migliore cosa da fare è seguire quelle indicazioni e starsene il più possibile in casa per cercare di limitare il contagio ed evitate che interi comparti sanitari collassino? È un sacrificio così grande starsene qualche giorno chiusi in casa a guardare film, leggere qualche libro o giocare a scala quaranta coi familiari? Evidentemente sì.

Andare in giro come se niente fosse, non è solo un rischio per sé stessi, ma per tutti. Gran parte dei contagiati, come narrano le cronache, sono totalmente asintomatici, chiunque può contrarre il virus senza neppure accorgersene, generando in chi pensa di stare bene una sicumera deleteria che può essere pericolosa per gli altri, così che possiamo infettare il prossimo senza neppure renderci conto, perpetuando un circolo vizioso che di questo passo non vedrà mai la fine.

Uno può anche mettere in conto coscientemente il rischio di beccarsi l'infezione e nonostante questo uscire lo stesso, ma come può non scattare quel meccanismo di responsabilità che dovrebbe nascere quando si è consci che così facendo si può correre il rischio di infettare qualcun altro, magari qualcuno che poi potrebbe anche lasciarci le penne? Questo pensiero non turba minimamente chi fa finta di nulla e se ne frega delle restrizioni governative? Senso di responsabilità e mancanza di rispetto per gli altri, sono queste due cose che a molti fanno difetto.

Quando l'epidemia sarà passata e le acque si saranno calmate, credo non potremo sfuggire all'obbligo di iniziare una seria e ponderata riflessione sulla maturità di questo paese.

Svegliarsi in zona rossa

E così, da stamattina sono in una zona rossa, non posso uscire dalla provincia e devo muovermi di casa solo per validi motivi. Non è un grosso problema, per me, dal momento che, lavoro a parte, il grosso delle giornate lo trascorro in casa tra libri e pianoforte, ma immagino che a tanti queste limitazioni peseranno non poco. Fa un certo effetto pensare a una Rimini militarizzata, quella stessa Rimini che da maggio a ottobre è invasa da milioni di turisti, ma tant'è. Passerà anche questa, prima o poi, no?

sabato 7 marzo 2020

Shine on you crazy diamond


Ogni volta che ascolto questo pezzo, scritto nel 1974 da Gilmour, Waters e Wright, istintivamente penso che l'ispirazione per scriverlo sia loro venuta direttamente da Dio. Siccome però per me Dio non esiste, immagino ci sia un'altra spiegazione, e una delle più plausibili è che, semplicemente, i tre fossero dei genî, tesi questa che trova riscontro dall'ascolto di altri pezzi sia anteriori che posteriori a questo, sempre composti dai tre o da qualcuno dei tre. E niente; provate a prendervi venti minuti per voi, mettetevi un paio di cuffie, spegnete la luce, premete il tasto Play e lasciatevi andare, il resto verrà da sé.

Dal Concordato di Worms in qua

Quello che è passato alla storia col nome di Concordato di Worms fu un patto stipulato appunto a Worms (Germania) il 23 settembre del 1122 fra il sovrano del Sacro Romano Impero Enrico V di Franconia e il papa Callisto II. Con la stipula di quell'accordo si pose fine al lungo periodo di contrasti, spesso sfociato in vere e proprie guerre, tra chiesa e impero, chiamato Lotta per le investiture. Qual è stato l'oggetto del contendere di questo lungo periodo di contrasti? La scelta e la nomina dei vescovi.

Naturalmente il diritto di scegliere e nominare i vescovi era l'aspetto di facciata di tutta la faccenda, la motivazione vera e più profonda di quell'annosa diatriba era l'affermazione della supremazia tra il potere temporale, l'imperatore, e il potere spirituale, il papa. Questo perché la Chiesa, allora come oggi, non è mai stata una istituzione di tipo spirituale, o almeno non solo questo, nonostante ciò che molti comunemente credono, ma da sempre è stata ed è una struttura politica, economica e temporale fortemente accentrata e gerarchizzata. E che la Chiesa abbia molto di struttura politica e poco di religioso lo dimostra, tra le altre cose, la lunga serie di patti e concordati che nella sua lunga storia ha stipulato con vari stati con lo scopo di ottenere vantaggi di tipo politico. Nel corso della sua storia la Chiesa ha stipulato accordi con Napoleone in Francia, con Francesco Giuseppe in Austria, Mussolini in Italia, Hitler in Germania, Salazar in Portogallo, Franco in Spagna, solo per citarne alcuni (sembra quasi che la Chiesa si scelga i migliori nel mazzo).

In questa ora di lezione, il professor Odifreddi spiega nel dettaglio la storia dei famosi/famigerati Patti Lateranensi, stipulati nel 1929 tra la Chiesa e Mussolini: i vantaggi ottenuti dalle parti contraenti, le modalità con cui furono definiti i dettagli dell'accordo, le conseguenze politiche e sociali per la società italiana, perché i Patti Lateranensi furono inseriti nella Costituzione, chi votò contro e chi a favore, fino ad arrivare alla loro revisione del 1984 sotto il governo Craxi. Un articolato ed esaustivo excursus storico su una delle pagine più controverse della nostra storia recente.

venerdì 6 marzo 2020

Il virus fa il proprio "mestiere"

Nel profluvio di commenti e di esternazioni (e di fake news e bufale) riguardo al coronavirus, pochi, anzi mi pare nessuno, l'hanno preso in considerazione dal punto di vista biologico. L'ha fatto il sempre ottimo Mario Tozzi, il quale, più o meno al minuto -39 di questo video, dice appunto che dal punto di vista strettamente biologico, il Covid-19 è un organismo vivente come tutti gli altri che non ha altro scopo se non quello di replicare il più possibile il suo patrimonio genetico. Che è esattamente la stessa cosa che dal punto di vista evoluzionistico fanno tutti gli organismi viventi, specie umana compresa.

Quindi non è né un killer né un assassino, come lo definiamo noi, è semplicemente un organismo vivente che fa il proprio mestiere e che non ha senso definire killer per il semplice fatto che per lui è totalmente indifferente il destino di chi infetta. Paradossalmente, anzi, dal suo punto di vista risulta più vantaggioso che l'infettato viva il più a lungo possibile, perché nel momento in cui si spegne non è più funzionale allo scopo del virus, che è appunto la propria replicazione (Darwin direbbe il suo successo).

Noi però siamo da sempre degli inguaribili romanticoni, e vuoi mettere quant'è più romanzesco e accattivante dipingere ciò che sta succedendo come una donchisciottesca epopea dove i buoni, noi, combattono una campale guerra contro il cattivo, il terribile e feroce virus, ignorando, o facendo finta di ignorare, che l'uomo è da sempre la specie più ferale contemplata negli annali della biologia e nella storia dell'evoluzione.

Ah, che potenza hanno la fantasia e l'immaginazione!

giovedì 5 marzo 2020

Barillari e il coronavirus


Do una notizia a Davide Barillari: con l'epidemia del coronavirus ci guadagna anche l'editoria, dal momento che nelle edicole fioccano libri, libriccini, opuscoli e inserti vari con tutto ciò che bisogna sapere sul famigerato Covid-19. E c'è il non trascurabile rischio che ci guadagnino pure le aziende che costruiscono le mascherine. Per quanto riguarda Big Pharma, invece, nello specifico le aziende farmaceutiche che lavorano al vaccino, che sembra non sarà pronto prima di un anno, beh, un eventuale guadagno lo faranno quando sarà eventualmente stato trovato e comincerà la commercializzazione. Prima è un po' difficile.

Trump e l'OMS

Dice Trump che i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, che danno l'indice di mortalità del coronavirus al 3,4%, sono falsi. Uno si chiede subito su quali basi il presidente USA faccia una affermazione di questo genere, immaginando che sia in possesso di solida documentazione a corredo, e a chi gliene chiede conto risponde: "E' una mia impressione basata sulle conversazioni che ho avuto con molta gente".

Capito, no? Lui parla con la gggente e si fa un'impressione. Dati? Documentazioni? Fonti? No, impressioni. Viene in mente Berlusconi quando nel 2009, a un anno dall'inizio della grave crisi economica di cui subiamo ancora oggi gli strascichi, diceva che non c'era nessuna crisi, perché lui andava nei ristoranti e negli aeroporti ed erano sempre pieni, la crisi era un'invenzione della sinistra e dei giornali (della sinistra).

È difficile, ancora oggi, credere che un personaggio simile (Trump) sia alla guida della prima potenza economica del mondo. Eppure.

mercoledì 4 marzo 2020

Elogio della noia

Tempo fa lessi, non ricordo se in un libro di Crepet o di Andreoli, un elogio alla noia che mi colpì e mi piacque molto. Perché un elogio alla noia, considerata generalmente - anch'io la consideravo così - come uno stato negativo da evitare? In primo luogo perché la noia costringe a ingegnarsi, quindi a usare il cervello, per tentare di sfuggirle; in secondo luogo perché l'assenza di stimoli esterni, specialmente nei bambini, costretti nella nostra rutilante società ad avere impegnato ogni minuto della giornata, concede loro maggiori possibilità per "sentirsi".

Mi sono imbattuto per caso in questo bell'articolo di Brunella Gasperini, che riassume benissimo quanto lessi nel libro di Crepet o Andreoli, e che spiega perché in questo periodo in cui le attività sociali sono limitatissime, è bene che ci si lasci andare anche alla noia.

lunedì 2 marzo 2020

L'inferno di Lesbo e noi

C'è un campo profughi sull'isola di Lesbo, Grecia, attrezzato per ospitare 3.500 persone, che attualmente ne ospita quasi 20.000, ed è facile immaginare cosa ciò comporti. È il passaggio obbligato per le ondate migratorie che cercano di arrivare in Europa tramite la rotta balcanica e quest'isola greca è tristemente nota per l'elevato tasso di suicidi giovanili. Ci sono bambini e ragazzi che, sfiancati dalla lunga permanenza al freddo e agli stenti, si gettano dai muri, dagli alberi, oppure provano a spaccarsi la testa contro le pietre che si trovano in terra, come testimoniano i pediatri di Medici senza frontiere che lì in quell'inferno fanno ciò che possono. Il campo si chiama Moria, nome che non potrebbe essere più appropriato. A complicare ulteriormente le cose ci si è messo anche Erdogan, che in questi giorni ha aperto le frontiere e il confine tra la Grecia e la Turchia è preso d'assalto dalla moltitudine di profughi siriani che fuggono dalla recrudescenza della guerra civile in Siria.

Di questo dramma qua da noi arriva poco o niente, presi come siamo dal coronavirus e dalle incazzature generalizzate relative alla sospensione di alcune partite del campionato di calcio. E la cosa, in fondo, ha una sua ratio, almeno a livello psicologico. È noto infatti che le persone sono istintivamente portate a relazionarsi emotivamente in misura maggiore con ciò che accade nelle immediate vicinanze, meccanismo psicologico in virtù del quale se siamo colpiti da un lutto familiare ci disperiamo e ne portiamo gli strascichi per lungo tempo, se se ne va il nostro vicino di casa ci dispiace ma domani o al massimo dopodomani è tutto passato, se ogni minuto nel mondo muoiono venti bambini di stenti, peccato, ma in fondo la cosa non ci riguarda.

Però, forse, qualche riflessione sul tipo di mondo che abbiamo costruito sarà il caso di cominciare a farla. Se in questo benedetto pianeta siamo oggi più di sette miliardi - i demografi prevedono che nel 2050 arriveremo a dieci - e noi occidentali, che siamo poco meno di un miliardo, per tenere questo tenore di vita utilizziamo l'80% delle risorse della terra, lasciando agli altri sei miliardi e mezzo il 20%, c'è qualcosa che non va, o no? E vogliamo andare avanti così, fregandocene di ciò che succede fuori dal nostro orticello e pensando che i sei miliardi di persone lasciate fuori a spartirsi le nostre briciole se ne staranno lì buone? Ciò che non riusciamo a capire, io credo, è che siamo arrivati a un livello di squilibrio planetario che non è più possibile ignorare. La storia del mondo, e anche la fisica, insegnano che un sistema eccessivamente squilibrato non può durare in eterno, prima o poi si riequilibra, e se non cominciamo a darci da fare noi per rimetterlo un po' in riga, prima o poi lo farà da sé, e quando lo farà da sé saranno dolori. Non credo che ci sarà permesso ancora per molto ignorare milioni e milioni di persone che premono alle frontiere degli USA e dell'Europa dalle parti più povere del pianeta. Più in generale, non possiamo più permetterci di ignorare che ciò che sta succedendo impatterà sulle nostre vite.

C'è una soluzione? Sì, e gran parte degli economisti e degli scienziati l'hanno individuata: noi occidentali dovremo giocoforza decrescere, non ci sono storie. Il problema è che di questa cosa non vogliamo assolutamente sentire parlare, perché nessuno vuole abbassare il proprio tasso di benessere. Nessuno vuole abbassare gli "standard", anche se questi standard sono responsabili della catastrofe verso cui ci stiamo avviando. Troppo pessimista? Magari sì, anzi un po' ci spero. Ma i dati ci mettono davanti una realtà che è da stupidi fingere di ignorare. E che noi, stupidamente, continuiamo a ignorare.

domenica 1 marzo 2020

Quando gli altri siamo noi

Le recenti restrizioni e interdizioni all'ingresso in altri paesi di persone italiane o provenienti dall'Italia, sono l'ennesima dimostrazione della stupidità del razzismo e della chiusura di porti e confini. Perché la storia, quella storia che pochi oggi conoscono, insegna che nel decorso delle vicende umane la ruota gira sempre. I fautori dell'ostracizzazione degli africani ieri e dei cinesi oggi, che da un giorno all'altro si sono ritrovati a essere a loro volta ostracizzati, come sta succedendo in questi giorni, non sono che l'ultimo esempio.

Al tragico si aggiunge poi sempre il ridicolo, oggi espresso da quella patetica macchietta a capo dell'opposizione che prima che il contagio arrivasse in Italia equiparava, con quell'altezzosità e ignoranza da primo della classe, il coronavirus alla peste e al colera e strillava di chiusure di confini, blocco di aerei, di navi, salvo poi fare retromarcia ("È solo un'influenza!") quando, dopo l'arrivo del contagio in Italia, in particolar modo nel tanto amato nord Italia, ad alzare muri sono stati gli altri.

Difficile dire se, alla fine, i danni maggiori li faranno l'epidemia o certi politici.