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La standardizzata altezzosità nei confronti della massa è un comportamento tipicamente massificato. Chi parla della stupidità generale deve sapere di non esserne immune, perché anche Omero ogni tanto s'appisola; deve assumere su di sé come rischio e destino comune degli uomini, conscio di essere qualche volta più intelligente e qualche volta più sciocco del suo vicino di casa o sul tram, perché il vento soffia dove vuole e nessuno può mai essere certo che, in quel momento o un attimo dopo, il vento dello spirito non lo abbandoni. I grandi umoristi e i grandi comici, da Cervantes a Sterne o a Buster Keaton, fanno ridere della miseria umana perché la scorgono anche e in primo luogo in se stessi, e questo riso implacabile implica una intelligenza amorosa del comune destino.
La stupidità è anche un fatto epocale, assume forme e connotati a seconda della stagione storica e quindi insidia e riguarda ognuno, non soltanto gli altri, come credeva Kyselak. Lo scrittore sprezzante che sembra irridere indiscriminatamente tutti, in realtà non ferisce nessuno, perché si rivolge ad ogni suo lettore facendogli credere di ritenerlo l'unico intelligente in una massa di beoti, ma si rivolge in tal modo alla massa di lettori. La tecnica ha in genere successo, perché il lettore può sentirsi solleticato da questa eccezione che lo spregiatore degli altri fa nel suo caso, senza accorgersi egli la fa, appunto per ognuno. Ma la vera letteratura non è quella che lusinga il lettore, confermandolo nei suoi pregiudizi e nelle sue sicurezze, bensì quella che lo incalza e lo pone in difficoltà, che lo costringe a rifare i conti col suo mondo e con le sue certezze.
Non sarebbe male se chi inclina a ritenere semi-uomini i propri vicini prendesse la penna, come Kyselak, solo per scrivere il proprio autografo. Chissà, forse ricopiando quei ghirigori finirebbe per svuotare di senso il suo nome come una parola ripetuta tante volte, per dimenticarsene e deporre ogni presunzione, per diventare Nessuno.
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(Da Danubio, Claudio Magris)
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