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mercoledì 31 gennaio 2018

Buonismo e pietismo

All'indomani della promulgazione delle leggi razziali del 1938, prese a circolare ed ebbe una certa diffusione il termine pietismo. Pietisti venivano definiti, dai seguaci del regime fascista, con toni che andavano dal dileggio al disprezzo, coloro che in qualunque modo mostravano solidarietà versi gli ebrei italiani perseguitati dal regime di Mussolini.

Dai pietisti di allora siamo arrivati ai buonisti di oggi. Chiunque mostri una qualsiasi forma di solidarietà nei confronti di chi scappa da guerra, miseria o persecuzioni di tipo politico o religioso, viene definito buonista.

Non so dire con quale tipo di valenza venga principalmente utilizzato oggi - mi pare che anche in questo caso sia un equilibrato mix di dileggio e di disprezzo. Mi sembra comunque di vedere, oggi come allora, la stessa pericolosa stronzaggine mista a cinismo.

martedì 30 gennaio 2018

La fine dell'umano (?)

"Il mio impegno nella prossima legislatura sarà quello di battermi, insieme agli amici della coalizione di centrodestra, per abolire o cambiare profondamente tutte le leggi approvate dalla sinistra che hanno ferito la famiglia. Penso al provvedimento sulle unioni civili che, va detto con chiarezza, di fatto apre alla stepchild adoption. Per la sinistra, leggi come questa portano verso il progresso; per noi, vanno verso la fine dell’umano."

Sorvoliamo sul fatto che andare verso la fine dell'umano, detta così, è una frase che di per sé non ha alcun senso (oppure ne ha talmente tanti che è impossibile capire cosa voglia dire la signora); ma se la signora Roccella oltre a Bibbia, Vangelo e raccolte di salmi avesse aperto -  anche per sbaglio eh? - un libro di scienze, saprebbe che tutto ciò che ha a che fare col concetto di umano è collegato alla natura. L'essere umano è un prodotto della natura, è esso stesso natura, e la natura se ne frega delle modalità con cui i suoi figli allevano la prole. Lì la natura e la biologia si fermano ed entra in campo l'ambiente culturale in cui sono inseriti.

La cosiddetta famiglia naturale, come la intendono la signora Roccella e il trust di cervelli a simposio con lei, Gasparri, Salvini, Meloni ecc., cioè la famiglia composta da papà e mamma, naturalmente sposati in chiesa, che copulano e generano pargoli, è un prodotto culturale che di naturale non ha assolutamente nulla. Prova ne è il fatto che basta mettere un attimo il naso fuori dalle quattro mura di ignoranza che circonda 'sta gente qua per rendersene conto.

Per alcune culture dell'estremo oriente, ad esempio, il concetto di famiglia naturale è legato alla poliandria, ossia a una donna che può avere legami sentimentali con più uomini; in alcune culture del medio oriente, invece, il concetto di famiglia naturale è espresso dalla poligamia; se ci si sposta in alcune culture tribali del sud dell'Asia, il concetto di famiglia naturale è espresso dalla "colonia": i figli che nascono appartengono alla comunità e sono di tutti, e tutti si occupano del loro sostentamento e dei loro bisogni.

La famiglia naturale come la intendono Roccella e soci non è nient'altro che il frutto di elaborazioni del ragionare umano e dello sviluppo di particolari comportamenti sociali, che non c'entrano niente con la natura. Non occorre una laurea in scienze naturali per sapere queste cose, basterebbe aver letto anche solo un bignamino di un libro di scienze.

Quanto poi alla promessa/minaccia di abrogare le unioni civili, ci sono i numeri e la storia che fanno capire l'inconsistenza della promessa/minaccia. I numeri perché il centrodestra, almeno allo stato attuale non ne avrebbe abbastanza; la storia perché è pacifico che sulle leggi che riguardano i diritti civili non si è mai tornati indietro - aborto e divorzio sono ancora saldamente al loro posto, ad esempio.

Coraggio, ancora un mesetto di gara a chi la spara più grossa e tutto sarà finito.

lunedì 29 gennaio 2018

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(da Sapiens, da animali a dèi - Y. N. Harari)

domenica 28 gennaio 2018

Da Il signor Hood a Stavo pensando a te

Quindi, c'è questo tormentone che ci sta assillando ormai da parecchi mesi e che le radio si ostinano, con una pervicacia francamente incompresibile e ormai ai limiti dell'irritante, a propinare senza soluzione di continuità. Il pezzo in questione è musicalmente tra il banale e l'insignificante mentre il testo... beh, diciamo che qualsiasi alunno medio delle elementari sarebbe in grado di scrivere dei versi più profondi e intelligenti senza grosse difficoltà.

Una strofa del testo di questo capolavoro, che al confronto De Gregori lèvati che non sei nessuno, recita così:

"Che figata andare al mare quando gli altri lavorano
Che figata fumare in spiaggia con i draghi che volano
Che figata non avere orari né doveri o pensieri
Che figata tornare tardi con nessuno che chiede "dov'eri?"

Ora, voi capite che tra questa roba qui a cose come "Albero bell'albero intorno a te vogliam danzar" o, che ne so?, "Il caffé della Peppina non si beve la mattina" non è che ci passi tutta 'sta differenza, no? Almeno secondo il mio modestissimo e opinabilissimo punto di vista.

Intendiamoci, scemenze di questo genere hanno contraddistinto bene o male ogni epoca. Se prendete il testo di Love me do dei Beatles, giusto per fare il primo esempio che mi viene in mente, a profondità non è che si discosti tanto dal capolavoro di Fabri Fibra. Anche gli anni '80 di quanto ero giovane io hanno partorito una discreta quantità di pezzi di questo infimo livello.

Il problema è che io, come ho scritto più volte su queste pagine, sono musicalmente un vecchio e nostalgico rottame, e non ricordo ai miei tempi un bombardamento simile di insulsaggini; certo, ripeto, c'erano anche quelle, ma erano tutto sommato equilibrate ed equamente controbilanciate dalle poesie in musica di De Gregori, dalle intelligenti provocazioni di Battiato, dai bellissimi richiami letterari di Guccini, dalle godibilissme storie che Ivan Graziani o Vecchioni vestivano di musica, dall'ermetismo dei testi dei Pink Floyd. E le radio mandavano anche queste, anzi soprattutto queste.

Giusto per restare a De Gregori, prendete ad esempio Il signor Hood (lo so, è difficile scegliere un pezzo tra la poderosa mole di suoi capolavori, ma abbiate pazienza). Inizia così:

"Il signor Hood era un galantuomo
Sempre ispirato dal sole
Con due pistole caricate a salve e un canestro di parole."

Ora, è chiaro che è difficile se non impossibile dare un significato a queste frasi, che De Gregori all'epoca utlizzò per descrivere Marco Pannella, ma in esse c'è della poesia, e la poesia per definizione non la puoi spiegare altrimenti diventa qualcos'altro. E volete mettere quanto è bello immaginare nella propria mente chi sia questo fantomatico signor Hood, lavorare di fantasia per capire perché questo tizio fosse sempre ispirato dal sole e perché avesse due pistole caricate a salve e un canestro di parole? I grandi autori di allora invitavano a pensare, a lavorare di fantasia, a porsi domande. Dal "canestro di parole" (pensate a quanto è bello questo abbinamento e a quanti significati si può collegare) siamo arrivati a "che figata andare al mare."

E niente, probabilmente l'involuzione della qualità musicale è andata di pari passo con l'involuzione generale della società. Forse è effettivamente meglio andare tutti al mare, va'.

(...)





(da Sapiens, da animali a dèi - Y. H. Harari)

Carne da collegio

Non si prova nemmeno più sorpresa nell'assistere allo spettacolo, tra l'osceno e l'indecoroso, offerto dalla compilazione delle liste elettorali da parte dei capi partito, Renzi o Di Maio che siano.

Chi andrà a votare, diritto-dovere a cui lo scrivente si sottrae da tempo senza alcuna remora, potrà tutt'al più provare un senso di umiliazione nell'assistere allo spettacolo di capi politici che distribuiscono ai propri sottoposti collegi elettorali che non sono loro ma dei cittadini, specie se questa pratica viene posta in essere in oscuri e blindati consessi notturni, dove i concetti di pluralismo e squadra vengono senza troppi patemi lasciati fuori dalla porta, così che il Renzi di turno possa spianare e annullare la voce delle minoranze e imporre suoi fedelissimi nelle circoscrizioni di tutto lo stivale, laddove, invece, lo spirito del collegio uninominale dovrebbe trovare la sua ragione d'essere nella candidatura di un soggetto legato alla storia, al contesto territoriale del collegio stesso.

Renzi e Di Maio non hanno inventato niente, intendiamoci, si limitano a perpetuare nel tempo una triste consuetudine, quella del partito personale diretto da un capo circondato da yesmen, inaugurata da Berlusconi nel 1994 col suo partito-azienda. Un capo carismatico con tanti fedeli servitori attorno, servitori perché sempre debitori di qualcosa nei suoi confronti, pronti in virtù di questo obbligo a servirlo e compiacerlo svilendo se stessi fino al punto di rinunciare alla propria dignità, come quando 300 e rotti parlamentari giurarono in Parlamento di essere convinti che Ruby era la nipote di Mubarak, in quella che può considerarsi una delle pagine politiche più ignobili della storia repubblicana.

Come scriveva ieri Vittorio Zucconi, in un suo raro pensiero con cui mi trovo d'accordo, non siamo ormai niente più che carne da collegio, miglior espressione possibile per descrivere l'inutilità di andare a votare.

sabato 27 gennaio 2018

Una questione privata per la mia Giornata della memoria



Ho terminato poco fa di leggere questo romanzo di Beppe Fenoglio, scrittore e partigiano piemontese che combatté sulle Langhe la guerra di Liberazione nelle file dei Partigiani badogliani. Usando come pretesto una storia d'amore tra un partigiano soprannominato Milton e una bella ragazza piemontese di buona famiglia, Fulvia, Fenoglio racconta in maniera dettagliata com'era la Resistenza, i suoi valori, e le modalità con cui i partigiani diedero il loro fondamentale contributo al raggiungimento del traguardo finale, quello della Liberazione dalla dittatura nazifascista.

È un libro coinvolgente, anche se dal finale sospeso. Non ci è infatti dato di sapere che fine faccia il partigiano Milton, il protagonista. Il libro si chiude infatti con la sua fuga precipitosa, a piedi, inseguito per campi e boschi delle Langhe da una squadraccia fascista. Molti critici sostengono si tratti di un romanzo incompiuto, tesi avvalorata dal fatto che i fogli del manoscritto furono ritrovati casualmente dopo la morte dell'autore e il lavoro pubblicato come romanzo postumo nel 1963.

Sia come sia, a me è piaciuto molto, e il pregio maggiore del suo finale sospeso sta nel fatto che ognuno può liberare la fantasia e "scrivere" da sé quello che preferisce.

venerdì 26 gennaio 2018

(...)



(da Baciami senza rete - P. Crepet)

giovedì 25 gennaio 2018

Giulio Regeni

Sia il comune di Santarcangelo che quello di Poggio Torriana hanno sulle ripettive facciate due striscioni gialli con scritto "Verità per Giulio Regeni". Sia Santarcangelo che Poggio Torriana sono due giunte comunali rette dalla sinistra, anzi no, rette dal Pd, che è notoriamente cosa assai diversa dalla sinistra, ma comunque facciamo finta che siano due giunte di sinistra.

Mi chiedevo: quei due striscioni sarebbero stati appesi anche se le due giunte fossero state di destra? Credo di no, anzi ne sono sicuro. E ho questa convinzione perché quelli di destra - non so se valga per tutti ma spannometricamente sì - tendono a inquadrare e liquidare la tragedia del ricercatore italiano nel classico e triste se l'è cercata. Mi  è capitato di persona anche di sentire cose come "Ma che cazzo è andato a fare là?" e simili, giusto per rendere l'idea.

Non so quale ne sia la genesi, ma si è instaurata nel collettivo l'idea che se si ha a cuore la vicenda Regeni si è di sinistra. Perché? Boh, non so, penso che certe vicende dimostrino come le facoltà intellettive del cervello dei rospi di Soanne siano di gran lunga superiori a quelle di certi personaggi dalle sembianze umane.

Il blocco del blogger

Il blogger che torna dal lavoro dopo nove ore di magazzino si mette lì, davanti al suo pc. Spinge il pulsante dell'accensione e, mentre attende la conclusione di tutta la trafila che dal boot conduce alla scrivania con tutte le iconcine belle in vista, operazione che richiede un certo tempo perché il pc è vecchiotto e malandato e Ubuntu 16.04 LTS relativamente pesantuccia, pensa al post che sta appressandosi a vergare. Perché il blogger sa già cosa vuole scrivere, l'idea gli è venuta a metà mattinata e non vede l'ora di trasformarla in parola scritta in modo che i trentadue fedeli lettori del suo blog possano leggerla.

Prima di vergare il post, però, il blogger dà un'occhiata alle mail (l'ha già fatto in mattinata da cell ma un'altra occhiatina non guasta), poi legge ciò che hanno scritto i blog inseriti nel suo blogroll e, già che c'è, dà pure un'occhiata alle home page dei siti per vedere cosa è successo nel mondo, cosa anche questa già fatta in mattinata tramite cellulare. Un'altra occhiata però non guasta, il blogger degno di questo nome deve sempre essere aggiornatissimo.

Esaurite finalmente tutte queste operazioni preliminari, il blogger può finalmente cliccare su "Nuovo post" e cominciare a scrivere. È tutto pronto: il cursore lampeggia sul campo bianco e le dita fremono sulla tastiera. Ma... cos'è che doveva scrivere? Ci pensa un po' su, il blogger, perché è come se avesse una specie di amnesia improvvisa, poi, tutt'a un tratto, ecco che gli sovviene. Però l'idea che sembrava all'inizio così intrigante, adesso non lo è più tanto se è vero che c'è mancato poco che addirittura se la dimenticasse.

E poi, in fin dei conti, ha veramente voglia di scriverla, il blogger? Ma no, forse non era una cosa così fondamentale, e l'umanità può sopravvivere per un altro giorno anche senza. Poi, magari, domani si vedrà.

(Questo post può essere annoverato nell'ipotetica categoria denominata Cazzeggio libero, ma anche Post smaronati può andare bene, quelle categorie, insomma, in cui ammucchiare gli scritti insulsi che nascono in certi pomeriggi un po' tediosi.)


mercoledì 24 gennaio 2018

Torna la fatturazione telefonica mensile (con annessa fregatura)

Cominciano ad arrivare i primi sms con cui i gestori telefonici, per ora Tim e Vodafone, annunciano il ritorno alla fatturazione mensile, ritorno reso obbligatorio dalla legge 172/2017. Bello, no? Apparentemente sì, ma c'è un ma. Breve riassunto.

A cavallo tra il 2016 e il 2017 tutte le maggiori compagnie telefoniche, previa avviso ai clienti, avevano arbitrariamente cambiato i tempi delle fatturazioni da un mese a ventotto giorni, mossa che in tutto questo tempo ha consentito loro di incamerare praticamente una mensilità in più all'anno senza che ciò abbia comportato aggiunte o miglioramenti del servizio.

Le associazioni dei consumatori avevano fatto un po' di casino, all'epoca, c'era stata anche qualche flebile protesta generale ma poi tutto era morto lì. Adesso si torna quindi alla fatturazione mensile, ma siccome ai maggiori introiti generati dalla fatturazione a 28 giorni i gestori si sono nel frattempo affezionati, ecco che abbinato alla fatturazione mensile c'è un bell'aumento dei prezzi dell'8,6%, che è esattamente la percentuale in più incamerata col passaggio ai ventotto giorni.

Boh, non so, c'è qualcosa di spettacolare nella maniera in cui questi signori ci fregano come vogliono ormai praticamente alla luce del sole, senza neppure più bisogno di nascondersi dietro a misteriosi escamotage od occultando in qualche modo le loro porcate.

martedì 23 gennaio 2018

Elezioni alle porte





(da Il sistema della corruzione - P. Davigo)

Burioni e Renzi

Non nutro alcuna simpatia per il PD né per Renzi, anzi soprattutto per Renzi, come sa bene chi mi legge regolarmente, ma se anche Roberto Burioni avesse accettato la sua offerta e si fosse candidato con una lista indipendente collegata al PD, la mia stima per lui sarebbe rimasta immutata.

Sa il cielo quanto abbiamo bisogno in Italia di persone come lui, in prima linea contro l'ignoranza dilagante, tutto il resto è secondario.

lunedì 22 gennaio 2018

Mia cugina Rachele



Tempo fa Romina mi segnalò, nei commenti a un mio vecchio post, questo libro della Du Maurier. Ieri, casualmente, mentre spulciavo la libreria di mia mamma l'ho trovato tra i suoi vecchi libri.

È un'edizione del 1966 (è stato pubblicato la prima volta nel '53) e le prime centosettanta pagine le ho lette ieri pomeriggio. Oggi, ormai, non credo che riuscirò a finirlo, anche perché sono tornato al lavoro dopo un periodo di ferie e il tempo per la lettura è tutto racchiuso in qualche ora da metà pomeriggio in poi.

Comunque, ha una trama avvincente, ritmo, e la Du Maurier, che io non conoscevo, scrive divinamente. (Ma quant'è bella la Cornovaglia dei primi dell'800 così come la descrive la Du Maurier?)

sabato 20 gennaio 2018

Il sistema della corruzione



Questo breve saggio di Piercamillo Davigo ha la capacità di generare in chi lo legge principalmente un sentimento, quella della rassegnazione. Rassegnazione al fatto che la corruzione in Italia è un fenomeno ormai talmente radicato, esteso, tollerato, agevolato addirittura, che non sarà mai possibile sradicarlo.

A ciò si aggiungono almeno altri due motivi per cui quella contro la corruzione, un fenomeno che prospera indistintamente sia nelle piccole realtà locali che in quelle nazionali, è una battaglia persa in partenza. Il primo è che scoprire reati di questo genere è molto difficile, e questo principalmente perché si tratta di reati di tipo omertoso dei quali, la maggior parte delle volte, si giunge a conoscenza fortuitamente, magari mentre si indaga su altro.

La seconda è che, anche una volta che l'illecito viene scoperto e i responsabili processati, ci sono elevatissime possibilità che questi la facciano franca o al massimo vengano condannati a pene irrisorie, che comunque non prevedono praticamente mai la detenzione. E questo perché la legislazione penale, in questo ambito, è sempre andata in una direzione improntata alla tolleranza, alla depenalizzazione - i motivi sono facilmente intuibili, basta guardare la qualità della classe dirigente che legifera in materia.

Il nostro sistema penale, infatti, è strutturato in modo da perseguire con celerità e durezza i reati cosiddetti di flagranza (quelli che fanno "rumore", ad esempio relativi alla piccola o grande criminalità) e di essere estremamente blando e flessibile verso i reati fiscali, societari, insomma quelli caratteristici dei cosidetti colletti bianchi, reati "silenziosi" ma molto più dannosi e pericolosi dei primi.

Piercamillo Davigo, che tra l'altro scrive benissimo, racconta la situazione della corruzione nel nostro paese ricorrendi a tantissimi esempi frutto della sua pluridecennale esperienza di magistrato, esempi spesso talmente incredibili e paradossali, relativi alle dinamiche dei fenomeni corruttivi, da riuscire a strappare in chi legge un sorriso, anche se si tratta di un sorriso amaro.

Non ha soluzioni, Davigo, per combattere o quanto meno tentare di arginare questo vero e proprio flagello. O meglio, di rimedi ne suggerisce un certo numero nell'ultimo capitolo del libro, ma sono irrealizzabili per il semplice motivo che manca la volontà politica di realizzarli.

Il manifesto del libero lettore



Alessandro Piperno è riuscito, con questo breve saggio, a farmi provare due distinte reazioni: godimento e lieve rammarico. Godimento nato dall'essermi abbastanza riconosciuto nella sua definizione di libero lettore, che cito testualmente: "Il libero lettore è un individuo un po' strambo, allo stesso tempo credulone e diffidente, squisito e volgare, sentimentale e cinico, devoto e apostata; un rompiscatole che diffida della gente ma ha un debole per i personaggi".

Piperno dichiara con questo saggio tutto il suo amore per la narrativa e i romanzi, per le storie, un amore che rasenta la patologia, e nel libro riporta alcuni pensieri interessanti, originali e per gran parte condivisibili. Scrive, ad esempio:

"Una cosa l'ho capita negli ultimi trent'anni, per lo più trascorsi a leggere e scrivere romanzi: il numero di persone a cui piace realmente la narrativa è relativamente modesto, persino tra coloro che ne hanno fatto un mestiere: editori, accademici, critici, giornalisti, e talvota i romanzieri stessi. Parlo di quella variegata classe di lettori professionisti che compulsa romanzi allo scopo di confermare le proprie idee sul romanzo. Ansiosi di pubblicare, definire, riassumere, promuovere, stroncare, canonizzare, rivoluzionare, costruire sofisticati sistemi ermeneutici, hanno dimenticato il piacere primigenio di aprire un romanzo per il gusto di perdersi ed essere trascinati altrove.

A questa categoria umana oppongo volentieri quella del libero lettore. Ovvero di colui che si lascia guidare dal capriccio, dalla sete e dalla necessità. Il libero lettore è un dilettante e come tale aspira al diletto. È il tipo che immergendosi in un'opera di narrativa non sta lì a interrogarsi sullo spazio che essa occupa nella storia letteraria; né si chiede se sia realista, vittoriana, modernista, tradizionale, sperimentale, di genere. Il libero lettore tralascia i proclami estetici dell'autore, le dotte postfazioni e i peana del risvolto di copertina. Cerca atmosfere, personaggi, buone storie, mica qualcuno che gli spieghi perché cercarle è un obbligo morale. La sola classificazione che lo interessa è quella che separa i romanzi che producono endorfina da quelli che fanno venire l'emicrania, i pochi che cambiano la vita dai troppi che non cambiano niente."

Concetti condivisibili, direi, anche se forse abbastanza ignorati da molti lettori. Capita spesso anche a me, ad esempio, di valutare l'acquisto o meno di un libro dalle idee personali che ho sull'autore e sugli stilemi delle sue opere. Se ad esempio leggessi un libro di Fabio Volo che mi inondasse di massicce dosi di noia, dubito che poi acquisterei qualcos'altro di Volo, pur conscio che magari il libro successivo potrebbe essere infinitamente più interessante. Insomma, ogni lettore ha un indirizzo o un'idea di massima di ciò che ama leggere e degli autori che preferisce, e magari gli riesce difficile fare salti nel buio. Che poi, alla fine, pensandoci bene sono tutti discorsi che lasciano il tempo che trovano, dal momento che, è noto, chi entra in una libreria o in una biblioteca non cerca un libro, è semplicemente cercato da un libro.

Il lieve rammarico cui facevo accenno all'inizio, invece, nasce dalla consapevolezza di avere accumulato immense lacune per quanto riguarda i classici della letteratura, cosa di cui peraltro ero già al corrente. Nella seconda parte del libro Piperno analizza e commenta brevemente alcune opere di alcuni grandi scrittori dell'ottocento e del novecento, quali Melville, Tolstoj, Joyce, Flaubert, Proust, Dickens, Stendhal ecc., e mentre scorrevo i suoi commenti e analisi mi rendevo appunto conto di non aver mai letto quasi niente di questi autori, nonostante legga da quando ero giovane. Mi impegno solennemente a colmare almeno parte di queste lacune.

venerdì 19 gennaio 2018

Via l'appello per gli assolti

Nel clima da mercante in fiera di questi giorni, dove è in atto una specie di competizione a chi la spara più grossa, spunta la proposta del tipo delle cene eleganti di abolire l'appello per gli assolti in primo grado. Perché? Boh, non si sa, la giustificazione addotta dalla mummia imbalsamata è che così i PM non possono più richiamare l'eventuale tapino in appello rovinandogli la vita, che detto da chi (caso Ruby) è stato condannato in primo grado e poi assolto in appello e in Cassazione - eh, 'sti maledetti giudici comunisti! - è tutto dire. 

Non sono naturalmente un esperto di cose giuridiche, ma da quel poco che so una delle molteplici cause della annosa lentezza della giustizia in Italia, al netto delle chiacchiere da bar e degli slogan, sta in una norma riguardante appunto l'appello. Questa norma prevede che un condannato in primo grado che vi faccia ricorso non può vedersi comminata una pena superiora a quella avuta la prima volta, come spiegato qui. Piccolo esempio.

Tizio si becca cinque anni in primo grado per bancarotta fraudolenta (pena inventata, non so quanto sia in realtà e non ho voglia di andare a cercare). Se fa ricorso in appello e la colpevolezza viene riconosciuta anche lì, la pena non può essere superiore ai cinque anni beccati all'inizio, ma uguale o inferiore. Qual è la conseguenza? Ovvio, che il ricorso in appello lo fanno tutti; chi sa di essere innocente perché vuole giustamente provarlo, chi sa di essere colpevole perché sicuro che con una seconda condanna al massimo gli verranno dati i cinque anni del primo grado, ma intanto la può tirare per le lunghe dilatando così i tempi del processo (e della giustizia).

Solo nel nostro paese esiste questa norma, in tutta Europa gli anni comminati in appello possono tranquillamente essere maggiori di quelli comminati in primo grado, quindi chi sa di essere colpevole ci pensa due volte, forse pure tre, prima di ricorrere. Probabilmente già solo la modifica di questa assurdità contribuirebbe ad accelerare un po' i tempi della giustizia, ma è noto che una giustizia che vada più veloce e sia più efficiente non è ben vista da un Parlamento in cui metà dei componenti ha a vario titolo problemi con essa, molto meglio dare la colpa ai magistrati fannulloni che non hanno voglia di lavorare. Che ci saranno anche, certo, come del resto i vagabondi ci sono dappertutto, ma che non sono certo la causa principale dello stato in cui versa la giustizia.

Quindi, alla fine, non si capisce la ratio della proposta del tipo di Arcore. Anzi sì, si capisce benissimo se inquadrata nel clima da mercante in fiera di cui sopra.

Ivan Graziani il narratore

Stamattina, mentre ero a passeggio lungo il Marecchia con Ivan Graziani negli auricolari, pensavo che il grande cantautore teramano è stato, prima ancora che un ottimo musicista, un più che ottimo narratore, un eccellente creatore di storie necessariamente brevi, concepite per essere raccontate nei quattro o cinque minuti che dura una canzone. Non so quanti dei miei trentadue lettori abbiano dimestichezza con la sua produzione musicale, ma presumo che eventuali suoi estimatori questa cosa l'abbiano già compresa da tempo.

Il 99% delle canzoni di Ivan sono storie brevi, complete, con uno o più personaggi, un inizio, uno svolgimento e una conclusione. Gli esempi che si potrebbero fare sono innumerevoli, e il primo che mi viene in mente è la celeberrima Il chitarrista, un pezzo che conoscono anche i sassi. È una storia breve a tutti gli effetti, e se si ascolta attentamente il testo si può immaginare con poco sforzo anche tutta la scena in cui si svolge la vicenda della donna contesa dai due giocatori di poker: un locale fumoso, il chiacchiericcio tipico dei bar, gli avventori assiepati attorno al tavolo in cui si svolge la sfida ecc. Capite bene che chi, come lo scrivente, traffica tutto il giorno con libri e storie, questa particolare peculiarità di Ivan rappresenta grande motivo di godimento.

Altre perle con le medesime caratteristiche che mi vengono in mente così, su due piedi, sono Firenze (canzone triste), Signora bionda dei ciliegi, la meravigliosa Olanda, Dada, Isabella sul treno, ma naturalmente elencarle tutte è impossibile data la notevolissima produzione di Ivan. Sono tutte storie che generano piacere anche solo dalla semplice lettura del testo, senza supporto della musica.

Certo, non è che Ivan Graziani sia stato l'unico a raccontare storie con le canzoni; penso, che ne so?, al primo Dalla, a Fossati, oppure Vecchioni, Guccini, quest'ultimo non a caso anche scrittore, ma credo che Graziani sia stato quello che è riuscito farlo meglio e in maniera più costante e continuativa nel tempo.

Cantautori che raccontino storie in musica credo che non ne abbiamo più. Oggi mi pare che sia tutto un proliferare di testi abbastanza privi di sugo e costrutto il cui unico fine è quello di soddisfare le esigenze delle rime, niente di più. Ma si tratta più che altro di un'impressione, probabilmente anche falsa, dal momento che sono ormai un vecchio rottame nostalgico di certa musica con cui sono cresciuto e che la musica di oggi tutto sommato non la seguo neppure tanto.

giovedì 18 gennaio 2018

Giulia Bongiorno e la nitidezza

Ognuno è libero di fare politica come gli pare e di candidarsi per chi gli pare, e in veste di avvocato penalista è allo stesso modo libero di difendere chi gli pare, fosse pure Andreotti nel suo famoso processo per mafia. D'altra parte noi mica siam qua per giudicare - un eventuale giudizio si formulerà semmai, successivamente, sull'operato del soggetto in questione.

Certo è che chi fa spot in tv contro la violenza sulle donne, fonda una Onlus insieme a Michelle Hunzicker finalizzata all'assistenza alle donne vittime di discriminazioni, violenze o abusi e poi si candida con Salvini, quello che in un suo triste comizio equiparò la signora Boldrini a una bambola gonfiabile, qualche perplessità la fa nascere.

Se poi il soggetto in questione si spinge fino a dichiararsi colpito dalla nitidezza del Salvini pensiero, beh, la perplessità aumenta, e di molto.

La biblioteca ti frega



La biblioteca ti frega. Sempre. È matematico. Dico biblioteca ma è naturalmente un discorso che vale anche per le librerie. Perché? Cominciamo dall'inizio.

Oggi è stato forse il primo giorno di gennaio in cui ci si è potuti rendere conto che le giornate hanno cominciato lentamente ad allungarsi, e visto che la temperatura era tutto sommato gradevole ho dato una spolverata alla mia bicicletta, parcheggiata in stato di abbandono nel garage dalla fine di novembre, e sono andato giù a Santarcangelo, approfittando del fatto che il giovedì la biblioteca fa orario continuato. Non che fossi a corto di materia prima, anche se in questo periodo di ferie ci sto dando dentro, ma come sa bene ogni lettore compulsivo, il timore (meglio, panico) di restare senza niente da leggere è sempre dietro l'angolo.

Non sono andato in biblioteca con in testa dei titoli specifici, diciamo che avevo intenzione di cercare qualcosa di Galimberti o di Odifreddi per quanto riguarda la saggistica, e qualcosa di Robecchi per quanto riguarda la narrativa (non contavo certo su Follia maggiore, uscito in questi giorni nelle librerie, ma su qualcosa di più vecchio).

La biblioteca di Santarcangelo, però, è strutturata in modo da fregare il potenziale noleggiatore di libri (il termine noleggiatore riferito ai libri non mi piace, ma in questo momento non mi viene in mente alcun sinonimo), perché al suo ingresso, di sotto, prospiciente alla reception (il termine reception non mi piace, ma in questo momento, anche qui, non mi viene in mente alcun sinonimo), c'è la scansia in cui sono esposte le novità che riguardano la saggistica. E non è una scansia che sia possibile evitare, no, chi entra ci va per forza a sbattere contro ed è obbligato a oltrepassarla, se vuole poi salire le scale per accedere agli altri due piani, dove sono dislocati i vari reparti.

Ovviamente ci sono andato a sbattere anch'io, e ho dato frettolosamente un'occhiata agli ultimi arrivi. La fretta che mi ero imposto si è però immediatamente arenata contro il primo titolo su cui mi sono caduti gli occhi: Il manifesto del libero lettore, di Alessandro Piperno. Non ho neppure dato un'occhiata ai risvolti di copertina per sapere a grandi linee di cosa parlasse, mi è bastata l'immagine di copertina (bellissima, ricordo che anni fa girava sui social) e il titolo.

Affiancato a questo c'era Sapiens, da animali a dèi, un saggio storico ("Breve storia dell'umanità", per la precisione) di tale Yuval Noah Harari, uno (per me) sconosciuto insegnante di storia alla Hebrew University di Gerusalemme. Qui, oltre che dal titolo, sono rimasto affascinato dalla breve spiegazione sul retro, che non riporto per non tediare nessuno. Anche questo me lo sono prontamente messo sottobraccio. Accanto al libro di Harari c'era poi un libro di Piercamillo Davigo uscito alcuni mesi fa e intitolato Il sistema della corruzione, in cui il noto magistrato (a me Davigo piace moltissimo) spiega perché dopo venticinque anni da Tangentopoli non è cambiato niente e offre una lucida e chiara analisi relativa all'inestirpabile fenomeno nel nostro paese.

In sostanza, sono entrato in biblioteca con in testa qualcosa e ne sono uscito con tutt'altro. E non è la prima volta che mi succede, mi è capitato spesso e mi capiterà ancora. Probabilmente il noto detto secondo cui chi va in libreria non cerca un libro ma è il libro a cercare lui, è vero. Drammaticamente vero.

Origin



Ammetto di non aver mai amato Dan Brown, un po' perché influenzato dal dileggio di cui lo fece oggetto il grande Umberto Eco dopo che ebbe letto Il codice da Vinci, un po' in seguito al sonno profondo in cui caddi venti minuti dopo aver iniziato a guardare il film relativo. Ho letto Origin, il suo ultimo romanzo, principalmente per due motivi: 1) in questo periodo sono in ferie e quindi ho molto tempo libero; 2) mi è stato prestato - difficilmente avrei altrimenti tirato fuori i venticinque euro necessari all'acquisto.

Che dire? Se si lascia da parte tutta la parte "complottista", diciamo così, e tutto il pistolotto senza né capo né coda sulla spiegazione scientifica (che in realtà di scientifico mi pare abbia ben poco) relativa alla nascita della vita sul nostro pianeta e alla destinazione finale dell'uomo, in risposta agli eterni quesiti "da dove veniamo?" e "dove andiamo?", il libro non è male. È in definitiva niente di più di un buon thriller, con una trama interessante e un certo numero di colpi di scena, compreso quello finale in cui si scopre chi è il Reggente - ammetto di non esserci arrivato prima che lo svelasse il libro stesso.

Un buon thriller e niente più, insomma, da leggere giusto quando si ha molto tempo libero a disposizione.

Libri in ospedale



All'ingresso del reparto oculistico dell'ospedale di Pesaro, dove mi trovavo ieri mattina con mia madre, c'è un espositore suddiviso in tre piani. Su quello più alto ci sono delle riviste, sugli altri due dei libri di vari generi: classici, thriller, rosa ecc. Sono per la maggior parte libri vecchi, ingialliti, probabilmente rimasugli di biblioteca letti e riletti. Chi vuole può sceglierne uno e leggerne qualche pagina mentre attende il suo turno nella sala d'attesa. Se il libro scelto piace può pure tenerlo e portarlo a casa, come recita l'avviso attaccato al muro, a patto che poi lo riporti.

Ma quei libri, lì, non c'entrano niente, sono inutili. La maggior parte delle persone che sedevano sulle sedie della sala d'attesa, o cazzeggiavano con lo smartphone oppure, specie i più anziani, sfogliavano qualche rivista. La cosa tutto sommato è anche comprensibile, è infatti difficile che chi aspetta di sottoporsi a esami o visite, magari in preda a quella lieve tensione e preoccupazione che inevitabilmente accompagna sempre l'attesa, si trovi nello stato d'animo giusto per iniziare a leggere un libro.

Quindi quei libri non c'entrano niente, lì, però a me ha fatto piacere che ci fossero.

Non avrete più paura (se mi voterete)

Una volta le campagne elettorali erano principalmente di tipo propositivo, non giocate sulle false paure (immigrati, vaccini ecc.): faremo questo, faremo quello, vi daremo questo, vi daremo quello ecc. Lo sono anche adesso, certo, basta leggere e ascoltare i roboanti annunci in stile chi la spara più grossa che ci piovono sul capo un giorno sì e l'altro pure, specie in questo periodo: asili gratis per tutti, università gratis per tutti, via il bollo auto, via il canone tv, meno tasse per tutti, pensioni a mille euro per tutti i pensionati (ovviamente per tredici mensilità, ché più la spari grossa e più la plebe abbocca), reddito di cittadinanza, reddito di dignità e chi più ne ha più ne metta. Manca ancora chi dica di voler vincere il cancro, ma lì abbiamo già dato e non è stato un bello spettacolo.

Dal cancro ai vaccini il passo è breve, e infatti questi ultimi sono entrati a pieno titolo tra gli argomenti di questa campagna elettorale - Di Maio e Salvini, ad esempio, due noti luminari in materia, hanno promesso che lasceranno più libertà per quanto riguarda gli obblighi, una mossa molto intelligente, come capite bene, specie se si considera che l'Italia è attualmente al quinto posto nel mondo per casi di morbillo accertati. Ma i vaccini fanno paura, si sa. Mica fa paura ciò che potrebbe succedere in caso i cretini che non vaccinano i propri figli diventassero numericamente rilevanti - scherziamo? - no, fa paura ciò che finora ha permesso di scongiurare il ritorno di malattie in alcuni casi scomparse da decenni. Ma che ci volete fare? D'altra parte siamo sempre il paese dei Vannoni, dei Di Bella, dei Simoncini (quello che curava il cancro col bicarbonato) e compagnia bella, ed è quindi naturale che il primo ignorante che insinui dubbi sui vaccini raccolga inevitabilmente vasti consensi.

Altro argomento che tiene banco, e su cui si può speculare sicuri di ottenere voti, è l'immancabile immigrazione, perché tutti 'sti negri, brutti, sporchi e cattivi, questi sì che fanno paura, eh. E gli italiani hanno paura di loro perché delinquono, e poi dobbiamo pure mantenerli, esattamente come per i politici: delinquono e dobbiamo pure mantenerli. Mi si accuserà di eccessiva generalizzazione, ma se generalizzano facendo di ogni erba un fascio i vari Salvini, Meloni, Di Maio e compagnia bella, perché non posso farlo pure io?

Comunque delinquono, è vero, l'ha detto il tipo delle cene eleganti l'altro ieri in tv: "466mila immigrati in Italia che per mangiare devono delinquere". Ovviamente è una balla, ma se anche fosse vero almeno questi poveretti lo farebbero per fame, mentre quando delinqueva lui non aveva neppure questa giustificazione qui, perché se tu in vent'anni nascondi al fisco un miliardo e trecento milioni di euro e li parcheggi in un po' di società offshore, di fatto risorse sottratte alla collettività, è difficile che la motivazione sia la fame, no? (Stendiamo poi un velo pietoso sul fatto che chi ha costruito parte della sua fortuna sulle società offshore vada in tv a farsi paladino della lotta all'evasione fiscale.) Comunque, insomma, capite bene che alla fine gli immigrati che vanno a rubare nei frigoriferi sono un problema grosso. Mica sono problemi i cento miliardi di evasione fiscale ogni anno o le decine di miliardi che si porta via la corruzione, scherziamo? Ci sarebbe poi da chiedersi quanti frigoriferi dovrebbero svuotare questi delinquenti prima di raggiungere i 50 milioni di euro rubati dalla lega negli ultimi anni, ma soprassediamo.

La realtà, nonostante ciò che raccontano i Salvini, i Di Maio e i Berlusconi, è che gli immigrati sono stati e sono una manna dal cielo per questa gente, perché hanno permesso loro in tutti questi anni di poter capziosamente eleggerli a responsabili di tutti i mali dell'universo e di glissare sui responsabili veri dello stato in cui versa il nostro paese. Guardate i tiggì (se ce la fate) o leggete i giornali, vi accorgerete del martellamento continuo attuato proprio con questo scopo. Pensate se lo stesso martellamento avesse come destinatari i politici che rubano, il malaffare, la corruzione, l'evasione fiscale, la mafia, gli sprechi dello Stato, i miliardi buttati nel cesso con le opere pubbliche inutili o clientelari, cioè tutto ciò che in questi ultimi decenni ha ridotto questo paese allo stremo.

Ma non si può fare, non sta bene, lo storytelling del povero popolo italiano derubato di soldi e lavoro (è noto infatti che ogni italiano ha come massima aspirazione quella di andare in spiaggia a vendere accendini) dai poveretti che arrivano coi barconi potrebbe venire compromesso, e dopo Salvini e soci come farebbero a speculare sulla paura dell'immigrazione se a qualcuno venisse il sospetto che l'immigrazione non è il problema più grave che attanaglia l'Italia?

La razza di quelli come Fontana

Il primo commento che mi è venuto in mente dopo aver letto lo sproloquio di Fontana, è che se la sua amata razza(*) bianca fosse tutta composta da persone come lui, si estinguesse pure. Nessun rimpianto.

(*) Come sanno anche i ragazzini delle medie, il termine razza viene dagli scienziati unicamente riferito all'ambito zootecnico, riferito all'uomo non ha alcun significato, ma Fontana è un leghista, non si può pretendere chissaché.

domenica 14 gennaio 2018

Come nel '94

Se qualcuno, nel 2011, mi avesse detto che nel 2018 ci sarebbe stata una campagna elettorale che l'avesse visto ancora tra i protagonisti, avrei dato al tutto lo stesso peso che si dà a una barzelletta. Ma la barzelletta si è avverata e si è trasformata in un incubo. Stiamo rivivendo pari pari lo stesso brutto film visto per la prima volta ventiquattro anni fa e poi a ogni elezione successiva. Con la differenza che il protagonista si è trasformato col passare del tempo in un ultraottuagenario pregiudicato con una sfilza di procedimenti penali talmente lunga che Wikipedia e Treccani hanno dovuto dedicargli una pagina apposita.

E il copione di quel brutto film è identico ai copioni precedenti. Anche il protagonista è perfettamente identico, perché è noto che il processo di imbalsamazione dei cadaveri serve a fermare i segni del tempo. Così, attore principale e copione si ripetono, si ripresentano, come una nemesi, forti della certezza che la memoria storica delle italiche genti arriva al massimo a cosa si è mangiato la sera prima.

A cavallo di questa certezza, il maggior venditore di fumo della triste storia recente e uno dei maggiori responsabili del declino economico, sociale, morale ed etico del nostro paese può quindi riproporre tranquillamente gli stessi slogan, le stesse balle che hanno contraddistinto il suo sproloquiare dei lustri passati. Può ritornare a invocare l'incubo comunista, stavolta incarnato dai grillini - no, non ridete, l'ha detto davvero -, può proporre la cosiddetta Flat tax, una tassa iniqua che prevede la stessa percentuale di imposte sia che si dichiarino diecimila euro all'anno e sia che si dichiari un milione di euro, alla faccia della progressività fiscale prevista dalla Costituzione.

Tutto questo senza che nessuno o quasi si renda conto del grottesco, misto al tragico e al patetico, insito in chi si fa paladino della lotta all'evasione fiscale avendo sul groppone una condanna definitiva proprio relativa a questo tipo di reato, in aggiunta a una sfilza di procedimenti aperti la maggior parte dei quali riconducibili a questa tipologia.

Si è ripresentata - dice - l'urgenza, il dovere, oggi come allora, di scendere in campo per sventare il pericolo comunista. Naturalmente nessuno si aspettava che la prona signora D'Urso gli facesse notare che nel '94 i reali motivi della discesa in campo erano che Fininvest era sull'orlo della bancarotta con seimila miliardi di debiti e il titolare con un piede già nel gabbio; nessuno si aspettava che la prona signora D'Urso gli chiedesse lumi sulla provenienza della marea di denaro che nel periodo a cavallo tra gli anni '80 e i '90 gli consentì di avviare la sua carriera di palazzinaro a Milano. Figuriamoci.

Comunque, va bene così. Come scriveva Augias e altri prima di lui, ogni paese ha ciò che si merita.

Il disagio della libertà



La tesi di fondo di questo ottimo saggio di Corrado Augias, sintetizzando brutalmente, è che ognuno ha ciò che si merita, che nel caso specifico italiano sta a significare che chi governa rispecchia chi è governato, e non ha molto senso puntare il dito contro malcostumi e malefatte della classe dirigente se quegli stessi comportamenti sono, in piccolo, attuati da buona parte delle persone normali.

Augias tenta di analizzare i motivi per cui nell'arco di nemmeno cento anni l'Italia è stata succube, compiacente, di due personalità dai forti caratteri autoritari: Mussolini e Berlusconi. Non c'è una risposta chiara e univoca a questo interrogativo, le ragioni sono molteplici, e attraverso una esaustiva carrellata di episodi storici l'autore arriva a concludere che l'opportunismo e la mentalità tipica italiana secondo cui dietro a ogni azione ci dev'essere obbligatoriamente un tornaconto personale, sono i motivi che hanno indotto e inducono ancora oggi le italiche genti a non ritenere la propria libertà in fondo così importante, meglio e più facile mettere in campo una sana accondiscendenza verso un capo o un leader e accontentarsi dei (pochi) benefici che si ricevono in cambio.

Un libro a tratti crudo, spietato, ma purtroppo estremamente reale e attuale.

sabato 13 gennaio 2018

(...)













(da Il disagio della libertà - C. Augias)

Stoner



Credo che il pregio maggiore di questo libro sia di essere appassionante nonostante una trama tutto sommato banale e a tratti anche noiosa. In fondo la grandezza di certi scrittori sta tutta nel riuscire a catturare il lettore raccontando storie semplici con un tipo di prosa che appassiona.

John Williams, che io non avevo mai sentito nominare, è riuscito a fare questo, e credo che il fascino di questo romanzo stia proprio nella capacità di esplorare gli interrogativi che attanagliano noi tutti (perché si vive, perché si sbaglia, cosa significa amare, qual è il significato dell'esistenza ecc.) semplicemente raccontando la vita di un tranquillo professore di letteratura, William Stoner, dell'università del Missouri.

Sintetizzando ed esprimendo un giudizio in un aggettivo, direi appassionante.

venerdì 12 gennaio 2018

Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi

Ieri erano diciannove anni che De André se n'è andato. Mentre leggevo su vari siti di questa ricorrenza ho pensato che diciannove anni sono un'eternità, se rapportati alla velocità con cui accadono e poi precipitano nell'oblio le cose e gli avvenimenti oggi. E sono un'eternità a maggior ragione se si pensa che De André nella coscienza e nel sentire collettivo è come se fosse ancora vivo.

Magari non per tutti. Anzi, sicuramente non per tutti, ma per chi, come me, ancora tira fuori con regolarità i suoi cd, ancora si siede al pianoforte o imbraccia la chitarra per suonare suoi pezzi, o anche solo ripete mentalmente qualche suo verso mentre cammina, Faber vive.

(...)



(da Stoner - J. Williams)

giovedì 11 gennaio 2018

L'ospite inquietante



Sono appena al terzo libro di quest'anno, ma credo di poter già affermare con una certa sicurezza che questo sarà quello che mi sarà piaciuto di di più tra quelli che leggerò in questo 2018. Già da qualche tempo seguo Umberto Galimberti, in particolar modo su YouTube. Mi piace ciò che dice e come lo dice e ho quindi deciso di comprare questo suo saggio uscito qualche anno fa.

Qui Galimberti spiega in maniera chiara e scorrevole, utile a far comprendere i concetti più difficili anche a quelli come me, cos'è il nichilismo e i motivi che stanno alla base del suo dilagare nei giovani di oggi. È un libro che tutti dovrebbero leggere, specialmente chi ha figli che vanno a scuola o è a qualsiasi titolo in contatto coi giovani. Non per farsi insegnare da Galimberti il mestiere, anche se certi professori trarrebbero solo utili insegnamenti da questa lettura, ma per capire i motivi per cui gli studi degli psicologi sono assaliti da orde di genitori e insegnanti che non sanno più come far fronte all'indolenza e al senso di vuoto che attanagliano i propri figli e i propri studenti.

È uno sguardo impietoso sulla società in cui sono inseriti (quando lo sono) i ragazzi di oggi, sulla scuola, sulla famiglia e sulle responsabilità enormi che questi tre soggetti hanno nelle mancanze di senso e scopi che pervade la loro esistenza. Non è un problema che ha a che fare con tutti i giovani, intendiamoci, e questo Galimberti lo spiega bene, ma se oggi in Italia il suicidio tra i 15 e 25 anni è la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali, vuol dire che qualcosa che non va c'è.

Una lettura illuminante, grazie alla quale ho tra l'altro capito perché non sono mai stato una cima a scuola.




Ecco la spiegazione: ero troppo creativo. Scherzi a parte, è un libro che merita. Qui di seguito il breve contributo video con cui l'autore ne presentò l'uscita.

mercoledì 10 gennaio 2018

Oggi



Se non fosse per il calendario e la temperatura, sembrerebbe quasi una giornata primaverile, oggi. Una di quelle giornate che non ti invitano a passeggiare, ti chiamano proprio.

(...)









(da L'ospite inquietante - U. Galimberti)

Aumenta l'occupazione (del piffero)

Il pifferaio è contento, strilla a social unificati che il suo JobsAct ha fatto il miracolo di aver creato un milione di posti di lavoro, riuscendo dove l'altro pifferaio, quello di Arcore, vent'anni fa aveva fallito. Ed è vero che, in linea generale seppur a fasi alterne, l'occupazione tende ad aumentare e la disoccupazione a diminuire, ma il tipo di Rignano dimentica di rimarcare come la stragrande maggioranza dei nuovi assunti (una percentuale collocabile tra l'80 e il 90%) sia inquadrata con contratti a termine, siano insomma precari, laddove i contratti a tempo indeterminato (che di indeterminato hanno solo il nome, vedi le famose tutele crescenti) sono una infima parte.

Si dirà: meglio un contratto precario che stare a casa a girarsi i pollici. Il che potrebbe essere anche vero, dal momento che ormai ci siamo abituati a vivere in un'epoca dove tutto si svilisce e i corsi della vita e delle dinamiche sociali si snodano sui binari del "piuttosto che niente, meglio piuttosto", ma quello che strilla al miracolo del suo JobsAct dovrebbe anche dire che chi lavora con contratti a chiamata, o a termine o quello che volete, tre/quattro mesi e poi boh, difficilmente otterrà un prestito da una banca; senza la previsione di un minimo di stabilità difficilmente pianificherà qualcosa per il suo futuro, ma camperà alla giornata, e se anche guadagnerà qualcosa lo terrà gelosamente da parte in previsione di periodi futuri in cui magari il contratto di lavoro non gli sarà rinnovato, con buona pace dei tromboni che prevedevano con l'aumento dell'occupazione una ripartenza dell'economia.

Ora, intendiamoci, è vero che il JobsAct è una delle porcate più grosse partorite dalla politica nel periodo recente, quello che ha in pratica istituzionalizzato il precariato, ma va detto che il processo che ha portato a questo risultato ha avuto il suo inizio molto indietro nel tempo, non è cascato all'improvviso dal cielo con Renzi. Chi ha buona memoria ricorda sicuramente, ad esempio, che l'introduzione dei primi contratti cosiddetti flessibili (flessibile è sinonimo di precario ma ha una fonetica molto più bella), Co.co.co, Co.co.pro, interinali e simili, hanno fatto la loro comparsa con il cosiddetto Pacchetto Treu. Era il 1997 e al governo c'era Dini. È poi arrivata la legge Biagi (2003, terzo governo Berlusconi), il decreto Poletti (2014) e infine il Jobsact. Tutte queste leggi, partorite da centrosinistra e centrodestra, sono inesorabilmente e irrimediabilmente andate nella direzione di un rafforzamento della precarietà e un indebolimento dei diritti di chi lavora.

Rimane il mistero di come si possa trarre motivo di orgoglio e vanto da questo disastro, ma siamo in campagna elettorale, e si sa che, come in amore e in guerra, sotto elezioni tutto è permesso.

martedì 9 gennaio 2018

Sleeping beauties



Sapete quei libri che ti catturano come la tela del ragno cattura una mosca? Quelli che leggi anche mentre svuoti la lavastoviglie? Quelli che chi se ne frega della passeggiata pomeridiana? Quelli che una figlia ti manda un messaggio preoccupato su WhatsApp perché tu sei sul divano a leggere e ti dimentichi di andarla a prendere alla fermata del 9/A? Quelli che non vedi l'ora di tornare dal lavoro perché se non sai come va a finire muori?

Ecco, Sleeping beauties è uno di quei libri lì.

lunedì 8 gennaio 2018

La virgola della Santanché



Il primo requisito richiesto, che poi è il minimo sindacale, a chi ogni giorno e in ogni dove si fa paladino del patriottismo, del suprematismo e identità italiani e cazzate simili, è avere un minimo di padronanza della lingua. Non si pretende un livello di conoscenza di un Umberto Eco o un Gian Luigi Beccaria, giusto per citare i primi due che mi vengono in mente, ma un livello tale che almeno permetta di costruire un periodo senza infilare una orribile virgola tra soggetto e verbo.

Una roba del genere avrebbe fatto sgranare gli occhi alla austera signora Silvana, la mia maestra delle elementari, la quale avrebbe dato alla Santanché, come penitenza, almeno cinque pagine di quaderno a righe da riempire con periodi brevi senza virgola tra soggetto e verbo, come si faceva una volta coi somari.

Questi sono quelli che vorrebbero subordinare la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri a non meglio precisati test di conoscenza della lingua, test che naturalmente gente come la Santanché supererebbe a occhi chiusi.

(Direi di sorvolare sul fatto che quel "dà", in questo caso inteso come forma verbale, vuole l'accento grave e non acuto, ché poi sembra che si voglia essere troppo pignoli.)

domenica 7 gennaio 2018

Leggere e basta

"In queste vacanze ho letto. Come una forsennata. Come non mi capitava da anni. C’è una magia nella lettura che noi lettori conosciamo e gli altri no. Non si può spiegare, almeno non fino in fondo. È quella vertigine che ti prende quando precipiti in un libro, che è la cosa più simile ad uno Stargate. L’oggetto più fantascientifico e multimediale che esista, perché tu sei lì, nella tua stanza, e un momento dopo sei altrove, e non sei nemmeno più tu.

La lettura è quell’incantesimo che amplia e dilata i confini del reale. Leggere è come avere i superpoteri. Sei portata in altri mondi, in altre epoche, e ci sei dentro, spettatrice ma anche protagonista.

A me dispiace sinceramente per quelli che non leggono. Ma mica per quelle bubbole della cultura, o sul diventare migliori, eh. È che non sanno cosa si perdono."

(via Galatea)

sabato 6 gennaio 2018

Foschia





Oggi la nebbia non vuole saperne di alzarsi completamente. Il grosso si è alzato a metà mattina ma ancora poco fa un filo di bruma era saldamente ancorato al suolo e al letto del Marecchia. Come se quel velo di foschia volesse sollevarsi ma la terra lo trattenesse ostinatamente a sé.

Il boom delle Meraviglie

La trasmissione di Alberto Angela Meraviglie, andata in onda giovedì sera, ha fatto il pieno di ascolti. Non ricordo chi fosse a dire che la tv spazzatura impera perché è la gggente che la vuole, ma ogni volta che da qualche parte viene fornita l'occasione di sfatare questo luogo comune, questo luogo comune viene regolarmente sfatato.

Poi, certo, ci saranno sicuramente eserciti di persone il cui orizzonte televisivo non va oltre a grandi fratelli, isole, isterismi di Sgarbi, calcio ecc., e poveretti loro, ma accanto a questi - ormai è dimostrato - ci sono altrettanti corposi eserciti di persone che rimangono affascinati dalla storia del Cenacolo di Leonardo o dei templi di Agrigento (e anche dal sex appeal di Angela figlio, diciamolo, via).

Un unico appunto: l'orario. Anche se può apparire strano, in Italia c'è ancora gente che lavora e che la mattina si deve alzare molto presto, e se si fa iniziare una trasmissione alle 21:30 è poi molto difficile che i soggetti di cui sopra, scrivente compreso, arrivino in fondo. Ma ci si accontenta lo stesso, via, non si può avere tutto.

venerdì 5 gennaio 2018

Coglione ed evasore fiscale





Che Stephen King detesti Donald Trump è noto da tempo, e la cosa dev'essere reciproca dal momento che lo stesso King fu bloccato tempo fa su Twitter dal presidente USA. Ma se tu sei uno dei più grandi scrittori del mondo puoi toglierti alcuni sfizi normalmente preclusi ai comuni mortali, come ad esempio spernacchiare un presidente USA nei tuoi libri.

I due screen che vedete qui sopra sono tratti dall'ultimo romanzo di King, Sleeping beauties, che sto leggendo in questi giorni, e sono appena a pagina cento. Sono pronto a scommettere che prima di arrivare all'ultima delle seicentocinquanta che compongono il romanzo incontrerò ancora il vecchio Donald.

giovedì 4 gennaio 2018

I sacchetti

Si è scatenata l'apocalisse sui biosacchetti, sembra. Una apocalisse a mio parere abbastanza incomprensibile. In primo luogo perché non erano gratuiti neppure prima ma il loro prezzo era semplicemente spalmato nei costi di esercizio, in secondo luogo perché nella medesima maniera paghiamo tantissime altre cose, come la televisione commerciale, ad esempio. Sinceramente, tutta questa furia generale non la comprendo.

mercoledì 3 gennaio 2018

Stupidi

Uno stupido dice che ha il ditino sul pulsante nucleare, l'altro stupido gli replica dicendo che il suo pulsante è più grosso. Manco i bambini all'asilo.

martedì 2 gennaio 2018

Ferdinando Imposimato

Spiace che da alcuni anni avesse cominciato a dare credito ad alcune tra le più ridicole teorie complottiste, tipo quella sull'11 settembre ad esempio, ma nessuno è perfetto. In ogni caso, un uomo da ammirare per l'operato e la dirittura morale. Ce ne fossero, così.