Se qualcuno, nel 2011, mi avesse detto che nel 2018 ci sarebbe stata una campagna elettorale che l'avesse visto ancora tra i protagonisti, avrei dato al tutto lo stesso peso che si dà a una barzelletta. Ma la barzelletta si è avverata e si è trasformata in un incubo. Stiamo rivivendo pari pari lo stesso brutto film visto per la prima volta ventiquattro anni fa e poi a ogni elezione successiva. Con la differenza che il protagonista si è trasformato col passare del tempo in un ultraottuagenario pregiudicato con una sfilza di procedimenti penali talmente lunga che Wikipedia e Treccani hanno dovuto dedicargli una pagina apposita.
E il copione di quel brutto film è identico ai copioni precedenti. Anche il protagonista è perfettamente identico, perché è noto che il processo di imbalsamazione dei cadaveri serve a fermare i segni del tempo. Così, attore principale e copione si ripetono, si ripresentano, come una nemesi, forti della certezza che la memoria storica delle italiche genti arriva al massimo a cosa si è mangiato la sera prima.
A cavallo di questa certezza, il maggior venditore di fumo della triste storia recente e uno dei maggiori responsabili del declino economico, sociale, morale ed etico del nostro paese può quindi riproporre tranquillamente gli stessi slogan, le stesse balle che hanno contraddistinto il suo sproloquiare dei lustri passati. Può ritornare a invocare l'incubo comunista, stavolta incarnato dai grillini - no, non ridete, l'ha detto davvero -, può proporre la cosiddetta Flat tax, una tassa iniqua che prevede la stessa percentuale di imposte sia che si dichiarino diecimila euro all'anno e sia che si dichiari un milione di euro, alla faccia della progressività fiscale prevista dalla Costituzione.
Tutto questo senza che nessuno o quasi si renda conto del grottesco, misto al tragico e al patetico, insito in chi si fa paladino della lotta all'evasione fiscale avendo sul groppone una condanna definitiva proprio relativa a questo tipo di reato, in aggiunta a una sfilza di procedimenti aperti la maggior parte dei quali riconducibili a questa tipologia.
Si è ripresentata - dice - l'urgenza, il dovere, oggi come allora, di scendere in campo per sventare il pericolo comunista. Naturalmente nessuno si aspettava che la prona signora D'Urso gli facesse notare che nel '94 i reali motivi della discesa in campo erano che Fininvest era sull'orlo della bancarotta con seimila miliardi di debiti e il titolare con un piede già nel gabbio; nessuno si aspettava che la prona signora D'Urso gli chiedesse lumi sulla provenienza della marea di denaro che nel periodo a cavallo tra gli anni '80 e i '90 gli consentì di avviare la sua carriera di palazzinaro a Milano. Figuriamoci.
Comunque, va bene così. Come scriveva Augias e altri prima di lui, ogni paese ha ciò che si merita.
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