Pagine

venerdì 31 dicembre 2021

Libri 2021

Come faccio alla fine di ogni dicembre, lascio qui di seguito l'elenco dei libri letti durante l'anno che sta per chiudersi, in caso qualcuno dei miei 32 lettori ne abbia letto qualcuno. A molti, quelli che mi sono piaciuti di più, ho naturalmente dedicato dei post. Scorrendo l'elenco mi accorgo, contrariamente al solito, di essere stato carente nella lettura dei classici e di avere privilegiato narrativa più o meno contemporanea e saggistica, sia storica che scientifica. Magari mi rifarò nell'anno che sta per iniziare. Una menzione particolare la dedico agli otto libri che compongono la saga fantasy La torre nera, di Stephen King (sono i titoli contrassegnati con *), un'opera letteraria monumentale della quale nel corso degli anni avevo sempre rimandato la lettura. Grazie, Big Steve: come sempre ne è valsa la pena.

Approfitto, visto che oggi è il 31, per fare gli auguri di buon anno a chi passerà di qui. Visti gli ultimi due, credo sia difficile che il 2022 possa essere peggiore. Vedremo.

1) Lo Zahir - P. Coelho 

2) 60 racconti - D. Buzzati

3) Euro 13,89 - F. Beigbeder

4) A ciascuno il suo - L. Sciascia

5) Nemesi - P. Roth

6) La scomparsa del pensiero - E. Bencivenga

7) Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto - U. Galimberti

8) La versione di Fenoglio - G. Carofiglio

9) L'ombra del vento - C. R. Zafón

10) Cosa hanno mai fatto gli ebrei? - R. Finzi

11) Oceano mare - A. Baricco

12) Menzogna e sortilegio - E. Morante 

13) Perché i libri allungano la vita - U. Eco

14) 22.11.63 - S. King

15) Homo incertus - V. Andreoli

16) Libertà - J. Franzen

17) Homo Deus. Breve storia del futuro - Y. N. Harari 

18) L'ultimo cavaliere* - S. King

19) Dieci piccoli indiani - A. Christie 

20) La chiamata dei tre* - S. King

21) Terre desolate* - S. King

22) La sfera del buio* - S. King

23) Later - S. King

24) Il cavaliere e la morte - L. Sciascia

25) L'era della suscettibilità - G. Soncini

26) Le confessioni - Agostino d'Ippona
 
27) I lupi del Calla* - S. King
 
28) Tempo. Il sogno di uccidere Chrónos - G. Tonelli

29) Donne, madonne, mercanti e cavalieri - A. Barbero

30) La canzone di Susannah* - S. King

31) Il dolce domani - B. Yoshimoto

32) Africa, una storia da scoprire. Culture e civiltà nel continente dimenticato - J. Roig

33) La torre nera* - S. King

34) Il cristianesimo antico, da Gesù a Costantino - P. Mattei

35) L'eredità dell'abate nero - M. Simoni

36) La disciplina di Penelope - G. Carofiglio

37) Benedette guerre - A. Barbero

38) Riti di morte - A. Giménez-Bartlett

39) Le avventure della libertà - G. Giorello

40) Il patto dell'abate nero - M. Simoni

41) Guns - S. King

42) Vecchie conoscenze - A. Manzini

43) Stati di negazione. La rimozione del dolore nella società contemporanea - S. Cohen

44) Via dalla pazza folla - T. Hardy

45) Le parole del Papa - A. Barbero

46) Prima la musica, poi le parole - R. Muti

47) Il bordo vertiginoso delle cose - G. Caro figlio

48) L'enigma dell'abate nero - M. Simoni

49) Numero zero - U. Eco

50) La loggia P2 - D. Fiorentino

51) Ti prendo e ti porto via - N. Ammaniti

52) Il grande terrore. Gli anni in cui lo stalinismo sterminò milioni di persone - R. Conquest

53) La fuga di Enea - A. Scurati

54) La rabbia e l'orgoglio - O. Fallaci

55) L'uomo che guarda - A. Moravia

56) Lo sbaglio - A. Samarakis

57) Nati per credere - V. Girotto / T. Pievani / G. Vallortigara

58) L'obsoleto. Don Milani dopo don Milani - P. Perticari

59) Ma gli androidi sognano pecore elettriche? - P. K. Dick

60) Le voci della sera - N. Ginzburg

61) Darwin e il viaggio all'origine delle specie - L. Mori

62) Il tempo del diavolo - G. Cooper

63) Il libro delle emozioni - U. Galimberti

64) Sottomissione - M. Houellebecq

65) Dracula - B. Stoker

66) Tre cene - F. Guccini

67) I tempi nuovi - A. Robecchi

68) L'arminuta - D. Di Pierantonio

69) Il tribunale della storia - P. Mieli

70) L'assassinio del commendatore - H. Murakami

71) Popper - R. Maiocchi

72) Il lungo addio - R. Chandler

73) In un volo di storni - G. Parisi

74) Manifesto del libero pensiero - P. Mastrocola, L. Ricolfi

75) Marx - J. M. Aragués

76) Il sole dei morenti - Jean-Claude Izzo

77) La morte di Pasolini - D. Serafino

78) Il giorno prima della felicità - E. De luca

79) La conquista della felicità - B. Russell

80) Niente di vero tranne gli occhi - G. Faletti

81) Serendipità - T. Pievani

Serendipità

 


Cosa si intende con serendipità? In campo scientifico, anche se da tempo questo sostantivo abbraccia altri ambiti, si intende la capacità, o la fortuna, di fare scoperte inattese e impreviste mentre si sta cercando altro. Il termine fu coniato dallo scrittore inglese Horace Walpole, e deriva da una antica fiaba persiana chiamata The three princes of Serendip. Serendippo era l'antico nome dell'isola di Ceylon, l'attuale Sri Lanka, luogo da cui, secondo la leggenda, tre prìncipi partirono alla scoperta del mondo.

Questo bellissimo libro di Telmo Pievani, la mia ultima lettura di quest'anno, racconta in dettaglio l'infinito numero di episodi in cui la serendipità è andata a stretto braccetto con le scoperte scientifiche. Anzi, quasi tutta la storia delle grandi scoperte scientifiche e delle leggi di natura sono ammantate di serendipità, nel senso che per la maggior parte si tratta di scoperte fatte per caso o fortuitamente mentre magari si stava cercando tutt'altro. 

L'elenco è sterminato: dalla penicillina ai raggi x, dalla scoperta dell'America al forno a microonde, dagli anestetici in chirurgia alla radioattività, dalla dinamite alla celluloide alla radiazione di fondo dell'universo passando per la vulcanizzazione della gomma, scoperta per caso da Charles Goodyear e grazie alla quale abbiamo gli pneumatici per le auto, e poi ancora l'uranite di Becquerel, la scoperta casuale del dagherrotipo e via di questo passo, in una lista che è praticamente infinita.

Il ramo della scienza che più degli altri è collegato al concetto di serendipità è però quello della medicina. La stragrande maggioranza dei rimedi farmacologici e delle terapie che oggi consentono di curare gran parte delle patologie che ci affliggono sono stati scoperti per caso, mentre magari si stava cercando tutt'altro, oppure non si stava cercando niente di particolare ma si faceva ricerca pura, non finalizzata. Oppure grazie a eventi esterni totalmente estranei all'ambito scientifico. 

Così è stato per la nascita della chemioterapia, ad esempio. Il 2 dicembre del 1943 i tedeschi sferrarono un attacco aereo a sorpresa alle navi alleate ormeggiate nel porto di Bari. Fu colpita, tra le altre, la nave da carico americana John Harvey, la quale stipava duemila bombe all'iprite, noto anche come gas mostarda. Si sprigionò una nube tossica che uccise circa mille persone. Nei giorni successivi, dall'amministrazione americana fu inviato a indagare sul disastro un medico del New Jersey, tale Stewart Alexander, il quale era all'oscuro della presenza dell'iprite sulla nave colpita (il gas mostarda era classificato come fuori legge dalle convenzioni internazionali). Esaminando alcune delle persone decedute, Alexander scoprì che esse erano tutte colpite da leucopenia, ossia grave carenza di globuli bianchi nel sangue. Quando venne a sapere (anche se l'aveva sospettato fin da subito) che l'eliminazione dei globuli bianchi era stata causata appunto dall'iprite, intuì le potenzialità insite in un composto che aveva la capacità di eliminare selettivamente solo alcuni tipi di cellule. Le prime applicazioni di questa casuale e fortuita scoperta riguardarono la cura della leucemia, un tipo di tumore del sangue in cui i globuli bianchi si replicano in maniera incontrollata. Era nata la chemioterapia.

Per venire a tempi più recenti, un interessante esempio di serendipità è dato dalla scoperta del Viagra. Negli anni Novanta Pfizer lavorava a un farmaco per problemi di cuore, il Viagra appunto, che però nei primi test clinici si rivelò deludente, con scarsi effetti. I ricercatori, delusi, abbandonarono la ricerca e chiesero ai pazienti coinvolti nella sperimentazione di restituire le pillole inutilizzate. Furono parecchio sorpresi quando notarono che i pazienti erano molto riluttanti nella restituzione. Poi capirono il perché: il Viagra apportava un altro beneficio, serendipicamente inatteso.

Venendo invece ai giorni nostri, l'ultimo esempio di serendipità riguarda il famigerato covid. La tecnologia su cui si basano i vaccini di nuova concezione a RNA messaggero non è stata inventata nel 2020, come magari molti possono pensare, ma era già nota dagli Ottanta del secolo scorso, solo che era poco utilizzata e indirizzata più che altro allo studio, in campo oncologico, di vaccini in grado di stimolare il sistema immunitario contro il cancro. Agli inizi del 2020, nel pieno della forsennata ricerca a livello globale di un vaccino contro il covid, qualcuno ebbe un'intuizione: perché non provare a utilizzare la tecnologia a RNA messaggero che si stava testando, con scarsi risultati, in campo oncologico? Bingo! Oggi, grazie a quella serendipica intuizione, abbiamo i vaccini contro il covid.  

L'evoluzione della medicina è ricchissima di storie serendipitose come queste e l'elenco che si potrebbe fare è pressoché infinito - Pievani nel libro ne elenca tantissime, e alcune sono talmente incredibili da sembrare opere fantasy. Questo, naturalmente, non significa, come si premura di rimarcare Pievani, che gli scienziati siano persone semplicemente fortunate. Certo, occorre anche la fortuna, ma "la serendipità nasce da un intreccio di astuzia e curiosità, sagacia, immaginazione e accidenti colti al volo." Insomma, come per la fortuna, anche la serendipità va in qualche modo aiutata.

mercoledì 29 dicembre 2021

Terza dose

Sono tornato a casa adesso dopo aver fatto la terza dose di vaccino in un hub di Rimini, quello sulla via Consolare. Appena arrivato, mi ha colpito la lunghissima fila di macchine di quelli in attesa di tampone. Dentro ogni macchina, persone che cercavano di ingannare il tempo consultando i propri smartphone, oppure ascoltando la radio, oppure, arresi al tedio e alla noia, appoggiando il capo al poggiatesta, come soldati in battaglia che gettano le armi e alzano bandiera bianca. Tutto questo mentre la fila avanzava a una velocità che se fosse stata equivalente al passo d'uomo si sarebbe potuta definire elevata. 

Ho pensato che una buona rappresentazione del concetto di tortura potrebbe essere appunto il trovarsi imprigionati in un'automobile senza potersi muovere, nel freddo di fine dicembre, coi vetri appannati e la macchina davanti che fa respirare a quella dietro i suoi fumi di scarico, in attesa che arrivi qualcuno con un abbigliamento tipo palombaro pronto a infilare un arnese nelle vie aeree superiori. Ho immaginato che il fiume umano in attesa di farsi tamponare non fosse composto esclusivamente da persone refrattarie ideologicamente ai vaccini ma anche da persone che per qualsiasi motivo non si possono vaccinare, ma mi chiedevo, riguardo ai primi: possibile che si preferisca sottoporsi ogni due giorni a questa tortura quando vaccinandosi una volta sola si risolverebbe il problema? 

Anche per vaccinarsi c'era un po' di ressa, ma niente di eccessivamente difficoltoso. Ho parcheggiato la macchina, sono entrato e nell'arco di mezzoretta ho fatto tutto e sono uscito. Mentre ero in attesa guardavo il personale sanitario presente nella struttura: gli addetti che accoglievano le persone e davano informazioni sui percorsi, quelli dell'accettazione, gli infermieri, i medici: in tutto, svariate decine di persone, e pensavo a queste svariate decine di persone moltiplicate per tutti gli hub vaccinali d'Italia. In pratica, l'equivalente di un esercito, messo in campo per tentare di averla vinta su un nemico con cui giochiamo ad armi impari, come credo sia ormai chiaro. Sia perché si tratta di un nemico che combatte con armi più efficaci, veloci e subdole delle nostre, sia perché - va detto - gli stiamo offrendo, inconsciamente o meno, un certo numero di agevolazioni. Da un lato lo combattiamo, dall'altro gli forniamo chance, la tipica ambivalenza di noi umani.

martedì 28 dicembre 2021

Fusaro e le percentuali

L'aspetto più curioso dell'autogol di Diego Fusaro, noto filosofo sovranista, non è tanto l'autogol in sé, con cui ha involontariamente dimostrato l'opposto di ciò che voleva dimostrare, ma è curioso il fatto che un filosofo possa essere anche sovranista. Per definizione, i filosofi sono infatti persone pensanti, abituate a problematizzare le idee, che sono generalmente dotate di un intelletto vivace, di una maturità critica e di una certa conoscenza di come funziona il mondo. E quindi mi chiedo, alla luce di tutto questo, cosa c'entri un filosofo col sovranismo.

Riforma fiscale

Leggevo stamattina qualcosa sulla recente riforma fiscale appena varata dal governo, in particolare sulla modifica delle aliquote Irpef, che prevedono ora quattro scaglioni invece di cinque. In generale, sono previsti sgravi fiscali un po' per tutti, ma distribuiti in modo abbastanza disomogeneo. Non può non saltare all'occhio, ad esempio, che i maggiori benefici in termini di risparmi li avranno i redditi medio-alti, come si vede chiaramente dalla tabella qui sotto, pubblicata stamattina da La Stampa.


Ignoro i motivi per cui si sia deciso di avvantaggiare economicamente chi è già più che avvantaggiato (a chi sta nella fascia di reddito tra i 42.000 e i 54.000 euro, tipo ad esempio un dirigente, viene riconosciuto un risparmio doppio rispetto a un operaio), ricordo però che l'idea di abbassare le tasse ai ricchi è un vecchio mantra della destra che affonda le sue radici nelle amministrazioni Reagan degli anni Ottanta. 

L'idea era che la diminuzione delle tasse ai più facoltosi rappresentasse un formidabile stimolo per l'economia. Poi, col tempo, si è visto che questo sballato sistema tassativo non dava nessuna spinta all'economia e serviva solo ad aumentare le forbice delle diseguaglianze, come del resto ha messo da tempo nero su bianco ogni studio economico

Dal momento che viviamo in un paese dove già questa forbice è ampia, e due anni di pandemia hanno contribuito ad allargarla ancora di più, si sperava che l'intervento fiscale del governo andasse nella direzione di una sua riduzione. Si sperava, ma in fondo non ci si credeva più di tanto.

lunedì 27 dicembre 2021

L'inverno demografico

Ci sta che papa Bergoglio veda come una tragedia il calo demografico che sta portando al declino questa parte di mondo. Dal punto di vista dottrinale i reiterati appelli alle famiglie a prolificare come conigli è infatti perfettamente in linea con gli insegnamenti dottrinali, dal momento che nella Bibbia Dio benedice Noè e i suoi figli e dice loro: "Andate, moltiplicatevi e riempite la terra."

Il problema è che la Terra è già fin troppo piena e la raccomandazione data da Dio è stata già da tempo esaurientemente soddisfatta. Qualche numero per dare un po' l'idea. Quando Colombo arrivò nelle Americhe la popolazione umana mondiale contava circa 500 milioni di individui. Nel 1800 il primo raddoppio: un miliardo di individui. I due miliardi si sono raggiunti agli inizi del Novecento. Tre miliardi nel 1960 e quattro miliardi nei primi anni Settanta del secolo scorso. Con questo trend, nel 2025 saremo otto miliardi e nel 2080 dieci miliardi. 

Alla luce di questi numeri, che vedono oggi un pianeta talmente pieno di esseri umani da essere vicino al collasso (molti studiosi ipotizzano che la sovrappopolazione potrebbe paradossalmente essere una delle cause della nostra estinzione), io questo "inverno demografico" di cui parla il papa non lo vedo.

Sì, certo, esiste a livello locale nel senso che nel ricco e opulento Occidente non si fanno più figli, ma nel molto più grande resto del mondo la tendenza è esattamente opposta, e la crescita esponenziale degli ultimi due secoli sta lì a dimostrarlo. Cioè, va bene predicare la natalità in ossequio agli insegnamenti dottrinali, ma forse occorrerebbe avere una visione più larga, più "ecumenica", se vogliamo, che tenga conto di come vanno le cose a livello globale, non solo locale.  

E poi, boh, non so, questi reiterati e incessanti appelli dei cattolici a fare figli mi danno l'idea del materialismo più bieco, che mi pare strida non poco con la spiritualità di cui amano sempre parlare.

Guerre senza tregua

C'è una storiella, situata a metà tra fatto storico e leggenda (bisognerebbe chiedere a Barbero un parere), secondo la quale la notte di Natale del 1914 i soldati tedeschi al fronte in Belgio intonarono un canto a cui si unirono i soldati inglesi, dopodiché entrambe le fazioni in lotta uscirono dalle rispettive trincee e "festeggiarono" - ammesso che nel contesto di una guerra di trincea tale verbo abbia un senso - insieme il Natale. Fu la cosiddetta "Tregua di Natale", e si racconta che dopo quella notte i soldati non riuscirono più a combattere gli uni contro gli altri.

Mi è venuto in mente questo episodio mentre leggevo le cronache relative alla strage dei migranti di Natale, un Natale che per loro è stato, come triste consuetudine, una "guerra" all'insegna dei naufragi, dei morti, dei dispersi, dei salvataggi in extremis, sulle rotte del Mediterraneo centrale tra Libia e Tunisia da una parte e Malta e Italia dall'altra. Una guerra che va avanti da quasi tre decenni e che, a differenza di quella tra tedeschi e inglesi nel 1914, non prevede tregue. Ma anche la rotta turca nel mar Egeo è una guerra senza tregua che chiede continuamente il suo tributo di vite, nella sostanziale indifferenza generale.

Non voglio scrivere un post di stucchevole e sbrodolante retorica e moralismo, cose che detesto, mi limito solo a pensare al nostro fortino chiamato Europa, al nostro decadente Occidente che è una piccola porzione di Asia, fortino di relativo, e comunque diseguale, benessere assediato da una vasta porzione di mondo disperato che cerca di venire qua col miraggio di poter godere di una piccola parte di questo benessere, che oltretutto ci siamo per gran parte costruiti e continuiamo a mantenere sulla "pelle" di chi oggi viene a bussare alle nostre porte.

Pensavo al modo, per certi versi affascinante, in cui è strutturata la nostra psiche, la quale è estremamente sensibile a ciò che accade nelle sue immediate vicinanze fino a diventare, progressivamente, sempre più indifferente mano a mano che gli accadimenti si allontanano, così che ci disperiamo se muore un nostro congiunto e ci limitiamo a un superficiale dispiacere misto a malcelato fastidio se ogni giorno muoiono in mare decine di persone o, per restare qui in Italia, se ogni giorno muoiono più di cento persone di covid. 

È naturale che sia così. L'indifferenza nei confronti del troppo grande e verso accadimenti nei confronti dei quali non abbiamo alcun potere di intervento è un atteggiamento che è strutturato nella nostra psiche da quando abbiamo messo piede sulla terra, e che, a causa appunto di questa impotenza, risulta difficoltosissimo rimuovere. Un atteggiamento che dovrebbe essere attenuato e smussato dalla cultura, dalla conoscenza, ma è noto che a cultura siamo da tempo entrati in una specie di baratro del quale non si vede l'uscita.

È una questione di priorità, si potrebbe dire. Se perdessi il lavoro o la salute e non sapessi dove sbattere la testa, è naturale che la mia disperazione mi farebbe istintivamente dire "Chi se ne frega?" nei confronti di chi muore in mare. Perché la mia condizione è più importante di quella di un altro; prima io, poi, eventualmente, se ci sono le condizioni, gli altri. Che, se ci pensate, è lo schema comunicativo su cui certi politici hanno costruito la loro fortuna, facendo leva su un meccanismo psicologico radicato e diffusissimo ma scollegato dalla realtà e che avremmo tutto l'interesse a contrastare, perché le modalità in cui oggi è interconnesso e funziona il mondo ne mostrano tutta la fallacia. Qui, forse, varrebbe la pena di fare una guerra senza tregua.

venerdì 24 dicembre 2021

Vigilia a casa

Ieri, poco prima della fine del turno (gran cosa la tempestività), l'azienda ci ha comunicato che oggi non si sarebbe lavorato. Curiosa questa cosa, dal momento che normalmente il giorno della vigilia è sempre stato lavorativo, ma va bene, prendiamo su, ché un giorno di riposo in più è tutto grasso che cola. Tra l'altro, oggi non è neppure eccessivamente freddo e quindi non è escluso che dopo pranzo vada a fare una delle mie camminate in collina dalle parti di palazzo Marcosanti.

Queste feste di Natale saranno contraddistinte dalla compagnia di un ospite inquietante e piuttosto invadente chiamato Omicron, per contrastare il quale il governo ha messo in campo una serie di provvedimenti last minute dei quali, francamente, a volte fatico a comprendere la ratio e che, leggevo giusto stamattina, stanno sollevando una vigorosa serie di proteste da parte di molti operatori economici. Il green pass rafforzato per poter consumare una colazione al bar anche senza sedersi ai tavoli ha mandato in bestia i baristi, ad esempio, anche se io raramente ho trovato un bar in cui mi sia mai stato chiesto, 'sto benedetto green pass. Anche l'obbligo di indossare la mascherina ffp2 per poter accedere alle sale cinematografiche sta creando vibranti proteste. Per non parlare, poi, della chiusura tour court delle discoteche fino alla fine si gennaio, visto che qua nel riminese un quinto degli introiti annuali di questi locali si realizza proprio nei giorni a cavallo di capodanno.

A proposito di capodanno, sono saltati per decisione del governo anche tutti gli eventi e gli spettacoli già programmati nelle piazze delle città. Qua a Santarcangelo era previsto uno spettacolo organizzato dai Mutoid, che tornavano ad animare la festa del 31 dicembre a distanza di qualche anno dall'ultima volta che lo fecero. Peccato, forse un giretto l'avrei fatto. Il 29, però, farò la terza dose, quindi è probabile che il 31 non sia proprio in formissima. Il capodanno in TV mi disgusta, mi ha sempre dato l'impressione di felicità e allegrie forzate, finte, false. Probabilmente guarderemo un film e poi, passata la mezzanotte, a dormire, ché io non sono mai stato un animale notturno.

martedì 21 dicembre 2021

Libri e memoria


Quando leggo romanzi particolarmente lunghi, con una trama a tratti un po' aggrovigliata e con molti personaggi, ho l'abitudine di elencare a matita, in una delle ultime pagine bianche del libro, nome e ruolo delle figure principali. Quand'ero giovane non lo facevo, naturalmente, leggevo in scioltezza libri di qualsiasi tipo senza problemi. Purtroppo ho una certa età e la memoria comincia a essere quella che è. Non è facile abituarmi a questa idea.

domenica 19 dicembre 2021

Buoni o cattivi? (E cosa c'entra il free rider?)

Alcuni mesi fa, in Uganda, in una comunità di scimpanzé è nato un cucciolo albino. Evento eccezionale, in natura, che gli etologi hanno potuto osservare e studiare fuori da un ambiente in cattività. L'albinismo è quella particolare anomalia genetica, presente anche negli umani, che consiste nell'assenza di melanina nella pelle, per cui gli individui che ne sono affetti risultano avere pelle chiarissima, capelli e peluria bianchi e occhi chiari. La mamma del piccolo scimpanzé, inizialmente perplessa, così come il resto del gruppo, ha poi accettato il piccolo nato e tra i due si è instaurato il normale rapporto mamma-cucciolo. Col passare del tempo, però, all'interno della comunità la perplessità e la diffidenza sono aumentate e la mamma è progressivamente diventata vittima di atteggiamenti ostili, ciò che tra noi umani chiameremmo intimidazioni, per capirci. L'epilogo della vicenda è tragico. Dopo un certo periodo, un gruppo di giovani scimpanzé guidati dal maschio alfa del gruppo ha portato via il cucciolo alla madre, cucciolo che è stato poi ucciso e smembrato da una delle matriarche del gruppo. I resti del cucciolo sono quindi stati portati sul ramo di un albero e diventati oggetto dell'osservazione di tutti gli altri, una sorta di macabro pellegrinaggio, si potrebbe dire. La spiegazione più plausibile di questo comportamento, elaborata dagli scienziati, è che l'eccezionale peculiarità del piccolo, quella appunto di essere albino e quindi diverso da tutti gli altri, è stata interpretata dal gruppo come una minaccia. Le sue caratteristiche hanno fatto sì che non sia stato riconosciuto come uno di loro, fosse cioè quello che si dice "altro da loro". Era diverso, quindi una potenziale minaccia.

Perché questo racconto? A partire dall'Illuminismo in qua, schiere di filosofi, pensatori, ma anche persone comuni, si sono interrogati relativamente al fatto se l'uomo sia buono o cattivo. L'uomo è per natura buono o cattivo? Per natura, adotta nei confronti dei suoi simili un comportamento di tipo cooperativo, altruistico e solidale, oppure egoistico e individualistico? La domanda, dal punto di vista scientifico, non ha senso. Ne acquista semmai in un dibattito di tipo ideologico o filosofico, ma dal punto di vista scientifico non ha senso perché, per natura, l'uomo, così come ogni appartenente a specie socialmente complesse, è ambivalente, ossia è buono o cattivo a seconda delle circostanze in cui si trova. Riassumendo, è altruista nei confronti di appartenenti al suo stesso gruppo, ma solamente in virtù del fatto che questo gruppo è in competizione con un altro gruppo, un altro gruppo potenzialmente nemico, quell'"altro da sé" che ha generato la tragica fine dello scimpanzé albino. L'altruismo e la solidarietà verso gli appartenenti al medesimo gruppo hanno funzione di coesione sociale, di "collante", ma solo in virtù del fatto che il gruppo in questione ha potenziali nemici esterni contro cui può avere la meglio in maniera proporzionale al livello di coesione interno.

Qui si apre un paradosso, chiamato appunto il paradosso dell'altruismo. Uno dei pilastri, oggi unanimemente riconosciuto dalla scienza, della evoluzione per selezione naturale elaborata da Darwin, vede infatti il comportamento egoistico come fondamentale nell'economia di tutto il sistema evolutivo. Io, individuo, ho tante maggiori probabilità di adattarmi, quindi di avere vantaggi che mi consentano di procreare e perpetuare i miei geni, quanto più adotto comportamenti che mi procurano un vantaggio immediato, che sono appunto i comportamenti di tipo egoistico. Il paradosso sta nel fatto che il comportamento egoistico da una parte, vedi Darwin, è considerato utile, ma allo stesso tempo può essere controproducente.  E poi perché, se in natura è vincente il comportamento egoistico, si osservano anche comportamenti solidali, che in teoria dovrebbero essere svantaggiosi? Darwin si arrovellò per tutta la vita su questo problema senza venirne a capo, e ancora oggi questo paradosso è l'anello mancante per riuscire a comprendere compiutamente la situazione.

In realtà Darwin una risposta, abbastanza sofisticata, la elaborò, e un po' salomonicamente la racchiuse in questo concetto: in natura dovrebbe sempre prevalere l'egoismo, ma quando ciò non succede è perché, evidentemente, il comportamento dell'individuo ha un vantaggio per il gruppo che è più importante del vantaggio individuale. L'esempio classico è quello dell'ape. L'ape è un animale sociale, tra l'altro di una socialità molto più complessa di ciò che comunemente si pensa, ed è dotata del famoso pungiglione estraibile che se utilizzato ne provoca la morte. In pratica l'ape, quando punge, si suicida perché il suo pungiglione rimane conficcato nella vittima della sua puntura, provocando la lacerazione dell'addome. Dal punto di vista evolutivo, questo gesto suicida ma altruistico è ambivalente: svantaggioso per l'individuo, che muore, ma vantaggioso per il gruppo perché è una forma di difesa da una minaccia esterna.

Naturalmente, non tutti gli individui di uno stesso gruppo si mostrano altruisti nei confronti del gruppo stesso. Ci possono essere dei "furbetti", diciamo così. Un esempio interessante lo abbiamo sempre nei famosi scimpanzé. I gruppi di questi animali sono solitamente composti di alcune decine di individui e, di questi, alcuni tra i più giovani hanno il compito di fare da sentinelle. In praticano si aggirano attorno ai limiti del territorio per segnalare, con appositi versi, l'arrivo di un potenziale nemico, come un serpente, un felino, ecc. Il compito di sentinella, però, ha sia vantaggi che svantaggi. I vantaggi sono del gruppo, come si intuisce chiaramente, perché la segnalazione consente di avvisare dell'arrivo di una potenziale minaccia, ma è svantaggioso per la singola sentinella, perché il verso la rende facilmente individuabile. Non è infrequente, in queste situazioni, che si palesino quelli che gli scienziati hanno denominato free riders, battitori liberi, quelli cioè che all'arrivo di una potenziale minaccia se ne stanno zitti. Assumendo questo atteggiamento (egoistico) i battitori liberi hanno un doppio vantaggio: non sono identificabili dalla minaccia e, allo stesso tempo, vengono comunque difesi dal gruppo qualora venga attaccato.

Anche noi umani abbiamo i free riders, ad esempio gli evasori fiscali. Chi sono gli evasori fiscali? Sono quelli che non pagano le tasse ma che, all'occorrenza, vanno tranquillamente all'ospedale dove ricevono cure che vengono finanziate coi soldi di chi le tasse le paga. Restando a esempi più attuali, un free rider è ad esempio chi non si vaccina contro il covid, che può poi contare sulla protezione offerta da tutti quelli che si vaccinano. Qui gli esempi che si potrebbero fare sono infiniti. Qual è la differenza con gli scimpanzé? La prima è che tra questi animali i free riders sono una percentuale molto piccola (tra il 2 e il 4%). La seconda è che, se scoperti, vengono presi in consegna dalle famose matriarche come quella che ha ucciso il cucciolo albino e, la volta successiva, probabilmente ci pensano due volte prima di rifarlo. Da noi, invece, gli evasori sono una percentuale infinitamente superiore del 2% e, in genere, invece di essere puniti vengono spesso coccolati perché, a differenza degli scimpanzé, votano. Ma anche qui il discorso sarebbe lungo.

Quindi, provando ad arrivare a una conclusione, la domanda se in natura gli uomini siano buoni o cattivi, dal punto di vista scientifico non ha senso perché l'uomo, esattamente come qualsiasi altra specie animale sociale, è ambivalente, e si comporta coi suoi simili in maniera solidale o egoistica a seconda delle circostanze. Questo, tra l'altro, smonta definitivamente un altro luogo comune di cui è intrisa la cultura in cui viviamo, e cioè che la natura sia intrinsecamente buona. Chi, come lo scrivente, ha una certa età ed è cresciuto in un ambiente cattolico, ricorderà che la natura è sempre cosa buona, perché avendola creata Dio, per definizione non può essere cattiva. Tanto è vero che ci hanno insegnato a chiamarla addirittura madre, madre natura, e una madre per definizione può essere solo buona. 

In realtà la natura è totalmente indifferente alla condizione umana, ed etichettarla ricorrendo a giudizi morali che abbiamo costruito noi, non ha alcun senso. In natura accadono cose buone e cose terribili. La matriarca di scimpanzé che uccide il cucciolo albino ci fa orrore. Perché ci fa orrore? Perché applichiamo a un fatto naturale un giudizio morale, quindi culturale, ma natura e cultura, come diceva già David Hume nel Settecento, non possono essere messe in relazione, è un non senso, così come è un non senso definire la natura "madre natura", dal momento che in natura le madri li uccidono anche, i loro figli (lo fa anche la nostra specie, en passant). 

Le cose che ho scritto qui sono un mediocre e assolutamente incompleto riassunto della conferenza di Telmo Pievani di un mesetto fa che ripubblico qui di seguito. Se avete una cinquantina di minuti e pensate che la cosa vi interessi, provate ad ascoltarla, se volete, a me ha aperto un mondo. Ultima cosa veramente interessante, e poi chiudo, è il fatto che - e questo è veramente paradossale, a pensarci - le bolle sui social e in generale su internet, le cosiddette echo chambers, sono strutturate con le stesse modalità e lo stesso modus operandi evolutivo e antropologico che sta alla base del tribalismo descritto da Darwin, e di cui la cooperazione o l'egoismo ne sono i tratti distintivi (potete ascoltare questa interessantissima parte dal min. 48 in poi) . In pratica noi, pur essendo nell'era della modernità e di internet, ci muoviamo e agiamo col retaggio di quel grosso mammifero africano nato 200.000 anni fa nella parte orientale del continente africano e partito poi per il mondo. 


La conquista della felicità


Confesso di avere iniziato questo libro con un po' di scetticismo e senza grosse aspettative. Me l'immaginavo come uno dei tanti manuali in circolazione che pretendono di spiegare (come se un manuale potesse fare questo) come fare a essere felici. Poi però mi sono detto: Uno come Russell, del quale avevo già letto il bellissimo Perché non sono cristiano, non è tipo da scrivere un banale manuale, ci dev'essere dell'altro. E così è stato.

Questo libro, sotto le apparenti spoglie di un manuale, è in realtà un vero e proprio trattato di sociologia, dove si analizzano in profondità le dinamiche sociali che coinvolgono l'essere umano e le sue interazioni e relazioni con altri essere umani (familiari, conoscenti, colleghi ecc.), comprese, naturalmente, le relazioni con una società in veloce e caotica trasformazione (Russell prende in esame la società inglese negli anni a cavallo tra i Quaranta e Cinquanta, ma sembra scritto ai giorni nostri, tanto è attuale). 

Il libro si divide in due parti. Nella prima analizza in dettaglio le principali cause che impediscono di essere felici (nell'elenco: competizione, noia, eccitamento, fatica, invidia, senso di colpa, mania di persecuzione, lavoro, ritmi imposti dalla società); nella seconda tenta di dare qualche indicazione su come farvi fronte. Il titolo del libro non è casuale. Scrive a tal proposito Russell: "La felicità, salvo casi molto rari, non è qualche cosa che caschi in bocca come un frutto maturo, per il puro intervento di circostanze fortunate. Ecco la ragione per la quale ho chiamato questo libro La conquista della felicità. Poiché in questo mondo così pieno di sfortune evitabili e inevitabili, di malattie e di garbugli psicologici, di lotta, povertà e cattiva volontà, l'uomo e la donna che vogliono essere felici devono trovare il modo di affrontare le molteplici cause di infelicità dalle quali ogni individuo è assalito."

Insomma, se si vuole essere felici (qualsiasi cosa si intenda con questo aggettivo) tocca darsi un po' da fare. Come per tutto, del resto. 

Notte

Quando in casa c'è questo silenzio irreale, tipico della notte, riesco a percepire rumori insospettati che in tutti gli altri momenti della giornata non arrivano alle mie orecchie, come il ticchettio di una sveglia in un'altra stanza, oppure uno scricchiolio in una parete, il gemito di una tapparella, il passaggio dell'acqua nel termosifone, il ronzio sommesso del frigorifero; poi, all'improvviso, il cigolio, fuori, dell'insegna penzolante che indica l'attraversamento pedonale sulla strada, magari per un improvviso colpo di vento.

Non è vero che la notte è quieta, sonnolenta, silenziosa, addormentata; la notte è viva, ha una sua frenesia di suoni, è padrona rumorosa e irriverente di quelle ore in cui i silenziosi e gli addormentati siamo noi.

venerdì 17 dicembre 2021

Libreria


Oggi pomeriggio ero in giro per Santarcangelo. Dopo essere passato in farmacia a prenotare la terza dose di vaccino ho fatto un salto in libreria, quella che vedete qui sopra. Se si esclude la biblioteca comunale, è l'ultimo posto in cui a Santarcangelo è possibile comprare libri. È un piccolo negozietto dove si entra in due persone alla volta e dove i libri sono stipati in qualche modo su improbabili scansie alte quasi fino al soffitto. Se il paradiso esistesse, potrebbe essere qualcosa di simile.

Il titolare è un ragazzo molto gentile e disponibile, a guardarlo viene voglia di chiedergli chi gliel'abbia fatto fare di avventurarsi nella improba impresa di vendere libri in Italia, il paese in cui si legge meno in Europa e forse nel mondo (e i risultati si vedono), e soprattutto viene da chiedergli come faccia a camparci. Ma soprassiedo: sono contento che ci sia.

Mi chiede in cosa possa essermi utile e io gli snocciolo i titoli di tre libri che voglio assolutamente leggere: La necessità del caso, di Jean-François Vézina; Homo Sapiens e altre catastrofi, di Telmo Pievani e Scritti corsari, di Pier Paolo Pasolini. Il libro di Pasolini ce l'ha in negozio e quindi me lo dà subito.



Gli altri due, invece, non ce li ha e li deve ordinare, in una settimana dovrebbero arrivare. Avrei potuto comprarli su internet, in uno o due giorni sarebbero arrivati e avrei probabilmente risparmiato qualcosa. Ma non m'interessa. In queste cose sono all'antica. Mi piace andare in libreria, sfogliare i volumi, annusarli, leggere le quarte di copertina, parlare col venditore, provare il piacere di passare in mezzo a quelle scansie traboccanti che sembra quasi debbano cadere addosso a chi passa lì in mezzo. Tutte queste cose internet non le può dare, ancora.

E poi voglio che l'ultima libreria rimasta a Santarcangelo non chiuda.

giovedì 16 dicembre 2021

Sgarbi e Pasolini

Detesto Vittorio Sgarbi da sempre. Credo che sia il personaggio del panorama politico contemporaneo che più odio. Tuttavia, quando dice qualcosa con cui concordo lo riconosco, e questo suo omaggio al grande Pier Paolo Pasolini l'ho molto apprezzato.

Elogio della noia (dei libri e delle vite)

Di solito sto alla larga da tutti quei libri che spiegano come raggiungere la felicità, tipo quelli che ogni tanto escono in allegato a Riza Psicosomatica e simili, per intenderci; li ho sempre considerati ciarpame letterario. A meno che, naturalmente, a scrivere un libro del genere non sia Bertrand Russell, e allora la faccenda cambia. Infatti in questi giorni sto leggendo La conquista della felicità, scritto nel 1947 dal grande matematico e filosofo inglese. C'è un capitolo, Noia ed eccitamento, che più degli altri si è finora rivelato molto interessante. Che la noia non sia una cosa negativa è risaputo da prima che arrivasse Russell a dirlo. La noia è, ad esempio, un ottimo incentivo alla creatività. Quando si è afflitti dalla noia, infatti, si cerca in ogni modo di uscire da questa afflizione e ci si ingegna per farlo, si cerca di trovare uno stratagemma; da qui nasce la creatività. 

Lo stato emotivo opposto alla noia è l'eccitamento. A questo proposito scrive Russell: "Non desidero spingere agli estremi la critica dell'eccitamento. In una certa misura esso è salutare, ma, quasi come per tutte le altre cose, occorre saperne dosare la quantità. Troppo, può produrre desideri morbosi; troppo poco, l'esaurimento. Una certa capacità di sopportare la noia è quindi indispensabile per avere una vita felice, ed è una delle cose che si dovrebbero insegnare ai giovani." Insegnare ai giovani il piacere della noia la vedo dura nella società di oggi, dove semmai, spesso, i giovani vanno in crisi più per eccesso di attività e cose da fare, piuttosto che per la noia. Ma c'è un aspetto della noia legato ai libri - aspetto che mi interessa particolarmente - a cui non avevo mai pensato. Scrive sempre Russell (il neretto è mio): 

"Tutti i grandi libri hanno dei capitoli noiosi, e tutte le grandi vite hanno avuto dei periodi non interessanti. Immaginate un modesto editore americano alle prese col Vecchio Testamento, sottopostogli per la prima volta come un nuovo manoscritto. Non è difficile immaginare quali sarebbero i suoi commenti, ad esempio sulle genealogie: 'Mio caro signore', direbbe, 'questo capitolo manca di vivacità; non potete pretendere che il lettore si interessi a un elenco nudo e crudo di nomi di persone delle quali gli raccontate così poco. Ammetto che avete cominciato il vostro racconto con uno stile elegante e, da principio, ne sono rimasto favorevolmente impressionato, ma vi dilungate troppo. Scegliete i punti salienti e date loro maggior rilievo, togliete le parti superflue, e riportatemi il manoscritto quando lo avrete ridotto a una lunghezza ragionevole'. Così direbbe l'editore moderno, sapendo quanto il lettore moderno tema la noia. E lo stesso direbbe dei classici di Confucio, del Corano, del Capitale di Marx, infine di tutti i testi sacri che si sono dimostrati nei secoli di grande successo. Né questo vale solamente per i libri sacri. Tutti i migliori romanzi contengono brani noiosi. Un romanzo tutto brio dalla prima pagina all'ultima è certamente un romanzo mediocre."

A questa cosa, sinceramente, non avevo mai pensato. Quante volte, ad esempio, nella mia lunga carriera di lettore, mi è capitato di giudicare negativamente gli inevitabili passaggi noiosi di un libro che mi è piaciuto? Cose tipo: "Sì, è un bel libro, peccato che ogni tanto perda un po' di mordente e in qualche passaggio annoi un po'..." Questa cosa mi è capitato parecchie volte di pensarla, ad esempio quando lessi Il conte di Montecristo di Dumas, oppure La montagna incantata di Mann. Ma anche libri più recenti. Il monumentale It di Stephen King ha un certo numero di pagine noiose, pur essendo un capolavoro a mio giudizio non inferiore agli altri menzionati. Ecco, secondo Russell, se un libro fosse totalmente privo di pagine noiose sarebbe mediocre. Sarà vero? Non so rispondere, dal momento che non ricordo libri in cui non mi sia imbattuto in qualche pagina noiosa. Ma è probabile che sia così.

Libri a parte, neppure la vita di molti grandi uomini è stata, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, molto eccitante. Scrive l'autore: "Né le vite dei grandi uomini sono state eccitanti, eccetto che in pochi momenti. Socrate accettava volentieri, di quando in quando, un invito a un banchetto, e deve essersi notevolmente compiaciuto della sua conversazione, mentre la cicuta faceva il suo effetto; ma gran parte della sua vita egli la trascorse tranquillamente con Santippe, facendo una passeggiata nel pomeriggio e incontrandosi forse con qualche amico per via. Di Kant si dice che non si sia mai allontanato più di dieci miglia da Königsberg in tutta la sua vita. Darwin, dopo aver girato il mondo, trascorse a casa tutto il resto della sua vita. Marx, dopo aver suscitato qualche rivoluzione, decise di passare il resto dei suoi giorni al British Museum. Tutto sommato si nota che per lo più i grandi uomini hanno avuto una vita tranquilla e che i loro piaceri non erano di quelli che possono apparire eccitanti a chi li osservi da fuori."

Dopo tutto questo, da oggi guarderò la noia con una prospettiva diversa.

Ripetitività

Stamattina, mentre lavoravo, pensavo a quanto sia alienante la ripetitività. Ripetitività intesa, nel mio caso, come succedersi di giornate cadenzate dai soliti rituali: sveglia, colazione, lavoro, ritorno e casa e così via per cinque giorni alla settimana, perché poi il sabato e la domenica si torna (o almeno se ne ha l'illusione) per due giorni padroni della propria vita. Però mi chiedevo: la ripetitività è deleteria indipendentemente dal suo oggetto, oppure questo può fare una differenza? Provo a spiegarmi. 

Nel mio caso la ripetitività è noiosa e alienante perché le mie giornate sono tutte uguali, ma se fossero tutte diverse? Se, ad esempio, non avessi bisogno di lavorare e passassi le giornate ad andare in giro ogni giorno in un posto diverso, alla lunga non rientrerebbe anche questo in una sorta di routine? Fare ogni giorno una cosa diversa, non avere vincoli di alcun tipo, sono cose che vedo adesso come una specie di sogno, ma nel momento in cui questo sogno si realizzasse e cominciassi a metterlo in pratica, alla lunga non rientrerebbe anche questo nel novero della ripetitività? In sostanza: non potrebbe condurre alla noia anche la completa libertà di fare ogni giorno ciò che voglio?

Chissà...

martedì 14 dicembre 2021

Banalità

Boh, non so, magari è una banalità, ma mi chiedevo se è normale che si continui a prorogare gli stati di emergenza per la pandemia. Tutti gli esperti sono concordi (almeno su una cosa) sul fatto che con questo problema dovremo abituarci a convivere per anni; allora, forse, sarà il caso di cominciare a gestirlo coi normali strumenti legislativi e farsi magari qualche domanda sull'efficacia e la necessità degli stati di emergenza.

domenica 12 dicembre 2021

Miglior libro del 2020 (per i lettori di Repubblica)

Roberto Mercadini è raggiante e ne ha ben donde, dal momento che il suo libro - ne avevo accennato quiBomba atomica è risultato essere il miglior libro del 2020. Ma chi ha decretato questa cosa? I lettori dell'inserto culturale Robinson di Repubblica. Qual è la cosa strana di questo evento? Il fatto che Roberto Mercadini è, letterariamente parlando, un perfetto sconosciuto, ma nonostante questo suo essere un parvenu della letteratura è riuscito a superare scrittori del calibro di Susanna Tamaro, Carlo Lucarelli, Stefano Benni, Chiara Gamberale, Alberto Angela, Roberto Saviano, Mario Calabresi (ex direttore di Repubblica, tra l'altro) e altri.

Seguo da tempo il cesenate Mercadini, attore teatrale, scrittore e youtuber, e in questo blog ho dedicato a lui più di un post. Ho assistito a suoi spettacoli teatrali e presentazioni di libri e quindi sono contento che abbia vinto questo premio, non solo perché è praticamente un vicino di casa, ma perché è bravo, ha una verve affabulatoria fuori del comune e scrive dei bei libri. Bomba atomica è coinvolgente e interessantissimo, ma anche il precedente Storia perfetta dell'errore, il libro che gli ha consentito di uscire dall'ambito romagnolo entrando nelle classifiche di vendita in Italia, merita di essere letto.

Ammiro Roberto Mercadini anche per un altro motivo: il coraggio. Prima di diventare attore teatrale, scrittore e recitatore di monologhi, Roberto era un normale ingegnere elettronico che lavorava in una azienda informatica e si occupava di programmazione. Lavoro sicuro, stabile e ben retribuito. L'attore teatrale lo faceva per hobby, nei ritagli di tempo. Un giorno ha trovato il coraggio di licenziarsi per dedicarsi esclusivamente alla sua passione: l'arte e la cultura. Oggi chi abbandonasse un lavoro sicuro e redditizio per provare a vivere di monologhi sarebbe visto come un pazzo, e molti gliel'hanno effettivamente rinfacciato. Lui si è buttato e ha vinto, e oggi il suo "lavoro" e la sua passione sono la stessa cosa. 

Si dice che la chiave della felicità stia nel realizzare le proprie passioni, fare nella vita ciò per cui si è portati. Direi che Mercadini ci sia riuscito, e la sua reazione alla notizia della vincita del torneo di Robinson mi sembra lo confermi :-)


Comunicazioni di licenziamento

Quando Andrea Orlando dice che bisogna impedire che si comunichino i licenziamenti con laconici messaggi su whatsapp, sa benissimo che il problema non è quello. Il problema è che si viene licenziati, non il modo in cui questo licenziamento viene comunicato. A un operaio che da un giorno all'altro si trova per strada cambia poco che questo essere gettato in strada gli venga comunicato via sms o a voce dal titolare dell'azienda: gli effetti pratici sono gli stessi. Ok, sono disposto a concedere che una convocazione in ufficio e una comunicazione verbale abbiano un effetto maggiore per quanto riguarda il riconoscimento dell'identità e al limite sulla impressione di essere considerato una persona piuttosto che un numero, ma finisce lì.

Il resto è solo impotenza: il ministro non può impedire che un'azienda licenzi né che delocalizzi per pagare meno tasse e aumentare i profitti (vedi il caso Caterpillar, azienda senza problemi di produttività che chiude e si sposta altrove per meri motivi di profitto), anche se questo significa lasciare per strada cento o duecento persone per volta. Il ministro e il governo hanno in questo caso mera funzione consolatoria e di immagine. Meglio di niente, ma nulla di più. Del resto è ormai noto da tempo, anche a chi non ha letto Marx, che la vita delle persone è decisamente insignificante rispetto alle strutture economiche che la governano.

sabato 11 dicembre 2021

Long way

Una nuova canzone di Eddie Vedder è sempre un avvenimento piacevole, per me.

Long way.

Oggi pomeriggio, mentre la ascoltavo camminando, pensavo a quando ero giovane e, guidando, sceglievo sempre i percorsi più lunghi e diversi per tornare a casa. Un po' perché mi piaceva guidare, cosa che adesso detesto, ma soprattutto perché mi piaceva l'idea di uscire dalla routine del solito percorso e provare qualcosa di diverso. 

Santarcangelo - Poggio Berni, ad esempio, un rettilineo di quattro chilometri di Santarcangiolese. Volete mettere quanto fosse più bello imboccare la Trasversale Marecchia, attraversare San Martino dei Mulini e poi la Marecchiese fino a Ponte Verucchio, quindi, una volta attraversato il Marecchia, calare giù verso Torriana, svoltare a Trebbio, salire sulle colline e attraversare la vecchia stradina in mezzo ai campi fino a casa? Non c'è paragone coi quattro sterili chilometri di rettilineo della Santarcangiolese.

Era un percorso molto più lungo, un percorso irrazionale e incomprensibile, diremmo coi paradigmi di oggi, ma molto più divertente e "avventuroso". A volte la tentazione ce l'ho ancora, ma è cambiato lo spirito. Oggi non vedo l'ora di tornare a casa.


Di notte


(da Il giorno prima della felicità - Erri De Luca)

La morte di Pasolini


La morte di Pasolini, scritto dallo storico Davide Serafino, non aggiunge niente al mistero che ruota attorno al suo efferato omicidio, né offre elementi di maggiore chiarezza rispetto a quanto già (non) si sa. Il libro è però interessante dal punto di vista storico per la panoramica sul contesto sociale e politico dell'epoca in cui è maturato il delitto.

I primi anni Settanta (Pier Paolo Pasolini fu assassinato nel 1975) sono gli anni della cosiddetta "strategia della tensione", un ampio disegno, riduttivamente rappresentato con lo stragismo quando in realtà fu soprattutto pressioni politiche, trame, violenze, che aveva come scopo l'instaurazione di un clima di allarmismo diffuso che rendesse "accettabili" restrizioni delle libertà civili, dei diritti costituzionali e dei poteri del parlamento. In questo particolare periodo si ebbe il maggiore sviluppo e rilancio sia dell'eversione di destra che della lotta armata di sinistra, che di lì a poco avrebbe preso il sopravvento. Il libro in questione fornisce una pregevole descrizione di ciò che succedeva in quegli anni, avvenimenti di cui ho vaghe memorie, reminiscenze dei discorsi che sentivo dai miei genitori.

Per quanto riguarda l'omicidio del grande poeta, scrittore, saggista e regista, nulla di nuovo, come ho detto. Il libro esamina le già note teorie alternative alla frettolosa verità ufficiale e giudiziaria, che riconobbe nel reo confesso Pino Pelosi l'autore del crimine e che rubricò altrettanto frettolosamente (Pasolini fu sempre considerato un intellettuale estremamente scomodo, oltre che controverso) l'omicidio come degenerazione di una lite tra omosessuali. La versione fornita all'epoca dal giovane reo confesso suscitò subito molte perplessità, così come la sua completa ritrattazione trent'anni dopo i fatti, ma a tutt'oggi è quella che rimane in piedi, anche se si tratta di piedi non molto solidi.

venerdì 10 dicembre 2021

Julian Assange e i diritti umani

Non è ancora chiaro se Julian Assange verrà estradato negli USA oppure no. Per il momento l'Alta corte di Londra ha accolto il ricorso presentato dagli Stati Uniti contro la precedente sentenza che ne negava l'estradizione, ma l'applicazione pratica di questa ultima pronuncia non implica alcun automatismo in merito, diciamo che ne rende solo più probabile la futura estradizione. 

Personalmente spero che l'estradizione venga negata; in primo luogo perché estradare una persona nel paese fortemente sospettato di averne complottato l'assassinio non mi sembra la migliore delle cose. In secondo luogo perché la principale "colpa" del giornalista, informatico e attivista australiano è quella di aver divulgato documenti militari riservati relativi alle guerre in Afghanistan e in Iraq, La pubblicazione di quei documenti ha svelato al mondo le nefandezze compiute dagli USA e il modo in cui operano nelle varie guerre con cui dicono di esportare la democrazia.

Incidentalmente, l'Alta corte di Londra si è pronunciata proprio oggi, 10 dicembre, Giornata mondiale dei diritti umani (di cui in teoria avrebbero dovuto godere anche tutte le vittime "collaterali" dei vari conflitti sparsi per il globo). Si tratta dell'ennesima giornata mondiale di qualcosa che non serve assolutamente a niente, se non a ricordare che il 10 dicembre 1948 le Nazioni unite hanno proclamato la Dichiarazione universale dei diritti umani. 

Giova a questo proposito ricordare che questi benedetti diritti umani, così spesso sulla bocca di tutti, in natura non esistono, sono un prodotto culturale della società, e funzionano solo se una società li recepisce, altrimenti non valgono la carta su cui sono vergati. In natura esiste la prevaricazione, il dolore, la sofferenza inflitta dagli uomini ad altri uomini. Coi diritti umani cerchiamo in qualche modo di smussare e correggere quelli che sono i reali istinti degli esseri umani.

Se si dà uno sguardo alla situazione globale, direi che così, a occhio, questi famosi diritti umani universali siano ottimisticamente appannaggio di 1/4 della popolazione globale, mentre per i restanti 3/4 sono qualcosa meno di una pia illusione. Per quel fortunato quarto oggi è il 10 dicembre.

mercoledì 8 dicembre 2021

Patrick Zaki e le pedine

La liberazione di Patrick Zaki, di cui siamo tutti ovviamente molto contenti, non si è realizzata perché un bel giorno i giudici del Cairo si sono svegliati colpiti da una specie di resipiscenza morale dopo avere tenuto in carcere per 22 mesi uno studente colpevole di nulla, o magari perché è fortunosamente venuta alla luce una prova della sua innocenza - figuriamoci! È stato scarcerato grazie al lavoro sottotraccia del governo italiano, della diplomazia, dei continui contatti più o meno riservati tra la Farnesina e quel losco figuro di Al Sisi. Ma c'è lo zampino anche dell'amministrazione USA, nella faccenda, e in particolare dell'ambasciatore italiano in Egitto, Giampaolo Cantini, che dai tempi di Trump aveva provveduto a costruire buoni rapporti con l'inviato americano nominato da Trump stesso, ma allineato anche a Biden, Jonathan Coe.

Lo sblocco della situazione ha tra i vari artefici lo stesso Biden, il quale già dai tempi del suo insediamento aveva deciso di prendere di petto la questione dei diritti umani in quella parte strategica di Medio Oriente. (Che agli USA, ma anche a noi, freghi qualcosa della faccenda dei diritti umani da quelle parti fa sorridere, ma prendiamola per buona.) In particolare, Zaki è stato liberato perché il suo nome compariva in una lista di 16 dissidenti di cui l'amministrazione USA aveva chiesto la liberazione in cambio dello scongelamento di 200 milioni di dollari di aiuti militari all'Egitto, e il nome di Zaki in quella lista ci era finito grazie al lavoro di cui sopra della diplomazia italiana e del nostro ambasciatore là.

Questo spiega la tutto sommato tiepida reazione del governo italiano alla notizia della liberazione dello studente egiziano e la concomitante sorpresa dell'opinione pubblica: il governo sapeva che la situazione era prossima a una svolta, la gente no. La misurata reazione del governo è dettata anche dalla consapevolezza che la partita è tutt'altro che chiusa. Ciò che impressiona maggiormente, però, almeno me, è che vicende come questa sono la più lampante dimostrazione di come le persone comuni siano spesso niente più di semplici pedine all'interno di un gioco molto più grande, che contempla i delicati rapporti economici e di collaborazione tra stati, tra aree geografiche. Zaki e gli altri quindici nominativi di quella lista non erano altro che merce di scambio.

Se ci pensate, è la stessa cosa che faceva Salvini quando bloccava al largo le navi con i migranti. I migranti erano la "merce" con cui ricattare l'Europa per costringerla ad addossarsi parte del gravoso fardello. Ma anche Erdogan, un altro mascalzone di notevole portata, faceva la stessa cosa quando, appena un anno fa, minacciava di aprire la frontiera tra Turchia e Grecia e riversare in Europa i 130.000 migranti ammassati al confine. Ma anche i migranti ammassati tra Bielorussia e Polonia, di cui le cronache stanno ancora parlando, sono armi di ricatto con cui Lukashenko (un altro che ti raccomando) fa pressione sull'Europa perché non commini sanzioni economiche alla Bielorussia.

Tutto questo per dire che non so, di preciso, se ci sono stati altri periodi storici, lontani o più vicini a noi, in cui gli essere umani, le persone, sono state così massicciamente utilizzate come mezzi, merce di scambio, contropartite di qualcosa, come nella nostra epoca. Con buona pace del povero Kant.

Il sole dei morenti


Il sole dei morenti è un romanzo sulla disperazione. Frugando un po' nella mia memoria, non ricordo, neppure tra classici come I dolori del giovane Werther o Madame Bovary, altri libri in cui la disperazione sia rappresentata così lucidamente e così compiutamente. 

Il romanzo, pubblicato originariamente in Italia nel 2004, narra le vicende di Rico, un senzatetto originario di Parigi con gravi problemi di alcolismo che, dopo la morte del suo migliore amico, Titì, in una stazione della metropolitana, decide di abbandonare la città e di intraprendere un viaggio attraverso la Francia con destinazione Marsiglia, alla ricerca di Léa, l'amore della sua giovinezza.

Comincia quindi il suo viaggio, durante il quale conoscerà altri personaggi sbandati, degradati e disperati come lui, senza speranza, ognuno con la sua storia di disperazione e di emarginazione. 

Galimberti diceva che i sentimenti si imparano con la letteratura. Coi libri impari cos'è il dolore, la disperazione, la speranza, la frustrazione, la solitudine, l'amore, la gioia, l'esaltazione. Credo si riferisse anche a libri come questo.

Dai temi d'italiano al sesamoide radiale del panda

Due cose belle di oggi: 

- L'accorato appello di Paola Mastrocola perché non si uccida il tema d'italiano nelle scuole (consiglio vivamente di leggerlo fino alla fine).

- La storia incredibile del sesto dito del panda (dal min. 17:45 di questo video). In questo caso, l'aggettivo incredibile non è esagerato.

Bicicletta sgonfia (sogno)

Solitamente non ricordo i sogni che faccio. Quello di stanotte, invece, sì. Sono in giro in bicicletta, di domenica mattina, nella zona di Santa Giustina. A un certo punto mi accorgo di avere la ruota posteriore con la gomma sgonfia. Panico, ovviamente. Scorgo quindi un negozio di biciclette (sollievo: un riparatore di biciclette aperto la domenica mattina. Può capitare solo in un sogno :-) e lì di fuori il titolare intento a ripararne una. Mi avvicino, gli chiedo se può dare un'occhiata alla gomma della mia bici e lui acconsente sistemandomela. Riparto quindi tutto contento e nel frattempo mi accorgo che il riparatore di biciclette sta chiudendo il negozio. Se mi si sgonfia ancora, mi tocca farmela a piedi, penso.

Neanche a farlo apposta, dopo poco mi accorgo che si è sgonfiata la gomma anteriore e non posso più tornare dal tipo perché ha chiuso la sua bottega. Comincio quindi a "impennare", con l'intenzione di coprire il restante tragitto verso casa su una sola ruota. (Da ragazzino ero bravo, su una sola ruota riuscivo a coprire lunghi tratti sia con la bici che col Ciao). Ma impennare a cinquant'anni suonati non è come impennare a 14 o 15, e infatti alla fine mi rassegno a scendere e incomincio a farmela a piedi accompagnando a braccia la bicicletta, finché l'improvviso risveglio mi risparmia la lunga scarpinata. Sollievo.

Ho dato un'occhiata, per curiosità, al possibile significato di un sogno simile e ho trovato questo:


Credo che la faccenda della demotivazione sia particolarmente azzeccata. Per quanto riguarda il lavoro, sicuramente.

martedì 7 dicembre 2021

Marx oggi


Ho terminato ieri questo saggio su Marx scritto da Juan Manuel Aragués, e mentre lo leggevo pensavo a cosa direbbe oggi il grande pensatore tedesco se fosse ancora vivo, vedendo che la sua feroce critica alla società capitalista - Marx scrive le sue opere in pieno Ottocento - era rivolta a una società in cui, in fondo, il sistema capitalista era ancora agli albori, pur avendo già una certa "consistenza", rispetto a ciò che sarebbe diventato successivamente. Oggi le contraddizioni e i pericoli che il grande filosofo denunciava e contro cui metteva in guardia sono talmente palesi e radicati nel nostro sistema economico e sociale che viene naturale affibbiargli l'aura di profeta (inascoltato, naturalmente).

Perché Marx criticava così ferocemente il capitalismo? Principalmente per il suo carattere sfruttatore e alienante. In sostanza per Marx l'operaio, che poteva contare sulla forza lavoro come suo unico possesso, era costretto dalle circostanze a sottomettersi al capitale. In questo contesto, il salario che l'operaio percepiva per il suo lavoro era sempre inferiore al valore delle merci che produceva. Qui stava lo sfruttamento: la mancanza di equivalenza tra il valore assegnato alla merce "forza lavoro" (salario) e il valore di quanto prodotto con questa forza lavoro. Questa differenza generava quello che Marx chiamò plusvalore e che era ciò che stava, e sta ancora oggi, alla base dello sfruttamento del lavoratore.

Oggi credo che nessuno che sia in buona fede possa evitare di vedere, a volte anche sulla propria pelle, a quali livelli sia arrivato questo sfruttamento. 

Ma Karl Marx si rivelò (purtroppo) profeta anche relativamente a un altro aspetto del capitalismo: la produzione non spinta da necessità. Scrive l'autore: "Il capitalismo promuove la mercantilizzazione della vita, tanto che il lavoratore si trasforma in uno strumento della merce, sia in quanto produttore, come abbiamo visto, sia in quanto consumatore. E qui ancora una volta Marx anticipò realtà che si sarebbero imposte con tutta la loro potenza solo in una fase successiva del capitalismo. Il filosofo, infatti, metteva in guardia su questo rischio: nella produzione capitalista non sono le necessità a promuovere il desiderio e con esso la produzione, ma è il capitalismo che fa di tutto per trasformare in desiderio e necessità quanto produce, incentivando questa dinamica di produzione. In poche parole: nel capitalismo non si produce ciò di cui si ha bisogno, ma si ha bisogno di ciò che si produce."

Quanto questo sia vero, oggi è sotto gli occhi di tutti. Guardate dieci spot pubblicitari in televisione e provate a vedere quanti prodotti, dei dieci reclamizzati, vi servono davvero. Uno? Due? Nessuno? Forse nessuno, ma non importa, perché l'importante è consumare altrimenti si ferma tutto. La produzione, oggi, non è più organizzata in vista della soddisfazione di un bisogno, ma è organizzata nel tentativo di tenere in piedi un circolo economico vizioso che se si fermasse provocherebbe il collasso dell'intero sistema. Si mettono sul mercato prodotti non perché servono ma perché se si ferma la produzione arriva la disoccupazione, con tutte le ricadute sociali che comporta e che fin troppo bene conosciamo. Quindi dobbiamo acquistare e consumare. Siccome però viviamo in una società che è satura di prodotti, ecco che la pubblicità si incarica non di reclamizzare prodotti (quello lo fa dopo) ma di generare bisogni, di inculcare la convinzione che quel prodotto ci serve, perpetuando questo schizofrenico sistema (ancora per quanto, non si sa). Marx, che saremmo arrivati a questo punto l'aveva previsto 150 anni fa.

Il vecchio e la Settimana Enigmistica

Domenica pomeriggio, scendendo giù dalle colline di Poggio Berni durante la mia solita camminata, ho attraversato il parcheggio del centro sociale, completamente deserto perché la struttura era chiusa. Ma in realtà non era completamente deserto. Parcheggiata in una posizione un po' defilata e seminascosta dai cassonetti dell'immondizia c'era un'automobile, quella che vedete nella foto qui sotto.


Al suo interno c'era un anziano signore impegnato a compilare un cruciverba della Settimana Enigmistica. Ignoro perché fosse lì invece che a casa al calduccio. Ho pensato che potrebbe essere la situazione ideale per scrivere un racconto. Un vecchio in una macchina che fa le parole crociate, un parcheggio deserto, attorno solo campagna e colline. Quale situazione migliore di questa potrebbe fare da incipit alla stesura di una racconto?

Quasi quasi oggi pomeriggio mi metto dietro :-)

lunedì 6 dicembre 2021

"Quel ragazzo là"

Le due bariste sono un po' indaffarate. Io sono al tavolino che gusto il mio cornetto. A un certo punto una delle due chiede all'altra: "Di chi è il cappuccino?" L'altra risponde: "Di quel ragazzo là" e mi indica.
La settimana inizia bene. Buona settimana a chi passerà di qui :-)

domenica 5 dicembre 2021

Suicidi

Qualche giorno fa, a Cesena, una ragazza di 16 anni è salita sul tetto di una scuola per suicidarsi, gesto poi sventato dall'arrivo dei carabinieri. Cosa spinga a suicidarsi a 16 anni nessuno lo sa, forse nemmeno lei. Sempre qualche giorno fa, la stessa cosa è successa in un liceo di Bari, dove un quattordicenne si è gettato da una finestra per un'interrogazione andata male. Qua a Rimini, invece, a tentare il suicidio è stato un annetto fa un dodicenne. E così via. Io sono convinto che se ognuno dei 32 lettori di questo blog spulciasse le cronache locali della zona in cui abita, troverebbe notizie di questo genere a cadenza giornaliera. 

Secondo i dati Unicef, i suicidi sono in Europa la seconda causa di morte tra i giovani dopo gli incidenti stradali. In Italia sono circa duecento ogni anno i ragazzi che si suicidano, su un totale di circa 4000 suicidi l'anno. Per una sorta di macabro paradosso, il continente con uno dei più alti livelli di benessere al mondo è anche quello con le maggiori percentuali di suicidi. 

Mentre leggevo queste cose pensavo, con compassione, a quel 40% di italiani che, secondo il Censis, crede che sia in atto un gigantesco complotto di sostituzione etnica chiamato Great Reset, messo in atto attraverso l'immigrazione. Basta guardarsi un po' attorno per capire che non c'è alcun complotto. La sostituzione etnica sta già avvenendo, attraverso il meticciato, in maniera del tutto naturale da almeno vent'anni; un po' perché ci stiamo suicidando in massa, un po' perché, per un insieme di fattori, siamo ormai il continente con la popolazione più anziana al mondo. Invece di inventarsi inesistenti complotti, sarebbe forse più utile spendersi per cercare di capire i motivi di questi drammi.

L'arminuta (film)


Ieri sera, dopo tanto tempo, sono tornato al cinema in presenza. Il film visto è L'arminuta, tratto dall'omonimo romanzo di Donatella di Pietrantonio uscito qualche anno fa (ne avevo accennato brevemente qui). 

Libro e film narrano le vicende, ambientate in Abruzzo in una estate degli anni Settanta, di una ragazzina tredicenne che all'età di sei mesi viene adottata e cresciuta dagli zii, una agiata famiglia piccolo-borghese. All'età di tredici anni la ragazzina viene "restituita" (arminuta, in abruzzese, significa questo) alla famiglia biologica, che vive in un contesto fatto di arretratezza culturale e povertà, e questo cambiamento genererà in lei un trauma che se da una parte la segnerà, dall'altra costituirà un notevole viatico verso il raggiungimento della maturità.

Devo dire che il film non mi ha entusiasmato, a differenza del libro. Seppure sia un film fatto molto bene, l'ho trovato spesso ripetitivo e monotono, anche se molto efficace nella rappresentazione dei rapporti tra le due madri, quella putativa e quella biologica, e la figlia. Forse il film mi sarebbe risultato più coinvolgente se non avessi letto prima il libro. Probabilmente ciò dipende dal fatto che, conoscendo già le vicende, al film è mancato quell'effetto sorpresa che invece investe chi lo guarda senza prima avere letto il libro.

Un appunto, però, mi sento decisamente di farlo, e riguarda la scelta di lasciare che alcuni dei personaggi parlino utilizzando una inflessione dialettale di difficile comprensione per chi non è originario dell'Abruzzo. In ogni dialogo tra l'arminuta e la madre biologica, ad esempio, io capivo solamente ciò che diceva la ragazzina, di ciò che diceva la madre ci capivo poco o niente, giusto qualche parola qua e là, tanto è vero che ogni tanto mi giravo verso mia moglie per chiederle se lei capisse. Poi, certo, il contesto in cui il dialogo era inserito e le parole che qua e là riuscivo a capire mi consentivano alla fine di capire il senso della frase, ma questa incomprensibilità lessicale mi ha abbastanza infastidito. 

Per qualche motivo che non so spiegare, il film in questione non è distribuito nelle grandi multi-sale come l'UCI a Savignano o il Multiplex a Rimini, ma solo in qualche sala abbastanza anonima sparsa qua e là, come il piccolo cinema in quel di Gambettola in cui siamo andati ieri sera, che ricorda un po' il "cinemino di periferia" di cui parla Battiato in Venezia-Istambul. La sala era abbastanza spartana, tutta su un piano e con le file di sedie imbullonate a terra e lo schermo in alto. Niente a che vedere coi moderni cinema con i posti modello gradinate dello stadio e schermo in basso. Ricordava un po' i vecchi cinema che frequentavo quand'ero bambino. E non c'era neppure il tipo col carrello, con tanto di divisa, che all'intervallo si presenta in sala per vendere popcorn e bibite. Bevande e popcorn erano vendute direttamente dalla stessa signora che all'entrata faceva il biglietto (intero: 4 euro) e il tipo che all'entrata della sala strappava il biglietto, la cosiddetta "maschera" (si chiama ancora così? Chissà...), era un simpatico e anziano signore che, a giudicare dal tremolio di una mano, doveva avere una qualche familiarità col Parkinson. La sala era comunque riscaldata, e viste le premesse non era scontato.

La cosa, tutto sommato, non mi è dispiaciuta. Anzi. Fa piacere che, sparsi qua e là, ci siano cinema in stile un po' retrò che ancora conservano quella sorta di... "genuinità" che i grandi complessi multi-sala hanno forse un po' perso.

sabato 4 dicembre 2021

Utilitarismi artistici

Un concetto interessante espresso nel libro Manifesto del libero pensiero (avevo già citato un altro passo qui) riguarda la "dittatura dell'utile", secondo cui, nella società odierna, l'arte acquista un suo valore nella misura in cui è utile a veicolare messaggi positivi, edificare gli animi, promuovere il Bene. Diventa sempre più difficile, ad esempio, accettare che qualcosa possa non servire a niente e valere di per sé, che sia soltanto un piacere fine a se stesso, o mera espressione di una bellezza. 

Cito dal testo: "La letteratura, per esempio: o la releghiamo agli ultimi posti dell'istruzione oppure, ben peggio, ci arrampichiamo sugli specchi per trovarle un'utilità sociale, snaturandola così nella sua sostanza. Nella scuola è più che altrove evidente: tolleriamo che sia ancora materia d'insegnamento solo perché le abbiamo inventato degli scopi e l'abbiamo piegata a "servire". La letteratura sì, ma solo in quanto educa alla cittadinanza, è strumento di democrazia, è utile ad acquisire competenze poi spendibili nel mondo del lavoro. Non la accettiamo per quel che è, come una delle più alte espressioni dell'ingegno umano, nonché fonte di personale e non spendibile godimento. Tutto dev'essere speso, finalizzato e usato. Nulla può rimanere al fondo del forziere come un tesoro nascosto, il cui mero possesso arricchisca il senso, impalpabile, della nostra vita. Anche di questa triste sostanza utilitaristica è fatta la cappa che ci sovrasta."

Questo estratto mi ha fatto venire in mente un vecchio post di una blogger che amo molto, Galatea Vaglio, là dove spiega, come solo lei sa fare, cosa significa leggere per il gusto di leggere.

La società irrazionale

Il rapporto annuale del Censis fotografa quella che viene definita "La società irrazionale". Il 5,9% degli italiani interpellati, circa 3 milioni di persone, è convinto ad esempio che il covid non esista. Non è che lo sottovaluta, lo minimizza, pensa che sia niente di più di una influenza o simili: no, non esiste proprio, è una invenzione. Il 10,9% pensa che il vaccino sia inutile, il 31,4% pensa che sia sperimentale e noi cavie su cui testarlo. Poi, dopo il covid, c'è tutto il repertorio fantastico già tristemente noto di cui ogni tanto parlano le cronache: il 5,8% degli italiani che pensa che la Terra sia piatta, il 10% convinto che sulla Luna non ci siamo mai andati; il 20%, un italiano su dieci, che pensa che la tecnologia 5G sia un sofisticato strumento per il controllo delle persone. C'è poi un sorprendente 40% di italiani che crede al Great Reset, un complotto europeo, scientemente studiato a tavolino, che ha come obiettivo la sostituzione etnica degli italiani e degli europei autoctoni con lo strumento dell'immigrazione.

In termini assoluti, chi crede a questi complotti rappresenta una percentuale tutto sommato minoritaria rispetto a una ben più cospicua maggioranza che pensa razionalmente e che è in grado di "vedere" la realtà così com'è. In realtà il pensiero magico, il pensiero religioso, il complottismo, la capacità di immaginare cose che non esistono e tutta la serie di comportamenti collegabili alla sfera dell'irrazionalità sono perfettamente umani, sono caratteristiche peculiari della nostra specie e, evolutivamente parlando, sono quelle cose che hanno contribuito a fare sì che noi Sapiens diventassimo i signori assoluti del pianeta (che poi questo sia stato un bene o un male, è un'altra faccenda).

Sulle cause di questa dilagante irrazionalità non c'è naturalmente convergenza di punti di vista. Molti ricercatori, scienziati, psicologi ritengono che il ricorso al pensiero magico sia causato da problemi contingenti come la crescente insicurezza, riscontrabile ad esempio nel fatto che oggi un titolo di studio non è più sufficiente a garantire un lavoro stabile e ben retribuito; c'è poi l'incertezza nel futuro, gli stipendi sempre più bassi, la povertà dilagante, tutti fattori che hanno concorso a produrre la società irrazionale di cui parla il Censis e a cercare rifugio nel pensiero magico.

In realtà questa impostazione non è nuova. Già Marx, ad esempio, a metà del 1800, faceva questo discorso relativamente alla religione, forse la massima espressione dell'irrazionalità, con la famosa frase in cui la definiva "oppio dei popoli". Con questa espressione Marx non intendeva dire che la religione fosse una droga, come molti comunemente credono, ma intendeva assegnare ad essa una valenza consolatoria. Siccome era convinto che la società capitalista era marcata da una profonda ingiustizia (una "valle di lacrime"), quanti la abitavano avevano bisogno di conforto e consolazione, e lo trovavano nella religione. Se ci si pensa, qualsiasi ricorso all'irrazionalità ha forti motivazioni di questo genere. Perché le bufale, i complotti, il pensiero magico, il pensiero religioso sono così diffusi e allettanti? Perché sono rassicuranti, offrono consolazione, consentono di poter trovare (e potersi creare) punti di riferimento e appigli a cui aggrapparsi nell'incertezza generale dilagante. 

Sulla sindrome dei complotti Umberto Eco ha scritto pagine bellissime e forse ancora ineguagliate. In alcune di queste, ad esempio, spiegava che i complotti non sono per definizione immaginari. La storia è piena di complotti reali, a partire da quello per uccidere Giulio Cesare in qua. Ma come si distingue un complotto reale da uno immaginario? Quello reale viene smascherato subito, quello immaginario è destinato a perpetuarsi negli anni e a volte nei secoli. Il fatto ad esempio che a distanza di vent'anni si parli ancora del complotto undicisettembrino secondo il quale gli americani si sarebbero buttati giù da soli le torri gemelle per avere il pretesto per invadere l'Afghanistan; il fatto che dopo più di cinquant'anni si parli ancora del complotto che vuole che sulla Luna non ci siamo mai andati; il fatto che a distanza di quasi un secolo dai quei terribili fatti ci siano ancora i negazionisti dell'Olocausto, e altri, sono la migliore dimostrazione che non si trattava di complotti (purtroppo, nel caso dell'Olocausto).

Con la faccenda di oggi del covid, i negazionisti e i complottari avranno conferma o smentita dei loro deliri utilizzando lo stesso parametro indicato da Eco: il tempo. Se fra dieci o venti o cento anni si parlerà ancora della pandemia come di un gigantesco complotto, sarà la prova provata che non si trattava di un complotto. Sempre ammesso che, nel frattempo, i suddetti complottari non siano già stati fatti fuori dal tempo o da quello che pensavano fosse un complotto.

venerdì 3 dicembre 2021

Prima del covid

Pagine e pagine e pagine e pagine, su ogni sito e ogni giornale. Capisco che una pandemia è una situazione nuova, inedita per le nostre generazioni, ma ogni tanto mi viene da chiedermi di cosa parlassero i giornali prima del suo arrivo. Con cosa riempivano tutto lo spazio che riempiono adesso con la pandemia? E quanto dello spazio che viene ad essa dedicato ha una sua reale utilità?

giovedì 2 dicembre 2021

[...]

Tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta, anche grazie al femminismo e alle lotte sull'aborto e sui diritti LGBT, le cose cominciano a cambiare. La mentalità dominante non è più né bigotta, né conservatrice. Nel 1978 passa la legge Basaglia, che chiude i manicomi. Nel medesimo anno passa la legge sull'aborto, nel 1981 viene abolito il reato di plagio, nel 1982 viene approvata la prima legge che consente il cambiamento di sesso. La stagione delle lotte sociali cede il passo a quella dei diritti civili, le idee progressiste penetrano sempre più nella coscienza collettiva.

È in quegli anni che, anche in Italia, prima in modo appena avvertibile, poi in modi sempre più massicci e pervasivi, prendono piede i princìpi del politicamente corretto. Essere progressisti comincia a significare, per molti, ergersi a legislatori del linguaggio.
Parte una furia nominalistica che, con ogni sorta di eufemismo e neologismo, si premura di stabilire come dobbiamo chiamare le cose e le persone, in totale spregio del linguaggio e della sensibilità della gente comune.
Dopo gli anni del marxismo e dello strutturalismo, i custodi del pensiero progressista paiono convertiti a un neoidealismo che conferisce alle parole un potere quasi magico. Come ha notato recentemente Walter Siti: "Gli scrittori di sinistra sembrano credere che siano le parole a generare i comportamenti: il contrario dell'idea marxiana che siano invece le condizioni materiali a generare le idee."

La lotta si accentra così sul mero linguaggio. Anziché provare a cambiare davvero le cose, si punta a cambiare le parole, trovando a ogni cosa il nome giusto, come se questa fosse la mossa decisiva e di per sé benemerita. Dopo la messa al bando della parola "negro" (tranquillamente usata da Pavese, Calvino e infiniti altri scrittori, progressisti e non), a favore di "nero", i ciechi diventano ipovedenti, gli spazzini operatori ecologici, gli handicappati diversamente abili, i bidelli collaboratori scolastici, le donne di servizio collaboratrici familiari, i becchini operatori cimiteriali, e così via. Nascono le "parole giuste". E di conseguenza le "parole sbagliate", impronunciabili.
Curiosamente, non ci si rende conto che nessuna delle parole messe al bando era usata in modo spregiativo, e che, al contrario, creando per ogni parola precedentemente neutra la sua controfigura corretta si fornisce un meraviglioso armamentario di parole contundenti, di parole-proiettili, a chiunque desideri offendere e riversare disprezzo sul prossimo. Gli odiatori, che oggi imperversano in rete, sentitamente ringraziano.
E, ancor più stranamente, alla puntigliosa individuazione delle categorie da proteggere con parole-scudo non si accompagna alcun serio tentativo di cambiarne o migliorarne la condizione.

(da Manifesto del libero pensiero - Paola Mastrocola, Luca Ricolfi - ed. La nave di Teseo)

Pioggia

Si capisce all'istante che certe giornate piovose saranno piovose da mattina fino a notte, anche se non si sono guardate le previsioni meteo il giorno prima. È una specie di presa di coscienza. Basta guardare il cielo cupo e irrimediabilmente chiuso, il modo costante e regolare in cui la pioggia cade e se ne ha la sicurezza matematica, come è sicuro che una nuova canzone di Biagio Antonacci sarà noiosa come tutte le precedenti o come è sicuro che qualsiasi cosa dica Sgarbi sul covid sarà sempre una fesseria. Quella tipo di sicurezza lì, insomma.

mercoledì 1 dicembre 2021

Sailing

Ogni tanto, quando suono al pianoforte, mi imbatto casualmente in melodie già sentite, non nuove, ma che la memoria fatica a collocare in un posto preciso. Mi succede spesso, quando improvviso. Improvvisare significa sedersi al pianoforte senza un'idea precisa di cosa suonare. Si parte da un accordo (io parto sempre coi minori, li preferisco) e poi si va a ruota libera "giostrando" su quell'accordo. Spesso succede, in maniera del tutto casuale, che improvvisando si esegua una melodia che fa scattare qualcosa nella memoria. A volte quella melodia la si riconosce subito e la si collega a una certa canzone, a volte è più difficoltoso darle un nome: si è coscienti di conoscerla ma non si riesce a darle il titolo o a ricordare l'autore. Mi è capitato poco fa con Sailing, una vecchissima canzone interpretata da Rod Stewart. È stata anche utilizzata in televisione, anni fa, per reclamizzare una birra (io non avrei mai dato il permesso di utilizzare una musica così bella per una réclame, ma questo è un altro discorso).

Insomma, vi accenno brevemente il pezzo in questione. Astenersi minori di 50 anni :-)


Corsa al Colle di Silvio

Quello che da tutti è sempre stato etichettato come impossibile, l'elezione di Silvio a Presidente della Repubblica, rimane impossibile, o comunque altamente improbabile. Nonostante ciò, sembra che il nostro, ultimamente, si stia dando parecchio da fare in questo senso e abbia perfino cominciato una specie di campagna elettorale tra i parlamentari. Il percorso è pieno di ostacoli, ma piano piano l'arzillo vecchietto sta provvedendo ad eliminarne alcuni. Va probabilmente in questa direzione la sospensione, su Rete4, di due programmi "sovranisti" che spesso ospitano personaggi legati al mondo dei novax, non proprio in linea con l'immagine di statista e filoeuropeista che sta faticosamente cercando di costruirsi per agevolare la corsa.

A dire il vero, coi novax Berlusconi ce l'ha da tempi non sospetti, e almeno su questo gli si può riconoscere una certa, inusuale, coerenza. Per il resto, aspettiamo lo svolgersi degli eventi per vedere se veramente il Paese è pronto ad accogliere al Quirinale il primo presidente pregiudicato della storia repubblicana.