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sabato 29 febbraio 2020

Le considerazioni più intelligenti ascoltate finora riguardo al coronavirus

In particolare, i due passaggi più interessanti riguardano il modo in cui spiegare il coronavirus ai bambini e, verso la fine del video, le considerazioni su chi siano i veri "untori", se quelli che fisicamente trasmettono il contagio o quelli che invece sfruttano l'epidemia per raccattare miseramente qualche voto in più. Naturalmente è facile capire a chi si riferisce Galimberti.

giovedì 27 febbraio 2020

Perché non riusciamo a stare lontani dal frigorifero


(da Sapiens, da animali a dèi. Breve storia dell'umanità - Y. N. Harari)

mercoledì 26 febbraio 2020

E gli antivaccinisti?

Mi chiedo se gli antivaccinisti nutrono la stessa speranza delle persone normali che venga presto scoperto un vaccino. E, in caso, se hanno intenzione di ricorrervi.

martedì 25 febbraio 2020

Ci ha lasciato zio Hosni

Se n'è andato, alla veneranda età di 91 primavere e dopo 31 anni ininterrotti di potere, l'ex ultimo faraone d'Egitto, il presidente Hosni Mubarak, che per noi italiani resterà nella memoria collettiva come lo zio di Ruby Rubacuori, parentela mai esistita ma certificata nel 2011 da un vergognoso voto alla Camera, in quella che è ormai passata alla storia come una delle pagine più basse della vita politica di questo paese. Anche se Salvini doveva ancora arrivare.

L'appello per Julian Assange

Quando puntiamo il dito contro quei regimi dittatoriali che spesso balzano alle cronache perché usano imprigionare o uccidere blogger, giornalisti o attivisti - penso ad esempio a molte realtà del Medioriente ma anche alla Russia di Putin, della quale è nota l'avversione verso il giornalismo libero - spesso dimentichiamo che pure noi occidentali democraticamente avanzati non siamo degli stinchi di santo, e verso i giornalisti scomodi spesso ci comportiamo nella stessa maniera.

Naturalmente nessuno, nel civile e democratico Occidente, uccide o mette in galera i giornalisti, ma metodi per zittirli o comunque neutralizzarli in maniera più morbida ma ugualmente efficace non mancano. Basta vedere la vicenda di Edward Snowden, ad esempio. (È uscito un paio d'anni fa un bellissimo film che narra la sua storia, per chi fosse interessato.)

In questi giorni è iniziato nel Regno Unito il processo in cui si discuterà se concedere l'estradizione di Julian Assange. Assange è un attivista e informatico australiano cofondatore del celebre sito Wikileaks, tramite il quale sono stati resi pubblici, tra gli altri, documenti militari riservatissimi che hanno permesso al mondo di conoscere cosa combinavano gli USA in Iraq e in Afghanistan nelle famose guerre per esportare la democrazia.

(Esportare la democrazia è forse il più ridicolo pretesto che si poteva trovare per giustificare quei bombardamenti. Ci abbiamo messo un paio di migliaia di anni, qua, per arrivare a una finta democrazia, passando per feudi, comuni, signorie, principati ecc., e pretendiamo in dieci minuti di esportarla là.)

Questo post per segnalare, a eventuali giornalisti interessati che si trovassero tra i miei 32 lettori, un'iniziativa, a mio parere meritoria, da sottoscrivere per supportare Assange. I dettagli sono qui.

Lo sciamano


Mi sono accorto solo verso metà delle oltre 600 pagine che compongono questo romanzo, che Lo sciamano non è un libro a sé stante ma è il secondo di una trilogia ideata e scritta da Noah Gordon tra il 1986 e il 1996. Tutti e tre i romanzi (Medicus, Lo sciamano, L'eredità dello sciamano) si possono comunque leggere singolarmente perché dal punto di vista narrativo sono indipendenti uno dall'altro e l'unico "filo" che li lega è il "dono", una particolare capacità degli appartenenti alla famiglia Cole di "sentire" quando la vita sta abbandonando una persona.

Il romanzo in questione narra le vicende di Robert Judson Cole e Robert Jefferson Cole, rispettivamente padre e figlio, entrambi medici di origini scozzesi, emigrati negli Stati Uniti negli anni '30 del 1800. È principalmente un romanzo d'avventura, e non è difficile, mentre si legge, avvertire richiami che rimandano a Wilbur Smith. Ma non è solo un corposo e avvincente romanzo d'avventura. Di particolare interesse è infatti anche la sua valenza storica.

Le vicende narrate, che coprono un arco temporale che va dal 1839 fino al 1870, sono infatti inserite in un contesto storico che vede i noti e tristi capitoli relativi alla progressiva "reclusione" dei nativi americani in riserve, il mito della frontiera (Rob Cole approderà a Boston, cuore del New England, per poi viaggiare verso la mitica frontiera del West), la Guerra di secessione americana, i cui scontri tra nordisti e sudisti sono da sempre fonte di ispirazione per letteratura e cinema. E tutti questi avvenimenti storici, che fanno da contorno alle vicende della famiglia Cole, sono affrontati da Noah Gordon col piglio dello storico, non solo del romanziere, per cui al fascino della trama si aggiunge il fascino della documentazione storica. Un libro affascinante, insomma.

domenica 23 febbraio 2020

Dai terrapiattisti precolombiani a quelli odierni

Chi ha visto 1492, la scoperta del paradiso, con un immenso Gerard Depardieu nei panni di Cristoforo Colombo, ricorda sicuramente una delle scene iniziali del film. Si vedono di spalle Cristoforo Colombo e il figlioletto primogenito Fernando seduti su una spiaggia mentre guardano il mare. Al largo c'è una nave che si sta allontanando. Il padre invita il figlio a guardarla insistentemente e a intervalli regolari gli chiede cosa veda. "La nave intera" gli risponde il figlio. Dopo dieci minuti glielo chiede di nuovo e il figlio risponde: "Adesso vedo solo le vele". Dopo altri dieci minuti: "Adesso è sparita."
"Cosa significa, secondo te?" gli chiede quindi il padre. Il bambino rimane pensoso qualche secondo, finché Colombo lo anticipa: "È rotonda."

Cinquecento e passa anni dopo Cristoforo Colombo c'è gente, e non poca, che ancora pensa come si pensava prima che arrivasse lui, e pur di tentare di dimostrare questa assurdità ci lascia pure le penne.

Mi è venuto in mente, mentre leggevo questa notizia, un saggio di Vittorino Andreoli che lessi un paio d'anni fa: Homo stupidus stupidus. Il declino di una civiltà, un libro illuminante sulla stupidità umana in tutte le sue innumerevoli forme e varianti, stupidità di cui giornalmente vengono fornite ampie prove.

sabato 22 febbraio 2020

Niente panico

Stamattina i maggiori quotidiani aprono con editoriali che invitano a non farsi sopraffare dal panico per il fatto che il famigerato Covid-19 abbia iniziato a circolare in Italia. Paradossalmente, neanche tanto poi, sono gli stessi quotidiani che negli ultimi due mesi più si sono prodigati coi loro titoloni nella diffusione del suddetto panico, ma tant'è. Per il resto, c'è da essere preoccupati? Un po' di preoccupazione magari è legittima, il panico non credo abbia senso. Certo, riguardo a ciò che sta accadendo in nord Italia, i due o tre punti oscuri attorno al primo contagiato non autorizzano alla tranquillità. Il trentottenne in questione, infatti, non è mai stato in Cina e l'amico manager rientrato dal paese orientale, quello che si pensava fosse l'"untore", è risultato negativo al test. Da qui l'ipotesi degli untori sani, questa sì abbastanza inquietante.

È verosimile pensare che, adesso che il virus è in circolazione in Italia, la sua diffusione non resterà limitata a Lombardia e Veneto, purtroppo. Personalmente non provo eccessiva preoccupazione, anche perché da sempre il mio stile di vita è già di per sé una forma blanda di quarantena, contraddistinta dal quotidiano tragitto casa-lavoro, in macchina durante l'inverno e in bicicletta nella bella stagione (quindi niente mezzi pubblici), e il resto della giornata generalmente in casa a leggere o scrivere. Poi, certo, qualche briciola di vita sociale ce l'ho pure io, tipo ad esempio qualche colazione al bar prima di andare al lavoro o la pizzata del sabato sera con famiglia e amici. Cose che, all'occorrenza, posso tranquillamente eliminare.

Insomma, stiamo a vedere come evolverà la faccenda, senza panico ma con la giusta dose di attenzione e prudenza.

venerdì 21 febbraio 2020

Sullo speronamento

Ieri sera, per caso, in una delle rarissime volte in cui a casa mia la televisione era accesa, mi sono imbattuto in Red Ronnie, noto deejay anti-vaccini. Era su Retequattro, ospite di un talkshow di stampo sovranista in cui si parlava della pubblicazione delle motivazioni con cui la Cassazione ha messo la parola fine alla vicenda di Carola Rackete, certificando la piena legittimità del suo operato. Carola Rackete è la ragazza tedesca che, al comando della Sea-Watch 3, nel giugno dell'anno scorso forzò il blocco navale imposto da Salvini e attraccò a Lampedusa consentendo ai naufraghi salvati nel Mediterraneo di sbarcare. Red Ronnie, che oltre a essere esperto di vaccini lo è evidentemente anche di diritto marittimo, tra le altre cose ha detto che se uno sperona una macchina della polizia va in galera, e quello di Carola Rackete, che nella manovra di attracco aveva leggermente urtato una motovedetta della Finanza che si era frapposta tra la nave di cui era al comando e il molo, è stato senza dubbio uno speronamento. Ha rincarato la dose Salvini, naturalmente, il quale ha commentato: "Se io, in Germania speronassi una nave militare tedesca, penso che giustamente sarei messo in galera. Mi leggerò la sentenza: se così fosse, sarebbe un pericoloso precedente perché da domani chiunque si sentirebbe titolato a fare quello che non va fatto."

Ora, la prima cosa da far notare al deejay è che una macchina della polizia non si può speronare per il semplice fatto che lo speronamento è un tipo di azione che si svolge in mare e non mi risulta che le pantere della polizia navighino tra le onde. Cito dal Treccani: "Con riferimento a navi, investire un’altra nave, o un bastimento, o comunque una grossa imbarcazione, con lo sperone (più genericam., con la prua), incidentalmente o, nel corso di combattimenti navali, volutamente, come azione tattica, offensiva." È vero che, abbastanza frequentemente, nel linguaggio colloquiale si usa indicare con speronamento l'azione da parte di un veicolo di urtarne più o meno violentemente un altro, ma è comunque un uso improprio del verbo.

La seconda cosa da far notare sia al deejay che all'ex ministro dell'Interno, come è ormai stato ampiamente dimostrato, è che Carola Rackete non ha speronato nessuno, ha solamente urtato lievemente e accidentalmente una piccola imbarcazione della Finanza durante la manovra di attracco. Che non si sia trattato di speronamento è lapalissiano, e il motivo è che la Sea-Watch 3, data la sua stazza, stava entrando in porto a velocità ridottissima e in retromarcia. Se Red Ronnie o Salvini pensano di riuscire a spiegare come può una imbarcazione che naviga in retromarcia speronarne un'altra, si accomodino pure, sono aperto a qualsiasi spiegazione. Qui c'è un video che mostra tutta la sequenza della manovra e anche dei disegnini, semplici da capire anche ai refrattari alla conoscenza della lingua italiana, siano essi deejay o ex ministri.

Quindi, quando Salvini afferma che se in Germania lui speronasse una nave militare andrebbe in galera, mi sento di rassicurarlo: andrebbe incontro a non pochi guai anche se lo facesse in Italia. Ma siccome Carola Rackete non ha speronato nessuno, non c'è motivo per cui debba avere guai. Quando poi aggiunge che con questa sentenza "chiunque si sentirebbe titolato a fare quello che non va fatto", penso che in effetti abbia ragione, perché da domani ogni italiano alla guida della sua nave da 600 tonnellate è autorizzato a speronare chiunque. E come si fa a non essere preoccupati?

mercoledì 19 febbraio 2020

Livio Fanzaga show (e il Coronavirus)

Non so quanti conoscano Radio Maria. Di sicuro è conosciuta dagli automobilisti, perché quando si passano in rassegna le emittenti in cerca di un po' di musica buona, Radio Maria esce fuori mediamente ogni due stazioni. E non solo in Italia, tra l'altro. Recentemente mi è ad esempio capitato di viaggiare nell'Austria orientale e, in mezzo a una marea di emittenti che naturalmente trasmettevano in lingua tedesca, ogni tanto anche là saltava fuori Radio Maria. Bene. Perché parlo di Radio Maria?

Dovete sapere che colonna portante di tale emittente, che si rivolge a un pubblico cattolico tra l'oltranzista e il fanatico, è tale padre Livio Fanzaga, che giornalmente delizia per una mezzoretta i suoi ascoltatori con i suoi ormai leggendari sproloqui interventi teologici. Interventi che, nel corso degli anni, hanno anche sollevato qualche eufemistica polemicuccia. Mi riferisco ad esempio a quando affermò che il terremoto dell'Aquila dell'aprile 2009, che provocò più di 300 morti, 1600 feriti e 80.000 sfollati, fu voluto dal Signore affinché quelle persone partecipassero alla sua passione (non sto scherzando, l'audio è qui); oppure a quando disse che il terremoto - è fissato coi terremoti, evidentemente - in centro Italia del 2016 e 2017 (299 vittime) era un castigo mandato da Dio come punizione per l'approvazione della legge sulle Unioni civili, esternazione con la quale si premurò anche di tranquillizzare Monica Cirinnà, principale relatrice della legge in questione, sul fatto che il funerale sarebbe arrivato anche per lei.

Veniamo a oggi. Qual è l'evento drammatico di dimensione planetaria di cui si parla di più da un paio di mesi a questa parte? L'epidemia dell'ultima variante di Coronavirus. Poteva il solerte Livio Fanzaga lasciarsi sfuggire questa ennesima ghiotta occasione per elargire al mondo una delle sue perle di teologia? Certo che no. Ecco quindi che il Coronavirus, dai microfoni di Radio Maria, non è più una delle moltitudini di epidemie che ogni tanto si affacciano qua e là sul pianeta, no, diventa un ammonimento del cielo. Ecco un estratto del surreale intervento (dal minuto 26:00 ca.) di Fanzaga (il neretto è mio).

[...] "Cioè… questo… va fatta una riflessione di carattere teologico. [...] Ma sappiamo benissimo che la natura con… ha ammazzato, la natura, più della morte stessa, cioè i morti ammazzati dalla natura son più numerosi di quelli della morte naturale (?) …e anche la natura attende la redenzione dei figli di Dio. Come dice san Paolo nella Lettera ai Romani, 'Anche la natura dev’essere redenta'. Ora come ora è inc… è… ora come ora è in atteggiamento aggressivo nei confronti dell’uomo, e questo Dio lo permette. E perché lo permette? Perché noi, se no, invece di adorare Dio adoreremmo la natura, e siccome in questo secolo siamo riusciti a dominare la natura, a dominare tante malattie, ci crediamo nella sicurezza e siamo ri… e stiamo ritornando all’idolatria, stiamo eliminando Cristo, eliminando Dio, eliminando la Salvezza per mettere la natura e l’uomo, che comunque viene configurato come un evento naturale, al centro dell’adorazione. Allora, cari amici, questa narrazione che vi ho fatto, questa interpretazione della natura è quella giusta, è quella teologica. La natura, con la caduta originale, si è ribellata all’uomo, è entrata la sofferenza e la morte nel mondo, dalla quale Dio ci aveva esentato, e i virus son diventati una delle armi più tremende della natura. E questo… con questo coronavirus abbiamo aperto gli occhi, perché il coronavirus è venuto in un momento… in un momento giusto. […] Quindi questa pandemia avviene in un momento in cui è in atto l’impostura anticristica in sommo grado e avviene in un Paese in cui l’impostura anticristica è al massimo, con un potere ateo, materialista, che vuole il dominio del mondo…" […]

Ora, uno potrebbe chiedersi: perché occuparsi degli sproloqui di questa gente? E in fondo la domanda ha pure un senso. Il problema è che qui non stiamo parlando, che ne so?, delle scempiaggini di un prete durante un'omelia, che al limite rimangono circoscritte ai quattro gatti che la ascoltano, stiamo parlando di una emittente radiofonica tra le più capillarmente diffuse (il discorso della radio in macchina) e più ascoltate nel nostro paese, con una massiccia presenza anche sui social, oltretutto. Scusate, ma quando Salvini sventola nei comizi vangeli e rosari e bacia medagliette della Madonna, a chi credete che si rivolga? Dove pensate che peschi quando fa queste sceneggiate? Pesca tra la gente che crede a queste stupidaggini. E se uno è disposto ad accettare le stupidaggini di Fanzaga, a maggiore ragione accetterà le stupidaggini di Salvini, visto che mediaticamente quest'ultimo è oltretutto molto più potente di Fanzaga.

Penso che sia anche da situazioni come questa che si evince il motivo per cui ormai questo paese è ridotto come è ridotto, e c'è da essere sconfortati.

martedì 18 febbraio 2020

Risalite

Ho notato che la risalita del PD nei sondaggi è cominciata con la fuoriuscita di Renzi dal partito. A pensare male si fa peccato, ma a volte ci si azzecca.

lunedì 17 febbraio 2020

Salvini e l'aborto

Volevo scrivere qualcosa su ciò che ha detto Salvini sull'aborto ma non me la sono sentita, per decenza. Mi limito velocemente a segnalare questo articolo che raccoglie pensieri in merito che condivido, e continuo ostinatamente a pensare che in qualsiasi paese civile a un soggetto simile non sarebbe mai permesso di essere nelle istituzioni.

Scrivo ma non penso

Il meccanismo è sempre il medesimo: scrivono una scempiaggine su facebook e pensano che la cosa sia finita lì. Quando si accorgono che invece la cosa non finisce lì ma ha un seguito che travalica la bolla dei propri contatti e diventa di dominio pubblico, con un certo imbarazzo ritrattano, a volte si scusano, a volte l'una e l'altra cosa assieme. L'unica giustificazione che immancabilmente ricorre, e il caso della maestra di Gubbio è solo l'ultimo esempio degli infiniti che si potrebbero portare, consiste nell'affermare di avere scritto cose che in realtà non si pensano. Il problema è che ammettere di scrivere cose che in realtà non si pensano equivale a mettere la proverbiale pezza peggiore del buco.

Io non ho mai scritto su questo blog cose che non penso. I quasi ottomila post che dal 2006 riempiono queste pagine riflettono esclusivamente il mio pensiero. Poi, certo, posso avere scritto stupidaggini, inesattezze, corbellerie, anzi sicuramente ne ho scritte, ma nel momento in cui scrivevo ogni post le singole parole riflettevano esclusivamente il mio pensiero. E in quattordici anni di blog non mi è mai successo di ammettere di aver scritto cose che non penso.

Anche perché, come si intuisce facilmente, ammettere di scrivere cose che non si pensano autorizza l'eventuale lettore a porsi qualche interrogativo circa la sanità mentale di chi esterna tale ammissione. La maestra di Gubbio che ha vergato quel post, invece di giustificarsi pateticamente arrampicandosi sugli specchi del ridicolo, avrebbe fatto ben più onesta figura a non replicare, oppure ad ammettere che ciò che ha scritto lo pensa con l'unico errore di averlo reso pubblico. Ne sarebbe uscita forse un pelino più dignitosamente, ammesso che abbia un senso tirare in ballo la dignità di fronte a certe affermazioni.

sabato 15 febbraio 2020

Mussolini ha fatto anche cose buone


Ho appena terminato questo agile saggio (appena 120 pagine) con cui lo storico Francesco Filippi analizza e smonta una ad una le principali bufale che circolano, principalmente sui social, attorno alla figura di Benito Mussolini e del fascismo. Bufale che sono residuati storici, sopravvissuti fino ad oggi e purtroppo nel corso degli anni ingigantiti, di ciò che durante il famigerato ventennio produsse la formidabile macchina propagandistica messa in piedi dal regime.

Il libro in questione analizza una per una le idiozie che circolano partendo proprio dalle frasi testuali, riportate coi virgolettati, reperite sui social. Il repertorio è più o meno quello noto a tutti: l'invenzione del sistema pensionistico, le famose bonifiche dell'Agro pontino, il prosperare dell'economia sotto il fascismo, i grandi vantaggi dell'autarchia economica, il duce grande condottiero e grande statista, il duce che amava tanto gli italiani e che ha fatto tanto per loro, e solo per nominare le principali. Ognuna di queste dicerie viene presa, sviscerata e analizzata minuziosamente rapportandola alla realtà storica dell'epoca, desunta da documenti ufficiali, registri, archivio delle leggi, numeri, dati e date.

Ne viene fuori un quadro desolante, che descrive un regime dispotico, violento, miope e perlopiù incapace, giudizio condiviso oltretutto dalla stragrande maggioranza degli storici. Un regime fallimentare che ha prodotto diseguaglianze economiche, povertà, inasprimento delle lotte di classe e culminato con il disastroso trascinamento del paese nella Seconda guerra mondiale da cui uscirà ridotto in macerie, letteralmente, economicamente e socialmente.

Mentre lo leggevo mi chiedevo: servono libri come questo? Possono avere una loro utilità? No, non penso. Per il semplice motivo che i cultori odierni del neofascismo sono generalmente ignoranti, fieramente ignoranti e totalmente refrattari ai libri e all'avvicinamento a qualsiasi forma di cultura. E se anche si mettesse in mano a cotanti signori un libro come questo non saprebbero cosa farsene. E non servono, a maggior ragione, a chi, come lo scrivente, di libri sulla storia del fascismo ne ha letti a bizzeffe e lo conosce da ogni angolazione.

In sostanza, un libro che probabilmente servirà a poco, ma viviamo in un periodo storico in cui, forse, anche quel poco è bene che ci sia.

venerdì 14 febbraio 2020

Matteo Renzi

Ho scritto spesso, in passato, su queste pagine, riguardo a Matteo Renzi, inserendolo nelle mie considerazioni in una forbice di giudizi che va da persona affetta da gravi problemi di egoistico narcisismo, accompagnato da ipertrofia dell'io, a incauto cretino.

Maturai questi giudizi, che sostanzialmente non ho cambiato ma semmai corroborato, quando, fatto fuori Enrico Letta dopo che fino a due giorni prima gli aveva raccomandato di stare sereno, una volta preso il suo posto la prima cosa che fece fu incontrare Silvio Berlusconi per siglare il famigerato patto del Nazareno. Da lì in poi, chiunque abbia seguito un po' la sua vicenda politica credo si sia fatto un'idea abbastanza esaustiva del tipo, sia a livello politico che caratteriale.

È difficile riuscire a capire, oggi, fin dove voglia spingersi nella sceneggiata ricattatoria tutta pretestuosa e totalmente priva di elementi di principio ingaggiata sulla prescrizione. L'unico dato certo, finora, è l'assist formidabile fornito alla coppia Salvini-Meloni, i quali da giorni gongolano all'avvertire gli scricchiolii dell'esecutivo.

In ossequio a ogni principio di realismo, che si spera sopravanzi la pure grave ipertrofia dell'io di cui sopra, c'è da augurarsi che il tipo, una volta ricevuta la dose ottimale di riscontri ai suoi "Ehi, ci sono anch'io, mi si nota?", si fermi prima che accada l'irreparabile. Conoscendolo, però, direi che la cosa sia tutt'altro che scontata.

Credo che non ci risolleveremo più

A Bellaria, nella zona dell'Isola dei platani, c'è un bar gestito da cinesi, che tra l'altro fa degli ottimi cappuccini e vende delle ottime brioches. L'altro ieri è entrato un tizio, si è avvicinato al bancone e ha cominciato a investire la proprietaria con una serie di fastidiosissime e a mio parere idiote domande, tipo da dove viene il caffè che somministra ai clienti, quale tipo di latte utilizza per i cappuccini e la sua provenienza, se le brioches in vendita sono sicure e cose di questo genere. La proprietaria, mostrando una pazienza fuori dal comune (al suo posto, io avrei intimato al petulante cliente di smammare già alla seconda domanda), ha risposto puntualmente, spiegandogli che è residente in Italia da più di vent'anni e indicandogli anche il nome della pasticceria lì nelle vicinanze che ogni mattina, da anni, le consegna le paste fresche. Il tipo se n'è quindi andato, tra l'altro senza neppure consumare niente.

Io ero lì, seduto a un tavolino, e assieme a tutti gli altri ho assistito, abbastanza incredulo, al breve siparietto. Una volta uscito mi sono chiesto come certa gente possa essere così stupida. Ma il tipo cosa pensava, che la signora si facesse mandare ogni giorno le paste fresche dalla Cina? E anche ammettendo, ragionando per assurdo, che sia così, cosa sarebbe cambiato dal momento che il virus in questione non si trasmette attraverso i cibi? Poi leggo delle aggressioni che in varie parti della penisola da giorni si stanno verificando ai danni di persone di nazionalità cinese, aggressioni spesso condite con espressioni ingiuriose e razziste. Ma cosa sta succedendo?

Cinesi a parte, come si fa a ignorare ciò che a cadenza ormai giornaliera ci raccontano le cronache? Svastiche sui muri, marchiatura delle porte di appartamenti in cui abitano ebrei, aggressioni di stampo squadrista perpetrate da marmaglia neofascista, cori razzisti di intere curve negli stadi all'indirizzo di giocatori di colore. Spesso ho la tentazione di minimizzare, di dire che in fondo si tratta di casi isolati a cui non va dato eccessivo peso. Quasi una forma di auto-tranquillizzazione. Ma di notizie simili le cronache locali sono piene, e allora la situazione è probabilmente più grave di quanto sembra.

Libri e solitudine

Mi sono imbattuto in questo bellissimo post di Pino, nel quale mi riconosco dalla prima parola all'ultima, compresi gli accenni a una possibile misantropia come conseguenza della lettura.

mercoledì 12 febbraio 2020

Marinai perduti


Marinai perduti è un romanzo drammatico con tinte noir. Come la maggior parte dei libri che leggo, mi è capitato in mano in maniera abbastanza casuale, per la precisione mi è stato regalato, questo assieme ad altri, da una collega di lavoro che aveva bisogno di liberare spazio nella sua libreria di casa. Narra la storia di alcuni marinai, di diverse nazionalità, "imprigionati" su un cargo ancorato nel porto di Marsiglia.

La nave in questione è sotto pignoramento a causa del dissesto finanziario dell'armatore e la maggior parte dei marinai viene liquidata e "liberata" tramite un risarcimento elargito da un fondo pubblico. Tre di questi marinai, il libanese Abdul Aziz (capitano), il greco Diamantis (secondo capitano) e il turco Nedim Taskim (marconista) rinunciano al risarcimento e rimangono a bordo del cargo in attesa del dissequestro.

Non è tanto per una questione di sentimentalismo che decidono di restare a bordo, ma perché fuori da quella nave non hanno più nulla. Al mare hanno infatti sacrificato tutto: famiglia, affetti, amori, casa, terra natìa, trasformandosi di fatto in persone senza patria. Una sorta di apolidi, si potrebbe dire. Gran parte di questo bellissimo romanzo, dalle tinte fosche e a tratti tristi e decadenti, è il racconto delle vite di questi marinai, i Marinai perduti del titolo, e di tutto ciò che hanno sacrificato scegliendo il mare. Nella storia trovano posto, perfettamente intercalate nella trama, anche sfaccettature noir.

Piccola ma interessante curiosità. Jean-Claude Izzo, l'autore, è nato ed è vissuto per un certo tempo a Marsiglia, città portuale in cui è ambientato il romanzo, e, come scrive egli stesso nella postfazione, pur trattandosi di opera di fantasia [...] "Rimane comunque la realtà. Il dramma sempre più frequente vissuto da tanti marinai in tanti porti francesi. Da Marsiglia a Rouen, numerosi cargo sono ancora oggi bloccati. Gli equipaggi, spesso stranieri, vivono a bordo in condizioni difficilissime, nonostante un'immancabile solidarietà. Ci tenevo qui a rendere omaggio al loro coraggio e alla loro pazienza." [...]

Le locuste dell'Africa orientale

Qualcuno ha letto qualcosa della catastrofe in corso in questo periodo nell'Africa orientale? Difficile. Sono zone lontane da noi; già ci frega poco di ciò che succede in casa nostra, figurarsi in un altro continente.

Eppure dovrebbe fregarci qualcosa, in primo luogo perché noi occidentali abbiamo delle responsabilità non da poco riguardo a tutto ciò; in secondo luogo perché gli effetti di quella catastrofe, apparentemente così lontana, si reverbereranno inevitabilmente su di noi. A chi voglia farsi un'idea in proposito, segnalo questo post del sempre ottimo Gilioli.

Occhio. È vero che il mondo è grande, ma non così grande come immaginiamo.

martedì 11 febbraio 2020

La destra e le donne

Mi sono capitate sott'occhio un paio di notizie che apparentemente sembrano scollegate tra loro, ma ad una lettura più attenta non lo sono affatto. La prima è che Giorgia Meloni ha esultato di gioia su Twitter per il mancato ripristino nel milleproroghe dei fondi alla Casa internazionale delle donne (sito qui), un'associazione culturale con sede a Roma che ha tra le sue finalità il sostegno alle donne in difficoltà, magari perché vittime di violenze, abusi, oppure alle prese con gravi problemi economici. Associazione attiva da anni anche per il contrasto a razzismo e sessismo, che è ora in grave difficoltà. La Meloni esulta.

La seconda notizia è che gli europarlamentari di Lega e Fratelli d'Italia hanno votato contro una risoluzione presentata al Parlamento europeo per chiedere la parità di salario tra uomini e donne. In Europa, a parità di mansioni, le donne percepiscono in media una retribuzione più bassa degli uomini di circa il 16%. Non è ben chiaro se la signora Meloni abbia esultato anche in questo caso, ma non è da escludere.

lunedì 10 febbraio 2020

Pareggiare con le foibe

"Per non dimenticare neanche le vittime delle foibe", scrive un tizio linkando un articolo in cui si parla di ciò che accadde nell'immediato dopoguerra nelle zone dell'Istria e della Dalmazia, e in quell'invito non si può non leggere una valenza stile par condicio, come se con la Giornata del Ricordo si dovesse riequilibrare la Giornata della Memoria. 

Sono le conseguenze della politicizzazione delle ricorrenze storiche e conseguente divisione in fazioni dei rispettivi commemoranti. Uno spettacolo abbastanza triste, a dire il vero. A questo proposito condivido quanto scrive Maurizio Codogno, a cui piacerebbe che fosse istituita una giornata unica in cui commemorare tutti gli eccidi e i massacri del novecento, in modo che nessuno si appropri di questo o quel massacro a seconda dell'area politica di riferimento.

Partitini

Renzi si è fatto il suo partitino, che vale quanto? 4%? 5%? Calenda si è fatto il suo partitino, che vale quanto? 3%? 2%? La signora Carfagna si è fatta il suo partitino, che vale quanto? 1%? 

Siamo il paese dei partitini personali, parrocchiali, feudali, leaderistici; ogni sedicente Churchill o Adenauer de noantri, convinto di essere in missione per conto di Dio, chiama a raccolta i propri eserciti e si butta, lancia in resta, nell'agone politico. Per nobili e universali motivi, intendiamoci, mica per meri interessi di bottega. 

Renzi, ad esempio, dopo Salvini il massimo esponente del cialtronismo politico italiota e arrivista, ha ordinato ai suoi di dissociarsi dall'accordo di governo sulla riforma della prescrizione. Mica perché gli freghi qualcosa della faccenda e dei suoi dettagli: era solo un'occasione come un'altra, questa più appetibile delle altre, per dare la tanto agognata spallata a Conte e riprendere il posto che l'ordine cosmico gli ha assegnato fin dall'inizio dei tempi: presidente del Consiglio. Per ora gli è andata male ma avrà altre occasioni; mica è uno che demorde, lui. 

In questo triste panorama da repubblica delle banane di quart'ordine c'è ancora chi, ingenuamente e romanticamente, immagina la politica come qualcosa di alto a cui affidare istanze elevate e universali. Buonanotte ai sognatori.

Salute ed economia

Dice Robetto Speranza, Ministro della salute, che sul blocco dei voli dalla Cina non demorde perché "la salute vale più dell'economia". Naturalmente, che la salute valga più dell'economia e del mercato non è assolutamente vero e Speranza lo sa benissimo, dal momento che ogni aspetto della vita, nel sistema capitalista ormai globalizzato in cui viviamo, è regolato dal denaro, e lo provano quei venti milioni di italiani che hanno smesso di curarsi perché non possono permetterselo. Ma è sempre bello pensare che noi siamo diversi, più etici, e che abbiamo ancora dei valori.

sabato 8 febbraio 2020

Fine settimana a Graz


Sono a Graz. Mia figlia maggiore ha terminato i suoi sei mesi di Erasmus e invece di farle fare nove ore di pullman abbiamo fatto un salto qua in macchina per evitarle il ritorno da sola. 

È la seconda volta che vengo a Graz e ogni volta ne ricavo delle ottime impressioni. È casinara, quello sì, ed è una città fortemente cosmopolita, una specie di Londra in miniatura, ma è una città a misura d'uomo, soprattutto perché i mezzi pubblici sono efficientissimi e coprono capillarmente ogni metro quadrato di città. È possibile passare agevolmente da autobus a tram e viceversa senza soluzione di continuità in ogni minuto del giorno e la frequenza delle corse è altissima. 

Sono molto diffuse anche le biciclette, pure nel periodo invernale. Il traffico veicolare privato è consistente, certo, come del resto in ogni metropoli, ma è rispettosissimo dell'umanità che si muove a piedi. A Santarcangelo le strisce pedonali delimitano il punto in cui i pedoni devono arrestarsi per non essere investiti dalle auto, qua delimitano ciò che per natura devono delimitare: la zona in cui le auto devono inchinarsi ai pedoni. 

Ma una grossa pecca la devo necessariamente segnalare: non esiste la Rai, quindi non posso vedere la finale del festival di Sanremo. Spero di sopravvivere.

venerdì 7 febbraio 2020

Il Cantico dei cantici by Benigni

Uno dei vantaggi dell'utilizzo di internet si palesa durante il festival di Sanremo, perché permette ai tanti, me compreso, che non sfangano la fastidiosa noiosità di tutto il carrozzone di andare a rivedere o riascoltare piccole e specifiche cose che possono interessare. È il caso del monologo con cui Roberto Benigni, il grande Roberto Benigni, ha ieri sera descritto e declamato il celeberrimo Cantico dei cantici. L'ho ascoltato per intero poco fa (chi, come me, l'ha perso lo può ascoltare qui) e mi è piaciuto moltissimo. D'altra parte stiamo parlando di Benigni, il cui carisma e vis recitativa riuscirebbero a rendere interessante ed emozionante anche una canzone di Biagio Antonacci. Quindi, onore al sempre grande Benigni: ce ne fossero.

Elogiato doverosamente il grande attore toscano, segnalo a chi sia interessato un breve intervento dell'attore teatrale e scrittore Roberto Mercadini, che conosce bene l'ebraico e ha trovato nel monologo di Benigni alcune cose che lo hanno lasciato perplesso. Roberto Mercadini è romagnolo di Cesena e si sa, noi romagnoli siamo un po' puntigliosi. Ah, le sue osservazioni sono qui.

giovedì 6 febbraio 2020

La rabbia e l'orgoglio


La prima cosa che si può dire dopo aver letto La rabbia e l'orgoglio è che Oriana Fallaci come profetessa non è granché. A dire il vero quella contenuta nel libro non è neppure una vera e propria profezia ma più un avvertimento, un tentativo di indurre a prendere coscienza di una situazione pericolosa che si sarebbe potuta verificare, e cioè che il nostro paese, e in generale l'Europa, diventasse una sorta di teocrazia islamica con minareti e moschee al posto delle chiese, con tanto di muezzin impegnati a strillare per ricordare le ore in cui ci si sarebbe dovuti rivolgere verso La Mecca e pregare. Non è andata così, come si può facilmente verificare. Perché la signora Fallaci nutriva questa paura? Di preciso non lo so, tendo a pensare a una specie di fisima, un convincimento personale senza solide basi che lo corroborassero. D'altra parte che la profezia non si sia realizzata è sotto gli occhi di tutti.

Questo libro, uscito ormai vent'anni fa, è la versione estesa di un lungo articolo che l'autrice vergò, a distanza di pochi giorni dalla tragedia dell'11 settembre, dal suo esilio newyorkese. Lei, trovandosi proprio a New York mentre accadeva la tragedia, la visse praticamente sulla sua pelle e nelle pagine questo trauma si ritrova ampiamente descritto. Ma che cos'è, in pratica, questo libro? Niente di più di una feroce, appassionata, veemente, a tratti faziosa e insensata critica all'islam. Nient'altro. Qual è, ovviamente a mio giudizio, l'errore maggiore in cui cade l'autrice? Quello di fare di ogni erba un fascio, mettendo sullo stesso piano l'islam radicale, fondamentalista, battagliero e intollerante con quello moderato, pacifico, diciamo più ecumenico, via.

In sostanza, sempre a mio giudizio, l'autrice assecondava già vent'anni fa la prassi tanto in voga oggi circa le speculazioni sul pensiero politico, religioso e sociale: rifuggire la complessità e abbracciare il qualunquismo. Oltretutto, questo atteggiamento non è in realtà neppure un errore, come ho scritto sopra, è una semplificazione voluta e anzi rivendicata dall'autrice in più di un passo del libro, laddove addita come stolto chiunque pensi che occorre fare delle distinzioni, che c'è differenza tra il terrorista che milita nell'Isis e il mio collega di lavoro musulmano con i figli che vanno a scuola qui a cui fa fare tranquillamente la recita natalizia e magari a casa pure l'albero. No, per la Fallaci questa distinzione non va fatta perché sono tutti uguali, tutti fondamentalisti, e tutti spinti dal medesimo scopo: instaurare qua una teocrazia islamica. Amen.

Sparare a zero sull'islam, mettendone in luce gli attributi più turpi e inaccettabili è facile, ovvio, e oltretutto a costo zero. Anche la persona più tollerante e aperta del mondo, ad esempio, non potrà mai accettare come viene considerata la donna in Arabia Saudita, in Iran, in Pakistan o in Afghanistan. C'è però da chiedersi, guardandoci, se un paese come il nostro in cui i femminicidi raggiungono vette da brividi e dove sono ancora palesi i retaggi di una cultura di stampo patriarcale che ha imperato fino alla metà del secolo scorso possa considerarsi molto più progredito, e ognuno può elaborare in merito una sua riflessione.

Con una affermazione mi sento di concordare con l'autrice: l'Occidente sta declinando. Questo mi pare sia ormai fuori discussione, basta guardare, tra i tanti possibili, anche solo l'andamento demografico per rendersene conto, e a tal proposito proprio la demografia ci dice che, di questo passo, fra tre o quattro generazioni gli europei non ci saranno più.

Un'ultima annotazione riguarda la prosa. Trattandosi dell'assemblaggio di appunti sparsi, ne risulta uno stile discorsivo, colloquiale, ma a tratti anche duro, rabbioso, rancoroso, con non poche cadute nel turpiloquio; più che la lettura di un testo scritto si ha quasi l'impressione di stare all'ascolto di un interlocutore, e questo aspetto non si può non apprezzare. Il libro ha venduto milioni di copie in tutto il mondo ed è stato continuamente ristampato, raggiungendo ventotto edizioni. È stato un libro, prevedibile visto il tema trattato, che come pochi altri ha generato dibattiti, discussioni, diatribe, prese di posizione manichee pro o contro l'autrice e le idee che ha espresso. Io credo, molto più semplicemente, che si tratti di un libro molto sopravvalutato.

martedì 4 febbraio 2020

Tra i libri

Ieri pomeriggio ho terminato La Bibbia non è un libro sacro, del saggista Mauro Biglino, la cui tesi è che il libro sacro per ebrei e cristiani non ha in realtà alcunché di sacro. Se infatti si prendono le originali matrici dell'ebraico masoretico, cioè i testi da cui viene tradotta la Bibbia nelle varie lingue, e si traducono letteralmente senza interpretarli (le Bibbie che abbiamo in casa sono interpretazioni, non traduzioni letterali), viene fuori una storia che è totalmente diversa da quella che viene predicata, una storia molto terrena e circoscritta e poco spirituale ed escatologica.

Terminato quello, ho letto La ragazza che guardava l'acqua, un racconto lungo (romanzo breve?) di Giorgio Faletti. L'ho letto in un fiato perché è un racconto che avvinghia il lettore fin dalle prime pagine. Un po' thriller, qualche sfumatura horror, rimandi al fantastico, sono gli ingredienti che condiscono una storia di amore e di riscatto dalle grinfie di un aguzzino di una misteriosa ragazza, una ragazza che ogni tanto compare sulla riva del lago e guarda nell'acqua. (Vi ho incuriosito? Leggetelo, poi magari mi dite le vostre impressioni.)

Ieri sera, poi, terminato anche il libro di Faletti, ho quindi cominciato La rabbia e l'orgoglio, di Oriana Fallaci. Quando prendo in mano un libro della Fallaci sto sempre un po' sul chivalà, memore del fatto che si tratta della scrittrice preferita di Salvini, almeno a quanto dice lui - in realtà Salvini manco sa cosa sia un libro ed è altamente probabile che non ne abbia mai aperto uno in vita sua, cita la Fallaci solamente perché in passato ha goduto di un certo credito in ambienti di destra, ma sono convinto che se si andasse a fargli domande un po' approfondite sui suoi scritti risponderebbe col classico "bacioni!" e se ne andrebbe, come del resto fa ogni volta che gli si chiede di uscire un po' dai suoi quattro slogan fissi e di argomentare.

La rabbia e l'orgoglio, di cui per ora ho letto solo l'introduzione, è la trasposizione in libro di un lunghissimo articolo che la scrittrice vergò pochi giorni dopo l'11 settembre e che il Corriere della Sera pubblicò emendato di molte parti per motivi editoriali. Più o meno mi sono già fatto un'idea del contenuto e del tenore con cui questo contenuto viene reso nelle pagine, ma sarò più preciso una volta che l'avrò terminato.

A proposito di terminare, ma che emozione e che trepidazione si provano quando, terminato un libro, si ripone nella libreria e ci si appresta a scegliere il successivo?

lunedì 3 febbraio 2020

Nebbia

C'è nebbia, stamattina. Una nebbia fitta che è scesa su Santarcangelo ieri sera e non si è più alzata. Ogni volta che esco di casa con la nebbia mi viene sempre in mente una vecchia canzone dei Nomadi che si chiama Voglia d'inverno. L'incipit è questo: "Uscire nella nebbia la mattina, la prima sigaretta dopo il caffè, e il confine tra le cose e la luce quasi non c'è..." 

In realtà, alle sei scarse è ancora buio pesto; poi c'è da dire che io non fumo (non ho mai fumato in vita mia) e da un paio d'anni ho smesso coi caffè per problemi di ipertensione che adesso ho più o meno risolto. Ma quella canzone mi piace e la ricordo volentieri perché mi riporta alla mente un bel periodo della mia giovinezza.

Che poi la nebbia qua in Romagna è nebbia per modo di dire. La nebbia più nebbia che abbia mai visto l'ho incontrata in quei cinque mesi in cui, a diciott'anni, feci il militare a Vigevano. La nebbia della zona della Lomellina non la scorderò più: salivo sulla mia 127 a metano e non riuscivo neppure a vedere i bordi del cofano. La nebbia di Santarcangelo rispetto a quella è un bijoux.

Fuori dal bar, sul marciapiede, passano figure indistinte che si muovono come fantasmi in quel nulla opalescente. La radio del bar passa Brown Sugar dei Rolling Stones. Mi alzo e mi tuffo di nuovo in quel nulla. I miei dieci minuti di ricordi legati alla nebbia sono finiti.

domenica 2 febbraio 2020

Ancora su questa benedetta anima

Quando vado a camminare mi armo di auricolari e ascolto su Youtube qualche conferenza di vari personaggi: Odifreddi, Barbujani, Eco, Severino, Dionigi, Galimberti ecc. Le persone che mi incrociano presumibilmente immaginano che io stia ascoltando musica, e ogni volta penso che faccia farebbero se sapessero che invece ascolto conferenze di filosofia, genetica, storia. Vabbe', ognuno ha le sue perversioni. Stamattina, ad esempio, ho ascoltato la conferenza di Galimberti che posto qua sotto: un'ora e quaranta di filosofia e storia greca (Socrate, Platone, Aristotele, e poi Nietsche, Heidegger e altri). Bene, più o meno a partire dal minuto 1:10 del video il professor Galimberti fa un bellissimo excursus storico in cui spiega come il cristianesimo si è impossessato del concetto di anima.

Questo concetto, su cui poi la teologia ha costruito parte della "fortuna" della chiesa, fino a quasi tutto il V secolo dopo Cristo il cristianesimo non l'ha mai conosciuto, è un'acquisizione posticcia introdotta da sant'Agostino dopo che quest'ultimo l'ha prelevata dalla cultura greca. Certo, qui ho riassunto brutalmente, ma in quei dieci minuti cui ho accennato, Galimberti spiega in maniera chiara come ciò sia storicamente successo. La cosa per certi versi paradossale della faccenda è che nel cristianesimo il culto dell'anima è oggi radicato e fortissimo; basta pensare ad esempio a tutta la storia del purgatorio. E nella stessa funzione eucaristica a cui oggi assiste chi va a messa, si trova sia il culto dell'anima che il Credo, nel quale chi lo professa non dice di credere nell'immortalità dell'anima ma, testualmente (e paradossalmente), nella risurrezione dei corpi.

Niente di male, intendiamoci. D'altra parte non esiste alcuna religione che non abbia le proprie contraddizioni. Ma chi guarda tutto questo da fuori, almeno a me capita così, ne rimane ogni volta sorpreso.


Perché siamo qui?


Stamattina, mentre passeggiavo in collina, mi sono imbattuto nel germoglio di canna che vedete qui sopra. Non mi intendo assolutamente di vegetali e non so quindi quale sia il nome scientifico di questa pianta, che generalmente cresce ai margini di fossi, pozzanghere, specchi d'acqua ecc., ovunque ci sia acqua o umidità, insomma. Qua da noi queste piante vengono denomitate generalmente canne o cannezze e ci si intende. Ricordo che, quand'ero bambino, crescevano in un angolo del campo della casa vecchia di mia nonna Tina e tra noi ragazzetti si usava sbucciarle e utilizzarle a mo' di spade.

Ma non è importante sapere il nome della pianta in questione (se tra i miei trentadue lettori c'è un botanico lo dirà lui). Ciò che mi sono chiesto quando l'ho vista è stato: perché quel germoglio è nato lì, sbucando dal catrame gettato di recente e vicino al coperchio di un tombino fognario? Qual è il senso? In fondo, pochi centimetri più un là ci sono chilometri quadrati di campi ricoperti di vegetazione dove avrebbe avuto più senso che nascesse e vivesse. E invece no, lui è nato in mezzo al catrame. Perché? Ho provato a elaborare alcune risposte che potessero spiegare la cosa e poi le ho scartate tutte, tranne una: non c'è alcun senso che spieghi perché quel germoglio è nato lì, ci sono solo delle condizioni ambientali che lo hanno permesso. Evidentemente, sotto quello strato di catrame c'era della terra umida, la stesura del catrame non è stata uniforme ed è rimasto un piccolo pertugio da cui filtrava aria e sole e il gernoglio è nato. Punto.

A differenza di piante e animali, noi abbiamo bisogno di dare un senso alla vita e ci interroghiamo continuamente su quale sia, ci facciamo delle domande e se non troviamo risposte cadiamo nell'inquietudine e nell'angoscia. Siccome però le risposte sul senso della vita non le troviamo, allora le elaboriamo tramite le filosofie, le religioni, i miti e tutto quell'oceano di elaborazioni (l'uomo pensa di trovare risposte ma in realtà le elabora: c'è differenza tra le due cose) che l'umanità si è costruita da quando ha messo piede sulla terra per tentare di spiegare perché ha messo piede sulla suddetta terra, da dove viene, dove va ecc. Il problema è che alle piante e agli animali non frega nulla di tutto ciò, ma siccome a noi sì, ogni volta che vediamo un'immagine come quella in alto ci chiediamo perché, quando invece non ha alcun senso farlo. E non ha alcun senso perché, io penso, la vita in generale di per sé è afinalizzata, esattamente come è afinalizzato il fatto che tra il cordolo di un marciapiede e la strada, dove c'è una piccola striscia di terra, nasca l'erba.

Naturalmente non voglio dire che non si deve cercare un senso a questa vita: tutt'altro. Va benissimo ed è pure utile farlo. D'altra parte gli uomini si dividono tra inquieti e inquietanti ed è noto che sono stati principalmente i primi che hanno fatto progredire la storia. E se, pensavo, il senso della vita fosse quello di cercare un senso alla vita?

sabato 1 febbraio 2020

Come ad Auschwitz

Ogni tanto esce qualche veloce reportage, qualche notizia su testate minori, poi tutto sparisce per non disturbare e perché è sempre bello pensare che il mondo funzioni bene per non impressionarci troppo.

Abbiamo in questi giorni celebrato la Giornata della memoria per ricordare cosa succedeva settant'anni fa nei campi di concentramento nazisti in Polonia, ricordo che è cosa buona e giusta mantenere perché tenere viva la memoria su quei drammi è il miglior modo per impedire che si ripetano. Eppure a nessuno sembra fregare niente dei campi di concentramento di oggi, che si trovano a pochi chilometri dalle nostre coste e dove quotidianamente avvengono massacri.

Certo, c'è differenza tra le due situazioni: Hitler uccideva in nome di una ideologia, i criminali libici uccidono per denaro. Ma le due situazioni presentano anche diverse analogie distribuite su più piani. Nei campi di concentrento nazisti c'erano ad esempio le camere a gas, in quelli libici c'è la "black room", dove gruppi di persone vengono appese per i piedi e uccise a bastonate. A meno che, naturalmente, i familiari, a cui vengono mandati i video delle torture, non siano in grado di pagare quanto richiesto per riscattare la vittima.

Esistono veri e propri tariffari, in questi immensi bazar della carne umana, tariffari che variano in base alla nazionalità della vittima, perché i carnefici hanno imparato che la profondità dei rapporti umani tra familiari è più o meno marcata a seconda dell'etnia a cui appartengono le vittime; così, secondo loro, i familiari di una certa etnia sono disposti a pagare più di altri, o magari hanno più possibilità economiche per farlo. Comunque, in linea di massima, il prezzo di una vita al valore attuale è da quelle parti stimato mediamente attorno a 12.500 dollari americani.

Altra analogia con quanto succedeva settant'anni fa nell'Europa dell'est è che oggi come allora tutti sanno. Di ciò che combinava Hitler erano a conoscenza gli americani, i sovietici, i francesi, gli inglesi, gli italiani, il Vaticano; nella stessa società tedesca si sapeva cosa stava succedendo, nonostante gran parte dei lager fossero costruiti all'est, fuori dalla Germania, per tentare di nascondere gli orrori. Allo stesso modo, anzi in misura ancora maggiore di allora dato che oggi viviamo nell'era della comunicazione globale, tutti sanno cosa succede in Libia. Eppure, al di là di qualche proclama o di isolate quanto encomiabili campagne di sensibilizzazione, a nessuno della faccenda importa granché. 

Probabilmente in virtù del fatto che, tanto per cambiare, ci sono grossi interessi economici e politici in gioco. Ci si indignava con Salvini (giustamente, intendiamoci) perché teneva per settimane al largo navi cariche di disperati che scappavano da quei lager, ma non mi pare ci sia stata uguale indignazione quando nel 2017 Minniti andava a stringere accordi economici coi libici per bloccare le partenze, cioè per tenere prigioniere quelle persone in quei campi di concentramento e "risolvere" così il problema delle partenze. Il motivo principale per cui si tende a evitare di parlare di quanto avviene là è che il nostro paese è sostanzialmente complice di quegli orrori ed esiste un limite all'ipocrisia pure in una società come la nostra, dove viene ormai elevata al rango di virtù.

Chissà, magari fra settant'anni verrà istituita una giornata della memoria per ricordare ciò che succede oggi in Libia, esattamente come oggi ricordiamo ciò che succedeva nei lager nazisti. E qualcuno farà notare che anche allora (oggi) tutti sapevano.