La popolazione umana mondiale contava circa 200 milioni di individui alla nascita di Cristo, 2 miliardi e mezzo di individui nel 1950 e 7 miliardi oggi, con stime che parlano di 8/9 miliardi entro questo secolo, numeri che non faranno altro che aumentare i già gravi problemi di sovrappopolamento di cui il nostro sgraziato pianeta soffre già da tempo. Alla luce di tutto questo, fatico a comprendere se questo Langone faccia sul serio o sia solo un provocatore.
Nell'uno o nell'altro caso, nelle mie vesti di padre di due figlie in età universitaria (una ci va e una ci andrà il prossimo anno) non posso fare altro che mandarlo con tutto il cuore a cagare.
Pagine
▼
sabato 30 gennaio 2016
venerdì 29 gennaio 2016
Mutazioni culturali (e relative preoccupazioni)
I vescovi, sulla questione delle unioni civili, esprimono "preoccupazione per la mutazione culturale che attraversa l'Occidente". Eh, signori cari, dovete farvene una ragione. La storia insegna che da quando l'uomo ha messo piede sulla terra le mutazioni sono state una costante del suo percorso nel tempo. Mutamenti di valori, mutamenti sociali, demografici, familiari, economici, politici, culturali ecc. E questo è successo, e continua a succedere, che vi piaccia o no, proprio perché l'umanità non è un qualcosa di statico, ma di dinamico, che si muove a tutti i livelli. Non è come il vostro bel libro di favolette, sempre uguale da 2000 anni (anche se le sue interpretazioni sono cambiate, nel corso dei secoli, per adeguarle agli inevitabili cambiamenti storici, pena la perdita di credito e seguito). L'umanità si muove e tutto si relativizza. Sì, lo so che il termine relativismo vi ha sempre fatto venire l'orticaria, ma così è, e i diritti che oggi vi affannate a negare con tanta protervia, saranno comunque dati, nonostante i vostri patetici strepiti.
Ancora pochi decenni fa pochissimi immaginavano che neri e bianchi avrebbero potuto un giorno godere (almeno formalmente) degli stessi diritti, oggi la nazione più potente del mondo ha un presidente di colore. È finita la discriminazione razziale, finirà anche quella sessuale, nonostante il vostro remare contro.
E poi gettate la maschera, una volta per tutte, su, che qua non siamo nati ieri: non è la mutazione culturale che vi preoccupa, ma le conseguenze in termini di perdita di potere e influenza che esercitate che tale mutamento culturale potrebbe provocare. Buttate le carte in tavola, su, signori vescovi, che non ingannate più nessuno. Sapete benissimo che pure la cosiddetta "famiglia naturale" (qualunque cosa voglia dire) è il prodotto di una evoluzione culturale, non un reperto fossile cristallizzato nel tempo, come invece siete voi; oggi è diversa da com'era cent'anni fa e fra cent'anni sarà diversa da oggi, e voi non potrete farci niente. Al massimo potrete preoccuparvi
giovedì 28 gennaio 2016
Antonio Azzini e la credibilità
Il capostruttura di Raiuno Antonio Azzalini, responsabile del famoso countdown anticipato di Capodanno, è stato licenziato per aver minato "la credibilità del servizio pubblico", una credibilità faticosamente conquistata, nel corso degli anni, con Scodinzolini alla direzione del TG1, i baciamano di Bruno Vespa a Berlusconi, gli oroscopi di Paolo Fox su Raidue ecc.
Sì, non c'è dubbio, il licenziamento ci sta tutto.
Sì, non c'è dubbio, il licenziamento ci sta tutto.
E se non si consuma?
In Senato ha preso il via il dibattito sul ddl Cirinnà. In Senato c'è Giovanardi, che ovviamente non ha bisogno di presentazioni perché le cazzate che ha sparato nel corso degli anni sono ancora lì, indelebili, a imperitura memoria per i posteri - fra cento o duecento anni gli storici si chiederanno come sia stato possibile che elementi simili siano entrati in Senato, ma questo se lo chiedono già molti di noi.
Come tutti quelli che si oppongono alla trasformazione in legge del ddl Cirinnà, anche il celeberrimo senatore emiliano ha espresso le sue motivazioni. In sostanza la "motivazione" di Giovanardi è questa: siccome il matrimonio tradizionale viene considerato nullo se non consumato, come la mettiamo con le unioni civili? Insomma, chi certifica che il rapporto sessuale sia stato effettivamente consumato e che quindi l'unione sia valida?
Badate, non sto scherzando, Giovanardi ha veramente sollevato questa obiezione in Senato. E io che pensavo che in parlamento si fosse toccato il fondo con la mozione su Ruby nipote di Mubarak.
martedì 26 gennaio 2016
Alcuni diritti
Zucconi intervista telefonicamente Alfano a Radio Capital. Tra le domande, questa: "Ministro, perché l'Italia è così indietro, rispetto al resto d'Europa, sui diritti civili?" Alfano elude la domanda e parte col solito ritornello che conosciamo già tutti a memoria, quello che è giusto che a due persone legate da un rapporto affettivo siano riconosciuti alcuni (badate bene: alcuni) diritti, come quelli patrimoniali, assistenziali ecc. ma basta così: di matrimonio, adozione e altro non si parli neanche, guai! Insomma il solito disco rotto che unisce sotto la stessa musica gli Alfani, i Salvini, i Bagnaschi, i Giovanardi, gli Adinolfi, papa Ciccio e compagnia cantante. Zucconi replica postulando che una donna non è un po' incinta e un po' no, o lo è o non lo è, cercando così di far capire al suo interlocutore l'assurdità insita nel suddividere le unioni affettive tra serie A e serie B. O si danno gli stessi diritti a tutti oppure è una presa in giro. Alfano riparte col solito disco rotto di cui sopra perché, poveretto, più in là di lì non può andare.
E niente, la risposta alla domanda di Zucconi è tutta qui: perché più in là di lì non possiamo andare. Semplice, no?
E niente, la risposta alla domanda di Zucconi è tutta qui: perché più in là di lì non possiamo andare. Semplice, no?
lunedì 25 gennaio 2016
(...)
Probabilmente è un difetto mio, ma quando sento pontificare sui figli persone che non ne hanno e che deliberatamente scelgono di non averne come conseguenza di un giuramento, mi viene un giramento di scatole che non avete idea.
domenica 24 gennaio 2016
(...)
Reduci craxiani, tra cui la figlia Stefania, che ballano sulle note di Azzurro all'hotel Bel Azur, ad Hammamet. Sull'home page del Corriere, adesso.
(Il link al video non lo metto, per decenza.)
(Il link al video non lo metto, per decenza.)
sabato 23 gennaio 2016
Sul Pirellone
A questo punto tanto valeva che ci scrivessero "apartheid", perché tanto siamo a quei livelli lì. Si potrebbe perfino azzardare l'aggiunta del semplice ragionamento che il Pirellone è sede della Regione Lombardia e relativo consiglio regionale, che, come dovrebbe essere noto, racchiude ogni orientamento politico e di idee, non solo uno. Ma stiamo parlando di gente come Maroni e altri, per i quali i concetti di democrazia, uguaglianza e rispetto delle idee altrui sono poco meno che carta straccia. Quindi, perché stupirsi?
venerdì 22 gennaio 2016
Camminando nei posti più belli del mondo
Da qualche tempo, complici certi valori non proprio nella norma nelle mie analisi del sangue, e complici certi pantagruelici simposi, ho cominciato a fare lunghe passeggiate pomeridiane qua, nelle mie zone, principalmente fiume Marecchia e posti limitrofi. E niente, mi sono reso conto di abitare in uno dei posti più belli del mondo.
Non confondete i carciofi coi cavoli
Il monito di Bergoglio sulla famiglia, lanciato all'universo mondo proprio mentre, guarda a volte le coincidenze, in parlamento si è alla fase clou del processo che dovrebbe convertire, finalmente, il ddl sulle unioni civili in legge dello stato, dà il colpo di grazia definitivo alla patente di rivoluzionario che schiere di creduloni gli avevano affibbiato fin dal suo arrivo al soglio pontificio. Come qui si scrive da sempre, Bergoglio di rivoluzionario non ha assolutamente niente nella sostanza, è rivoluzionario solo nel modo di comunicare. D'altra parte la chiesa di questo aveva bisogno, di uno bravo nelle pubbliche relazioni che la risollevasse un po' dal mare di guano in cui stava affondando dopo il disatroso pontificato di Ratzinger. E Bergoglio si è dimostrato bravissimo: qualche finta apertura ai gay, una bonaria pacca sulle spalle ai divorziati risposati, un po' di telefonate qua e là ai personaggi più improbabili, un po' di strali contro i cardinali che si arricchiscono et voilà, la pièce teatrale è servita.
Il successo mediatico era scontato: d'altra parte la platea a cui si rivolgeva era (ed è) formata per gran parte da un popolo ossequiante col cervello mandato all'ammasso dalla televisione e con la capacità di discernere di un'ameba, allevato da una nazione dove sei persone su dieci non aprono neppure un libro all'anno. L'opera teatrale di Bergoglio non avrebbe potuto trovare ecosistema migliore per realizzare i suoi scopi.
Tornando al monito di oggi del finto rivoluzionario, ci sono da segnalare un paio di passaggi più divertenti di altri. Uno è "non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione". Bellissimo questo conetto, ma... qual è di preciso la famiglia voluta da Dio? No, perché se si va un po' a guardare l'evoluzione di ciò che si intende con famiglia nella storia dell'uomo, si scopre che probabilmente non esiste niente di più relativo e più dinamico al mondo, niente come la famiglia è un prodotto culturale anziché naturale, e questo proprio perché frutto di elaborazione dei comportamenti sociali umani. Un relativismo e una dinamicità che sono in movimento ancora oggi, e che probabilmente lo saranno finché esiste l'umanità. Ci sono alcune parti del globo, ad esempio, dove i bambini che nascono non appartengono alla madre che li ha messi al mondo ma a tutta la comunità del villaggio di cui fanno parte; ci sono altre parti del globo in cui per famiglia si intende due donne o due uomini che si sposano e adottano figli, e si potrebbe continuare ad libitum.
Però Bergoglio dice che l'unica famiglia è quella voluta da Dio. E grazie al cazzo: si tratta di una di quelle locuzioni che vogliono dire tutto e niente. Non so, visto che è voluta da Dio vogliamo allora andare a vedere le sacre scritture? Benissimo. Nella Bibbia non c'è alcuna condanna né della poligamia (nel Genesi si racconta che Lamec prese due mogli e Dio non ebbe niente da ridire) né del concubinato: come la mettiamo adesso? Sempre nella Bibbia abbiamo il resoconto del primo utero in affitto della storia (anche qui nel Genesi, dove Abramo si fa prestare l'utero della schiava di Sara perché quest'ultima non poteva generare figli). Non hanno niente da dire, qui, quelli che vogliono 12 anni di galera per chi vuole ricorrere oggi a tale pratica? Vogliamo prendere come modello della famiglia di Dio quella narrata nei Vangeli? Bene, abbiamo un falegname in età da reparto geriatrico a cui viene data in sposa una dodicenne senza che questa possa proferire parola (la dodicenne rimarrà poi incinta, tra l'altro restando vergine, all'insaputa del falegname, ad opera di un fantomatico essere abitante in cielo). Bene, vogliamo provare a proporlo oggi questo tipo di famiglia, facendo finta che non si commettano almeno una dozzina di reati? È per caso questa la famiglia voluta da Dio? Solo per chiedere, eh.
Bergoglio ovviamente queste cose le sa, ma d'altra parte deve tirare acqua al suo mulino, la chiesa, dove la famiglia cristiana non esiste, come abbiamo visto, neppure nel Vangelo.
Però - e qui arriviamo al secondo passaggio divertente - la chiesa "tiene sempre presente che quanti, per libera scelta o per infelici circostanze della vita, vivono in uno stato oggettivo di errore". A parte la questione delle "infelici circostanze della vita", che non voglio indagare, nello stato di oggettivo errore, naturalmente, si trovano tutti quelli che non compongono una famiglia come Dio comanda. Ecco, per questi qui, poveracci, che per la chiesa godono della stessa considerazione che io ho per il mago Otelma, c'è la misericordia. Cioè, siete il nulla ma la chiesa vi dà la sua misericordia. Al che uno potrebbe dire: grazie al cazzo, e che ci faccio con la misericordia? Il rivoluzionario Bergoglio è tutto qui. Si tratta appunto, come già detto, di una sorta di mago Otelma coi paramenti sacri che di rivoluzionario ha solo la capacità di cavalcare l'ignoranza e la sudditanza religiosa dei poveri di intelletto. E se la cosa fosse tutta qui, fosse cioè rivolta ai suddetti poveretti, poco male. Il dramma è quando uno stato legifera sotto dettatura sua. E qui, ancora, non si vede la luce in fondo al tunnel.
Il successo mediatico era scontato: d'altra parte la platea a cui si rivolgeva era (ed è) formata per gran parte da un popolo ossequiante col cervello mandato all'ammasso dalla televisione e con la capacità di discernere di un'ameba, allevato da una nazione dove sei persone su dieci non aprono neppure un libro all'anno. L'opera teatrale di Bergoglio non avrebbe potuto trovare ecosistema migliore per realizzare i suoi scopi.
Tornando al monito di oggi del finto rivoluzionario, ci sono da segnalare un paio di passaggi più divertenti di altri. Uno è "non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione". Bellissimo questo conetto, ma... qual è di preciso la famiglia voluta da Dio? No, perché se si va un po' a guardare l'evoluzione di ciò che si intende con famiglia nella storia dell'uomo, si scopre che probabilmente non esiste niente di più relativo e più dinamico al mondo, niente come la famiglia è un prodotto culturale anziché naturale, e questo proprio perché frutto di elaborazione dei comportamenti sociali umani. Un relativismo e una dinamicità che sono in movimento ancora oggi, e che probabilmente lo saranno finché esiste l'umanità. Ci sono alcune parti del globo, ad esempio, dove i bambini che nascono non appartengono alla madre che li ha messi al mondo ma a tutta la comunità del villaggio di cui fanno parte; ci sono altre parti del globo in cui per famiglia si intende due donne o due uomini che si sposano e adottano figli, e si potrebbe continuare ad libitum.
Però Bergoglio dice che l'unica famiglia è quella voluta da Dio. E grazie al cazzo: si tratta di una di quelle locuzioni che vogliono dire tutto e niente. Non so, visto che è voluta da Dio vogliamo allora andare a vedere le sacre scritture? Benissimo. Nella Bibbia non c'è alcuna condanna né della poligamia (nel Genesi si racconta che Lamec prese due mogli e Dio non ebbe niente da ridire) né del concubinato: come la mettiamo adesso? Sempre nella Bibbia abbiamo il resoconto del primo utero in affitto della storia (anche qui nel Genesi, dove Abramo si fa prestare l'utero della schiava di Sara perché quest'ultima non poteva generare figli). Non hanno niente da dire, qui, quelli che vogliono 12 anni di galera per chi vuole ricorrere oggi a tale pratica? Vogliamo prendere come modello della famiglia di Dio quella narrata nei Vangeli? Bene, abbiamo un falegname in età da reparto geriatrico a cui viene data in sposa una dodicenne senza che questa possa proferire parola (la dodicenne rimarrà poi incinta, tra l'altro restando vergine, all'insaputa del falegname, ad opera di un fantomatico essere abitante in cielo). Bene, vogliamo provare a proporlo oggi questo tipo di famiglia, facendo finta che non si commettano almeno una dozzina di reati? È per caso questa la famiglia voluta da Dio? Solo per chiedere, eh.
Bergoglio ovviamente queste cose le sa, ma d'altra parte deve tirare acqua al suo mulino, la chiesa, dove la famiglia cristiana non esiste, come abbiamo visto, neppure nel Vangelo.
Però - e qui arriviamo al secondo passaggio divertente - la chiesa "tiene sempre presente che quanti, per libera scelta o per infelici circostanze della vita, vivono in uno stato oggettivo di errore". A parte la questione delle "infelici circostanze della vita", che non voglio indagare, nello stato di oggettivo errore, naturalmente, si trovano tutti quelli che non compongono una famiglia come Dio comanda. Ecco, per questi qui, poveracci, che per la chiesa godono della stessa considerazione che io ho per il mago Otelma, c'è la misericordia. Cioè, siete il nulla ma la chiesa vi dà la sua misericordia. Al che uno potrebbe dire: grazie al cazzo, e che ci faccio con la misericordia? Il rivoluzionario Bergoglio è tutto qui. Si tratta appunto, come già detto, di una sorta di mago Otelma coi paramenti sacri che di rivoluzionario ha solo la capacità di cavalcare l'ignoranza e la sudditanza religiosa dei poveri di intelletto. E se la cosa fosse tutta qui, fosse cioè rivolta ai suddetti poveretti, poco male. Il dramma è quando uno stato legifera sotto dettatura sua. E qui, ancora, non si vede la luce in fondo al tunnel.
La famiglia cristiana non esiste, neanche nel Vangelo (*)
[...]
Non esiste la "famiglia cristiana", essa è appunto un falso valore. Io vorrei mostrarvi come liberandoci da questa falsificazione, ricercando anche le ragioni per cui essa è nata e si è fatta valere e riferendoci con coscienza liberata alle esigenze evangeliche, noi ci mettiamo in movimento tra le forze che mirano a far crescere la nostra società e liberarla anche da altre schiavitù. Che cosa intendiamo quando si parla di modello cristiano della famiglia? Noi possiamo riferirci o al particolare ordinamento giuridico della famiglia, quello che è stato elaborato lungo i secoli dalla Chiesa cattolica, oppure ad un particolare concetto etico, morale della famiglia, che, anche indipendentemente dall'ordinamento giuridico-canonico, si è fatto valere da parte della società italiana. Per cui si dice che la famiglia tipica italiana è una famiglia di formazione cristiana.
Ora, spieghiamoci su questo punto. Intanto sta di fatto che quando noi parliamo della famiglia secondo l'ordinamento canonico, quello che per adesso rimane in prima gestione della Sacra Rota e dei Tribunali diocesani, noi non dobbiamo affatto ritenere che si tratti della traduzione giuridica di un ideale evangelico. Si tratta invece di una creazione storica, precisamente databile, di cui è responsabile la Chiesa cattolica.
I primi cattolici non avevano un ordinamento giuridico proprio della famiglia. Essi vivevano la vita di famiglia, ed anche diremmo istitutivi, secondo il costume del tempo. Non c'era, per dir così, il matrimonio in chiesa; non c'era una anagrafe o un tribunale ecclesiastico per i matrimoni, non c'era il prete, al matrimonio. I cattolici si sposavano come tutti gli altri. Non sentivano alcun bisogno di dare al loro matrimonio un ordinamento giuridico particolare all'interno del generale ordinamento giuridico della società in cui vivevano, specialmente in quella romana.
Ad esempio, là dove erano le famiglie a stabilire il matrimonio dei figli, i primi cristiani facevano come gli altri: il padre di famiglia destinava alla figlia un dato marito, d'accordo con la famiglia del promesso sposo, senza che i due interessati potessero aggiungere nulla, perché questo era il costume. Inutile quindi andare a cercare nei primi cristiani un modello di "famiglia cristiana". Così, per quanto riguarda il modello etico della famiglia, non esiste un concetto etico specificamente cristiano, nei primi secoli. C'è una visione, se vogliamo, di fede, teologale, cioè legata al riferimento a Cristo. Non esiste però un ideale di famiglia con particolari contenuti morali. La prassi familiare si modellava sul costume morale del tempo. Anche se è chiaro che il cristianesimo impose un rigore morale, un rifiuto di certe forme di depravazione, una condanna di certe degenerazioni; però non disse cose diverse da quelle che poteva dire l'etica degli stoici o dei pitagorici. Quindi il cristianesimo non si presenta con una sua etica familiare formulata nei primi tempi.
[...]
Tuttavia ci domandiamo se il matrimonio cosiddetto cristiano ha veramente obbedito alle esigenze evangeliche o non piuttosto alle esigenze della società del tempo. La risposta è chiara: la cosiddetta famiglia cristiana, con tutti i connotati giuridici ritrovabili nel codice canonico, con tutti i connotati etici ritrovabili nel costume esemplare, è un prodotto storico e, come tale, relativo. Per cui io non riesco a capire, proprio dal punto di vista diremo dell'individuazione culturale, che significhi difendere in una società pluralistica un modello cristiano di famiglia, perché non so quale sia questo modello, perché non si dà un modello proprio del cristiano. La famiglia cristiana, se noi la conserviamo come prodotto storico ereditario, nasconde invece in sé particolari pregiudizi, particolari difformazioni, particolari rapporti sociali legati allo sfruttamento che sono tutti da rifiutare.
[...]
(*) Scritto di don Aldo Tonelli.
Non esiste la "famiglia cristiana", essa è appunto un falso valore. Io vorrei mostrarvi come liberandoci da questa falsificazione, ricercando anche le ragioni per cui essa è nata e si è fatta valere e riferendoci con coscienza liberata alle esigenze evangeliche, noi ci mettiamo in movimento tra le forze che mirano a far crescere la nostra società e liberarla anche da altre schiavitù. Che cosa intendiamo quando si parla di modello cristiano della famiglia? Noi possiamo riferirci o al particolare ordinamento giuridico della famiglia, quello che è stato elaborato lungo i secoli dalla Chiesa cattolica, oppure ad un particolare concetto etico, morale della famiglia, che, anche indipendentemente dall'ordinamento giuridico-canonico, si è fatto valere da parte della società italiana. Per cui si dice che la famiglia tipica italiana è una famiglia di formazione cristiana.
Ora, spieghiamoci su questo punto. Intanto sta di fatto che quando noi parliamo della famiglia secondo l'ordinamento canonico, quello che per adesso rimane in prima gestione della Sacra Rota e dei Tribunali diocesani, noi non dobbiamo affatto ritenere che si tratti della traduzione giuridica di un ideale evangelico. Si tratta invece di una creazione storica, precisamente databile, di cui è responsabile la Chiesa cattolica.
I primi cattolici non avevano un ordinamento giuridico proprio della famiglia. Essi vivevano la vita di famiglia, ed anche diremmo istitutivi, secondo il costume del tempo. Non c'era, per dir così, il matrimonio in chiesa; non c'era una anagrafe o un tribunale ecclesiastico per i matrimoni, non c'era il prete, al matrimonio. I cattolici si sposavano come tutti gli altri. Non sentivano alcun bisogno di dare al loro matrimonio un ordinamento giuridico particolare all'interno del generale ordinamento giuridico della società in cui vivevano, specialmente in quella romana.
Ad esempio, là dove erano le famiglie a stabilire il matrimonio dei figli, i primi cristiani facevano come gli altri: il padre di famiglia destinava alla figlia un dato marito, d'accordo con la famiglia del promesso sposo, senza che i due interessati potessero aggiungere nulla, perché questo era il costume. Inutile quindi andare a cercare nei primi cristiani un modello di "famiglia cristiana". Così, per quanto riguarda il modello etico della famiglia, non esiste un concetto etico specificamente cristiano, nei primi secoli. C'è una visione, se vogliamo, di fede, teologale, cioè legata al riferimento a Cristo. Non esiste però un ideale di famiglia con particolari contenuti morali. La prassi familiare si modellava sul costume morale del tempo. Anche se è chiaro che il cristianesimo impose un rigore morale, un rifiuto di certe forme di depravazione, una condanna di certe degenerazioni; però non disse cose diverse da quelle che poteva dire l'etica degli stoici o dei pitagorici. Quindi il cristianesimo non si presenta con una sua etica familiare formulata nei primi tempi.
[...]
Tuttavia ci domandiamo se il matrimonio cosiddetto cristiano ha veramente obbedito alle esigenze evangeliche o non piuttosto alle esigenze della società del tempo. La risposta è chiara: la cosiddetta famiglia cristiana, con tutti i connotati giuridici ritrovabili nel codice canonico, con tutti i connotati etici ritrovabili nel costume esemplare, è un prodotto storico e, come tale, relativo. Per cui io non riesco a capire, proprio dal punto di vista diremo dell'individuazione culturale, che significhi difendere in una società pluralistica un modello cristiano di famiglia, perché non so quale sia questo modello, perché non si dà un modello proprio del cristiano. La famiglia cristiana, se noi la conserviamo come prodotto storico ereditario, nasconde invece in sé particolari pregiudizi, particolari difformazioni, particolari rapporti sociali legati allo sfruttamento che sono tutti da rifiutare.
[...]
(*) Scritto di don Aldo Tonelli.
giovedì 21 gennaio 2016
12 anni
12 anni di galera per chi organizzi la donazione di utero. Che fosse proibito in Italia era tristemente noto - non siamo mai stati un paese di diritti per tutti - adesso propongono la galera anche per cittadini italiani che si rechino all'estero a metterla in atto. Lo propone naturalmente la componente cattolica del Pd (come se ci fosse nel Pd anche una componente non cattolica), i cosiddetti "cattodem" (un palese ossimoro, se notate). Non è che stiamo tornando verso l'Inquisizione e la caccia alle streghe, no, a quelli ci siamo già tornati da tempo: siamo già molto più in là.
Alla fine di tutto rimane sempre l'amarezza nel constatare come chi crede nelle favole di un libro abbia ancora un peso così rilevante nella società italiana.
Alla fine di tutto rimane sempre l'amarezza nel constatare come chi crede nelle favole di un libro abbia ancora un peso così rilevante nella società italiana.
mercoledì 20 gennaio 2016
Senza perdere tempo
Mi stavo giusto chiedendo quanto ci avrebbe messo Adinolfi a sciacallare anche questa triste vicenda.
martedì 19 gennaio 2016
Bergoglio e Maso
Non so se Bergoglio abbia telefonato davvero a Pietro Maso, ma, se anche fosse, faccio fatica a comprendere l'irritazione generale, specie di molti cattolici. Chi conosce un po' di vangelo, e i cattolici si presume che lo conoscano, sa benissimo che Cristo andava a trovare le prostitute e i peccatori, mica i giusti e i retti. Anzi, fu proprio lui che disse che sono i malati ad aver bisogno del dottore, non i sani. Ed era sempre Cristo che bollava come ipocriti coloro che si scandalizzavano per le sue visite ai peccatori.
Insomma, se si vuole attaccare papa Ciccio, e Dio solo sa se non ci siano motivi per farlo, lo si faccia almeno sulle incoerenze, non sulle coerenze, eh.
Insomma, se si vuole attaccare papa Ciccio, e Dio solo sa se non ci siano motivi per farlo, lo si faccia almeno sulle incoerenze, non sulle coerenze, eh.
lunedì 18 gennaio 2016
I problemi sono (sempre) altri
Le urgenze vere sono altre; c'è la disoccupazione, il sostegno alle famiglie (canoniche), le politiche sociali urgenti, la povertà dilagante, e il parlamento mica può distrarsi, perdere tempo e cazzeggiare col ddl Cirinnà. Lo dice quel bontempone di Bagnasco, fingendo di dimenticare che di unioni civili si discute in parlamento da un quarto di secolo. Ma per quei corvacci neri è sempre stato così, per loro i diritti uguali per tutti sono una "distrazione" del parlamento, una perdita di tempo. Del resto, come è noto, hanno sempre avuto come priorità le unioni immobiliari.
sabato 16 gennaio 2016
E con la reversibilità della pensione al gatto come la mettiamo?
Sallusti dice che la legge sulle unioni civili va bene, perché "libero amore in libero stato" è concetto sacrosanto, perché ognuno deve essere libero di amare chi crede e blablabla, e una forma di tutela che garantisca ogni tipo di unione affettiva è sacrosanta. Però bisogna fare attenzione a non esagerare con le equiparazioni, perché uno potrebbe anche innamorarsi del suo gatto e pretendere per lui la reversibilità della pensione. No, non sto scherzando, l'ha scritto per davvero. E io che pensavo che con Adinolfi si fosse già toccato il fondo del ridicolo.
giovedì 14 gennaio 2016
L'idolatria (degli altri)
Francesca mi dice che oggi, a scuola, l'insegnante di religione ha parlato dell'idolatria, spiegando - riassumo brutalmente - che tale bruttissima cosa si concretizza ad esempio con la dipendenza dagli smartphone, oppure con l'ossessione per la palestra ecc., tutte cose che allontanano da Dio. Tra me e me sorrido, pensando al fatto che un insegnante di religione cattolica eviti accuratamente di menzionare proprio quest'ultima come esempio per antonomasia di idolatria. Tipo pagliuzza e trave, per intenderci.
Un quarto di secolo di unioni (in)civili
La bagarre sulle unioni civili (il famoso/famigerato ddl Cirinnà) la dice lunga su parecchie cose. La prima che salta all'occhio, quella più evidente, è che il nostro paese non è ancora pronto a garantire a ogni suo cittadino eguali diritti. Non è solo colpa del Pd e delle sue ataviche divisioni, è proprio una questione culturale. Sarà che ancora subiamo il retaggio del periodo fascista, che rappresentava la negazione di ogni diritto, sarà che proprio non riusciamo a emanciparci da una certa cultura cattolica e integralista, negatrice anch'essa di diritti uguali per tutti in nome di un'ideologia e di una dottrina tra le più anacronistiche e arretrate del pianeta. Sarà tutto questo insieme, non lo so; fatto sta che di uno straccio di legge sulle unioni civili si parla ormai da 25 anni, che sono cinque lustri, che sono un quarto di secolo. Giusto per dare un'idea, in Danimarca i matrimoni tra persone dello stesso sono legali dai medesimi 25 anni. Là diventavano legge e qua si cominciava appena a parlarne. E dopo un quarto di secolo siamo ancora qui a parlare, a discutere, a cercare mediazioni che possano accontentare tutti. Si cercano mediazioni su un disegno di legge che è gia esso stesso una mediazione (ovviamente al ribasso) rispetto alle più avanzate legislazioni che hanno Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, Olanda, Danimarca, Grecia (sì, Grecia, pure da loro siamo riusciti a farci superare) ecc.
E intanto chi vuole sposarsi va all'estero, in un paese qualsiasi che non sia il nostro, ché il nostro non è per tutti, ma solo per alcuni, come del resto è sempre stato.
E intanto chi vuole sposarsi va all'estero, in un paese qualsiasi che non sia il nostro, ché il nostro non è per tutti, ma solo per alcuni, come del resto è sempre stato.
martedì 12 gennaio 2016
Tra il giornalismo e qualcos'altro
Della povera ragazza morta oggi per le complicanze di un aborto al Cardarelli di Napoli, i media hanno pubblicato nome, cognome, età, immagini. Non so come funzioni all'estero, ma mi pare che il nostro giornalismo sia sempre più lontano da ciò che comunemente si intende con questo nome, per avvicinarsi a qualcosa che ne è, eufemisticamente, la sua variante più degradata.
lunedì 11 gennaio 2016
domenica 10 gennaio 2016
(...)
Bagnasco potrebbe spiegare in maniera esuastiva come si concilia l'ora di religione a scuola con "la formazione della mente"? Perché a me questo rapporto causa-effetto risulta leggermente incomprensibile.
Grazie.
Grazie.
venerdì 8 gennaio 2016
Se il Pd vuole abrogare il reato di clandestinità
Il governo ha annunciato l'intenzione di abrogare il reato di clandestinità e, naturalmente, i leghisti hanno subito minacciato barricate in parlamento, in piazza, ricorsi a referendum ecc. Maroni e Salvini, poveretti, dall'alto del loro vuoto, umano e d'intelletto, hanno subito paventato apocalittiche quanto fantasiose invasioni.
Il reato di clandestinità, entrato in vigore nel 2009 (ancora non si capisce come abbia fatto Napolitano ad avallare una porcata simile), in piena era Berlusconi-Lega, altro non è che la versione moderna, seppur riveduta, delle leggi razziali del '38 volute da Mussolini. Allora erano gli ebrei, adesso a essere presi di mira sono gli immigrati irregolari. Si tratta di una legge stronza e disumana perché non criminalizza la persona per ciò che può aver eventualmente compiuto, ma criminalizza le condizioni personali. E non può essere considerata valida l'attenuante del "anche altri paesi ce l'hanno", come si sente spesso ripetere dai soliti noti; in primo luogo perché negli altri paesi è sostanzialmente diversa, in secondo luogo perché se una legge è stronza e disumana non diventa meno stronza e disumana se ad adottarla sono più stati. È un concetto elementare, ma è noto che in certi ambienti anche i concetti più elementari creano difficoltà.
Oltre a essere una legge disumana, che è la cosa più grave, è anche una legge inutile; in primo luogo, e qui parlano i dati, perché non costituisce un deterrente agli arrivi (a chi scappa da miseria, fame, bombe e distruzione non frega niente di essere etichettato come criminale, una volta messo piede qua); in secondo luogo perché, come evidenziato da ogni magistrato alle prese con questa legge, è di grave intralcio alle indagini in quanto ci si trova a imbastire processi contro persone spesso inesistenti e che, nel frattempo, se ne sono pure già andate.
Il reato di immigrazione clandestina non è una legge, è una stronzata sotto ogni punto di vista, un obbrobrio legislativo che in pieno terzo millennio dovrebbe fare vergognare chiunque osi anche solo proporlo, ma che da noi trova consenso perché si tratta di un ottimo prodotto propagandistico atto a soddisfare le italiche pance. E i Salvini e i Maroni, quelli della difesa del presepe, dei valori cristiani e blablabla è su queste cose qua che hanno costruito la loro fortuna.
Il reato di clandestinità, entrato in vigore nel 2009 (ancora non si capisce come abbia fatto Napolitano ad avallare una porcata simile), in piena era Berlusconi-Lega, altro non è che la versione moderna, seppur riveduta, delle leggi razziali del '38 volute da Mussolini. Allora erano gli ebrei, adesso a essere presi di mira sono gli immigrati irregolari. Si tratta di una legge stronza e disumana perché non criminalizza la persona per ciò che può aver eventualmente compiuto, ma criminalizza le condizioni personali. E non può essere considerata valida l'attenuante del "anche altri paesi ce l'hanno", come si sente spesso ripetere dai soliti noti; in primo luogo perché negli altri paesi è sostanzialmente diversa, in secondo luogo perché se una legge è stronza e disumana non diventa meno stronza e disumana se ad adottarla sono più stati. È un concetto elementare, ma è noto che in certi ambienti anche i concetti più elementari creano difficoltà.
Oltre a essere una legge disumana, che è la cosa più grave, è anche una legge inutile; in primo luogo, e qui parlano i dati, perché non costituisce un deterrente agli arrivi (a chi scappa da miseria, fame, bombe e distruzione non frega niente di essere etichettato come criminale, una volta messo piede qua); in secondo luogo perché, come evidenziato da ogni magistrato alle prese con questa legge, è di grave intralcio alle indagini in quanto ci si trova a imbastire processi contro persone spesso inesistenti e che, nel frattempo, se ne sono pure già andate.
Il reato di immigrazione clandestina non è una legge, è una stronzata sotto ogni punto di vista, un obbrobrio legislativo che in pieno terzo millennio dovrebbe fare vergognare chiunque osi anche solo proporlo, ma che da noi trova consenso perché si tratta di un ottimo prodotto propagandistico atto a soddisfare le italiche pance. E i Salvini e i Maroni, quelli della difesa del presepe, dei valori cristiani e blablabla è su queste cose qua che hanno costruito la loro fortuna.
martedì 5 gennaio 2016
domenica 3 gennaio 2016
In piena libertà e consapevolezza
Ho terminato "In piena libertà e consapevolezza, vivere e morire da laici", l'ultimo libro scritto da Margherita Hack prima di morire. Non è solo un libro, ma un grande manifesto alla laicità e alla libertà individuale di poter scegliere da sé che fare della propria vita (e della propria morte), senza ingerenze esterne da parte di chicchessia. Un inno alla libertà personale, ai diritti civili e alla giustizia, scritto di suo pugno dalla grande scienziata toscana. Un libro che andrebbe inserito e studiato nei programmi scolastici, magari al posto dell'inutile ora di religione. Costa pochi euro, se volete farvi (o fare) un regalo, andate in libreria e compratelo, e fatelo vostro.
(Mentre lo leggevo non potevo fare a meno di pensare che, per la dottrina cattolica, persone eccezionali come la Hack, che hanno dedicato la vita alla scienza e agli altri, in questo momento stanno bruciando all'inferno. E non potevo fare a meno di sorridere.)
Lo dice anche il Vaticano
È bellissima la reprimenda del Vaticano alla Rai dopo la faccenda della bestemmia. "Una Rai fuori controllo!" strillano dal fondo del mare di cacca in cui stanno affondando (Nuzzi e Fittipaldi sono solo gli ultimi che l'hanno documentato).
Bellissimi. :)
Bellissimi. :)
Su Zalone
Francamente tutto 'sto bailamme attorno al film di Zalone non lo capisco. A me il suo film precedente, Che bella giornata, era piaciuto, perché aveva saputo mettere insieme un tipo di comicità non volgare (non c'erano ad esempio culi e tette a profusione come nei cinepanettoni alla Boldi-De Sica) e la denuncia di molti aspetti dei vizi e del malcostume italiani. È ovvio che il livello culturale del film è quello che è, ma questo si sa in partenza, e chi va a vedere il film di Zalone sa fin dall'inizio che non si tratta, che ne so?, di Mission di Roland Joffé, giusto per fare il primo esempio che mi viene in mente. Voglio dire, la vita non è solo leggere i trattati di semiotica di Umberto Eco o le considerazioni metafisiche di Cartesio, ma è anche andarsi a vedere un film di Zalone, ogni tanto.
Essù, dài.
Essù, dài.
sabato 2 gennaio 2016
La ragazza col trolley (racconto)
La ragazza col trolley scese finalmente dal treno, era l'unica passeggera a scendere lì. Dopo aver attraversato il sottopasso pedonale arrivò nell'atrio della piccola stazione, poi uscì all'aperto. Erano le nove di una fredda sera di inizio dicembre e in giro non c'era nessuno, tranne il vento, che spazzava via le foglie morte cadute a terra dai platani. Sulla piazzetta antistante alla stazione vide un bar, con i vetri della finestra e della porta d'ingresso appannati per la differenza di temperatura tra l'interno e l'esterno. La ragazza si avviò in quella direzione, entrò e all'apertura della porta un piccolo campanello tintinnò. Il bar era molto piccolo, poco più di uno stanzone, col bancone sul fondo e tre tavolini nel mezzo. In uno di questi una coppia di anziani giocava a ramino. Accanto alla porta un ragazzo levò improvvisamente al cielo un'imprecazione, dopo aver mandato in tilt con uno scossone il flipper con cui stava giocando. Stizzito, indossò quindi il suo giacchetto e il suo berretto rosso e se ne andò sbattendo la porta. La ragazza lo guardò uscire, poi si avvicinò al bancone deserto.
"Scusate, c'è qualcuno qui al banco?" chiese rivolta ai due anziani che giocavano a carte al tavolino.
"Giovanni, c'è gente!" disse ad alta voce uno dei due senza alzare lo sguardo dalle carte. Dal retro, spostando una tenda verde, si affacciò un uomo sulla cinquantina, basso, tarchiato, completamente calvo e con un canovaccio sulla spalla, col quale stava probabilmente pulendo o asciugando qualcosa lì nel retro.
"Cosa prende?" chiese bruscamente l'uomo asciugandosi le mani al canovaccio e abbozzando una specie di sorriso, finto come una banconota da 30 euro.
"Un caffè, grazie." Il barista tarchiato si girò e cominciò ad armeggiare alla macchina del caffè, poi lo servì alla ragazza e le avvicinò il contenitore con le bustine di zucchero. "Per caso è possibile chiamare un taxi da qui?" chiese la ragazza mentre girava il cucchiaino nella tazza del caffè.
"Sì, il telefono è là, nell'angolo, vicino alla porta del bagno."
"Grazie."
"Spero che funzioni ancora," aggiunse lui, "è passato così tanto tempo dall'ultima volta che qualcuno mi ha chiesto di usarlo..."
"Ha ragione," replicò la ragazza, "ma non posso fare diversamente: temo di aver fuso la batteria del mio cellulare." La ragazza bevve il caffè e andò a telefonare al taxi, poi tornò al banco e pagò il barista, lo salutò e si avviò verso la porta, quindi uscì richiudendola dietro di sé. Si trovò così fuori, sul marciapiede, in balìa del vento freddo di dicembre. Dentro, il giocatore di carte che poco prima aveva chiamato il barista nel retro alzò lo sguardo.
"Non avresti dovuto lasciarla andare," gli disse, "è buio già da molte ore."
"Va' al diavolo!" disse il barista. "Cosa avrei dovuto dirle? 'Oh, signorina, è meglio che non se ne vada in giro da sola in questo cazzo di paese perché potrebbe essere pericoloso'? E poi sta arrivando il taxi a prenderla, quindi..."
"Non verrà nessun taxi, lo sai benissimo." Il barista tarchiato sparì nel retro senza replicare. La ragazza, fuori dal bar, dopo una lotta impari tra il suo accendino e il vento riuscì infine ad accendersi una sigaretta, mentre aspettava, inutilmente, che arrivasse il taxi. Dopo un po', spazientita, pensò di tornare dentro per richiamarlo, oppure per chiedere al barista come mai il taxi non arrivasse, poi decise di lasciar perdere: in qualche modo sentiva che quella sera non sarebbe arrivato nessun taxi. Gettò via il mozzicone della seconda sigaretta, alzò il manico del suo trolley e fece per incamminarsi. Al diavolo il taxi! pensò.
"Sai, non credo sia una buona idea." La ragazza trasalì. Si guardò intorno ma non vide nessuno. Poi, illuminata dalla luce fioca del lampione, vide palesarsi lentamente la sagoma di qualcuno. Era un tizio con indosso un giacchetto e un berretto rosso; la ragazza realizzò immediatamente chi fosse.
"Ehi, ma tu sei il ragazzo che poco fa giocava a flipper dentro al bar."
"Sì, sono io," disse lui sollevando la visiera del suo berretto rosso. La ragazza lo guardò e calcolò che avrebbe dovuto avere grosso modo una trentina d'anni. Poco prima, nel bar, non l'aveva osservato bene, ma adesso che se lo trovava di fronte concluse che si trattava di un bel ragazzo.
"Spaventare le ragazze di notte è il tuo hobby?" gli chiese, sorridendo.
"Scusa, non ti volevo spaventare, volevo solo metterti in guardia."
"Ah, sì? E in guardia da cosa?"
"Beh, è difficile da spiegare, ma non è salutare andare in giro soli, la notte, qui."
"Senti," gli disse la ragazza, "che ne dici se prima di spiegarmi che pericolo io stia correndo ci presentassimo? Io mi chiamo Marika."
"Io Marco." I due si strinsero la mano e si sorrisero. "Visto che, come dici tu, andare in giro di notte in questo paese non è salutare, che ne diresti di accompagnarmi?" Il ragazzo rimase un attimo perplesso.
"Perché no?" disse infine, sorridendo, e i due si incamminarono assieme.
"Dove sei diretta?" le chiese lui. "Cerco l'abitazione di un signore che abita in via... aspetta un attimo, ci guardo, non ricordo più." La ragazza tirò fuori un biglietto bianco da una tasca del cappotto, facendo attenzione che il vento non glielo strappasse dalle mani, poi lo lesse. "Ecco qua: via Nazario Sauro, 43. Ho parlato per telefono col signore che abita in questa casa e mi ha detto che è la decima traversa sulla destra del viale della stazione, dalla piazzetta sono meno di due chilometri. Se almeno fosse arrivato quel maledetto taxi." Marco la guardò. Un velo di disagio, misto a preoccupazione (o forse era timore?) gli ammantò il volto. Marika se ne accorse.
"Cosa c'è, Marco?"
"C'è... che qui non esiste alcuna via con quel nome." La ragazza lo guardò stupita.
"Quindi il tizio con cui ho parlato mi ha presa in giro? Ma che significa?"
"Marika, io non so con chi (o cosa, avrebbe voluto dirle) tu abbia parlato, ma quella via non esiste e non esiste neppure quel numero civico, e..."
"...e?"
"...probabilmente non esiste neppure quell'uomo."
"Ascolta, è la prima volta che vengo qui, non conosco questo paese e non conosco nessuno, e adesso che sono arrivata mi dici che la via in cui dovevo andare non esiste e che il tipo con cui ho parlato al telefono sarebbe una specie di fantasma. E ho l'impressione che tu sappia il perché di tutto ciò ma non me lo voglia raccontare. Forse ho diritto a una spiegazione, non credi?" Il ragazzo la guardò.
"Se te lo spiegassi non ci crederesti. Io so solo che tu te ne devi andare da questo posto, e lo dico per te." La ragazza si fermò. Il viale della stazione era un turbinio di foglie e vento, e la fioca luce dei lampioni danzava assieme ai rami dei platani che punteggiavano il viale. Anche Marco si fermò. Marika si guardò intorno, si fece guardinga, attenta, con tutti i sensi all'erta. Non era sola, lì, c'era Marco con lei, ma si rese conto di non sapere niente di lui, non sapeva chi fosse realmente. Prese improvvisamente coscienza di questo e provò un forte senso di disagio. Poi accadde qualcosa di strano e incredibile. Il terreno si mosse, fu come una specie di vibrazione, e Marika ebbe come l'impressione di trovarsi sul dorso di uno strano animale preistorico che si stesse alzando. A quel pensiero sorrise, divertita. Ma il divertimento momentaneo cedette immediatamente il posto alla paura, una paura vera, istintiva, forte, quella che nasce ogni volta che ci si trova di fronte a qualcosa di sconosciuto. Il terreno continuava a vibrare e, dal fondo del viale, Marika vide nascere dal niente una luce grande, bianca, molto forte, che avanzava verso di loro, velocemente. Mano a mano che la luce avanzava, inglobava come un incendio tutto ciò che incontrava: macchine parcheggiate, lampioni, alberi, foglie. Marco scosse la ragazza, ancora frastornata e impossibilitata a muoversi a causa dello spettacolo a cui stava assistendo.
“Corri, dobbiamo andarcene da qui!” le gridò strattonandola per un braccio. Marika si svegliò da quella specie di trance e cominciò a correre con lui. Poi rallentò.
“Aspetta, il mio trolley...”
“Ma che cavolo dici? Lascia perdere il trolley e corri, Cristo...” I due ripresero la corsa, tornando indietro verso la stazione. Il terreno continuava a vibrare, a muoversi, e la luce bianca li rincorreva, inesorabile, inghiottendo tutto ciò che trovava sul suo cammino. Marika si chiese cosa ci fosse là dentro, che fine facessero le cose che ne venivano inghiottite, poi decise che non le interessava e che non aveva alcuna intenzione di scoprirlo. All'improvviso inciampò in qualcosa e cadde a terra. Marco si fermò, le prese di nuovo il braccio e le urlò di alzarsi e ricominciare a correre. La luce era sempre più vicina. All'improvviso due fari spuntarono sulla strada, dalla parte opposta: una macchina veniva a tutta velocità verso di loro. Accostò sgommando e il guidatore, dal finestrino aperto, urlò a loro di salire. Marco e Marika aprirono la portiera posteriore e si tuffarono dentro, e la macchina ripartì a tutto gas invertendo il senso di marcia.
“Non sono mai stato così contento di vederti, Giovanni,” disse Marco al barista, il quale spingeva la macchina a tutta velocità lungo il viale deserto. “Cosa facciamo adesso? Dove andiamo?” chiese Marco mentre abbracciava a sé la ragazza, silenziosa e ancora frastornata da ciò che stava succedendo.
“Non lo so, ma dobbiamo cercare di uscire dal paese senza farci investire dalla luce.” Arrivarono alla piazzetta antistante alla stazione. Giovanni fermò un attimo la macchina e pensò mentalmente alla strada più breve da percorrere per uscire dal paese, dove sarebbero stati in salvo. Ripartì con una sgommata in direzione della circonvallazione, ignorando incroci, semafori (spenti), attraversamenti pedonali e tutto il resto, perché sapeva benissimo che in giro non ci sarebbe comunque stato nessuno. Dopo cinque minuti i tre riuscirono infine ad imboccare la circonvallazione, mentre il vento e il movimento del terreno aumentavano, procurando grosse difficoltà a Giovanni nel tenere in strada la macchina. Il confine, e quindi la salvezza, erano ormai a portata di mano, o almeno così credeva Giovanni, ma le cose, si sa, non sempre vanno come si vorrebbe che andassero. Un muro di luce bianca si presentò infatti improvvisamente, come sbucato dal nulla, davanti alla vettura. I tre ci finirono dentro. Marika urlò, mentre Marco continuava a tenerla abbracciata e Giovanni abbandonava il volante chiudendosi il volto nelle braccia. Tutto finì in un attimo.
* * *
“Papà, guarda, c'è una valigia,” disse il bambino al padre. I due si fermarono.
“Non è una valigia,” disse l'uomo al bambino, “è un trolley. Chissà come mai si trova qui, in mezzo al viale?”
“Forse è stato perso da qualcuno,” ipotizzò il bimbo.
“Mmh... mi sembra difficile,” disse l'uomo, “probabilmente è stato abbandonato nella notte da qualcuno.”
“Lo apriamo per vedere cosa contiene?” chiese incuriosito il bambino.
“No, non è roba nostra, e sicuramente sarà vuoto. Se è stato lasciato qui, si vede che al proprietario non serviva più.”
"Scusate, c'è qualcuno qui al banco?" chiese rivolta ai due anziani che giocavano a carte al tavolino.
"Giovanni, c'è gente!" disse ad alta voce uno dei due senza alzare lo sguardo dalle carte. Dal retro, spostando una tenda verde, si affacciò un uomo sulla cinquantina, basso, tarchiato, completamente calvo e con un canovaccio sulla spalla, col quale stava probabilmente pulendo o asciugando qualcosa lì nel retro.
"Cosa prende?" chiese bruscamente l'uomo asciugandosi le mani al canovaccio e abbozzando una specie di sorriso, finto come una banconota da 30 euro.
"Un caffè, grazie." Il barista tarchiato si girò e cominciò ad armeggiare alla macchina del caffè, poi lo servì alla ragazza e le avvicinò il contenitore con le bustine di zucchero. "Per caso è possibile chiamare un taxi da qui?" chiese la ragazza mentre girava il cucchiaino nella tazza del caffè.
"Sì, il telefono è là, nell'angolo, vicino alla porta del bagno."
"Grazie."
"Spero che funzioni ancora," aggiunse lui, "è passato così tanto tempo dall'ultima volta che qualcuno mi ha chiesto di usarlo..."
"Ha ragione," replicò la ragazza, "ma non posso fare diversamente: temo di aver fuso la batteria del mio cellulare." La ragazza bevve il caffè e andò a telefonare al taxi, poi tornò al banco e pagò il barista, lo salutò e si avviò verso la porta, quindi uscì richiudendola dietro di sé. Si trovò così fuori, sul marciapiede, in balìa del vento freddo di dicembre. Dentro, il giocatore di carte che poco prima aveva chiamato il barista nel retro alzò lo sguardo.
"Non avresti dovuto lasciarla andare," gli disse, "è buio già da molte ore."
"Va' al diavolo!" disse il barista. "Cosa avrei dovuto dirle? 'Oh, signorina, è meglio che non se ne vada in giro da sola in questo cazzo di paese perché potrebbe essere pericoloso'? E poi sta arrivando il taxi a prenderla, quindi..."
"Non verrà nessun taxi, lo sai benissimo." Il barista tarchiato sparì nel retro senza replicare. La ragazza, fuori dal bar, dopo una lotta impari tra il suo accendino e il vento riuscì infine ad accendersi una sigaretta, mentre aspettava, inutilmente, che arrivasse il taxi. Dopo un po', spazientita, pensò di tornare dentro per richiamarlo, oppure per chiedere al barista come mai il taxi non arrivasse, poi decise di lasciar perdere: in qualche modo sentiva che quella sera non sarebbe arrivato nessun taxi. Gettò via il mozzicone della seconda sigaretta, alzò il manico del suo trolley e fece per incamminarsi. Al diavolo il taxi! pensò.
"Sai, non credo sia una buona idea." La ragazza trasalì. Si guardò intorno ma non vide nessuno. Poi, illuminata dalla luce fioca del lampione, vide palesarsi lentamente la sagoma di qualcuno. Era un tizio con indosso un giacchetto e un berretto rosso; la ragazza realizzò immediatamente chi fosse.
"Ehi, ma tu sei il ragazzo che poco fa giocava a flipper dentro al bar."
"Sì, sono io," disse lui sollevando la visiera del suo berretto rosso. La ragazza lo guardò e calcolò che avrebbe dovuto avere grosso modo una trentina d'anni. Poco prima, nel bar, non l'aveva osservato bene, ma adesso che se lo trovava di fronte concluse che si trattava di un bel ragazzo.
"Spaventare le ragazze di notte è il tuo hobby?" gli chiese, sorridendo.
"Scusa, non ti volevo spaventare, volevo solo metterti in guardia."
"Ah, sì? E in guardia da cosa?"
"Beh, è difficile da spiegare, ma non è salutare andare in giro soli, la notte, qui."
"Senti," gli disse la ragazza, "che ne dici se prima di spiegarmi che pericolo io stia correndo ci presentassimo? Io mi chiamo Marika."
"Io Marco." I due si strinsero la mano e si sorrisero. "Visto che, come dici tu, andare in giro di notte in questo paese non è salutare, che ne diresti di accompagnarmi?" Il ragazzo rimase un attimo perplesso.
"Perché no?" disse infine, sorridendo, e i due si incamminarono assieme.
"Dove sei diretta?" le chiese lui. "Cerco l'abitazione di un signore che abita in via... aspetta un attimo, ci guardo, non ricordo più." La ragazza tirò fuori un biglietto bianco da una tasca del cappotto, facendo attenzione che il vento non glielo strappasse dalle mani, poi lo lesse. "Ecco qua: via Nazario Sauro, 43. Ho parlato per telefono col signore che abita in questa casa e mi ha detto che è la decima traversa sulla destra del viale della stazione, dalla piazzetta sono meno di due chilometri. Se almeno fosse arrivato quel maledetto taxi." Marco la guardò. Un velo di disagio, misto a preoccupazione (o forse era timore?) gli ammantò il volto. Marika se ne accorse.
"Cosa c'è, Marco?"
"C'è... che qui non esiste alcuna via con quel nome." La ragazza lo guardò stupita.
"Quindi il tizio con cui ho parlato mi ha presa in giro? Ma che significa?"
"Marika, io non so con chi (o cosa, avrebbe voluto dirle) tu abbia parlato, ma quella via non esiste e non esiste neppure quel numero civico, e..."
"...e?"
"...probabilmente non esiste neppure quell'uomo."
"Ascolta, è la prima volta che vengo qui, non conosco questo paese e non conosco nessuno, e adesso che sono arrivata mi dici che la via in cui dovevo andare non esiste e che il tipo con cui ho parlato al telefono sarebbe una specie di fantasma. E ho l'impressione che tu sappia il perché di tutto ciò ma non me lo voglia raccontare. Forse ho diritto a una spiegazione, non credi?" Il ragazzo la guardò.
"Se te lo spiegassi non ci crederesti. Io so solo che tu te ne devi andare da questo posto, e lo dico per te." La ragazza si fermò. Il viale della stazione era un turbinio di foglie e vento, e la fioca luce dei lampioni danzava assieme ai rami dei platani che punteggiavano il viale. Anche Marco si fermò. Marika si guardò intorno, si fece guardinga, attenta, con tutti i sensi all'erta. Non era sola, lì, c'era Marco con lei, ma si rese conto di non sapere niente di lui, non sapeva chi fosse realmente. Prese improvvisamente coscienza di questo e provò un forte senso di disagio. Poi accadde qualcosa di strano e incredibile. Il terreno si mosse, fu come una specie di vibrazione, e Marika ebbe come l'impressione di trovarsi sul dorso di uno strano animale preistorico che si stesse alzando. A quel pensiero sorrise, divertita. Ma il divertimento momentaneo cedette immediatamente il posto alla paura, una paura vera, istintiva, forte, quella che nasce ogni volta che ci si trova di fronte a qualcosa di sconosciuto. Il terreno continuava a vibrare e, dal fondo del viale, Marika vide nascere dal niente una luce grande, bianca, molto forte, che avanzava verso di loro, velocemente. Mano a mano che la luce avanzava, inglobava come un incendio tutto ciò che incontrava: macchine parcheggiate, lampioni, alberi, foglie. Marco scosse la ragazza, ancora frastornata e impossibilitata a muoversi a causa dello spettacolo a cui stava assistendo.
“Corri, dobbiamo andarcene da qui!” le gridò strattonandola per un braccio. Marika si svegliò da quella specie di trance e cominciò a correre con lui. Poi rallentò.
“Aspetta, il mio trolley...”
“Ma che cavolo dici? Lascia perdere il trolley e corri, Cristo...” I due ripresero la corsa, tornando indietro verso la stazione. Il terreno continuava a vibrare, a muoversi, e la luce bianca li rincorreva, inesorabile, inghiottendo tutto ciò che trovava sul suo cammino. Marika si chiese cosa ci fosse là dentro, che fine facessero le cose che ne venivano inghiottite, poi decise che non le interessava e che non aveva alcuna intenzione di scoprirlo. All'improvviso inciampò in qualcosa e cadde a terra. Marco si fermò, le prese di nuovo il braccio e le urlò di alzarsi e ricominciare a correre. La luce era sempre più vicina. All'improvviso due fari spuntarono sulla strada, dalla parte opposta: una macchina veniva a tutta velocità verso di loro. Accostò sgommando e il guidatore, dal finestrino aperto, urlò a loro di salire. Marco e Marika aprirono la portiera posteriore e si tuffarono dentro, e la macchina ripartì a tutto gas invertendo il senso di marcia.
“Non sono mai stato così contento di vederti, Giovanni,” disse Marco al barista, il quale spingeva la macchina a tutta velocità lungo il viale deserto. “Cosa facciamo adesso? Dove andiamo?” chiese Marco mentre abbracciava a sé la ragazza, silenziosa e ancora frastornata da ciò che stava succedendo.
“Non lo so, ma dobbiamo cercare di uscire dal paese senza farci investire dalla luce.” Arrivarono alla piazzetta antistante alla stazione. Giovanni fermò un attimo la macchina e pensò mentalmente alla strada più breve da percorrere per uscire dal paese, dove sarebbero stati in salvo. Ripartì con una sgommata in direzione della circonvallazione, ignorando incroci, semafori (spenti), attraversamenti pedonali e tutto il resto, perché sapeva benissimo che in giro non ci sarebbe comunque stato nessuno. Dopo cinque minuti i tre riuscirono infine ad imboccare la circonvallazione, mentre il vento e il movimento del terreno aumentavano, procurando grosse difficoltà a Giovanni nel tenere in strada la macchina. Il confine, e quindi la salvezza, erano ormai a portata di mano, o almeno così credeva Giovanni, ma le cose, si sa, non sempre vanno come si vorrebbe che andassero. Un muro di luce bianca si presentò infatti improvvisamente, come sbucato dal nulla, davanti alla vettura. I tre ci finirono dentro. Marika urlò, mentre Marco continuava a tenerla abbracciata e Giovanni abbandonava il volante chiudendosi il volto nelle braccia. Tutto finì in un attimo.
* * *
“Papà, guarda, c'è una valigia,” disse il bambino al padre. I due si fermarono.
“Non è una valigia,” disse l'uomo al bambino, “è un trolley. Chissà come mai si trova qui, in mezzo al viale?”
“Forse è stato perso da qualcuno,” ipotizzò il bimbo.
“Mmh... mi sembra difficile,” disse l'uomo, “probabilmente è stato abbandonato nella notte da qualcuno.”
“Lo apriamo per vedere cosa contiene?” chiese incuriosito il bambino.
“No, non è roba nostra, e sicuramente sarà vuoto. Se è stato lasciato qui, si vede che al proprietario non serviva più.”
Musei di notte (per Sgarbi)
Di questa vicenda, tutta italiana (in un qualsiasi altro paese l'avrebbero mandato a cagare seduta stante), l'aspetto più divertente è Sgarbi che (di se stesso) dice: "Non credo che i carabinieri di Mazzano avessero molto di più da fare quella sera che cercare il sindaco del paese con il quale il più grande critico d’arte italiano aveva necessità di parlare."
Pensavo che l'intervento chirurgico d'urgenza di due settimane fa l'avesse anche guarito da un po' della sua leggendaria arroganza e stronzaggine. Mi sbagliavo.
Pensavo che l'intervento chirurgico d'urgenza di due settimane fa l'avesse anche guarito da un po' della sua leggendaria arroganza e stronzaggine. Mi sbagliavo.
Biagio Antonacci e le adozioni ai gay
Solo in un paese culturalmente e umanamente arretrato e retrogrado come il nostro un concetto semplice ed elementare come questo può ancora creare imbarazzo. Bravo Antonacci: le tue canzoni non le sfango, ma il merito di aver detto in diretta tv una cosa di buon senso, quel buon senso che è ormai merce così rara, te lo riconosco tutto.