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sabato 30 aprile 2016

Bergoglio e l'infallibilità papale

Si vocifera da più parti che Bergoglio non si sarebbe buttato via in merito alla possibilità di mettere in discussione l'infallibilità papale, dogma risalente al 1870 e secondo per ridicolaggine solo alla Trinità. Per ora niente di concreto, ovviamente, tranne qualche titolo qua e là buono solo ad avvalorare e rinforzare l'aura di rivoluzionario (finto) di cui si è ammantato papa Ciccio a partire dalla sua elezione.
Naturalmente chi non è cattolico tende solitamente a relegare la faccenda dell'infallibilità nella categoria L'angolo dell'umorismo, tipo quello della Settimana Enigmistica, per intenderci, mentre i devoti cattolici cercano solitamente di eludere come meglio possono le inevitabili sfumature di imbarazzo che tale dogma presenta loro.
Comunque tranquilli, la faccenda morirà qui e non se ne parlerà più.

Cosa facevo trent'anni fa?

Mentre leggevo del compleanno di internet ripensavo a cosa facevo io 30 anni fa. Dunque, tre decadi fa avevo 16 anni, andavo in giro col mio Ciao PX fumo di Londra, che dovrebbe essere ancora qui nel garage sotto svariati centimetri di polvere, non avevo una ragazza e mi annoiavo e smaronavo a ragioneria, una scuola che non mi è mai piaciuta e che infatti non ho terminato.
Di internet a quell'epoca non c'era ovviamente traccia, come del resto non c'era traccia di pc né di telefonini (il primo lo acquistai, se non ricordo male, a metà degli anni '90, ma non sono sicuro). Niente cellulari, niente internet, niente blog, niente social, eppure mica si stava male, anzi. Lo so, si dice sempre così, ma credo sia proprio vero. Il primo pc lo comprai solo nel 2001, un bel pc nuovo di zecca (ben 512 MB di RAM, che allora sembravano chissà che cosa) su cui girava il leggendario Windows Xp, che aveva da poco visto la luce e che era agli inizi uno dei sistemi operativi più bacati di tutta la storia dell'informatica - anche in seguito non è che le cose siano poi cambiate granché, a dire il vero. Erano i tempi in cui ti potevi beccare virus in qualsiasi modo: tramite mail, tramite floppy o cd, visualizzando certi siti, insomma si facevano di quelle collezioni...
Quando lo comprai, qui a Poggio Torriana (allora Poggio Berni) non c'era neppure l'adsl, che sarebbe arrivata solo nel 2007, e per navigare mi collegavo alla rete coi vecchi modem analogici a 56K, quelli che quando attivavi la connessione internet emettevano suoni molto simili a quelli che si odono ancora oggi telefonando a un fax. Ovviamente la connessione, oltre a essere lentissima (i video su Youtube erano pura utopia, a meno che si avesse voglia di fare almeno mezzora di buffering preventivo) era a tariffa oraria, e quindi si controllava quanto si stava connessi onde evitare salassi in bolletta, senza contare che quando ci si connetteva a internet veniva occupata la linea telefonica, quindi il telefono era muto con annessi relativi disagi.
Rispetto a quei tempi è passata più di un'era geologica, "connettivamente" parlando; oggi c'è il ruoter always on a cui si può collegare ciò che si vuole, tutto il tempo che si vuole e senza sorprese in bolletta, e siamo tutti più felici, no?
Sì, può darsi, ma i tempi del mio Ciao Px fumo di Londra...

Pannoloni e pannolini (e suicidio demografico)



Quelli de Il Foglio, assieme al Giornale e Libero (da un po' di tempo è ottima anche L'Unità) uno dei migliori prodotti per incartare il pesce, lanciano uno dei loro formidabili scoop, svelando - udite udite! - che il mistero del suicidio demografico dell'Europa si spiega con l'aumento delle vendite dei pannoloni in concomitanza con la contrazione delle vendite dei pannolini. Ora, potremmo provare a spiegare a questi veri e propri segugi dello scoop che, anche senza tirare in ballo il mercato dei pannolini, si poteva constatare la cosa con due semplici clic del mouse su un motore di ricerca e consultare la prima tabella di andamento demografico in Europa che fosse capitata a tiro. Solo che così lo scoop sarebbe andato a farsi benedire: meglio i pannoloni.
Tra l'altro non ho capito bene la questione del suicidio. Cosa significa suicidio demografico? La popolazione europea è in costante aumento, mica diminuisce. Viaggia attualmente sui 750 milioni di individui e si prevede che supererà gli 800 nel 2050. Non vedo alcun suicidio, a meno che quelli del Foglio si riferiscano alla composizione demografica, che registra un costante aumento del tasso di invecchiamento perché in Europa, come del resto qui in Italia, non si fanno più figli - ma a riequilibrare la situazione provvedono notoriamente gli immigrati. Insomma, io 'sto suicidio demografico non lo vedo, vedo semmai un progressivo suicidio del giornalismo di qualità, ma questo è un altro discorso.

giovedì 28 aprile 2016

Nazareno (di nuovo)

Domani uno dei personaggi più squallidi e impresentabili dell'intero panorama politico italiano, Verdini, incontrerà al Nazareno una rappresentanza di personaggi che se per squallore e impresentabilità non sono allo stesso livello, poco ci manca. Sembra che il tizio, Verdini, gravato da una mole di processi che Berlusconi a confronto è una verginella, voglia chiarire bene la posizione che il suo movimento dovrebbe occupare all'interno del Pd: ingresso organico o appoggio esterno. La formazione guidata da Verdini, infatti, si è sempre collocata, rispetto all'esecutivo Renzi, in una specie di limbo non ben definito, non chiaro, all'insegna di una sorta di "sta con loro ma è meglio non reclamizzarlo troppo", per rendere un po' l'idea. Ecco, diciamo che il pluri indagato, nonché pluri imputato, Verdini vuole chiarire una volta per tutte la sua posizione.
Chissà se a qualche elettore del Pd, magari in uno dei rari momenti di connessione sinaptica funzionante, è mai tornata alla memoria l'aura di rottamatore che il tipo di Rignano si era costruito con così tanta perizia ai suoi esordi.

mercoledì 27 aprile 2016

Per i nostalgici del conflitto d'interessi

Per quelli, ingenui o in malafede, che pensavano che fosse finita l'epoca delle leggi ad personam e dei conflitti d'interesse, c'è da segnalare che i verdiniani, tra i pilastri del governo Renzi, si opporranno strenuamente alla proposta di aumento dei tempi di prescrizione per i reati commessi dai colletti bianchi. Perché se passasse, per Verdini potrebbe mettersi male.
Il bello è che poi s'incazzano con Davigo quando denuncia proprio queste cose qua.

martedì 26 aprile 2016

Crocifissi e motivazioni

L'aspetto divertente che fa capolino ogni volta che una qualsiasi giunta di centrodestra propone una mozione o un ordine del giorno per infilare un crocefisso da qualche parte, sono le motivazioni. Nel caso del consiglio regionale ligure sono le seguenti: "...quale simbolo universale dei valori di libertà, uguaglianza e tolleranza". Ora, tralasciando l'annosa e ormai stucchevole discussione sulla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici, ciò che in questi casi provoca sempre ilarità è una giunta di centrodestra (quello ai cui valori si riferiscono i vari Salvini e compagnia bella, per intenderci) che si appella all'uguaglianza e alla tolleranza.

Odifreddi e il suo NO al referendum costituzionale di ottobre

La riforma costituzionale sottoposta a referendum è stata invece approvata, anzitutto, da un parlamento eletto in maniera maggioritaria nel 2013, con il cosiddetto Porcellum. Grazie al premio di maggioranza da esso attribuito, alla Camera la coalizione di centro-sinistra ha ottenuto 345 seggi su 630 con il 29,55% dei voti espressi, la coalizione di centro-destra 124 seggi con il 29,18% dei voti, e il Movimento Cinque Stelle 105 seggi con il 25,56% dei voti.
A quell’elezione ha partecipato solo il 75% degli aventi diritto. In realtà, dunque, sia il centro-sinistra che il centro-destra non rappresenta(va)no in Parlamento che il 22% circa degli elettori, e il Movimento Cinque Stelle il 19% circa: tutte piccole minoranze, cioè. Ma il centro-sinistra ha comunque ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera, grazie appunto all’indegna legge maggioritaria.
Come se non bastasse, la Corte Costituzionale ha dichiarato in seguito incostituzionale l’abnorme premio di maggioranza da essa assegnato, pur non annullando le elezioni e non dichiarando decaduto il Parlamento eletto con la “legge truffa”. La decenza politica avrebbe comunque richiesto che un tale Parlamento si limitasse a gestire l’ordinaria amministrazione, invece di arrogarsi addirittura il diritto di cambiare una Costituzione approvata a suo tempo nei ben diversi modi descritti sopra, e per cambiare la quale l’elettorato non aveva dato alcun mandato esplicito.
Alla faccia della decenza, a volere e a fare la riforma è stato invece un Partito Democratico che rappresenta soltanto il 25% dei voti espressi, pari a circa il 18% degli aventi diritto (dunque, meno del Movimento Cinque Stelle), ma che ha alla Camera ben 297 seggi, ottenuti grazie a un premio di maggioranza che però veniva assegnato alle coalizioni, e non ai partiti! Peccato che quelle coalizioni ora non esistono più, perché si sono sfaldate nei tre anni di legislatura, con la conseguente transumanza di deputati e senatori da un gruppo parlamentare all’altro.
Per completare il quadro va ricordato che il governo è presieduto da Matteo Renzi, che non era candidato alle elezioni del 2013, e ha scalato Palazzo Chigi grazie alle sole primarie di fine 2013 per la segreteria del Partito Democratico: elezioni alle quali hanno preso parte meno di tre milioni di elettori, cioè solo circa il 6% dell’elettorato, meno di due milioni dei quali hanno votato per Renzi.


Articolo completo qui.

lunedì 25 aprile 2016

Il codice del traditore



Sia messo agli atti che della conquista dello scudetto da parte della Juventus non mi frega una beata fava, e dicasi lo stesso per la vittoria di Valentino in Spagna. Non per snobismo, ovviamente, ma semplicemente perché non mi interesso di sport ma di altre cose, come i libri, ad esempio (ma va'? Scommetto dirà qualcuno).
Tra ieri e oggi ho letto Il codice del traditore, un libro che si inserisce nel fin troppo inflazionato filone dei thriller storico-medievali con contorni di biblioteche, abbazie, cattedrali gotiche, codici segreti, complotti e via dicendo, e che narra di un complotto ordito per uccidere il re d'Inghilterra durante la guerra civile che insanguinò quelle terre nei primi decenni del 1600. Il libro è discretamente noioso e con poco mordente, e anche la trama non brilla per originalità. Gli unici aspetti interessanti riguardano la descrizione del contesto storico in cui si inserisce la vicenda, compresi molti particolari sulla vita, le usanze, le leggi e più in generale la vita dell'Inghilterra del 1600. In ogni caso, tutto molto più interessante delle vicende riguardanti la Juve o Valentino.

domenica 24 aprile 2016

Il bazar dei brutti sogni



Alla fine, nonostante abbia letto e legga regolarmente opere di tantissimi altri autori, Stephen King, che cominciai a leggere da ragazzino e che mi tiene compagnia ancora oggi, rimane sempre il mio preferito - e che il cielo gli conceda di vivere ancora a lungo. Amo sia i suoi romanzi oceanici, quelli "che coinvolgono profondamente autore e lettore, nei quali la narrativa ha occasione di diventare quasi un mondo reale", che le antologie di racconti come questa che ho appena terminato di leggere.
Sono piccoli affreschi, pezzi di vita, storie coinvolgenti, in cui l'autore mescola sapientemente, con la nota maestria che lo distingue, l'ironia, la paura, la ferocia, l'amore, la malinconia. Peculiarità di questa opera: King scrive una  breve introduzione a ogni storia, raccontando la genesi e le vicende della vita reale (letture, fatti, situazioni) che ne hanno ispirato le relative stesure.
Per quel che mi riguarda, questo libro è un capolavoro.

(...)

Se fossi stronzo, avrei piacere che il greggio fuoriuscito si sversasse in mare e contaminasse la costa ligure solo come smentita alla odiosa sicumera di Toti. Per fortuna la mia pur modesta intelligenza mi permette di tenere posizioni un tantino più elevate.

sabato 23 aprile 2016

Giornata mondiale del libro



Tra le tante giornate mondiali di qualcosa che ci vengono propinate ogni giorno, oggi c'è quella del libro. Non ho mai capito fino in fondo il senso di queste celebrazioni (ufficialmente sono una forma di sensibilizzazione su un tema specifico), dal momento che dal giorno successivo ogni traccia della suddetta sensibilizzazione svanisce come polvere al vento, ma questo è. Leggo su Wikipedia che l'istituzione di questa giornata il 23 aprile non è casuale, ma scelta perché nel 1616 morirono tre grandissimi scrittori: Miguel de Cervantes, William Shakespeare e tale Inca Garcilaso de la Vega, quest'ultimo a me totalmente sconosciuto - abbiate pazienza, mica sono Umberto Eco, eh. In realtà l'accorpamento di questi tre nomi è frutto di una forzatura, dal momento che il 23 aprile di Shakespeare è riferito al calendario giuliano, ma non stiamo troppo a sottilizzare.
I libri, è noto, sono la bestia nera degli italiani, come si evince da ogni dato reperibile. Oltre il 60% della popolazione italiana sopra i sei anni non ne apre neppure uno all'anno, e non è che ci sia granché da commentare. Sì, lo so, leggere richiede tempo, un certo impegno e una propensione abbastanza elevata a tenere desta l'attenzione, e capisco perfettamente che chi arrivi a casa la sera dopo una giornata di lavoro, magari portando sul groppone incazzature e scazzi con colleghi e superiori, preferisca di gran lunga buttarsi nel dopo cena sulla televisione, che non richiede al cervello alcuno sforzo particolare. Però è una giustificazione che regge fino a un certo punto, probabilmente è più un alibi, dal momento che non penso che tutti quelli che non leggono perché non hanno tempo abbiano i weekend sempre impegnati. La verità è che la lettura, come ogni altra cosa, è una passione, e se non si ha non si ha, specie se fin da piccoli non si è stati abituati a prendere con essa confidenza. Come infatti scrive l'Istat, "La propensione alla lettura è fortemente condizionata dall'ambiente familiare: leggono libri il 66,9% dei ragazzi tra i 6 e i 14 anni con entrambi i genitori lettori, contro il 32,7% di quelli con genitori che non leggono libri."
L'aspetto curioso, a tal proposito, è che l'istituto di statistica classifica come "forti lettori" quelli che leggono un libro al mese, dal che deduco che la mia non sia più una passione ma una patologia, da cui ovviamente non voglio guarire.

venerdì 22 aprile 2016

Gasparri e Prince

Certe cose non le capirò mai: tutti a scandalizzarsi perché Gasparri non sa chi era Prince e nessuno che si scandalizzi che uno come lui sia un senatore. Ma probabilmente sono io a ragionare su parametri differenti da quelli standard.

Scrivere a penna

Prendo spunto da questo bel post di Gwendalyne per fare finalmente outing: non so più scrivere a penna. Finora ho sempre cercato di far finta che non fosse vero, ho continuato a negare a me stesso che fosse diventato difficoltoso farlo, ma non è che si possa mentire a se stessi per sempre. Intendiamoci, se prendo carta e penna scrivo, ma non lo faccio più con la stessa naturalezza di quando andavo a scuola - ricordo ancora le soste obbligate per fare riposare la mano dopo aver riempito pile di fogli protocollo. La mia scrittura a penna non è più pronta, scorrevole, lineare, e spesso devo addirittura ripassare alcune lettere a causa della forma che do ad esse, che le fa sembrare degli indecifrabili sgorbi.
Non c'è nessun mistero in tutto ciò: non so più scrivere a penna perché non ho più occasioni per farlo. Sono uno che scrive parecchio, ma lo faccio solo tramite pc o cellulare (ultimamente più quest'ultimo, credo). Ho scritto col cellulare anche un paio di racconti di quelli che trovate elencati nei link qui di fianco, per dire. Accade così per tutto, non solo per la scrittura. Se da oggi smettessi ad esempio di guidare la macchina, tra vent'anni non ricorderei più come si fa e dovrei fare pratica per riabituarmi, e lo stesso discorso vale per la scrittura. È un male? Non lo so, penso che faccia tutto parte del naturale evolversi delle cose. Ovviamente un po' mi dispiace, ma che ci posso fare?

Prince in magazzino

Mi spiace che sia morto Prince, anche se a me il suo genere musicale non ha mai detto granché. Mi spiace soprattutto perché qui in magazzino RDS ci sta fracassando le appendici pendule coi suoi pezzi (l'ultima volta che ne trasmise uno, prima di oggi, potrebbe essere stato un paio d'anni fa).

mercoledì 20 aprile 2016

Neppure Farage?

Che Di Maio vada nella perfida Albione - non si capisce bene a fare che - e riceva là parecchi dinieghi alle sue richieste di incontro con personalità più o meno in vista del locale panorama politico, è in fondo una non-notizia; che uno dei suddetti dinieghi arrivi da quel buzzurro di Nigel Farage, con cui Grillo strinse alleanza in occasione delle europee di due anni fa, provocando l'ira e le contestazioni da parte di moltitudini inferocite di grillini, forse è una notizia, o forse no, boh, non lo so neppure io. È probabile che la notizia vera sia che Di Maio si è portato dietro un interprete. Un interprete? Ma come, uno che ha già sul groppone una mezza investitura a prendere in mano le redini del partito, con annesse elevatissime probabilità di future responsabilità di governo, non riesce neppure a parlare un inglese ai livelli di Renzi?

Piercamillo Davigo

Fino a qualche anno fa, quando ancora pensavo che avesse senso buttare ogni tanto un occhio alla tv, cercavo di seguire ogni trasmissione in cui fosse ospite Piercamillo Davigo, recentemente nominato presidente dell'ANM. Non era facile, perché a differenza di Renzi o Salvini lui lavorava sul serio, quindi tempo per andare in tv non è che ne avesse granché. Però quando ci andava era un piacere ascoltarlo, e non perché dicesse chissà quali cose o rivelasse chissà quali recondite verità, ma semplicemente perché diceva cose semplici, intelligenti e sensate, e le diceva nel suo stile deciso ma pacato, senza scadere nelle urla e nella cacofonia stupida di voci tipica dei talk show.
Mi piaceva (e mi piace ancora), Davigo, perché cose semplici, intelligenti e di buon senso non le dice più nessuno, oggi. Volete una prova? Ascoltate per 10 minuti, non di più, un qualsiasi politico che parli in tv e provate a verificare se qualcuno dei tre aggettivi che ho citato sopra possa essere associato alle cose dette in quei 10 minuti. Avrete scoperto, se già non lo sapevate, che dai politici escono in genere solo ovvietà, banalità, balle e populismo, nient'altro. Mi si obietterà che un politico, a differenza di un magistrato, è una persona che deve guadagnare (o mantenere) voti e consenso, quindi da un certo punto di vista è normale che il suo tipo di dialettica sia un po' sopra le righe, pure un po' romanzato e fantasioso. Concesso. Ma la linea che divide il romanzato e il fantasioso dalle palle plateali i politici la travalicano fin troppo spesso, mi pare.
Ecco perché mi è piaciuta assai l'intervista concessa da Piercamillo Davigo a Marco Travaglio sul Fatto di oggi. Perché con poche, semplici e intelligenti battute ha liquidato gli attacchi e le accuse di Renzi alla magistratura degli ultimi tempi - a proposito: il ragazzo sembra stia diventando nervosetto, ultimamente, o è un'impressione mia? - attacchi molto più frequenti da quando la Procura di Potenza ha cominciato a mettere il naso in certe faccende petrolifere molto vicine a lui e al suo entourage. Davigo ha smontato, dati alla mano, le accuse alla magistratura di lentezza, di non arrivare mai a sentenza (una sciocchezza astrale: anche una sentenza di prescrizione è appunto una sentenza), senza eludere i temi sempre spinosi delle intercettazioni e della durata dei tempi di prescrizione.
Ascoltare Davigo fa bene, sempre.

martedì 19 aprile 2016

Il terremoto in Ecuador e la nostra mente

Il conteggio delle persone decedute nel sisma in Ecuador ha superato il numero di 400, e purtroppo sembra che non sia neppure definitivo. La notizia, da quello che ho potuto vedere, è rimasta per qualche ora in cima alle principali home page nel momento in cui la tragedia si è verificata e poi è velocemente sparita, e adesso si trova solo in alcuni siti di approfondimento tipo Il Post. Eppure si è trattato di un sisma violentissimo e di una tragedia di proporzioni immani. Qua da noi quando successe la tragedia de L'Aquila, ad esempio, la notizia occupò le prime pagine per moltissimi giorni. Grazie, mi si dirà, è successa da noi quindi è normale che sia così, allo stesso modo in cui è normale che i media ecuadoregni facciano altrettanto nei prossimi giorni.
Mentre riflettevo su questa cosa, mi è venuto in mente ciò che scrisse Umberto Galimberti in un suo saggio che lessi l'anno scorso - il titolo mi sfugge, abbiate pazienza. Riassumendo brutalmente, il noto sociologo diceva che il sostanziale disinteresse per tragedie che avvengono lontano da noi non è cinismo, come frettolosamente si potrebbe pensare, ma è conseguenza di un naturale meccanismo psicologico umano, in base al quale la nostra mente tende a interagire e a relazionarsi maggiormente con ciò che accade vicino ad essa e tende a disinteressarsi di ciò che avviene lontano. È lo stesso meccanismo che ci porta ad esempio a disperarci fino alla morte per la dipartita di un congiunto, a dispiacerci molto per la morte di un vicino di casa e a dispiacerci molto poco per la morte di un lontano parente o conoscente che magari abiti pure lontano da noi.
Insomma, se non ricordo male dovrebbe essere così.

lunedì 18 aprile 2016

La demagogia non paga

Tra le esternazioni post consultazione referendaria, la quintessenza dell'egocentrismo ha dichiarato che "essere demagogici non paga." Ora, cosa è la demagogia bene o male lo sappiamo tutti, ma per fugare ogni eventuale dubbio che chiunque può legittimamente avere, riporto pari pari la definizione che ne dà la Treccani, ossia questa: "In origine, genericamente, arte di guidare il popolo; in seguito (già presso gli antichi Greci), la pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni, specialmente economiche, con promesse difficilmente realizzabili."
Ora, alla luce di questa definizione, alla luce di tutte le palle che ha raccontato da quando è lì (ma anche da prima), alla luce dei famosi 80 euro con cui si comprò gran parte del consenso di cui gode ora, come può dire che la demagogia non paga? Eppure l'ha detto.
(Ci sarebbe anche da commentare quel "300 milioni di euro buttati via" chiedendogli, magari in una di quelle occasioni in cui risponde in diretta ai fans su qualche social, se pensa che i costi del suo nuovo mega aereo presidenziale siano da considerare soldi spesi bene, ma forse è meglio lasciar stare.)

I "tempi" di Repubblica

Mi sono accorto che se si consulta il sito di Repubblica con un dispositivo mobile (smartphone, tablet ecc.), per ogni articolo viene indicato, in minuti, il tempo necessario a leggerlo. Non so se lo facciano anche altri siti, non ho avuto voglia di controllare, ma mi domandavo a chi potesse servire, e a cosa, tale indicazione. Il tempo necessario a leggere un articolo è per caso una sorta di discriminante tra il leggerlo e il saltarlo a pie' pari? Se ci vogliono due minuti sì e se ce ne vogliono cinque no? E poi mi piacerebbe sapere in base a quale parametro si è fatta tale misurazione. La velocità di lettura non è uguale per tutti, ci sono persone che leggono più in fretta e altre più lentamente, alcune che leggono in maniera fluida e scorrevole e altre che hanno più difficoltà a causa di molteplici motivi. Oltretutto c'è da considerare - e non credo che Repubblica l'abbia fatto - che spesso interi periodi necessitano di una rilettura perché molti giornalisti distribuiscono le virgole un po' a pene di cane, quindi capita che il senso del periodo non sia immediatamente comprensibile, di qui la necessità di rileggere il tutto con conseguente ulteriore perdita di tempo.
Ecco, adesso che ho posto all'attenzione dei miei 42 lettori questo fondamentale quesito per l'umanità, vado a fare qualcosa, va'.

domenica 17 aprile 2016

Il fallimento non è del referendum sulle trivelle

Una affluenza tra le più basse della storia recente. Nessuno che fosse sano di mente si aspettava ovviamente il raggiungimento del quorum, ma credo che fosse altrettanto difficile aspettarsi una debacle simile. In fondo non c'è neppure granché da stupirsi. Il quesito era molto tecnico e, come osserva giustamente Malvino sul suo blog, all'italiota medio non si può chiedere di spremere troppo le meningi, specie se ciò richiede lo sforzo di documentarsi un pochino e specie se il quesito referendario non lo tocca da vicino - un ipotetico referendum su una faccenda di calcio, ad esempio, avrebbe ottenuto partecipazioni plebiscitarie.
Quindi siamo punto e a capo, meritiamo tutto ciò che ci capita e tutte le angherie, sapientemente edulcorate, che quotidianamente ci sottopongono quelli lassù, dal momento che ogni volta che siamo chiamati a partecipare a iniziative che possono fare da input a qualche forma di cambiamento ce ne sbattiamo i coglioni e diamo retta a certi figuri orribili, che si ergono a sedicenti salvatori della patria mentre sono solo salvatori di se stessi e dello status quo. Ecco perché il fallimento vero non è del referendum.

(...)



E poi niente, vedi certe cose e ti prende una voglia di stare a casa...

sabato 16 aprile 2016

Sabato pomeriggio

Perché la vita non è solo leggere libri, scrivere, suonare e stare chiusi in casa, ma anche concedersi ogni tanto salutari camminate all'aperto - se poi si ha la fortuna di abitare in uno dei posti più belli del mondo... :)















Domani andrò a votare

Confesso che quando si cominciò a parlare di questo cosiddetto referendum sulle trivelle, complice anche la mia pigrizia non ero granché interessato alla faccenda, tantomeno pensavo che mi sarei recato ai seggi. A farmi cambiare idea sono stati in questi giorni Renzi e Napolitano coi loro reiterati appelli ad astenersi, che hanno fatto scattare in me la curiosità di informarmi bene in merito. In passato ho disertato le urne parecchie volte, anche in occasione di elezioni politiche importanti come le nazionali e qualche amministrativa, e ho disertato proprio quegli appuntamenti in cui da parte dei politici erano più pressanti gli appelli a recarsi alle urne. Questa volta i tromboni reclamizzano l'astensione e io, per dispetto, vado a votare. Lo so, come ragionamento non è che sia eticamente e intellettualmente molto elevato, è anzi piuttosto terra terra, ma d'altra parte ci troviamo di fronte una classe politica che non mi sembra meriti molto di più, quindi ho buon gioco nel rendergli pan per focaccia. Chiarito questo, scendo un po' più nello specifico.
Partiamo da ciò che ha detto Renzi. "Questo referendum riguarda le fonti di approvvigionamento italiane". Falso, o almeno è falso l'enunciato messo giù in questo modo. Il gas e il petrolio ricavato dalle trivelle a rischio chiusura, nel 2015 hanno soddisfatto il totale del fabbisogno italiano rispettivamente nella misura del 3% e 1%. Niente, praticamente. Nessuna apocalittica crisi energetica si aprirebbe in caso di vittoria dei sì (quorum permettendo, ovviamente), né saremmo obbligati a rinunciare all'auto o al condizionatore d'estate. C'è poi lo spettro dei lavoratori a rischio, che il premier agita a ogni comparsata pubblica. Nell'ultima versione riportata da Repubblica, principale house organ del governo, sarebbero ben 11.000. Ovviamente è sufficiente qualche clic su Google (ad esempio qui e qui) per rendersi conto che si tratta di numeri ben poco attinenti alla realtà. In più, da come la buttà giù Renzi sembra che se si dovesse raggiungere il quorum e dovessero vincere i sì, da lunedì i lavoratori sarebbero automaticamente a casa, cosa che ovviamente non è vera perché la prima trivella verrebbe sigillata nel 2018 e l'ultima nel 2034, e non sarebbe certamente difficile ricollocare nel frattempo gli eventuali nuovi disoccupati dal momento che si tratta per la maggior parte di manodopera qualificata.
Queste, ridotte all'osso, sono le principali motivazioni che domani mi spingeranno verso il seggio. Ovviamente da queste parti nessuno si fa grosse illusioni sul raggiungimento del quorum, d'altra parte basta guardare l'andamento statistico dell'istituto referendario negli ultimi lustri per rendersi conto dell'andazzo, ma è anche vero che in passato qualche rara sorpresa c'è stata, e sarà bello vedere le facce di Renzi e Napolitano in caso succeda il miracolo.

venerdì 15 aprile 2016

Consiglio di Stato, canone (e zappa)

Mi pare sia passata un po' in sordina la notizia della stroncatura, da parte del Consiglio di Stato, della normativa che disciplina l'inserimento del canone in bolletta. Secondo i giudici di Palazzo Spada dal regolamento emergono "numerose criticità", tra cui ad esempio il fatto che non sia menzionato da nessuna parte che si tratta di una tassa che si paga una volta sola; manca poi "un riferimento allo scambio dati tra vari enti necessario per l'addebito"; in più, ciliegina sulla torta, manca "un qualsiasi richiamo ad una definizione di cosa debba intendersi per apparecchio televisivo". Cioè, non so se sia chiaro: questi qui fanno una legge che disciplina il versamento del canone per il possesso dell'apparecchio televisivo e in nessuna parte specificano cosa si intende con la definizione apparecchio televisivo, più in generale quali siano i device (smartphone? Tablet? Pc?) soggetti al pagamento dell'obolo. In altre parole, non hanno saputo definire un televisore.
Altroché braccia rubate all'agricoltura, questi non saprebbero neppure reggere una zappa.

Avvisiamo Renzi e Napolitano?

Il sempre attento Malvino fa notare sul suo blog che esiste una legge del 1970, attualmente ancora in vigore, che in un suo articolo prevede la punizione con la reclusione da sei mesi a tre anni per «chiunque investito di un pubblico potere [...] si adopera [...] ad indurli [gli elettori] all’astensione».
Che si fa?

giovedì 14 aprile 2016

Di trivelle, di Napolitano e di cittadini

Tra le motivazioni addotte da Renzi a supporto della sua convinzione che la consultazione sulle trivelle è basata su una sorta di malinteso/bufala e va quindi disertata, c'è quella secondo cui "Il referendum [è] voluto dai consigli regionali, non dai cittadini". Ora, volendo filosofare un pochino, l'asserzione giustificata da questo tipo di premessa è che i consigli regionali non rispecchiano il volere dei cittadini, le loro richieste e le loro aspirazioni, quindi, spingendosi ancora un pochino più in là con le deduzioni, possiamo tranquillamente affermare che consigli regionali e democrazia hanno ben poco da spartire, secondo Renzi. Se Renzi pensa questo, e, come abbiamo visto, da quanto dice lo pensa, ci sarebbe da fargli notare che dei 100 senatori di cui sarà composto il Senato dopo la riforma costituzionale di cui si parla ampiamente in questi giorni, 74, cioè quasi i 3/4, saranno nominati dai consigli regionali, gli stessi consigli regionali che proprio oggi ha bollato come antidemocratici o comunque lontani da qualunque tipo di istanza riferibile alle volontà dei cittadini.
Insomma, per uscire un po' dai pleonasmi e alla luce di quanto ha affermato il tipo di Rignano, le modalità con cui saranno nominati i nuovi senatori non avranno niente di democratico, che è una delle ragioni di rifiuto che i detrattori della riforma rinfacciano al governo fin da quando decise di partire in quarta con questa riforma. Renzi, ovviamente, ha sempre respinto questo addebito, figurarsi, quindi la domanda alla fine è: come vanno inquadrati questi benedetti consigli regionali? È semplice: dipende dai contesti in cui si inseriscono. Se servono per dimostrare che una riforma costituzionale abominevole che darà molto potere all'esecutivo e ne ridurrà i contrappesi è cosa buona e giusta, allora sono democratici; se, viceversa, essi sono promotori di iniziative referendarie che al presidente del consiglio stanno abbondantemente sulle palle, allora sono antidemocratici. Tutto molto semplice, direi.
L'uscita molto infelice di Napolitano a favore dell'astensione, invece, che ha probabilmente provocato una abbondante eiaculazione al premier, non la commento perché non mi sembra ci sia granché da commentare. Uomini pubblici di spicco (politici, prelati ecc.) hanno in ogni occasione di referendum fatto pressioni per tirare acqua al proprio mulino o alla propria parte politica. Penso ad esempio a quella mezza sega di Ruini, che nel 2005, in occasione del referendum abrogativo della legge 40, che naturalmente fallì, andava in televisione ogni tre per due a raccomandare di stare a casa. Oppure penso a quando Craxi, nel '91, nel referendum con cui furono stracciati i voti plurimi di preferenza, invitava le gente ad andare al mare, e si potrebbe continuare. Napolitano, con la sua patetica uscita - d'altra parte è noto che raramente, a memoria, ha preso le parti della società civile - non ha inventato niente di nuovo.

Il bazar dei brutti sogni



Con la trepidazione che sempre mi prende quando mi trovo di fronte a un libro inedito del più grande narratore del mondo, mi accingo a leggere il primo della nuova raccolta di racconti di Stephen King, e le premesse sono le migliori.

mercoledì 13 aprile 2016

L'inondazione



Per la serie "libri in cui t'imbatti casualmente in biblioteca mentre cercavi tutt'altro", ho appena terminato L'inondazione, di Adrián N. Bravi. È la storia di un piccolissimo paese argentino, Río Sauce, che un giorno si ritrova sommerso dall'acqua a causa di una alluvione. Tutti gli abitanti se ne vanno, raccogliendo ciò che possono e abbandonando il paese al suo destino. Morales, un anziano signore settantenne, nato e vissuto sempre in quel paese, decide invece di restare, nella speranza, un giorno, che le acqua si ritirino e il paese torni a popolarsi e alla vita di prima. Trasferisce le cose che gli servono nella soffitta e continua la sua vita lì, circondato dall'acqua e uscendo ogni giorno utilizzando una piccola barca.
Colpisce, di questo romanzo, l'attaccamento di questo anziano signore alle sue cose, alle sue radici, alla sua casa natìa, in definitiva alla sua vita, attaccamento che si manifesterà in tutta la sua pienezza e forza nell'irremovibile rifiuto di venderla a una combriccola di imprenditori cinesi, intenzionati a comprare l'intero villaggio per specularci poi su al ritiro delle acque. L'attaccamento di Morales alla suo paese e alla sua casa, pure in quelle disastrate condizioni, simboleggia la lotta che quotidianamente tantissime persone ingaggiano per non perdere le cose care che hanno e che si sono conquistate magari a caro prezzo nel corso della vita.

Lo chiede lui

Ci sarebbe da far notare che quel "saremo noi a chiederlo", che Renzi tende a far passare come gentile concessione, in realtà non è affatto una gentile concessione ma un passaggio obbligatorio previsto dalla Costituzione, che si pone in essere ogni volta che una modifica costituzionale si attua senza la maggioranza dei due terzi dei parlamentari di ogni Camera.
Così, giusto per amor di precisione.

martedì 12 aprile 2016

Casaleggio

Guardo gli undici (11) articoli sulla dipartita di Casaleggio che HuffingtonPost ha in home page in questo momento (http://archive.is/qlaMk), per non parlare di tutte le altre testate, e ho come l'impressione che la linea che idealmente divide il sacrosanto dovere di cronaca dalla inutile santificazione sia fin troppo sottile.
Impressione personale, ovviamente.

lunedì 11 aprile 2016

Tra Renzi, Grossi e le trivelle

Sono passati esattamente otto giorni da quando Renzi se ne uscì con quel "spero che il referendum fallisca", e oggi salta fuori Paolo Grossi, presidente della Corte Costituzionale, a dire che "al referendum si deve votare". Poi ognuno voterà come gli pare, sì o no, ma - continua Grossi - "credo si debba partecipare al voto: significa essere pienamente cittadini". 
Date queste premesse, mi viene da pensare che Renzi, effettivamente, se fosse stato un uomo con un minimo di senso civico e dello Stato avrebbe dovuto invitare i cittadini ad andare a votare, fosse pure ammantando l'invito di motivazioni a favore del no, la posizione a lui più confacente: non credo ci sarebbe stato niente di male. Il fatto invece che abbia spinto inequivocabilmente perché il referendum fallisca, che implicitamente presuppone l'auspicio che l'avente diritto piuttosto che andare a votare se ne vada al mare o in montagna, dimostra appunto l'immagine che ha lui dei cittadini, e in definitiva dà la dimostrazione palese di cosa è lui stesso.

Consiglio d'Europa, interruzione di gravidanza e dintorni

Per una curiosa coincidenza, il monito con cui il Consiglio d'Europa richiama l'Italia a causa dell'impossibilità per le donne di poter ricorrere all'aborto in maniera legale, così come espressamente previsto dalla legge, arriva poche ore dopo la pubblicazione da parte di Bergoglio della sua Amoris Laetita, in cui, tra le altre cose, il finto rivoluzionario "rammenta l'obbligo morale dell'obiezione di coscienza" a chi lavori nelle strutture sanitarie. In linea di principio non ci sarebbe neppure niente di male in quest'esortazione rivolta ai medici e agli operatori sanitari cattolici, ma se Bergoglio fosse realmente il rivoluzionario descritto da tutti, invece dell'imbonitore che è realmente, dovrebbe altresì rammentare che per lo Stato corre l'obbligo di sostituire i medici obiettori con altri medici allo scopo di garantire comunque il servizio a chi ne faccia richiesta. Sì obietterà: ma questa è ingerenza della Chiesa nelle faccende dello Stato Italiano. Certo, ma dov'è la novità?
Là in Europa hanno comunque parecchio fiato da sprecare, dal momento che qua in Italia, specie in certe zone del sud, ci sono percentuali di medici obiettori che oscillano tra l'80 e il 90% del totale - e non saranno certo le loro reprimende a cambiare le cose.
Però la Meloni dice che a Strasburgo "sono ridicoli" e che "In Italia non è troppo difficile abortire: è difficile avere un bambino". Una scemenza di queste dimensioni ce la si poteva aspettare da un Gasparri, un Calderoli o qualcuno di simile, invece è arrivata dalla Meloni, che tutti sappiamo non essere mai stata una grande maître à penser, per carità, ma difficilmente immaginavamo potesse toccare tali vette di sciatteria e insulsaggine. C'è riuscita benissimo.
Ci sarebbe da spendere una parola anche sul commento di Beatrice Lorenzin, ministra della Salute, riassumibile in un laconico "sono stupita". Non si preoccupi, ministra, anche noi siamo stupiti che lei occupi il ruolo che occupa, ma piano piano ci siamo abituati. Abbiamo la fortuna di vivere in un paese dove bene o male ci si abitua a tutto.

domenica 10 aprile 2016

(...)



Non posso fare a meno di pensare che, in un'analoga situazione, qui da noi l'interessato sarebbe andato a riferire da Vespa o dalla D'Urso, oppure da Belpietro o simili.

Cameron e noi

Le proteste nelle strade, successive alla notizia del coinvolgimento di Cameron nella faccenda delle società offshore panamensi, da cui il premier inglese sembra tra l'altro aver avuto vantaggi modesti e indiretti, ricorda quando qua da noi sotto processo per la faccenda Mediatrade c'era il tipo delle cene eleganti, uno che tramite le società offshore avrebbe nascosto al fisco italiano almeno un miliardo e 200 milioni di euro in vent'anni, come risulta dal libro-inchiesta Il cavaliere nero, edito tre anni fa da Chiarelettere.
La differenza tra noi e gli inglesi è che là la gente scende in strada per contestare Cameron, per chiederne le dimissioni, mentre qua da noi la gente aspettava il teleimbonitore all'uscita del tribunale per applaudirlo.

Film già visti

L'incazzatura di Renzi nei confronti della magistratura e delle intercettazioni è un film visto e rivisto, un film che ha avuto il suo ciak con l'inizio di Mani Pulite, forse anche prima, e i cui remake fanno più o meno regolarmente capolino da allora, indipendentemente dai governi e relativi capi. L'apice di questa sorta di "guerra" si è avuta sotto il regno dei vari governi del teleimbonitore, quello della "spiccata propensione a delinquere" di una nota sentenza. Poco è cambiato, da allora, i magistrati sono bravi e vanno rispettati e difesi finché non vengono a mettere il naso nei tuoi affari, dopodiché diventano ospiti fastidiosi e irritanti, specie se con le loro inchieste vanno a mettere il naso in certi affari petroliferi poco chiari come Tempa Rossa, e specie se da ciò deriva un calo di popolarità e gradimento nei sondaggi di qualche premier, magari originario di Rignano.
Gli argomenti, oggi come allora, sono i medesimi, tutti abbastanza ridicoli e un poco capziosi. Si va dai magistrati che sono lenti e non arrivano mai a sentenza (cosa che è in parte vera, dal momento che da vent'anni in qua alla magistratura, come del resto alla scuola e altrove, vengono regolarmente tagliati fondi e risorse e oltre la metà delle procure italiane è sotto organico) alla diffusione indiscriminata delle maledette intercettazioni, sulle quali Renzi ha già promesso un giro di vite, lo stesso giro di vite tantissime volte promesso (e anche tentato) da Berlusconi. (A margine va detto che Renzi sa benissimo che la diffusione delle intercettazioni è già rigidamente normata e che basterebbe fare rispettare tali norme già esistenti. In aggiunta, non si capisce perché incolpi la magistratura per la diffusione delle summenzionate intercettazioni e non rivolga nemmeno una parola di biasimo ai giornalisti, a tutti gli effetti i veri artefici e anche beneficiari della loro diffusione, ma lasciamo stare.)
Notevolmente ridicolo anche il passaggio di Renzi che riprende pari pari un vecchio concetto espresso ripetutamente dal tipo delle cene eleganti, e cioè che è inammissibile intercettare un ministro, ancor di più il premier. Ovviamente Berlusconi sapeva benissimo che l'intercettato non era lui, ma le utenze dei simpatici signori con cui si intratteneva al telefono, tipo Tarantini, ad esempio; quindi, quando Renzi dice che "Intercettare il capo della Marina rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale" sa benissimo che era l'utenza di chi parlava con lui a essere sotto ascolto e non quella del capo della Marina. Ma è noto che la stragrande maggioranza dei destinatari degli sproloqui di Renzi non conosce certe sottigliezze, quindi se li può intortare come vuole.
E il film si ripete.

L'artista dei veleni



Non so se Stephen King abbia davvero letto questo thriller, scritto nei ritagli di tempo da uno sconosciuto avvocato hawaiano - spesso i crediti e le note di elogio che accompagnano i libri sono totalmente inventati per scopi pubblicitari. Fatto sta che il libro, almeno da metà in poi, inchioda alle pagine, tanti sono i colpi di scena di cui è impregnato, e pure riuscire a trovare la soluzione non è facile - io ci sono riuscito non molto lontano dall'epilogo.
Non conoscevo questo Jonathan Moore, ma chiunque sia è riuscito a raccontare in maniera magistrale la storia di un'ossessione, attraverso le figure di un ricercatore, un medico legale, un ispettore di polizia, una fantomatica e tenebrosa figura di donna a metà tra immaginazione e realtà (donna reale o trasposizione immaginaria nella realtà, da parte del protagonista, dell'immagine di donna raffigurata in un vecchio quadro di un vecchio museo?); e poi storie di veleni, rituali antichi, assenzio, il tutto inserito nella cornice del Golden Gate Bridge e della leggendaria San Francisco.
Ripensandoci, non è poi così improbabile che King l'abbia letto e che gli sia pure piaciuto.

sabato 9 aprile 2016

Aprile

Aprile è quel mese in cui si presenta un sabato pomeriggio qualsiasi, e in quel sabato pomeriggio qualsiasi avresti voglia di andare a fare una bella camminata in collina. Però ci sono certi nuvoloni e non sai bene cosa fare. Allora aspetti un po', tentenni, tieni d'occhio il cielo per cercare di capire come potrebbe evolvere la situazione. Poi vedi uno slargo tra le nubi e pensi che la situazione evolva nel verso giusto; allora ti metti le scarpe, infili gli auricolari ed esci di casa. Il tempo di arrivare dal portico al cancello e arrivano le prime gocce, che non sono neppure gocce ma secchiate.
E ti ricordi che aprile è anche questo.

venerdì 8 aprile 2016

L'eterno problema



Che poi è quello che si ripresenta puntualmente ogni volta che entro in biblioteca: cosa prendo? In genere ho già qualche idea, qualche titolo che mi sono preventivamente appuntato sul cellulare, poi però può succedere che quei titoli non siano disponibili perché già in prestito ad altri, oppure che venga calamitato da altri titoli sugli scaffali. Insomma, sia come sia, difficilmente torno a casa coi libri che mi ero prefissato di prendere.
Stamattina, ad esempio, cercavo un libro di Luigi Carrino e uno di Halldor Laxness, e sono uscito con L'inondazione di Adrián N. Bravi, cioè tutt'altro, e tutto perché attirato dalla copertina e della trama. Ma il bello della passione per i libri è anche questo.

Sul matrimonio di Bergoglio

Ogni singolo sproloquio di stamattina di Bergoglio, relativo ai concetti di matrimonio e famiglia, si potrebbe smontare con relativa facilità, avendo voglia e tempo, a cominciare da quello sulla "famiglia naturale", che è un misto tra un ossimoro e una cretinata solenne, fino ad arrivare a quello sul matrimonio, sacralizzato in maniera abnorme e ingiustificata dalla chiesa laddove perfino san Paolo lo considerava qualcosa meno di un fastidioso rimedio per gli incontinenti sessuali - non resci a essere casto? Almeno sposati, cazzo, diceva appunto san Paolo.
La faccenda di come Bergoglio considera i gay, invece, non la commento per decenza.

giovedì 7 aprile 2016

Il papà di Eluana risarcito

Ovviamente non è il risarcimento in sé ad essere importante, quanto l'ennesima conferma che sia Eluana che suo padre sono stati vittime di una gigantesca prevaricazione e privati arbitrariamente del godimento di un diritto sancito da una sentenza inappellabile della Corte di Cassazione. Non occorreva certo la lunga serie di sentenze che negli anni hanno dato ragione a Beppino per rendersi conto di questo, perché è risaputo che la destra e il cattotalebanesimo sono da sempre sinonimi di negazione dei diritti, ovunque essi governino. Adesso la regione Lombardia dovrà risarcire il papà di Eluana per la stronzaggine talebana di Formigoni, che si arrogò arbitrariamente il diritto di disattendere un precisa direttiva emessa dal massimo organo giuridico del nostro paese. E l'arroganza di Formigoni non la pagherà lui - dovrebbe essere il minimo - la pagherà il solito Pantalone, come da triste prassi consolidata.

Via libera a ministra

Era uno di quei dubbi grammaticali che mi assillavano da un po' e di cui, complice la mia leggendaria pigrizia, ho sempre procrastinato il chiarimento definitivo. Dopo aver letto sul Corriere, in bella vista, che l'ex ministra Guidi ha appreso di essere parte lesa nella famosa vicenda petrolifera che la riguarda, mi sono tolto una volta per tutte lo sfizio. Dopo aver consultato il Garzanti e il Devoto-Oli on line, che entrambi classificano il termine ministro solo come sostantivo maschile, senza declinazione femminile, sono andato dai cruscani, i quali hanno sentenziato che ministra è corretto, così come è corretto assessora, chirurga, avvocata (o avvocatessa), sindaca, magistrata ecc.
Lo so, all'orecchio occorrerà tempo ad abituarsi, ma tant'è.

mercoledì 6 aprile 2016

Dàgli al vespone

Magari sbaglio, eh, ma ho l'impressione che tutto il casino sollevato in queste ore dalla notizia della partecipazione alla trasmissione di Vespa del figlio di Riina, non sia dettato in particolar modo dal fatto stesso che il figlio di cotanto mafioso vada in tv, quanto dal fatto che tale partecipazione dà l'opportunità di dare contro a Vespa. Ora, intendiamoci, Vespa è quello che è, e il solo fatto che un figuro simile sia ufficialmente un giornalista, con tanto di iscrizione all'ordine, fa già di per sé impressione, ma sinceramente non vedo motivi per un simile linciaggio mediatico. Figli di mafiosi eccellenti in tv ci sono sempre andati - quante volte Ciancimino junior è stato ospite di Santoro, ad esempio? - ma non ricordo linciaggi simili a quello a cui è sottoposto adesso Vespa, se si escludono gli strilli e gli strepiti del giornalame di destra dell'epoca perché Ciancimino veniva portato in tv da Santoro in chiave antiberlusconiana.
Boh, non so, a me sembra che ci siano ben altri motivi per strepitare, volendo, in particolare pensando a certi connubi tra mafia e politica nazionale e locale, ma evidentemente dare contro al vespone dà più gusto.

Non è solo colpa di Hamer

In genere non me la prendo più di tanto con i criminali come questo Rike Geerd Hamer, ex medico (è stato radiato dall'albo) tedesco attualmente latitante; né, fondamentalmente, me la prendo troppo con chi ci resta secco perché ha scelto scientemente di restarci secco. Me la prendo di più con la dilagante convinzione che rifiutare le cure tradizionali, testate e sperimentate, in favore di approcci terapeutici più "spirituali", totalmente campati in aria e privi di qualsivoglia validazione scientifica, sia una strada percorribile. No, non è percorribile, in primo luogo perché, come abbiamo visto, spesso ci si lasciano le penne, e in secondo luogo perché figlia di un generale e progressivo rimbecillimento collettivo, a sua volta figlio di una dilagante e collettiva refrattarietà all'uso della normale capacità di discernimento, quella che dovrebbe fare suonare almeno un campanello d'allarme quando un cretino qualsiasi ti dice che per vincere il cancro devi sgombrare la mente dai pensieri e dai sensi di colpa.
La progressiva refrattarietà all'uso della normale capacità di discernimento è in sostanza il terreno fertile su cui fioriscono e prolificano la maggior parte delle cretinate pseudoscientifiche che da tempo vanno per la maggiore, come l'affermazione dell'omeopatia, le cure "alternative", il rifiuto dei vaccini perché si dice facciano male, il caso Stamina e via di seguito. La domanda vera è quanti morti saranno necessari ancora prima che la gente si svegli, ma non mi sembra che l'andazzo offra validi motivi di ottimismo in questo senso.

Studiare Gasparri

Il ricordo di Schettino, invitato tempo fa da non ricordo più quale ateneo italiano, è ancora vivo, credo, nella memoria italiana. Ieri si è appreso che alla Sapienza si tengono lezioni con oggetto di studio i tweet di Gasparri.
Ora, pur con tutti gli sforzi possibili non riesco a immaginare quali aspetti del twittare dello sboccacciato senatore - sì, per chi si fosse dimenticato, Gasparri è un senatore - possano essere oggetto di studio, se si escludono naturalmente l'arroganza, l'ignoranza e la maleducazione. Forse la lezione verteva proprio su queste cose qua, e allora, in effetti, chi se non Gasparri avrebbe potuto essere oggetto di studi?
Che tristezza, però.

martedì 5 aprile 2016

L'ira (ilare) di Gentiloni

Quel "Senza svolte Italia pronta a contromisure", lanciato da un apparentemente arrabbiatissimo Gentiloni, che tradotto in linguaggio più adatto al volgo e meno all'istituzione sarebbe più o meno "se non la smettete di prenderci per il culo vi facciamo vedere noi", ricorda un po' i tempi delle elementari, quando di fronte alle continue prese in giro del rompipalle di turno si avevano generalmente due alternative: andare piagnucolando dalla maestra implorandola di redarguire il dispettoso, oppure, quando proprio si arrivava al limite della pazienza, fare la faccia feroce e intimare di persona al rompipalle di smetterla, ché altrimenti avrebbe passato un brutto quarto d'ora.
Fuor di ricordi, che comunque fa sempre piacere rivivere, sarebbe interessante che Gentiloni entrasse un po' più nello specifico e indicasse in cosa consisterebbero queste fantomatiche (e ritorsive) contromisure - da queste parti si sarebbe gravemente curiosi, dal momento che con al-Sisi siamo culo e camicia (Renzi va a trovarlo un giorno sì e l'altro pure) per quanto riguarda certi rapporti economico-commerciali e non solo.
Attendiamo fiduciosi i dettagli.

lunedì 4 aprile 2016

Saramago e i puristi



Non so quanti tra i miei 42 lettori abbiano mai letto qualcosa del premio Nobel per la letteratura José Saramago. Chi l'avesse fatto si sarà sicuramente accorto che il celebre scrittore portoghese, scomparso nel 2010, faceva uso di un tipo di prosa particolare, di cui ci si può fare un'idea scorrendo il brano nell'immagine qui sopra, che è tratto dal romanzo Memoriale del convento, pubblicato nel 1982, che sto leggendo in questi giorni. Tra le peculiarità che caratterizzavano il suo stile di scrittura, c'era ad esempio un utilizzo estremamente anticonvenzionale della punteggiatura, contraddistinto dalla totale assenza di quasi tutti i normali segni di interpunzione. Gli unici utilizzati erano il punto, la virgola e solo in rarissime occasioni il punto e virgola. Nient'altro: né punto esclamativo, né interrogativo, né due punti, né virgolettati per contraddistinguere il discorso diretto - di quest'ultimo si intuiva l'incipit dalla maiuscola inserita nella prima parola. Ne risultavano periodi a volte lunghissimi, caratterizzati da altrettanto lunghe sequenze di incisi, con risultati spesso spiazzanti per il lettore, obbligato a dedicarsi ad una vera e propria "interpretazione" del senso dei suddetti periodi.
Mentre riflettevo sul modo di scrivere di Saramago, pensavo a tutti quelli che sui social e altrove si ergono ad alfieri dell'ortodossia sintattica della lingua scritta, compresi i puristi della punteggiatura, quelli ad esempio a cui vengono le coliche quando si accorgono della presenza contemporanea in una frase della virgola e della e con funzione di congiunzione. Ecco, costoro si leggano un romanzo qualsiasi di Saramago, capiranno che la lingua non è qualcosa di granitico, di statico, ma di liquido, che si trasforma e cambia col passare del tempo - per rendersene conto, senza necessariamente andare a sbattere negli eccessi dello scrittore portoghese, è sufficiente leggere qualsiasi classico in una edizione di qualche decennio fa.

domenica 3 aprile 2016

Cicchitto docet

L'Unità, per bocca di Fabrizio Rondolino, sulla vicenda del famoso emendamento che è costato le dimissioni alla ministra Guidi sposa la tesi di Frabrizio Cicchitto: si tratta di giustizia a orologeria. Una superficiale lettura di questa scemenza, specie da parte di chi non fosse particolarmente dotato di memoria storica, potrebbe produrre la classica alzata di spallucce, per certi versi pure giustificabile.
A chi sia invece rimasto ancora qualche brandello della summenzionata memoria storica, come ad esempio allo scrivente, l'uscita di Cicchitto non può non suscitare una qualche ilarità, per una serie di motivi. Ne cito alcuni.
Fabrizio Cicchitto è stato, nel periodo in cui il sacro berlusconiano impero era nel suo massimo fulgore, oltre che un galoppino di gran fama - uno dei tanti, intendiamoci - anche uno dei principali sostenitori del presunto complotto della giustizia a orologeria. Sintentizzando brutalmente a beneficio dei poveri di spirito, questa scemenza cospirazionista, che in quanto a cretinaggine può tranquillamente essere equiparata a complottismi undicisettembrini, scie chimiche ecc., prevedeva che la magistratura avesse un piano segreto ordito per far cadere e mandare a casa l'illustre cavaliere. Su quali basi si reggeva tale teoria? Sul fatto che alla vigilia o poco prima (a volte pure dopo: dettagli) di ogni appuntamento elettorale, tacchete!, si faceva vivo in qualche modo un Pubblico Ministero o un Giudice. Coincidenze? Sì, coincidenze, e la spiegazione, che valeva allora come vale adesso, è semplicissima: in Italia si vota molto frequentemente (referendum, elezioni comunali, regionali, politiche ecc.) ed esponenti più o meno noti della classe politica locale o nazionale vengono messi sotto inchiesta un giorno sì e l'altro pure. C'è quindi un complotto? No, c'è un ceto politico per larghissima parte corrotto e disonesto e c'è una magistratura che fa quello che è deputata a fare. Tutto ciò che esula da questo semplice quadro può con poco margine di dubbio essere classificato come scemenza.
Oggi il cavaliere non è più in sella, al suo posto c'è il suo naturale erede, e al povero Cicchitto - lui c'è ancora - non sembra vero di poter di nuovo dare aria alla bocca per propinare lo stesso ritornello con cui ci ha fracassato i cabasisi durante il ventennio berlusconiano - e poi, via, ogni essere umano, anche il più insignificante, si dice abbia uno scopo sulla Terra: Cicchitto va inquadrato esattamente in quest'ottica, quella di ricordare ai tre gatti e mezzo che ancora lo ascoltano che esiste un complotto chiamato giustizia a orologeria.
Uno degli aspetti curiosi della faccenda, è che a dare spazio ai deliri del poveretto è L'Unità, la testata che nell'epoca berlusconiana spernacchiava il cavaliere e i suoi corifei ogni volta che tiravano fuori la scempiaggine della giustizia a orologeria. Adesso che L'Unità è per Renzi l'equivalente di ciò che Il Giornale era per Berlusconi, ecco che ciò che era stato sempre etichettato come stronzata viene riabilitato da Rondolino, elevato al rango di notizia e come tale dato in pasto ai lettori de L'Unità, che se tanto mi dà tanto non devono essere granché dissimili da quelli del Giornale.

sabato 2 aprile 2016

Tra Renzi, Guidi e Boschi (e Berlusconi)

Dopo la tempesta (in questo caso ancora in corso), arrivano le inevitabili dichiarazioni che puntualmente si barcamenano tra più o meno riusciti - si vedrà presto - e più o meno divertenti tentativi di minimizzazione e ridimensionamento del fattaccio. L'ha sempre fatto Berlusconi e lo fa naturalmente Renzi, che come è ormai assodato ne è il naturale prosecutore morale, politico nonché comunicativo. A proposito di comunicazione, ci sono credo da rilevare alcune cose che forse a quelli più attenti non saranno sfuggite. In merito alle dimissioni della signora Guidi, ad esempio, Renzi commenta: "...dobbiamo sottolineare che con noi le cose cambiano, chi sbaglia va a casa." Si tratta certamente di un concetto encomiabile, peccato che nella stessa dichiarazione, poche righe sopra, dica: "Guidi non ha commesso alcun tipo di reato o di illecito, ma si è trattato di una telefonata che ha giudicato lei stessa inopportuna." Se la Guidi non ha commesso alcun reato o illecito (cosa che eventualmente sarà stabilita dalla magistratura e non certo dal primo ministro) perché Renzi ha avallato le sue dimissioni? E perché la Guidi può tranquillamente tornarsene a casa mentre la Boschi, che ha controfirmato l'emendamento, viene blindata e guai a chi la tocca? La giustificazione che attualmente va per la maggiore è che la funzione della Boschi (ministro senza portafoglio per i rapporti col Parlamento) è quella di controfirmare di default tutto quello che le passa sotto il naso senza stare tanto lì a controllare e/o sindacare, una specie di automa passacarte, insomma. Questa cosa non la sapevo, confesso, e ciò mi fa presumere che tale carica la possa tranquillamente ricoprire anche il fattorino che a volte la domenica sera mi porta le pizze a casa in scooter. Comunque sia, questa giustificazione mi sembra il classico caso in cui la toppa è peggiore del buco che si vuole chiudere.
Altro aspetto interessante che magari a qualcuno è sfuggito, invece, è costituito da due dichiarazioni di Renzi e della Boschi che, pur lessicalmente differenti, esprimono lo stesso concetto: "...il provvedimento 'Tempa Rossa' e' giusto, porta posti di lavoro, una cosa che avevo annunciato io stesso. E' una cosa sacrosanta, io lavoro perche' si creino posti di lavoro." (Renzi) "Tempa Rossa è un progetto strategico per il paese che prevede molti occupati nel Mezzogiorno e lo rifirmerei domattina." (Boschi)
Le due dichiarazioni, per chi ha buona memoria, riportano a ciò che spessissimo recitava il tipo delle cene eleganti ogni volta che la magistratura metteva il naso nei suoi affari, e cioè che lui era un grande imprenditore che dava lavoro a decine di migliaia di persone e quindi, in virtù di ciò, i giudici avrebbero dovuto avere un occhio di riguardo nei suoi confronti. Il ragionamento è ovviamente capzioso e logicamente fallace perché tenta surrettiziamente di mettere sullo stesso piano due concetti diversi fra loro: la capacità imprenditoriale e il rispetto delle leggi, descrivendoli come se fossero in qualche modo complementari, mentre invece non lo sono affatto. Si può infatti essere bravissimi imprenditori rispettando le leggi così come si può essere delinquenti senza essere più o meno bravi imprenditori. Usando un'iperbole si potrebbe esemplificare il concetto affermando che Madre Teresa di Calcutta sarebbe stata perseguita per omicidio pur essendo Madre Teresa di Calcutta. Ovviamente la stragrande maggioranza dei sostenitori sia di Berlusconi (allora) che di Renzi (oggi) non è formata da persone che brillino particolarmente per capacità critiche e intellettive - in caso contrario nessuno dei due figuri sarebbe stato primo ministro - e quindi sia Renzi che la Boschi possono tranquillamente addurre i posti di lavoro come contropartita, o peggio come sorta di lenitivo penale, di presunti reati o illeciti senza che nessuno abbia nulla da eccepire.

Pape Satàn Aleppe

Ho terminato di leggere poco fa il libro postumo di Umberto Eco, che mi aveva regalato qualche giorno fa Michela in occasione della festa del papà. Il libro racchiude nelle sue 460 pagine 20 anni di articoli scritti dal semiologo/filosofo/tuttologo per Repubblica e Espresso. Io sono di parte, ovviamente, quando si parla di Eco, perché il personaggio è da tempo uno dei miei idoli letterari, almeno a partire da Il nome della rosa in qua, e quindi apparirà sicuramente più dettato da questa ragione che dal fatto che mi è piaciuto davvero il mio modesto invito a leggerlo, ma ovviamente non è così.
Io mi sono principalmente divertito, oltre che a volte commosso e altre volte irritato, perché l'analisi della società, dei suoi mutamenti (messi sotto la lente dal punto di vista politico, della comunicazione, di internet, della linguistica, della storia, della cultura ecc.), delle sue assurdità e contraddizioni Eco la fa appunto utilizzando spesso l'arma dell'ironia, quel'ironia che ha buon gioco a utilizzare chi è possessore di un bagaglio culturale e di intelligenza praticamente sterminati.
Alcuni suoi articoli li ho riletti più volte, tanto mi sono piaciuti, e in più di un'occasione mi sono ritrovato di punto in bianco a profondermi in improvvise e gustose risate che hanno attirato l'attenzione e la curiosità di chi si trovasse in qualche stanza attigua, e che a volte faceva capolino dalla porta per assicurarsi che stessi bene.
Ovviamente stavo bene, come sto sempre bene quando ho in mano un libro. Se poi è un libro di Eco...

venerdì 1 aprile 2016

Il problema non è solo Bertone

Con andamento ciclico ritorna fuori la storia dell'appartamento di Bertone, una storia che, diciamo la verità, ha abbondantemente frantumato le appendici pendule maschili. In tutto questo bailamme di attacchi, invettive e sfottò indirizzati al cardinale, pochi mi sembrano abbiano capito che il problema non è lui ma qualcos'altro, lui semmai è il dito che tutti guardano mentre il problema è la Luna a cui pochissimi prestano attenzione. E la Luna, cioè il problema vero, è l'immenso patrimonio immobiliare, in Italia (più di un quarto di quello di Roma appartiene al Vaticano) e nel mondo, che è riconducibile alla Chiesa Cattolica, e la cui stima precisa crea difficoltà pure a quest'ultima. Bertone e gli altri trenta cardinali - dice lui - che stanno in appartamenti pure più grandi del suo, come se questa fosse una giustificazione, sono la parte più trascurabile del problema, sono dettagli, è come se si discutesse se togliere una badilata di sterco da un mucchio alto come il monte Carpegna faccia qualche differenza.
Certo, è normale che la gente s'incazzi di fronte a queste cose. La stragrande maggioranza delle persone, per riuscire a impossessarsi di un appartamento o una casa dieci volte più piccoli di quello di Bertone e soci, spesso deve lavorare una vita, e imbarcarsi in mutui da portare sul groppone per svariati decenni, quindi è logico che queste storie quando vengono alla luce rimangano indigeste. D'altra parte, come potrebbe essere diversamente? Ma questa, ripeto, è solo una parte del problema.