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sabato 30 gennaio 2021

Cosa hanno mai fatto gli ebrei?

Ho appena terminato questo pregevole saggio scritto dallo storico Roberto Finzi. Come si desume facilmente dal titolo, il libro smonta, alla luce della storia, l'imponente mole di accuse (infondate) che nel corso dei secoli sono state rivolte agli ebrei, tra cui quella principale di deicidio, per poi passare all'altrettanto nota accusa di essere usurai e tutte le altre a seguire. Il libro è godibile non solo perché molto istruttivo, ma anche perché adotta la tecnica narrativa del dialogo, nel caso specifico tra un nonno (che sa molte cose) e la nipotina decenne che lo interroga.

Accanto all'opera di "debunking" dei maggiori pregiudizi, luoghi comuni e bufale che circolano da un paio di millenni sul conto del popolo eletto, il libro è interessante anche perché, seppur per sommi capi, ne narra la storia, a partire dalla diaspora, iniziata con la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 dopo Cristo ad opera dei romani, fino ai giorni nostri.

Tra le cose più interessanti che ho scoperto, di cui non ero a conoscenza, una riguarda il termine antisemitismo. Scrive a tal proposito l'autore: "La parola antisemitismo ha sempre avuto, e ha, effetti terribili. Ma è, per così dire, una parola falsa. Le caratteristiche che attribuisce agli ebrei sono infondate, ma soprattutto è basata su uno stravolgimento del senso dell'espressione semita. Quest'ultimo è un termine che non si riferisce ad alcuna presunta "razza". È una parola creata, anch'essa abbastanza di recente, dagli studiosi che cercano di capire le origini delle lingue e i loro legami individuando, per così dire, le loro "famiglie". Poi l'aggettivo è stato usato per indicare il complesso di popoli che parlavano queste lingue, tra cui il siriaco, l'aramaico, l'arabo, l'ebraico e il fenicio [...] Due osservazioni, allora: come si fa a essere anti, cioè contro, delle lingue. E poi: se ci si proclama antisemiti si è contro una serie di popoli, a cominciare dagli arabi, e non solo nemici degli ebrei."

Un altro interessante aspetto che ha a che fare con gli ebrei riguarda la cosiddetta ghettizzazione, ossia la reclusione in quartieri e in centri da cui non era loro permesso uscire. Questa odiosa pratica fu "ufficializzata" per la prima volta da un editto papale promulgato nel 1555 da papa Paolo IV, editto nel quale si ordinava che gli ebrei vivessero "in un'unica zona". Insomma, ben prima che arrivasse Hitler fu la chiesa a cominciare l'opera. 

Tra l'altro, sempre a proposito di ghetti, è molto curiosa l'origine del termine. Molto probabilmente, scrive sempre Roberto Finzi, il termine nasce con l'istituzione del primo ghetto a Venezia, che fu allestito in un luogo dove precedentemente vi era una fonderia pubblica in cui si costruivano cannoni. La colata di metallo fuso con cui venivano forgiati era chiamata dai veneziani gèto (getto), che gli ebrei di origine tedesca pronunciavano ghèto. Da cui, appunto, ghetto.

L'autore, ultimata la sua opera di sbufalamento dei pregiudizi sugli ebrei, chiude questo interessantissimo saggio ribaltando la domanda iniziale Cosa hanno mai fatto gli ebrei? in Cosa, ancora oggi, molti pensano che abbiano fatto gli ebrei?

venerdì 29 gennaio 2021

L'ombra del vento


Lo so, sarò impopolare, ma non ho mai creduto troppo alla distinzione manichea tra classici e narrativa contemporanea, quella distinzione secondo cui i classici rappresentano letture "alte", di qualità, mentre la narrativa contemporanea risulta velata da quell'aurea di intrinseca mediocrità tipica della letteratura di intrattenimento.

Umberto Eco affermava che pure per lui questa distinzione aveva poco senso. Chi infatti distingue rigidamente tra i passati classici e gli attuali best sellers, diceva sempre Eco, dimentica che nella loro epoca pure i classici erano dei best sellers. Lo è stato (e lo è ancora) la Bibbia, lo è stato Madame Bovary, Delitto e castigo e via andare.

La distinzione, semmai, andrebbe fatta tra buoni libri e cattivi libri, e sia i classici che i best sellers annoverano nei rispettivi cosmi sia buoni che cattivi libri, fermo restando, naturalmente, che qui si entra nel campo della soggettività.

Pensavo questa cosa mentre leggevo le ultime pagine de L'ombra del vento, di Carlos Ruiz Zafón, un romanzo che mi ha tenuto incollato alle pagine esattamente come La montagna incantata di Mann o Il conte di Montecristo di Dumas. Ho trovato L'ombra del vento avvincente, intrigante, a tratti poetico, delicato, mai noioso; un romanzo in cui l'intera gamma dei sentimenti umani (rabbia, dolore, disperazione, delusione, gioia, amore) è espressa con una efficacia e una credibilità che non sfigura davanti ai più blasonati classici.

Ho bestemmiato? Pazienza.

domenica 24 gennaio 2021

Il palazzo

A circa dieci minuti di cammino, sulle colline dietro a casa mia, c'è Palazzo Marcosanti. Le sue origini risalgono alla fine del 1200 e, nel corso dei secoli, è stato oggetto di numerosissime vicende familiari e di altrettanto numerosi passaggi di proprietà: dalla famiglia Malatesta alla casata dei Montefeltro; dal papato alla famiglia Della Rovere del ducato di Urbino, fino ad arrivare, nel 1899, alla sua cessione alla famiglia Marcosanti di Milano.

Ieri, passandoci davanti durante la mia solita passeggiata, pensavo che il castello se ne sta lì da più 700 anni ed era già lì quando attorno non c'era nulla, probabilmente neppure Poggio Berni. 700 anni sono 28 generazioni. Chissà, magari tra altri 700 anni e altre 28 generazioni lui sarà ancora lì al suo posto, e come oggi continuerà a farsi beffe di ciò che accade intorno ad esso, e beffe anche di chi passeggia lì nei pressi pensando all'insignificanza dei pochi anni che a ognuno sono dati da vivere.

venerdì 22 gennaio 2021

Cristianesimo, la religione dal cielo vuoto

Difficile recensire un saggio sul cristianesimo di questa portata. Ci è riuscito molto bene Ettore Fobo in questo suo post. Di mio, aggiungo solo qualche breve nota a margine, ora che ne ho terminato la lettura. La tesi sostenuta dal filosofo Umberto Galimberti, e cioè che la religione cristiana ha perso la sua dimensione sacrale per ridursi sostanzialmente ad "agenzia etica", non è in realtà nuova, è già stata esposta da molti teologi e pensatori cattolici, sia passati che contemporanei, come ad esempio Gianni Baget Bozzo, di cui nel libro vengono citati vari passi dei suoi scritti. Perché il cristianesimo ha perso la sua dimensione sacrale?

Nella sua visione filosofica il termine sacro indica un ambito in cui vige la confusione dei codici, il sacro è il luogo dell'indifferenziato, dove nello stesso momento e allo stesso tempo possono coesistere il benedetto e il maledetto, il giorno e la notte, il giusto e l'ingiusto, il vero e il falso. Le religioni, tutte le religioni, sono nate con la funzione di circoscriverne l'area (religione deriva dal latino religio -onis, a sua volta derivato da relegĕre, cioè "raccogliere"), onde evitare la sua irruzione che sconvolgerebbe l'ordine di una comunità. Il cristianesimo ha desacralizzato il sacro sopprimendo questa sua particolare ambivalenza, assegnando tutto il bene a Dio e tutto il male al suo avversario, Satana, a cui è da ricondurre la vulnerabilità dell'uomo e il suo cedimento al male.

Altro motivo per cui, secondo l'autore, il cristianesimo ha perso la sua valenza sacrale risiede nel fatto che questa religione, a differenza di tutte le altre religioni monoteiste, ha fatto scendere Dio in terra, e con la sua incarnazione ha determinato, come sorta di contrappasso, la divinizzazione dell'uomo, il quale si sente in questo modo autorizzato a ergersi artefice unico della sua storia, indipendentemente dalla presenza o meno di Dio.

Al di là degli aspetti teologici, il saggio è interessantissimo perché abbraccia una grande quantità di temi e offre infiniti spunti di riflessione. Uno dei più interessanti riguarda sicuramente il rapporto tra sacro e follia, un rapporto strettissimo che origina dall'antica cultura greca e che ha attraversato anche tutta la storia dell'Occidente. L'episodio mitologico emblema di questo rapporto è raccontato nella tragedia Le baccanti di Euripide, dove si narra dell'ingresso di Dioniso, dio della follia, a Tebe con conseguente stravolgimento della vita della città. A nulla servono riti e sacrifici per tentare di allontanarlo e riportare la comunità alla normalità: Dioniso se ne andrà solo quando lo deciderà lui. Perché è emblematico questo racconto? Perché ancora agli inizi del Novecento, scrive sempre Galimberti, gli psichiatri che dimettevano un paziente da un manicomio apponevano sotto la loro firma la sigla D.C., che significa Deo concedente. Cioè, se Dio vorrà, se lo concederà, se uscirà dalla testa di quest'uomo, quest'uomo sarà guarito e tornerà alla normalità.

Ma del rapporto tra sacro e follia, tra Dio e confusione dei codici, vi sono vari esempi anche nella tradizione giudaico-cristiana. Dove altro si potrebbe inserire, ad esempio, l'episodio biblico in cui Dio chiede ad Abramo di sacrificare il figlio Isacco per dimostrargli la sua fedeltà, episodio su cui pensatori come Tommaso d'Aquino e Kierkegaard e altri hanno scritto pagine bellissime? Ma anche la vicenda biblica di Giobbe si potrebbe citare tranquillamente, perché, nel suo epilogo, Giobbe commette l'errore più grande che uomo possa fare: tentare di fare ragionare Dio. Con Dio non si ragiona, Dio è di là della ragione, di ogni codice razionale, di ogni morale, e si inserisce in quell'ambito compreso tra la follia e il sacro di cui oggi il cristianesimo ha perso ogni traccia. E l'ha persa da quando ha abbandonato il timore di Dio in favore di un dio padre descritto noiosamente come sempiterno buono e infinitamente misericordioso, l'esatto opposto del dio delle scritture, che è sì buono, ma anche terribile.

D'altra parte, su quali basi si può ammantare di sacralità una religione, quella cristiana, ormai ridotta ad agenzia etica? Come può essere espressione di un Dio che per sua natura è aldilà di ogni regola, di ogni morale, di ogni ragione, una religione che occupa gran parte dei suoi sforzi a dettare regole su temi etici prettamente umani come aborto, divorzio, fecondazione assistita e tutto il resto? Dov'è la dimensione del sacro in questo parossismo di codici e regole, espressioni di categorie umane che la società potrebbe benissimo definire e regolare da sé? Semplicemente, non c'è. E la crisi profonda del cristianesimo, che oggi è sotto gli occhi di tutti e si accompagna alla crisi dell'Occidente perché cristianesimo e storia dell'Occidente sono intimamente legati, appare oggi, come mai prima d'ora, senza ritorno.

mercoledì 20 gennaio 2021

Giuramenti e rimpianti

Due pensieri che mi sono venuti in mente mentre guardavo in streaming alcuni momenti del giuramento di Joe Biden. Il primo è un pensiero di sollievo e al tempo stesso di preoccupazione, perché è vero che il peggior presidente degli USA ce lo siamo tolti dai piedi, ma è altrettanto vero che sarà molto più difficile per gli USA sbarazzarsi del trumpismo.

Il secondo pensiero è per il grande Vittorio Zucconi. Pensate se ci fosse stato anche lui a commentare, come solo lui sapeva fare, la cerimonia del giuramento.

[...]





(da Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto. Umberto Galimberti)

Azzurrina e il CICAP

Il mio amico Maurizio mi ha segnalato via mail il video di Massimo Polidoro in cui si analizza il mistero del fantasma di Azzurrina. Dovete sapere che a dieci minuti da casa mia c'è il castello di Montebello. Come ogni castello che si rispetti, è abitato da un fantasma, che nello specifico ha le sembianze di una bambina albina, scomparsa nelle viscere del castello stesso tanti anni fa. Ogni cinque anni, nella notte del 21 giugno, il fantasma di Azzurrina rifà capolino nelle segrete del castello, e qualcuno ne avrebbe addirittura registrato le voci.

Sono tutte favole, naturalmente, ma conosco persone che, pur dietro l'apparente scetticismo, si chiedono: Ma come hanno fatto allora a registrare le voci? Beh, lo spiega Massimo Polidoro. :-)


martedì 19 gennaio 2021

Vaccini e PIL

L'infelice uscita di Letizia Moratti secondo cui occorrerebbe vaccinare prima le regioni col PIL più alto, solleva, come era prevedibile, ondate di indignazione. Non piace neppure a me quell'uscita, a scanso di equivoci. Vorrei però fare presente che, nella sua innocente ingenuità, la signora Moratti ha espresso verbalmente ciò che è costume e cultura imperanti, ciò che è inconscio collettivo. Se si nasce e si vive in un certo "ecosistema", ciò che poi si esprime ne è infatti il suo riflesso. 

Vaccini anti-covid a parte, è infatti stranoto che chi ha maggiori possibilità economiche si può curare con maggiore efficacia e minore attesa rispetto a chi ha poche o nulle possibilità economiche. È sempre stato così e, temo, sarà sempre così. Quindi sì, indignamoci pure per ciò che ha detto la signora Moratti, ma conserviamo anche qualche moto di indignazione per il sistema nel suo complesso, di cui il pensiero della Moratti è figlio.

lunedì 18 gennaio 2021

La scomparsa del pensiero

Ermanno Bencivenga, filosofo e logico, non è il primo che scrive libri su quella che è probabilmente la maggiore rivoluzione antropologica a memoria d'uomo, ossia la progressiva perdita della capacità di pensare e ragionare. L'hanno fatto prima di lui altri rinomati filosofi, psicologi e pensatori: Emanuele Severino, Giulio Giorello, Umberto Galimberti, Paolo Crepet, Vittorino Andreoli. Eppure, nonostante la sua portata, nel dibattito collettivo questa rivoluzione, che sarebbe meglio chiamare involuzione, è quasi del tutto assente. Se non pochi addetti ai lavori, nessuno o quasi ne parla, nessuno le dedica prime pagine o trasmissioni televisive. La politica figurarsi, dal momento che campa su questo.

Questo ottimo saggio di Bencivenga ha il pregio di essere chiaro, diretto, ficcante, e descrive il problema andando subito al sodo, senza fronzoli. E questo già dall'introduzione, nel quale l'autore scrive: "Perché un candidato alla presidenza degli Stati Uniti può vincere le elezioni sbraitando menzogne come 'Costruirò un muro tra gli Stati Uniti e il Messico e a pagarlo saranno i messicani'? Perché abbiamo voglia di comprare un Nespresso dopo aver visto l'ennesima pubblicità con George Clooney? Perché se ci troviamo in una città sconosciuta camminiamo con lo sguardo incollato allo schermo del telefonino, preoccupati solo di non perdere di vista Google Maps?"

Queste, e altre domande presenti nel libro, hanno una risposta che sostanzialmente le accomuna: la rinuncia al pensiero. Trump, che fortunatamente siamo oggi riusciti a toglierci dai piedi, vinse le elezioni nel 2016 vomitando durante tutta la campagna elettorale promesse surreali. E ancora oggi, pur avendo perso, ha potuto mettere in saccoccia decine di milioni di voti nonostante abbia condito i suoi quattro anni di presidenza con una infinita sequela di bufale, sciocchezze pseudo-scientifiche e stupidaggini logiche.

Ma anche noi, su questo versante, non siamo purtroppo messi meglio, e i due anni di governo con Salvini al ministero dell'Interno sono solo l'ultima delle dimostrazioni. Ma prima di questo c'è stato il famoso/famigerato ventennio in cui Berlusconi ha fatto il bello e il cattivo tempo, riducendo la politica a mero veicolo per la soddisfazione di istanze del tutto personali (chi ha seguito quel periodo politico sa benissimo a cosa mi riferisco), continuando malgrado ciò a mantenere alti consensi. Tutto ciò è ancora una volta dimostrazione della perdita di raziocinio e di senso critico di buona parte delle italiche genti. Berlusconi e Salvini, ma anche tanti altri (ad esempio Renzi, giusto per restare all'attualità), hanno tratto grandissimi vantaggi politici da questo rifiuto/incapacità ormai generalizzati di mettere sulla graticola gli annunci, di problematizzare gli slogan, di passare al vaglio della ragione l'infinita teoria di improbabili promesse che a cadenza giornaliera vengono date in pasto all'opinione pubblica da chi a vario titolo amministra la cosa pubblica. Siamo probabilmente di fronte a una delle maggiori rotture epistemologiche della storia recente e questa rottura sta passando praticamente inosservata.

La gravità della cosa è che non si tratta di mettere in discussione assunti particolarmente complicati o articolati, ma vere e proprie banalità. Scrive a questo proposito Bencivenga: "Se io argomento che i migranti andrebbero respinti alla frontiera perché quelli che ho incontrato sono delinquenti, la logica mi farà notare che ho incontrato una minima percentuale di migranti e su tali basi non posso fondare affermazioni generali relative a tutti i migranti e all'approccio che dovremmo avere nei confronti di (tutti) loro. Se argomento che respingere i migranti alla frontiera creerà più posti di lavoro per chi è nato in Italia, la logica mi farà notare che non è detto che chi è nato in Italia voglia sobbarcarsi i lavori dei migranti (e magari citerà l'esempio degli Stati Uniti, dove questa ipotesi si dimostra falsa). In casi del genere la logica, lungi dall'inchiodarci a percorsi inevitabili, ha un effetto liberatorio: spalanca un ambito di possibilità alternative che i pregiudizi (le fette del salame sugli occhi) ci impediscono di cogliere e apprezzare."

Le obiezioni logiche e razionali menzionate dall'autore nei due esempi sono banali, se ci fate caso, eppure, nonostante questa banalità, vengono generalmente rifiutate, per il semplice motivo che metterle in discussione significa mettere in discussione la fedeltà a chi le ha pronunciate, significa mettere in discussione la propria fede politica, mettere in discussione i propri pregiudizi; in una parola: mettere in discussione la propria identità. E di fronte a questo non c'è razionalità che tenga.

Ma l'abbandono della razionalità, argomenta sempre l'autore, è un fattore di successo da parte di chi ne sa utilizzare le potenzialità perché, dal punto di vista antropologico, fa leva sullo spirito di imitazione di un modello (un capo carismatico, un personaggio pubblico famoso ecc.), e questo vale per la politica, per la pubblicità e in qualsiasi altro ambito in cui esista un progetto che abbia come subordine la persuasione delle masse. Dal punto di vista antropologico, nella storia dell'evoluzione umana il pensiero e il ragionamento sono conquiste relativamente tardive; prima che si sviluppassero, gli uomini erano membri di un branco e questo branco era sempre dominato da un capo, generalmente incarnato da una figura più carismatica delle altre. La pubblicità e la politica, oggi, fanno esattamente questo: agiscono sulla nostra leva interna che riporta in vita quell'antico meccanismo che la conquista del pensiero e del ragionamento avevano neutralizzato e relegato nell'oblio.

In altre parole, la perdita della volontà/capacità di pensare ci riporta ai tempi arcaici in cui un gruppo di persone era sostanzialmente succube della volontà di un capo. Esattamente ciò che succede oggi: un politico con una spiccata capacità affabulatoria può fascinare un vasto seguito di persone sparando valanghe di bufale, sicuro che nessuno o quasi avrà voglia (o capacità) di metterle in discussione. Qui, naturalmente, si apre un doloroso capitolo inerente alla qualità di una democrazia che si regga su masse pilotabili senza particolari difficoltà, proprio perché hanno delegato ad altri la facoltà di pensare e ragionare per esse.

La progressiva scomparsa del pensiero e del ragionamento ha, tra le sue principali cause, la velocità con cui oggi vengono veicolate le informazioni e con cui la tecnologia media e gestisce le interazioni umane. Chiunque abbia un profilo su qualche social network sa benissimo cosa intendo. Le comunicazioni sono velocissime, stringate perché sono disponibili solo un tot di caratteri, e la risposta dev'essere immediata altrimenti si esce dal "gioco". Se io ricevo una mail e non rispondo dopo poco tempo, mi arriva una telefonata con cui mi si chiede ragione della mancata rapida risposta. Non esiste più il tempo della riflessione, tutto si deve svolgere in tempo reale (qui ho raccolto alcuni esempi fatti dall'autore del libro). La televisione, naturalmente, si è subito adeguata alla situazione, basta guardare un qualsiasi talk-show su qualsiasi rete: le interazioni tra i partecipanti sono basate esclusivamente sulla sulla ripetizione ossessiva di slogan e dettati ipnotici dietro ai quali, nella stragrande maggioranza dei casi, non esiste alcun ragionamento. Lo scopo è esclusivamente quello di "demolire" l'avversario e mai quello di discutere costruttivamente. Chi provasse a imboccare la strada del ragionamento costruttivo, ne uscirebbe sicuramente sconfitto. 

A questo proposito riporto un esempio tratto dal libro, relativo al famoso referendum costituzionale del 2016. Scrive l'autore: "Durante la campagna referendaria del 2016 si svolsero numerosi dibattiti tra i sostenitori del Si e del No. Uno di questi mi sembrò particolarmente significativo, perché mise a confronto non solo due personaggi di parere discorde, ma due opposti linguaggi. Andò in onda a LA7 nella serata di venerdì 30 settembre; i due personaggi erano il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il giurista, già presidente della Corte Costituzionale, Gustavo Zagrebelsky. I due parlarono a lungo ma non interagirono mai perché si muovevano su piani paralleli: Zagrebelsky ragionava, con metodo e pazienza (o almeno ci provava, tra un'interruzione e l'altra); Renzi enunciava slogan, non capiva (o faceva finta di non capire) quel che diceva il suo interlocutore e cambiava discorso. Il giorno dopo, con poche eccezioni, i mezzi di comunicazione proclamarono una netta vittoria mediatica di Renzi. Avendo seguito il dibattito, pensavo che Zagrebelsky avrebbe certo potuto, talvolta, essere più incisivo, ma pensavo pure che tra le sue articolate argomentazioni e le battute, spesso ad personam, del suo avversario ci fosse un abisso e mi sentii riportato indietro di 2500 anni, al Gorgia di Platone, là dove Socrate pone in contrasto la sua logica serrata con gli appelli alla pancia del pubblico di retori e sofisti."

Insomma, in televisione, come sui social, come ormai nella società tutta, non vince chi ragiona e argomenta ma chi è più veloce a partorire slogan, che nessuno ormai metterà più in discussione. Non so quanto sia percepita e quanto desti preoccupazione questa rivoluzione/involuzione di cui, volenti o nolenti, siamo vittime, questa perdita della capacità di pensare e ragionare. A me, moltissimo.

L'epoca dei Lumi

Stamattina, camminando, ho ascoltato questo bellissimo documentario sull'Illuminismo presentato dall'impareggiabile Alessandro Barbero. Se avete una cinquantina di minuti liberi, in cui magari non sapete cosa fare, e sempre che la storia vi interessi, dateci un'occhiata, ne vale la pena. Ha più o meno la stessa durata della conferenza di Conte, ma volete mettere quant'è più interessante? Garantisco io.

domenica 17 gennaio 2021

Curiosità e tempo

Ieri pomeriggio, camminando, pensavo che mi piacerebbe comprare un manuale di anatomia. Non per diventare un medico, figuriamoci, ma perché sono curioso di sapere un po' dettagliatamente com'è fatto il corpo umano. 

Poi mi piacerebbe comprare un manuale di chimica, perché anche se alle superiori in chimica avevo due, oggi penso che la chimica sia interessantissima, dal momento che le reazioni chimiche stanno alla base di tutta la nostra vita, compreso ogni gesto che facciamo.

Poi vorrei un manuale di astrofisica. Un paio d'anni fa ho letto Dal big bang ai buchi neri, di Stephen Hawking, e mi ha affascinato. Poi ho letto libri della Hack, di Guido Tonelli, tutti interessantissimi.

Poi vorrei manuali di storia, perché anche la storia è affascinante. Ho letto libri di Yual Noah Harari, di Franco Cardini, di Mieli. Ma anche la psicologia è interessante. Ho letto libri di Crepet, Galimberti, Andreoli, Benasayag.

Ma c'è un problema: il tempo. Tempo e curiosità non vanno d'accordo. Essere curioso di tutto e non avere tempo materiale sufficiente per soddisfare la curiosità come si deve (perché nella vita devo fare anche altre cose, come ad esempio lavorare) è una maledizione.

Ecco, noi curiosi abbiamo una maledizione sul capo: la mancanza di tempo.

Sulla scomparsa del pensiero


(da La scomparsa del pensiero. Perché non possiamo rinunciare a ragionare con la nostra testa, Ermanno Bencivenga)

sabato 16 gennaio 2021

venerdì 15 gennaio 2021

Descrizioni

Philip Roth, in Nemesi, per descrivere il dottor Steimberg riempie mezza pagina. Stephen King, nell'autobiografia On writing, dice che quando descrive un personaggio di un suo libro usa al massimo tre righe e del personaggio in questione accenna solo pochi e vaghi tratti fisici. In questo modo, dice sempre King, il lettore costruisce il personaggio da sé, con la propria immaginazione. È come se lo facesse maggiormente suo. 

Per quanto mi riguarda, come lettore tendo più a essere d'accordo con King. Poi, certo, si tratta di dettagli che poco o nulla influiscono sulla qualità complessiva di un romanzo.

giovedì 14 gennaio 2021

Politica per pochi

Non so se alla fine questa crisi di governo sarà ufficializzata oppure no, e a dirla tutta non mi importa neppure granché. Renzi, che io detesto da tempi non sospetti, cioè da quando salì alla ribalta della politica nazionale, come del resto testimoniano queste pagine, non è che l'ultimo della lista ad aver messo in crisi un governo per puro tornaconto personale. Nel caso contingente, un interesse personale ancora più effimero perché dettato non tanto da motivazioni utilitaristiche ma dal mero desiderio di non cadere nel dimenticatoio. Tutto qua. Per lui, già il solo fatto di essere per un giorno in cima ai trend topic di Twitter è motivazione sufficiente per causare tutta questa confusione.

Poi, per carità, può darsi benissimo che nelle trenta pagine di richieste e rimostranze inviate a Conte ci sia anche qualcosa di condivisibile - non lo so, non le ho lette - ma le modalità e i tempi con cui Renzi e il suo partitello con percentuali da prefisso telefonico hanno innescato questa crisi, ancora tutta in divenire, autorizzano con una certa sicurezza a pensare che quelle trenta paginette siano solo un pretesto.

Niente di nuovo, come sa chiunque abbia seguito le evoluzioni politiche nostrane degli ultimi cinque o sei lustri. Quante legislature, negli ultimi trent'anni, sono durate cinque anni, il loro lasso di tempo fisiologico? Una? Due? E quante una o due anni se non addirittura pochi mesi? Infinitamente di più, direi. Certo, in larga parte questa instabilità è dovuta anche ai meccanismi elettorali con cui si formano le maggioranze dopo ogni voto, ma la causa preponderante risiede sempre nei personalismi, nella smania di protagonismo e nell'ambizione di soddisfare piccoli interessi di parte o di bottega. Della politica intesa come interesse collettivo, come capacità e volontà di frustrare e accantonare, magari anche solo momentaneamente, idee e interessi personali in nome di un bene più grande, non c'è più traccia, ammesso che un tempo ci sia stata.

Il senso della vita


Credo non esista nessuno che non si sia mai chiesto se la vita abbia un senso, e ciò è dimostrato dal fatto che attorno a questa domanda l'umanità ha riempito mari di libri. Anche Philip Roth se lo chiede, attraverso la domanda che Mr Michaels pone al suo interlocutore nel romanzo Nemesi

Io penso, molto banalmente, che la vita in sé non abbia senso; siamo noi, se riteniamo che ne valga la pena, a dargliene uno. La vita biologica nostra, come qualsiasi altra forma di vita che ci circonda, non ha alcun senso. Che senso ha, ad esempio, che tra il cordolo del marciapiede e l'asfalto spunti qualche ciuffo d'erba? Nessuno. Semplicemente, in quel piccolo spazio ci sono un po' di terriccio e di umidità e la vita nasce.

Se la vita avesse un senso chiaro, definito, gli uomini non continuerebbero ancora oggi a cercarlo, ne avrebbero coscienza e chiusa lì. Va detto comunque, e questo è innegabile, che se tutto fosse chiaro fin da subito la vita sarebbe infinitamente più noiosa.

lunedì 11 gennaio 2021

Direttissimo

Nel racconto Direttissimo, di Dino Buzzati, si narra di un misterioso viaggiatore che sale su un treno, un treno potente, veloce, che scalpita per partire. Il treno, una volta partito, corre imperioso tra campi, monti, case, paesi, finché giunge alla prima stazione. Il viaggiatore scende perché qui ha appuntamento con un ingegnere per concludere un progetto. Al tavolo di un bar l'ingegnere comincia a tirare fuori da una cartellina i documenti del progetto, ma nota nel viaggiatore una certa fretta, una certa ansia. Un po' contrariato, chiede al viaggiatore se per caso abbia fretta. Questi risponde di non avere fretta, però... insomma, il treno sta per ripartire e teme di perderlo. L'ingegnere invita allora il viaggiatore ad andarsene, il progetto lo concluderanno un'altra volta. Il viaggiatore corre e riesce a risalire sul treno un attimo prima che parta.

Il convoglio arriva alla seconda stazione con mezzora di ritardo. Qui il viaggiatore ha appuntamento con Rosanna, il suo amore. Scende, cerca, ma di Rosanna non c'è traccia. Dopo un po' la scorge. È di spalle e sta uscendo dalla stazione. La chiama ma lei non sente ed è ormai uscita. Lui fa per correre e raggiungerla, ma il treno ancora una volta si accinge a partire. Non sa bene cosa fare. Alla fine decide, con tristezza, di tornare al treno, il quale ricomincia la sua corsa imperiosa finché giunge alla terza stazione del viaggio. 

Giunge alla terza stazione con qualche ora di ritardo. Qui il viaggiatore deve incontrarsi con sua madre. Scende dal treno ma non riesce a trovarla. Sulla banchina ci sono poche persone. A un certo punto riesce a intravederla da una finestra della sala d'aspetto ed entra. Lei è seduta su una panchina, si è addormentata. Quando si sveglia e lo vede, sorride. Lui le chiede se è da tanto tempo che lo aspetta e lei gli risponde che lo aspetta da anni. Poi un velo di perplessità le si disegna sul volto quando si accorge che lui non ha con sé le valigie, e alla sua domanda su dove siano il viaggiatore risponde che sono rimaste sul vagone. La donna si intristisce perché capisce che suo figlio non resterà, e il treno sta per ripartire. Lui vede la tristezza della madre e le dice che correrà subito a scaricare le valigie per restare con lei.

Ma la madre glielo proibisce e gli dice che no, lui deve continuare il suo viaggio perché quel paese è piccolo, vuoto, non c'è niente per cui valga la pena restare, e a lei è stato sufficiente averlo rivisto. A malincuore, lui risale sul treno e riparte, e dal finestrino vede la madre andarsene, lentamente e mestamente, via dalla stazione. Il racconto si chiude con questa riflessione del viaggiatore: "Con un ritardo di anni e anni accumulati siamo così di nuovo in viaggio. Ma per dove? Cala la sera, i vagoni sono gelidi, non c'è rimasto quasi più nessuno. Qua e là, negli angoli degli scompartimenti bui, siedono degli sconosciuti dalle facce pallide e dure che hanno freddo e non lo dicono. Per dove? Quanto è lontana l'ultima stazione? Ci arriveremo mai? Valeva la pena di fuggire con tanta furia dai luoghi e dalle persone amate? Dove, dove ho messo le sigarette? Ah, qui nella tasca della giacca. Certo, tornate indietro non si può."

Mentre terminavo questo malinconico e struggente racconto, dalla potente valenza metaforica, mi venivano in mente i versi di Guccini: "Noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa..."

domenica 10 gennaio 2021

Racconti brevi

Sto leggendo una raccolta di racconti di Dino Buzzati: 60 racconti. Ogni tanto mi capita di leggere raccolte di racconti, anche di altri autori. I racconti hanno, specialmente quelli molto brevi come quelli che sto leggendo, almeno un vantaggio e almeno uno svantaggio. Il vantaggio è che si tratta generalmente di letture leggere e consentono, a differenza dei normali romanzi, di arrivare immediatamente all'epilogo della storia. Lo svantaggio è dato dal fatto che, abituato a leggere romanzi, inizio il racconto con lo stesso spirito, per poi trovarmi dopo poche pagine al termine della storia. Una cosa leggermente destabilizzante a cui mi devo ancora abituare. :-)

sabato 9 gennaio 2021

Di atei, credenti, Hitler e Mussolini

Ogni tanto vado a ripescare su Youtube i video che accumulo nella sezione Guarda più tardi, quelli che accantono lì provvisoriamente per mancanza di tempo per poi guardarli quando posso. Stamattina ho dato un'occhiata a un paio di questi. Il primo è di Roberto Mercadini, scrittore e narratore di Cesena, molto attivo anche su Youtube, che a me piace molto e che in un paio di occasioni ho avuto piacere di vedere a teatro. Il video in questione si intitola Gli atei credono? e smonta in maniera abbastanza divertente e intelligente il luogo comune secondo cui anche l'ateismo sarebbe una fede.

Credo sarà capitato a ogni ateo (a me tantissime volte) di sentirsi dire: Tu credi che Dio non esista, quindi anche tu credi in qualcosa, anche la tua è una fede. Una volta controbattevo utilizzando mie argomentazioni, oggi certe discussioni non le affronto più perché da tempo mi sono accorto che non hanno senso, ma semmai dovesse capitami ancora, controbatterò molto più velocemente linkando direttamente il video di Roberto qui sotto.

 

 

L'altro video molto bello, visto sempre stamattina, ha come protagonista Alessandro Barbero. Titolo: Mussolini e Hitler: Buoni o cattivi? La risposta sembrerebbe scontata, almeno a chi abbia una vaga idea di chi erano i due tipi, ma forse non lo è, e non lo è perché quando si entra in contatto con personaggi storici così vicini a noi l'approccio nei loro confronti non si limita più alla loro conoscenza storica ma investe anche la sfera identitaria di chi studia i personaggi storici in questione. 

Come dice giustamente Barbero, oggi a chi frega di sapere se fossero più cattivi gli ateniesi o gli spartani, i Guelfi o i Ghibellini? Ma quando ci si avvicina a Hitler e Mussolini la cosa cambia, e di molto, perché in Germania esistono partiti che ancora oggi si richiamano al nazismo e in italia abbiamo partiti e movimenti che si richiamano al fascismo. Siccome è usanza comune, purtroppo, categorizzare ogni cosa sulla base delle proprie idee, ecco che il discorso si complica.

De Gregori, in una sua canzone, diceva che Mussolini ha scritto anche poesie. Non so se sia vero, ho letto molti libri sulla storia del fascismo ma nessuna biografia di Mussolini. Potrebbe essere anche vero, certo, ma se anche fosse, questa cosa non sarebbe certo sufficiente a inserirlo nella categoria dei buoni.


giovedì 7 gennaio 2021

Addii dolorosi

Furono in tanti a pronosticare che l'uscita di scena di Trump non sarebbe stata indolore, e questo già prima che iniziasse la competizione elettorale terminata a novembre con la vittoria di Biden. Molti di meno, probabilmente nessuno, si aspettava che l'epilogo avrebbe assunto tali dimensioni di tragicità. Eppure la cosa non deve stupire, ma era semmai da mettere in conto.

Trump abbiamo imparato a conoscerlo bene. Senza spendersi in inutili edulcorazioni, lui incarna nella sua persona razzismo, sovranismo, complottismo, violenza, disprezzo per le regole, e il suo "esercito" non può che essere formato da persone che a loro volta incarnano le stesse caratteristiche. Se per quattro anni, ogni giorno, vomiti via social complottismo, razzismo e violenza verbale; se quotidianamente additi al pubblico ludibrio i tuoi "nemici", crei quella dicotomia manichea che alla fine, disperatamente, fornisce l'input a quell'"esercito" per uscire dai social e passare all'azione.

Credo che gli USA abbiano parecchio da imparare e parecchio su cui interrogarsi dopo ciò che è successo tra questa notte e oggi a Washington. E anche noi, qua, sarà il caso che qualche riflessione la facciamo.

mercoledì 6 gennaio 2021

Euro 13,89

"Tutto è provvisorio: l'amore, l'arte, il pianeta Terra, voi, io. La morte è talmente ineluttabile che coglie tutti di sorpresa. Come sapere se questo giorno è l'ultimo? Crediamo sempre di avere tempo. E poi, di colpo, puf, non ci siamo più, fine del tempo regolamentare. La morte è l'unico appuntamento non segnato sul vostro organizer. 

Tutto si compra: l'amore, l'arte, il pianeta Terra, voi, io. Scrivo questo libro per farmi licenziare. Se mi dimettessi non beccherei l'indennità. Mi tocca segare il confortevole ramo su cui sto appollaiato. La mia libertà si chiama sussidio di disoccupazione. Preferisco essere sbattuto fuori da un'impresa che dalla vita. PERCHÈ HO PAURA. Intorno a me i colleghi muoiono come mosche: idrocuzione in piscina, overdose di cocaina fatta passare come infarto del miocardio, jet privati che si schiantano, capriole in cabriolet. Ora, questa notte ho sognato che affogavo. Mi sono visto affondare, carezzare le mante, con i polmoni pieni d'acqua. Lontano, sulla spiaggia, una bella donna mi chiamava. Non potevo risponderle perché avevo la bocca piena di acqua salata. Annegavo, ma non gridavo aiuto. E tutti facevano la stessa cosa. Il mare era pieno di nuotatori che affogavano senza invocare soccorso. Penso sia ora che lasci tutto perché non riesco più a stare a galla. 

Mi chiamo Octave e mi vesto da APC. Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l'universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai: cielo sempre blu, ragazze sempre belle, una felicità perfetta ritoccata in Photoshop. Quando, a forza di risparmi, voi riuscirete a pagarvi l'auto dei vostri sogni, quella che ho lanciato nella mia ultima campagna, io l'avrò già fatta passare di moda. Sarò già tre tendenze più avanti, riuscendo così a farvi sentire sempre insoddisfatti. Il Glamour è il paese dove non si arriva mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C'è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel nostro mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché chi è felice non consuma."

Forse non servirebbe aggiungere altro per descrivere questo libro, basterebbero le frasi citate qui sopra. Queste pagine sono una confessione, la storia (vera) di un pubblicitario che un giorno ha deciso, e riuscirci non dev'essere stato facile, di ravvedersi e di abbandonare tutto ciò per cui era vissuto: creare pubblicità, e di raccontare in un libro cosa era la sua vita prima di abbandonare tutto. Inutile dire che, dopo la pubblicazione, l'uomo è stato licenziato su due piedi.

I pubblicitari sono quelli che decidono come ci si veste, quali macchine guidare, quali cibi mangiare, quali saranno i desideri venturi, e lo fanno utilizzando sapientemente l'arte della persuasione. Viviamo oggi, per la prima volta nella storia, nell'epoca in cui una dittatura non si instaura con le armi, le bombe o il terrore, ma con la persuasione, e la pubblicità è il suo braccio armato. Pubblicità che non serve più, come accadeva in altri tempi, a reclamizzare prodotti, ma bisogni. Siccome viviamo in una società che è satura di prodotti, per continuare a fare girare il mercato occorre reclamizzare falsi bisogni, poi, quando il falso bisogno viene interiorizzato, ecco pronto il prodotto che lo soddisfa.

Questo libro-confessione racconta in maniera lucida, spietata, a volte delirante, cosa c'è dietro a questa nuova forma di dittatura le cui regole sono dettate esclusivamente dal consumismo e dal mercato. È una lettura che apre gli occhi su molte cose, compresi molti degli insani meccanismi su cui si regge la nostra società. Se avete una decina di minuti liberi, qui trovate un video molto ben fatto di Giandomenico Bagatin in cui l'autore aggiunge altri dettagli e legge alcune delle parti più significative del libro.

domenica 3 gennaio 2021

Strade vuote

Una conseguenza bella, probabilmente l'unica bella, del lockdown è che le strade non appartengono più solo alle macchine. Ci si può camminare in mezzo, e perfino mettersi a danzare sulla linea di mezzeria. È ciò che ho fatto oggi pomeriggio salendo a piedi verso Poggio Berni dopo aver lasciato Palazzo Marcosanti. Ho camminato in mezzo alla strada, provando quella sensazione di crepuscolare solitudine che a me piace. 
Forse qualcuno mi ha visto, sbirciando dalla finestra di una casa lì vicino, e magari ha pensato: Quello non è normale. 

Chissà che non avesse un po' ragione.

sabato 2 gennaio 2021

Tra albero di Natale e ferrovia

Tre cose che ho imparato leggendo Lo Zahir, di Paulo Coelho. La prima riguarda proprio lo zahir. Scrive Fauborg Saint-Péres: "Secondo lo scrittore Jorge Louis Borges, l'idea dello zahir viene dalla tradizione islamica, e si ritiene sia nata intorno al XVIII secolo. Zahir, in arabo, vuol dire 'visibile', 'presente', 'incapace di passare inosservato'. Qualcosa o qualcuno che una volta che si è stabilito il contatto, finisce per occupare a poco a poco il nostro pensiero, fino al punto che non riusciamo più a concentrarci su nient'altro. E ciò può essere considerato santità o follia."

La seconda riguarda l'albero di Natale. Presso le antiche popolazioni germaniche era usanza, una volta all'anno, mettere dei regali sotto una quercia per i bambini dei villaggi. Questo rituale si svolgeva in onore del dio Odino bambino, rituale che fu poi 'criatianizzato' da San Bonifacio. Le origini della tradizione dell'albero di Natale derivano quindi da questo antico culto pagano.

La terza cosa che ho scoperto riguarda i binari del treno, la cui distanza in Europa è di 143,5 centimetri tra uno e l'altro. Perché questa distanza? Perché all'inizio, quando si cominciarono a costruire i primi vagoni, la misura della loro larghezza venne stabilità sulla base delle misure delle antiche carrozze trainate da cavalli. Ma perché le carrozze, a loro volta, erano di questa misura? Perché erano costruite sulla base della misura della larghezza delle strade. Ma perché, andando ancora più indietro, le strade erano di questa misura? Perché gli antichi romani, i costruttori di strade migliori del mondo, avevano stabilito la loro larghezza basandosi su quella dei carri da guerra che utilizzavano nelle battaglie, i quali erano sempre trainati da una coppia di cavalli appaiati che occupava lo spazio di 143,5 centimetri. Riassumendo, la distanza che oggi separa i binari delle linee ferroviarie standard in Europa deriva da una misura stabilita dagli antichi romani.

Poi qualcuno dice che a leggere romanzi non si impara niente.

Miserie

Scriveva Guccini: "Quando sono di umore nero, allora scrivo, frugando dentro alle nostre miserie". Mi è venuta in mente questa cosa delle miserie leggendo ciò che è successo in Liguria dopo che Giovanni Toti ha dato il benvenuto ai primi nati sul suolo ligure dopo la mezzanotte del trentuno, tra cui una bimba nata da genitori nigeriani. Toti si è azzardato a postare su facebook "Benvenuti ai nuovi liguri" per salutare l'arrivo di questi bambini. Apriti cielo!

Esponenti leghisti si sono rivoltati, indignati. "Non si può definire italiano, né ligure, chi nasce sul nostro territorio da genitori stranieri. Auguri e benvenuti a tutti i nuovi nati del 2021 in Liguria, ma ribadiamo che per essere italiani e liguri sia necessario intraprendere un percorso ben definito" ha sentenziato un esponente della lega ligure. 

Chissà cosa prevede questo percorso? Forse imparare a usare i congiuntivi come il Trota o usare il tricolore per pulirsi il culo come faceva Bossi? Oppure un buon piazzamento in una gara di rutti a un simposio leghista? Una buona chance potrebbe essere postare video su YouTube in cui si canta di napoletani colerosi come faceva Salvini? Ci spieghi, l'esponente leghista, cosa prevede questo percorso, perché da queste parti si è curiosi.

Quando toccherà a me?

Camminando, mi accorgo che davanti ai cartelloni lungo la strada a cui vengono affissi gli annunci funebri c'è sempre gente, c'è sempre qualcuno interessato a sapere chi è passato a miglior vita. Mi chiedo sempre perché. Sicuramente per sapere se se n'è andato qualche conoscente, magari qualche lontano parente. Ma sono convinto che molti, guardando quegli annunci, pensano al giorno in cui su quel cartellone ci saranno loro e altri passanti leggeranno della loro dipartita.

venerdì 1 gennaio 2021

Buon 2021

"E il mio maestro m'insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire."

Franco Battiato

È l'augurio di buon 2021 che rivolgo ai miei 32 lettori: che ognuno riesca sempre a vedere un po' di alba dentro a ogni imbrunire.
Buon anno nuovo.