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mercoledì 31 maggio 2017

Direzione (PD)

Sono arrivato al punto che mi infastidisce anche il solo ascoltare per sbaglio la sua voce, com'è successo stamattina, quando Radio Capital ha trasmesso un paio di passaggi del suo intervento alla direzione PD. A volte mi domando come facciano quelli che lo seguono a farsi affascinare da uno così. Uno che nei due anni che è stato al governo è riuscito a disattendere e a non mantenere tutto ciò che poteva disattendere; uno che ha costruito un partito più personalistico di quanto fece Berlusconi col suo; uno che ha fatto della strafottenza e del dileggio dell'avversario, dove per avversario si intende chiunque avesse idee diverse dalle sue, il suo preferito modus operandi. Uno che si era impegnato reiteratamente e solennemente a dimettersi e a mollare la politica in caso il 4 dicembre avessero vinto i no, come è effettivamente successo. È tutto come se niente fosse, come se quella colossale batosta non ci fosse mai stata, è tutto dimenticato. D'altra parte noi non siamo l'Inghilterra, dove un David Cameron qualsiasi - che anche lui non è mai stato 'sta gran cima - riesce a dimostrare il minimo sindacale di serietà e dignità dimettendosi da tutto, come aveva promesso, dopo il referendum sulla Brexit. Non siamo l'Inghilterra, siamo il paese dove una qualsiasi Wanna Marchi della politica può rifarsi una verginità in pochissimo tempo, ché qua la memoria è sempre stata corta.

lunedì 29 maggio 2017

Se il chirurgo sbaglia

Boh, non so, a me questa vicenda ha colpito molto. Certo, è normale che tragedie del genere colpiscano, credo, ma ancora di più mi ha colpito la reazione del chirurgo, all'insegna della totale ammissione del suo errore senza alcuna attenuante e del sentirsi morire dentro dopo aver provocato una tragedia del genere. Sarà forse perché viviamo ormai in una società dove l'ammissione di aver sbagliato viene vista come una debolezza, un difetto, e quindi si tende sempre a cercare scuse, giustificazioni, non so. È una di quelle tragedie da cui si esce male quale che sia la prospettiva da cui si guarda. Dispiace infatti per il giovane paziente deceduto, tra l'altro un padre con moglie e figli, e dispiace per il chirurgo che ha commesso l'errore che ha causato la tragedia. 
Difficile commentare.

sabato 27 maggio 2017

Marchisio e i migranti

Ciò che più provoca irritazione nella vicenda di Marchisio, che sulla sua pagina facebook ha scritto un post di grande sensibilità sulla tragedia dei migranti, sono i commenti dei soliti premi Nobel per la capacità intellettiva secondo i quali, siccome lui è ricco, "certo discorsi non fanno per voi", magari accompagnati dall'accusa di "ipocrisia della peggiore e stucchevole". Questi premi Nobel per l'imbecillità dovrebbero spiegare perché un giocatore che guadagna milioni di euro ogni anno non possa provare tristezza e dispiacere per le tragedie che accadono ogni giorno nel Mediterraneo, e perché rendendo pubblici questi sentimenti passi automaticamente da ipocrita. Esiste per caso un automatismo, magari descritto da qualche postulato della fisica, che equipara ricchezza e cinismo oppure ricchezza e superficialità? Non mi risulta. Ma naturalmente io non sono un Nobel come quei commentatori, quindi chissà...

Otite e omeopatia

Chissà, forse tragedie simili hanno una correlazione con il calo delle vaccinazioni, ma è solo un'ipotesi, basata sulla possibilità che in entrambe le situazioni i soggetti interessati si facciano forti della stupida convinzione che il corpo umano basti a se stesso nel contrastare le patologie che gli capita di ospitare. Se la piega di regressione presa dalla società cosiddetta evoluta comincia ad arrivare a questi livelli, non mi stupirò se prima o poi qualcuno inizierà a curare i propri figli coi medievali salassi.

giovedì 25 maggio 2017

Un altro lascito del berlusconismo



La questione in sé non mi interessa più di tanto. Mi interessa molto di più il relativo commento di Matteo Renzi, quello che leggete qui sopra, perché emblematico di un modo di pensare ormai talmente diffuso da essere purtroppo diventato quasi naturale: la delegittimazione di un organo inquirente quando un suo pronunciamento va in senso contrario a quanto era nelle aspettative. In questo caso sul banco degli imputati è il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, che, chiamato a pronunciarsi sulle modalità di nomina di alcuni direttori di prestigiosi musei italiani, ha trovato delle irregolarità e ha disposto, a causa appunto di queste irregolarità, la decadenza di alcuni di essi dalla carica ottenuta. In un paese normale si sarebbe preso atto di questa sentenza e ci si sarebbe adoperati per rifare le cose a regola d'arte, nel nostro no. Il primo che avrebbe dovuto prendere questa strada ammettendo gli errori e impegnandosi a ripararli, prende invece l'altra strada, quella del ridicolo. Il TAR sentenzia che ci sono delle irregolarità? È il TAR che sbaglia, e come tale andrebbe cambiato. Se ci pensate, è uno dei tanti lasciti di quel berlusconismo che ha ammorbato l'Italia nell'ultimo ventennio: il disprezzo per il rispetto delle regole e l'idea che queste si possano e si debbano cambiare al fine di piegarle a un proprio interesse personale.
Triste, ma è tutto qua.


mercoledì 24 maggio 2017

Bei ragazzi in salute

L'ennesima strage nel canale di Sicilia, dove la maggior parte delle persone decedute erano bambini, mi ha fatto venire in mente una breve conversazione che ebbi con una monumentale testa di cazzo che, per qualche oscuro motivo, incrociò anni fa la mia strada - ci vuole pazienza, la vita è difficile che ti metta accanto solo persone intelligenti e sensibili, sarebbe chiedere troppo, non credete? Si discuteva appunto delle migrazioni, uno dei maggiori problemi che deve affrontare la società contemporanea, europea ma non solo, un problema complesso, ricco di sfaccettature e implicazioni, e che appunto a causa di questa complessità è impensabile immaginare di risolvere con quelle quattro stronzate che sparano Salvini e accoliti vari ogni volta che aprono bocca. Ecco, mentre io cercavo di spiegare a lui qualche scampolo di questa complessità, sperando in qualche modo di fare breccia nello spessa coltre di ottusità che permeava la sua attività neuronale, lui se n'è venuto fuori, a un certo punto, con qualcosa tipo (vado a memoria): "Ma tu dove li vedi tutte queste donne, questi bambini in fuga da guerra e miseria? Io vedo passare dei gran ragazzotti tutti belli pimpanti, in salute, atletici..."
Da quel preciso momento ho capito che stavo sprecando fiato ed energie, ché la coltre di ottusità era non solo impenetrabile ma addirittura inscalfibile, e subitaneo è partito il mio vaffanculo, il solo linguaggio che il mio sfortunato interlocutore era evidentemente in grado di intendere.

lunedì 22 maggio 2017

Divertissement

Nelle ultime ore ci è giunta notizia di un ottuagenario pregiudicato che (ri)discende in campo travestito da animalista e di un comico ricco sfondato che definisce il suo movimento come quello dei nuovi francescani. Chissà se anche negli altri paesi la politica è così tragicamente divertente?

Facebook non ce la farà mai

Credo che il social di Zuckerberg, dal quale mi sono definitivamente cancellato qualche mese fa e senza nessun rimpianto, non riuscirà mai darsi una regolazione degna di questo nome per quanto riguarda il contenimento di contenuti di sesso esplicito, violenza, terrorismo, razzismo ecc. E non ci riuscirà mai perché, come del resto ammette sottovoce chi ha avuto accesso ai manuali di regolazione, non è tecnicamente e umanamente possibile monitorare ciò che mettono in rete quasi due miliardi di utenti. Come infatti scrive Wired, "Facebook analizzerebbe più di 6,5 milioni di segnalazioni a settimana relative ad account potenzialmente falsi (Fnrp, cioè “fake, not real person”). I documenti rilasciati ai moderatori nell’ultimo anno, danno la misura di quanto difficile possa essere per chi fa il loro lavoro prendere decisioni (spesso in poco più di 10 secondi)."
È una battaglia persa, via.

venerdì 19 maggio 2017

Sul Briatore pensiero

Ieri sera, in macchina, ho ascoltato su Radio Capital Vittorio Zucconi che intervistava Flavio Briatore per telefono. Ora, per fare in modo che ascoltiate l'intervista per intero, in caso vi interessi, dovrei andare a cercare il relativo podcast e linkarvelo, ma non ne ho voglia. In ogni caso, tra le tante cose dette dal noto imprenditore, alcune giuste e altre a mio giudizio emerite corbellerie, ce n'è stata una che mi ha lasciato perplesso. In realtà non è un concetto nuovo, anzi negli ultimi anni se ne parla parecchio, purtroppo. La faccio breve. 
Briatore, su domanda di Zucconi relativa a come abbia iniziato la sua carriera di imprenditore, ha detto di aver iniziato da giovanissimo a lavorare. Non subito come imprenditore, ovviamente; da ragazzino andava infatti a raccogliere le mele nei campi per guadagnare qualche soldino, il resto è venuto dopo, piano piano. Di qui, lo spunto per tornare sul vecchio ritornello che lavori come quello, e altri simili, i giovani d'oggi non hanno più voglia di farli, perché studiano, vanno all'università e quando escono di lì non è che si mettono a raccogliere mele o fragole. E non è vero - ha continuato sempre Briatore - che il lavoro non c'è: c'è, ma di questi tempi occorre anche adattarsi, e pure se laureati, piuttosto che stare a casa senza fare niente sarà pur meglio andare a raccogliere fragole, o no? Zucconi gli ha replicato che è un po' difficile pensare che un architetto o un medico o un ingegnere o un letterato freschi di laurea si adattino a raccogliere mele o a fare i carpentieri. Allora non studino, ha ribattuto il primo: facciano la scuola dell'obbligo e poi s'imparino un mestiere. E al diavolo l'istruzione.
Ora, a me questa cosa qui ha fatto venire in mente un vecchio articolo che Camillo Langone pubblicò qualche anno fa su Il Foglio di Ferrara, dove diceva che la denatalità progressiva e inarrestabile, nel nostro paese, è da addebitare alla sempre maggiore quota di donne che preferisce andare all'università e prolungare gli studi piuttosto che stare in casa e cominciare a fare figli. Con due figlie all'università, potete capire quale potrebbe essere stata la mia reazione a una anacronistica e maschilista stronzata come questa. Ecco, mi pare che questo concetto possa essere appaiato a quello espresso ieri sera da Briatore: Langone incolpava l'università della denatalità, Briatore incolpa l'università della disoccupazione. Insomma, chi studia è la causa di tutti i mali che affliggono la società moderna. La soluzione, quindi, qual è? Semplice: smettiamo tutti di studiare. Diventeremo così un popolo di ignoranti più di quanto non siamo già - e si sa che gli ignoranti sono più facilmente manipolabili degli acculturati - però risolleveremo l'Italia.

Il lungo racconto dell'origine



Leggendo questo libro mi è capitato più di una volta di pensare che gran parte dell'umanità avanza, progredisce, mentre una piccola parte continua a rimanere, perché vuole rimanere, al palo della conoscenza, e mi riferisco ad esempio a cose come quel 42 percento di americani che ancora dà credito al creazionismo, cose tipo Dio che ha creato l'uomo un diecimila anni fa (e perché non ventimila, già che c'era?) com'è adesso, bypassando l'evoluzione, e stupidaggini di questo genere. La Hack, in questo bellissimo saggio, spiega come gran parte delle antiche civiltà conosciute (Babilonesi, Cinesi, Maya, Inca ecc.) si è posta di fronte alle fatidiche domande relative a come sia nato l'universo, come sia nato l'uomo e via andando. Perché non è che questi interrogativi sono peculiarità dell'uomo moderno, ma hanno assillato i nostri progenitori fin da quando hanno messo piede sulla Terra. Ecco, i creazionisti che ancora credono in queste cose qua, e rivendicano con fervore la giustezza delle loro stupidaggini, è come se fossero ancora ai tempi delle antiche civiltà di cui sopra. 
Contenti loro.

mercoledì 17 maggio 2017

Ma la querela della Boschi a De Bortoli?

Ora, intendiamoci, non è che a queste cose qua si dia importanza più di tanto, ma se non ricordo male, appena poche ore dopo la pubblicazione dell'anticipazione tratta dal nuovo libro di De Bortoli, anticipazione che tirava in ballo la fatina buona delle riforme Maria Elena Boschi in merito a un suo interessamento nella vicenda banca Etruria/Unicredit, la signora in questione, tra tuoni, fulmini e lampi d'ira, minacciava già querela, ma proprio immediata, eh, roba da uscire subito di casa e precipitarsi alla più vicina Procura. Sono passati un po' di giorni, ormai, e della suddetta querela contro De Bortoli non risulta ancora esserci traccia. Si ipotizza che, sbollita l'incazzatura, magari l'avvocato le abbia fatto presente che a querelare qualcuno poi si va in tribunale e la spinosa vicenda va in mano a un giudice, e il giudice è lì per indagare, e il Ghizzoni poi viene chiamato a raccontare la sua versione, e al giudice non è che puoi raccontare balle perché poi se ti sgama sono guai. Comunque, com'è come non è, 'sta querela ancora non c'è. Chissà.

martedì 16 maggio 2017

Ancora su Medjugorje

Non è esatto dire che "Medjugorje continua a rischiare di dividere la Chiesa cattolica", rischio che sembra debba palesarsi dopo le recenti affermazioni con cui Bergoglio ha sostanzialmente bollato come bufale le ultime esternazioni della Madonna di quella zona. Non è esatto perché non si divide qualcosa che è nato su una frattura. Chi non conoscesse gli antefatti storici - e l'ottimo Malvino li narra superbamente qui - di tutto ciò che ruota attorno alle apparizioni in quella turbolenta zona dei Balcani, sappia che tutto ebbe inizio nel periodo a cavallo tra il XIV e il XV secolo, e sostanzialmente si riduce a una eterna diatriba tra la Chiesa di Roma e l'ordine francescano sotto la cui giurisdizione cadeva la regione di Mostar. Le presunte apparizioni, che si inseriscono in questo contesto storico, hanno sempre avuto ben poco di mistico e molto di geopolitico. Ma la storia, si sa, è notoriamente appannaggio di pochi, e quindi lasciamo pure credere che il rischio di una divisione ci sia.

domenica 14 maggio 2017

Uno degli ultimi Guccini



Ieri sera io e Chiara siamo andati a Cesena, al Carisport, a sentire Francesco Guccini, uno dei miei miti giovanili e l'autore delle canzoni accompagnando le quali, da giovinetto, imparai i primi accordi sulla chitarra. Non è stato un concerto nel senso classico del termine, dal momento che il cantautore modenese si è ritirato dal mondo della musica dopo l'uscita del suo ultimo album, L'ultima Thule, mi pare del 2013. Lo spettacolo che sta portando in giro in questo periodo prevede una prima parte parlata, in cui il cantautore, dietro input di un giornalista che colloquia con lui ponendogli domande, racconta aneddoti, ricordi, disquisisce di letteratura, di musica, raccontando come sono nate molte sue canzoni e molti suoi libri, e parlando delle differenze tra il mondo della sua generazione e quello di oggi. Quindi Guccini si eclissa ed entra in scena una band, composta da alcuni dei musicisti (i Musici) che lo accompagnano da una vita, che ripropone i suoi pezzi di maggior successo. 
Guccini è un narratore, nasce come tale, il fatto che poi si sia incanalato sulla via della musica è sostanzialmente fortuito. A proposito del narrare, riporto uno dei tanti aneddoti raccontati da lui stesso ieri.
Un giorno, quando Guccini era in quinta elementare, suo padre andò dal maestro per chiedere un po' come andasse. Durante il colloquio il maestro chiese a Guccini padre: "Senta, ma il suo figliolo cos'ha intenzione di fare da grande? Quali aspirazioni ha?" Il padre, borbottando qualcosa con l'aria vagamente contrita, rispose: "Mah, non so, lui continua a dire che vorrebbe fare lo scrittore..." Il maestro guardò il padre, perplesso, poi gli disse: "Lo scrittore? Ma se scrive come un cane... Gli dica di fare qualcos'altro, forse è meglio." Com'è andata a finire lo sappiamo. Molti dei testi di Guccini sono entrati nelle antologie e vengono fatti studiare nelle scuole, mentre i suoi romanzi e saggi sono da anni apprezzatissimi da pubblico e critica - leggete Questo sangue che impasta la terra, giusto per citare uno dei suoi romanzi più belli.
Mi ha fatto un certa impressione ascoltare Guccini parlare, con il lucido affaticamento e trascinamento di parole a volte smozzicato tipici dei settantasettenni reduci da una vita trascorsa fumando due pacchetti al giorno. Per me sarà sempre un grande.

sabato 13 maggio 2017

Serracchiani e lo stupro

Credo che la infelice (eufemismo) uscita di Debora Serracchiani sulla maggiore o minore inaccettabilità di uno stupro, secondo lei determinata dallo status di chi lo commette, si possa spiegare in due modi. Il primo è che l'esponente pidina pensi realmente ciò che ha detto e che quindi abbia espresso il concetto in buona fede, convinta della sua giustezza; il secondo è che la signora Serracchiani conoscesse benissimo fin da subito la fallacia del suo pensiero ma che l'abbia esternato ugualmente per meri motivi di ricerca di consenso da parte di un certo tipo di elettorato, e non è difficile capire quale. In ambedue i casi, la signora da questa storia esce male, anzi malissimo.

venerdì 12 maggio 2017

Vaccini obbligatori a scuola?

Personalmente sono favorevolissimo a rendere obbligatorie le vaccinazioni per decreto pena l'esclusione dalla scuola pubblica. Già adesso l'ingresso viene ad esempio negato a chi arriva in ritardo o non paga la retta, non vedo perché non si possa negare a chi, a causa di un suo comportamento scellerato, mette a rischio la salute di tutti (oltre alla propria, ovviamente). La ridicole obiezioni che l'obbligatorietà potrebbe ledere il diritto allo studio, sancito dalla Costituzione, non stanno né in cielo né in terra, perché se è vero che il suddetto diritto è di tutti, a maggiore ragione è di quelli, meno fortunati, che a causa di patologie gravi che hanno ricadute sul normale funzionamento del sistema immunitario i vaccini non li possono fare - per essi rappresentano realmente un pericolo. Chi si vaccina, quindi, e questo proprio nella zucca di tanti non vuole entrare, non protegge solo se stesso, protegge anche chi, per cause indipendenti dalla sua volontà, è maggiormente a rischio perché i vaccini non li può utilizzare. Vaccinarsi, quindi, anche come atto di responsabilità sociale. Non è un concetto difficile da incamerare, o almeno non dovrebbe esserlo.

mercoledì 10 maggio 2017

Ah, ma allora la conosco

Quando ho letto della morte di tale Robert Miles, non dicendomi il nome assolutamente niente istintivamente ho pensato a qualche musicista americano o inglese. Invece no, era un dj italiano, anzi, non un dj, il dj, almeno a giudicare dai titoli. Addirittura, scrive Repubblica, era niente meno che il re della musica trance. E cos'è la musica trance? Sono un musicista, ma di musica trance non ho mai sentito parlare. Certo, è normale, io sono un musicista nel senso classico del termine e quindi era da mettere in conto la mia ignoranza sulla musica trance. Così mi sono documentato e ho dato un'occhiata su Wikipedia, dove ho trovato: "La Trance è un genere di musica elettronica nato all'inizio degli anni novanta in Germania. Si ritiene che questo nome sia dovuto all'ipotesi che la profondità di questi suoni riesca a provocare uno stato di trance psichica indotto da una sensazione di estasi." Per farmi un'idea di 'sta roba qua, ho quindi ascoltato sul tubo il maggior successo del dj in questione, Children, e ho realizzato di averla ascoltata infinite volte alla radio pur non sapendo come si chiamasse e di chi fosse. Il guaio è che la ossessiva ripetitività della struttura melodica di base, che caratterizza il pezzo in questione, a me non ha dato alcuna sensazione di estasi - figurarsi l'induzione di uno stato di trance psichica. Di solito sensazioni simili all'estasi le provo di fronte a certi riff o assoli di David Gilmour, certe melodie di Vangelis, certi virtuosismi di Benedetti Michelangeli e via di questo passo - gli esempi che potrei portare sono infiniti - ma credo sia perché musicalmente sono molto all'antica, e tutto sommato mi crogiolo in questo mio arcaismo musicale.

lunedì 8 maggio 2017

Quale flop?

A parte il fatto che, checché ne dica Repubblica, i dati relativi alle celebrazioni di unioni civili in Italia sono grosso modo in linea con quelli degli altri paesi europei, non si capisce che senso abbia definire flop il numero di tali celebrazioni. La legge sulle unioni civili è una legge che garantisce dei diritti a persone a cui prima erano negati a causa del loro orientamento sessuale, discrimine che questa legge ha rimosso, quindi già il solo fatto che si sia finalmente riusciti ad approvarla è di per sé un successo. Il vero flop, semmai, è che per approvare una legge di civiltà ci siano voluti venticinque anni, altroché il numero di quelli che l'hanno utilizzata.

domenica 7 maggio 2017

Il vaccino non è un'opinione



Più che un saggio nel senso classico del termine, si tratta di un manuale, col quale il noto virologo, diventato famoso soprattutto grazie ai suoi interventi sui social, scritti nella (vana) speranza di riuscire a far rinsavire qualche antivaccinista, spiega cosa sono i vaccini, come funzionano, perché è indispensabile farli, per sé ma anche per gli altri, smontando, dati ed evidenze scientifiche alla mano, la marea di pericolose stupidaggini messe in campo ogni giorno da chi proprio non vuole capire. Burioni è uno scienziato, i vaccini sono il suo campo e li studia da oltre trent'anni, e tuttavia qui usa un linguaggio semplice, adatto a chi, come lo scrivente, di queste cose capisce poco o niente. È anche un testo onesto, nel senso che Burioni non nega che i vaccini possano avere controindicazioni o dare luogo a problemi anche di una certa gravità, come ad esempio successe in Italia con quello contro la poliomielite a cavallo tra gli anni '80 e '90. Nel libro ricorre spesso il sostantivo/aggettivo somaro, per indicare la vasta pletora di quelli nella cui ottusità neppure i numeri, i dati, le evidenze scientifiche riescono a fare breccia, e sono tanti, purtroppo. A mio modesto parere, però, questo libro, nonostante l'encomiabile sforzo dell'autore, non servirà a niente, nessun antivaccinista cambierà idea leggendolo (quando mai dovesse leggerlo), per il semplice fatto che si tratta appunto di somari, ed è noto che contro la cocciutaggine di questi qui non esiste niente di efficace. Figurarsi un libro.

sabato 6 maggio 2017

Tutto questo casino sulla legittima difesa per niente

Forse sarebbero stati sufficienti una lettura attenta del testo di legge e una minima capacità di comprensione della lingua italiana per capire che tutto il cancan di questi giorni, sui social ma anche fuori, su 'sta benedetta legittima difesa, non ha mai avuto alcun fondamento, come spiega Malvino sul suo blog. Detto questo, lo scrivente si accoda a quanti, nelle stesse ore, hanno descritto la legge in questione come l'ennesimo tassello di una regressione verso l'inciviltà e la disumanità, regressione ormai iniziata da tempo e trasformatasi definitivamente in inarrestabile valanga.

Ti prendo e ti porto via



Ti prendo e ti porto via è l'ennesima dimostrazione che i libri che si leggono per caso, magari solo perché il titolo attira in qualche modo l'attenzione, sono a volte quelli più belli. Così è stato per me questo di Ammaniti, autore di cui ho sempre sentito parlare ma di cui non avevo mai letto niente. Un romanzo a tratti crudo, la cui maggiore peculiarità, oltre all'indiscussa capacità di Ammaniti di coinvolgere con la sua scrittura, è senz'altro quella di riuscire a inserire in maniera perfetta spunti ironici e divertenti all'interno dei drammi raccontati nel romanzo, drammi che coinvolgono le vite di Pietro e Graziano, i due protaonisti principali del libro.
Ne leggerò sicuramente altri, di suoi.

giovedì 4 maggio 2017

Zuccaro le informazioni le ha prese da internet

Dice il procuratore Zuccaro che le informazioni sui presunti legami tra scafisti e Ong le ha prese da internet e che non ha prove di quanto afferma. Io sono rimasto ai tempi in cui un procuratore, quando aveva notizie di reato di qualsiasi tipo, faceva indagini, e solo quando aveva qualcosa di concreto in mano dava fiato alle trombe, ma devo essere rimasto indietro.

mercoledì 3 maggio 2017

Inchiesta sul cristianesimo



Quando dissi a un mio amico, protestante, di aver letto questo libro, egli si alterò assai, così come si alterarono assai le alte gerarchie vaticane quando uscì. Non tanto per il contenuto, o almeno non solo per quello, ma per il successo che ebbe. Insomma, Inchiesta sul cristianesimo ebbe il merito (o la colpa, dipende) di aver fatto arrabbiare sia i cattolici che i protestanti. Il titolo, a dire la verità, credo sia abbastanza fuorviante, perché il termine inchiesta dà l'idea nell'immaginario collettivo di un'indagine approfondita messa in atto con lo scopo di ricercare degli illeciti in qualche ambito, e quindi presumo che sia stato utilizzato per stimolare la curiosità in questo senso, quello cioè di dare ad intendere che si ricercassero degli illeciti nella storia del cristianesimo. In realtà non è un'inchiesta, è semplicemente il racconto, sotto una luce eminentemente storica, della nascita del cristianesimo - il libro prende in esame il periodo storico che va dalla nascita di Cristo fino alla fine del IV secolo, che gli storici fanno coincidere con la caduta dell'Impero Romano. 
È un libro che dovrebbe leggere quel 90 e passa per cento di fedeli che ogni domenica va a messa senza sapere niente riguardo alle origini del culto che settimanalmente va a professare. Scoprirebbe ad esempio che Cristo non ha mai detto né scritto da nessuna parte di voler fondare una religione che portasse il suo nome, specialmente una religione a struttura piramidale e fortemente gerarchizzata, dove il potere temporale e il potere economico imperano a scapito di quello spirituale. Scoprirebbe che il cristianesimo non nasce di punto in bianco come religione a sé stante, ma all'inizio non è che una delle tante correnti dell'ebraismo, da cui si staccherà un secolo e mezzo dopo la morte di Cristo non senza dissidi e contrasti. Scoprirebbe che, fatto cento la figura di Cristo, novantacinque è mitologia e cinque storia, e via di questo passo. Ma è difficile che chi crede legga saggi storici di questo tipo, perché richiedono curiosità e voglia di conoscere, e pure l'accettazione del rischio di mettere in gioco certe certezze fideistiche ormai interiorizzate e consolidate. 
Impensabile.

Basta la punteggiatura












La questione della corretta ortografia e del corretto uso dei segni di interpunzione, tutta roba a cui oggi non si dà più alcuna importanza, per me, che per 'ste cose ho una specie di mania, rimane fondamentale. La prima cosa che guardo in chi scrive, non è il suo pensiero, ma il modo in cui lo mette giù, solo in seconda battuta mi interesso al significato dello scritto. La scemenza scritta da Pepe che leggete qui sopra, ad esempio, l'ho etichettata come tale prima ancora di cominciare a leggerla, quando, buttando l'occhio, ho notato puntini di sospensione buttati lì alla cazzo, punti interrogativi doppi e scorretto utilizzo degli spazi di battuta. È bastato questo a farmi presagire che il contenuto che questo grossolano utilizzo della punteggiatura voleva incorniciare sarebbe stato una scemenza. Poi, leggendolo, ho avuto conferma, ma lo sapevo già.

lunedì 1 maggio 2017

Nuovo che avanza dopo le primarie

La prima tornata di primarie per decidere il nome del Segretario nazionale del Partito democratico si tenne nel 2007. Si recarono a votare 3.554.169 persone (vinse Veltroni, per la cronaca, con quasi 2.700.000 voti). Un'altra tornata ci fu nel 2009, quando si recarono a votare 3.102.709 persone (qui vinse Bersani). Arriviamo quindi alle famigerate primarie del 2013, trampolino di lancio di quella specie di teleimbonitore rieletto ieri. Qui votarono 2.814.881. Arriviamo così alle primarie di ieri, in cui hanno votato 1.848.658 persone. Al teleimbonitore sono andati 1.283.389 voti, quasi 580.000 in meno rispetto a quanti ne prese quattro anni fa.
Ricapitoliamo schematicamente: 

2007: 3.554.169 votanti.

2009: 3.102.709 votanti.

2013: 2.814.881 votanti.

2017: 1.848.658 votanti.

Ora, non ci vuole una laurea in matematica per vedere come il numero di votanti alle primarie si sia quasi dimezzato in dieci anni, e non ci vuole neppure troppa arguzia nell'arrivare a comprendere la percentuale di consensi che si ricava rapportando il milione abbondante di voti presi ieri dal tipo ai 54 milioni e passa di aventi diritto. Detto in altri termini e numeri alla mano, il teleimbonitore sta sulle appenedici pendule a grandissima parte degli italiani nella peggiore delle ipotesi, in quella migliore è a loro totalmente indifferente. Con questo background di consensi sulle spalle, il teleimbonitore è risalito su quella sella sulla quale, appena pochi mesi fa, dopo che 20 milioni di persone l'avevano mandato sonoramente a casa, promise di non sedersi più, e oltretutto ammantando questo ritorno con la stessa stronzaggine e aura da salvatore della patria di allora, che gli permise di guadagnarsi il titolo di uomo italiano che più sta sulle palle agli italiani. In aggiunta, al tipo spetta adesso l'improbo compito di rifarsi una verginità e di tornare a spacciarsi come il nuovo che avanza. Che poi, alla fine, conoscendo gli italiani, non è neppure una impresa impossibile. 
Anzi.