Gianni si rese conto di essere arrivato in stazione in anticipo. Il treno che lo avrebbe riportato a casa, infatti, sarebbe passato solo fra tre quarti d'ora. Si avvicinò all'edicola e chiese all'edicolante se fosse rimasto un quotidiano del giorno. L'edicolante non si scompose, non alzò neppure gli occhi, e continuando a leggere il suo libro rispose: "Tre copie di Corriere della Sera."
"Va bene, me dia una," e tirò fuori dalla tasca due monete da 50 centesimi. Gliele porse. L'edicolante le prese e allungò a Gianni il giornale che aveva chiesto. Fece tutto meccanicamente, senza sollevare lo sguardo dal suo libro, come se quell'azione l'avesse già fatta un milione di volte. Gianni pensò che sicuramente era così. Anzi, sicuramente l'aveva fatta anche più di un milione di volte. Prese il giornale e si avviò verso la sala d'aspetto, senza salutare l'edicolante, tanto era sicuro che comunque, anche se l'avesse fatto, quest'ultimo non avrebbe risposto.
La sala d'aspetto era piccola, vuota, non c'era nessuno. Le pareti erano colorate di bianco. O meglio, una volta erano colorate di bianco, e immaginò che l'ultima volta che erano state accarezzate da un pennello, probabilmente ci doveva essere ancora qualche velociraptor in circolazione. A regnare incontrastate erano le scritte fatte con gli spray. Si poteva leggere di tutto: dalle dichiarazioni d'amore agli insulti, più geroglifici vari assortiti. Gli angoli delle pareti erano pieni di umidità e muffa. File di sedie a incastro erano disposte a ridosso dei muri. Gianni preferì uscire e si sedette su una panchina, sotto la pensilina che sovrastava l'unico binario di quella piccola stazione.
Appoggiò accanto a sé la sua ventiquattrore e aprì il giornale appena comprato. A ogni pagina che sfogliava, buttava l'occhio all'orologio della stazione, come se questa azione avesse il potere di accelerare il tempo che ancora mancava all'arrivo del suo treno. Arrivò all'ultima pagina e fece per mettere via il giornale, ormai tutto spiegazzato. Fu un attimo. Si bloccò, alzò gli occhi e vide che sulla panchina di fronte alla sua, dall'altra parte del binario, c'era una donna. Ma da dove era arrivata? pensò Gianni. Da quanto tempo era lì? Come aveva fatto ad arrivare senza che lui se ne accorgesse? Forse era sempre stata lì e lui non ci aveva fatto caso? La donna se ne stava seduta sulla panchina, non aveva bagaglio. Gianni giudicò che dovesse avere una trentina d'anni, forse qualcosa di più. Aveva un vestito leggero, bianco, puntellato di fiori rossi e gialli. I biondi capelli, lisci, le cadevano sul volto, che teneva leggermente reclinato in avanti. Gianni la fissava insistentemente, era incuriosito, ammaliato da quella figura femminile che a lui sembrava così fuori posto, lì. La donna non si muoveva, e continuava a tenere il capo leggermente reclinato in avanti. Ogni tanto qualche leggero alito di vento le muoveva i capelli. Gianni rivolse lo sguardo all'orologio della stazione: tra dieci minuti sarebbe arrivato il suo treno. Come posso andarmene senza sapere chi è quella donna? pensò. All'improvviso, come se lei avesse potuto sentire quella domanda, che in realtà era solo nella mente di Gianni, alzò il viso e lo guardò. Gianni scostò immediatamente lo sguardo da lei, si sentì colto in flagrante, come un ladro che viene sorpreso in piena notte dal padrone di casa. Poi tornò a guardarla. Adesso lei sorrideva, mentre continuava a guardarlo. Poi si alzò, attraversò i binari camminando lentamente. Andò verso Gianni. Quando gli fu di fronte si scostò i capelli dal viso e gli disse: "Non siamo forse tutti soli nella vita?" Poi si incamminò verso la sala d'aspetto, e da lì verso l'uscita della piccola stazione. Gianni rimase interdetto a quelle parole. Era come se fosse in trance, o addormentato. Poi tornò in sé, si svegliò, come quando i prestigiatori risvegliano con uno schiocco di dita chi è sotto ipnosi. Si guardò intorno, la donna dal vestito a fiori non c'era più. Corse verso la sala d'aspetto: anche lì nessuno, solo le scritte sui muri fatte con gli spray.
Forse quella donna non c'era mai stata, forse era stata tutta un'invenzione della sua fantasia. Forse era sempre stato solo, lì, in quella stazione. In fondo "non siamo tutti soli nella vita?"
Tornò sotto la pensilina. Il suo treno era arrivato.
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