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giovedì 31 marzo 2016

Francesca Guidi

Ho appreso della vicenda della ministra Guidi, che si è dimessa poco fa, mentre oggi pomeriggio leggevo il libro postumo di Eco. Non c'è granché da commentare, mi pare, se si esclude l'evidenziazione dello squallore della vicenda di cui lascio volentieri il compito ad altri. L'unica cosa degna di nota, per quel che mi riguarda, è che questa Guidi è stata finora una perfetta sconosciuta alle cronache politiche. Da oltre due anni che questo esecutivo è in piedi chi l'ha mai sentita nominare, 'sta Guidi? Io no, anche se da tempo le faccende della politica non le seguo più granché - ho scoperto che ci sono faccende immensamente più interessanti da seguire. Curioso: mai una nota di cronaca su questa ministra e la prima volta che ne sale agli onori è per via di una storiaccia che le costa le dimissioni. Che sia una nemesi?
A parte questo rimane solo da evidenziare, come questa ennesima vicenda dimostra, che da almeno cinque lustri, se non di più, la politica è diventata da strumento finalizzato alla realizzazione dell'interesse pubblico a strumento finalizzato al perseguimento dell'interesse privato e/o familistico. Berlusconi faceva le famose/famigerate leggi ad personam per tutelare se stesso, le sue aziende e i suoi interessi, la Guidi, appartenente al partito che si stracciava le vesti in piazza quando accadeva, fa un emendamento per favorire le aziende estrattive del fidanzato.
È la politica, bellezza.

Non conoscevo Gianmaria Testa

Ho letto ieri della morte del cantautore Gianmaria Testa e ci sono rimasto male. Ma non nel senso che si usa comunemente attribuire a questo tipo di dispiacere in caso di morte di qualcuno, più o meno conosciuto e più o meno gravitante nell'orbita delle conoscenze artistiche, o almeno non solo in quello, ma anche (soprattutto, direi) nel senso che a me, questo cantautore, fino a ieri era perfettamente sconosciuto. Ecco, a me è dispiaciuto prioritariamete il fatto di scoprire di non conoscerlo. Enrico Mentana, bontà sua, ha un tantino alleviato questo mio dispiacere dicendo, nel suo tiggì, che si trattava di un cantautore di nicchia, paradossalmente molto conosciuto all'estero, specie in Francia (ha tenuto concerti anche alla celeberrima Olympia), quanto sconosciuto in patria. A me, però, è dispiaciuto lo stesso, tanto più dopo aver recuperato qualcosa su YouTube ed essermi accorto che era veramente bravo, sia come cantautore che come poeta.
Mi viene da domandarmi quanti cantautori così ci siano in circolazione senza che io ne sappia niente, e, più in generale, quanti artisti di talento, musicisti ma anche scrittori, producano e pubblichino opere di valore senza che li possa apprezzare. Ma poi penso che è impossibile conoscere tutto e restare aggiornati su ogni artista, ed è già una fortuna, di questi artisti, riuscire ad avere conoscenza postuma.

Retrocessioni (apparenti)



In realtà non si tratta di retrocessione quanto semmai di avanzamento, o di evoluzione delle cose, se la vogliamo vedere in questa prospettiva, nel senso che dopo 19 anni di scarrozzamenti delle figlie a destra e a manca può arrivare il momento in cui lo scarrozzatore diventi lo scarrozzato, specie quando una figlia è già patentata e l'altra lo sarà a breve, e magari nella curiosa coincidenza in cui l'ex scarrozzatore, momentaneamente sprovvisto del proprio mezzo, esca dal lavoro appiedato e sia costretto ad attendere qualcuno che lo riporti a casa.
Comunque devo dire che sui sedili posteriori non si sta affatto male.

mercoledì 30 marzo 2016

(...)

Mi riservo di andare a controllare, ovviamente, ma non ricordo, da parte de Il Giornale, articoli permeati dalla stessa irritazione di questo quando Bossi affermava urbi et orbi che col Tricolore ci si puliva il culo.

Michael Stipe?

Sono sincero, se prima di vedere il video non avessi letto il titolo, non l'avrei riconosciuto. Eppure dietro a quel barbone, a quell'anello al naso e a quell'aria vagamente ieratica c'è proprio il Michael Stipe dei R.E.M., quelli che purtroppo non esistono più e dei cui dischi ho la cdteca piena. Certo, dopo l'esecuzione della prima strofa della bellissima The man who sold the world, di Bowie, l'avrei riconosciuto dall'inconfondibile timbro vocale e da certe altrettanto inconfondibili inflessioni della voce, ma di fatto questa nuova immagine di Stipe mi ha parecchio spiazzato. Pur con tutte le dovute differenze mi ha fatto venire in mente la metamorfosi vocale e spirituale di Giovanni Lindo Ferretti, passato dal punk filosovietico dei CCCP alle nenie finto-religiose seguite all'abbraccio del cattolicesimo - Ferretti qualche rotella fuori posto a mio parere l'ha sempre avuta, sia prima che dopo la svolta mistica, ma è ovviamente un'impressione mia.
Comunque niente, Michael Stipe è sempre un grande.

martedì 29 marzo 2016

Cos'ha detto la madre di Giulio Regeni (secondo Il Giornale)

La signora Paola, madre di Giulio Regeni, parla per la prima volta pubblicamente, e dice una serie di cose. Tra queste, a un certo punto, tira in ballo la tortura (il figlio è stato torturato barbaramente per giorni prima di essere ucciso). Le parole esatte pronunciate dalla signora Paola sono queste: "Forse è dal Nazifascimo che noi in Italia non ci troviamo di fronte a una situazione di tortura", e la frase si può facilmente verificare da questo contributo video a partire dal minuto 1:30. Come l'ha riportata invece Il Giornale? Ecco lo screenshot (cliccandoci su si ingrandisce) catturato da me (ho evidenziato nel cerchietto rosso la parola antifascismo).



Con una ingannevole e stronza opera di manipolazione, il fogliaccio di zio Tibia ribalta completamente il significato delle parole della signora Paola, facendole dire che è dall'antifascismo che in Italia non si vede la tortura (qui il link all'articolo e qui il suo salvataggio in caso venga a lorsignori la tentazione di correggerlo).
Non c'è granché da aggiungere, se non che manipolare le parole di una madre che ha perso un figlio in quel modo, mettendole in bocca il contrario di ciò che intendeva dire, è da stronzi, anzi da fascisti, che più o meno è la stessa cosa. Il Giornale è questa roba qua.

lunedì 28 marzo 2016

Possibile che nessuno abbia fatto una foto?

Chi segue un po' i deliri dei complottisti, senza distinzioni tra quelli che speculano sugli attentati alle Torri Gemelle, sullo sbarco sulla Luna, sulle scie chimiche ecc., conoscerà senz'altro il leggendario Giulietto Chiesa, uno dei pionieri delle teorie cospirazioniste relative appunto alle suddette Torri Gemelle (sintetizzando brutalmente, i teorici di 'sta roba qua credono che gli americani si siano buttati giù da soli le torri come pretesto per invadere l'Afghanistan). Secondo questi qui, non c'è praticamente avvenimento storico, più o meno noto, più o meno tragico, che non sia frutto di una qualche premeditazione/pianificazione occulta e segreta. Potevano essere indenni da una qualche forma di cospirazione i due attentati più sanguinosi accaduti in Europa negli ultimi tempi? Certo che no - e vada pure a farsi friggere qualsiasi basilare forma di rispetto per tutti quelli che hanno perso uno o più cari negli attentati di Parigi e di Bruxelles.
Ed ecco quindi l'intrepido Chiesa lanciarsi nella spericolata e ridicola raccolta di elementi che consentirebbero di far sospettare che dietro ai due sanguinosi attentati ci sia un complotto, magari ordito con la compiacenza occulta dei governi belga e francese. A proposito di quello del Bataclan, solo per citare quello più ridicolo, ecco cosa angustia il povero Chiesa: "C’è un’ulteriore, davvero singolare, circostanza connessa con il massacro del Bataclan del 13/11/2015. Di quella tragedia esiste una ed una sola fotografia. Non ce ne sono altre. Lascio a voi trovare una spiegazione all’incredibile. Dentro quel locale c’erano infatti almeno 500 persone. Sicuramente al 99% tutte dotate di cellulare. Come si spiega che nessuno fece una foto e nessuno la pubblicò su youtube?"
L'interrogativo, se ci pensate, dà da pensare. Ma come? 500 persone e nemmeno una foto? Vediamo un po'. Stando a quello che hanno riportato le cronache il Bataclan è un locale chiuso, e al suo interno si stava tenendo un concerto rock, il locale era oltretutto stipato al limite della capienza. Sempre dai giornali si apprende che molti dei presenti si sono resi conto di ciò che stava accadendo solo successivamente all'inizio dell'attentato per via del rumore, delle luci stroboscopiche ecc. Ora immaginate la scena. Dei terroristi armati fino ai denti fanno irruzione in un locale affollatissimo, con musica ad altissimo volume e luce scarsa, e iniziano a sparare all'impazzata sventagliate di Kalashnikov, col panico e il terrore che si impadroniscono dei presenti man mano che questi si rendono conto di ciò che sta accadendo. Ora, immaginate di essere voi in mezzo a questo girone dantesco fatto di urla, colpi di mitra, sangue, terrore, persone che all'impazzata si gettano in massa verso le uscite cercando una via di scampo. Qual è la prima cosa che fareste? Ovviamente tirare fuori il cellulare e fare qualche foto, no? I più arditi di voi avrebbero perfino potuto chiedere a qualcuno dei terroristi omicidi di fermarsi un attimo e magari sorridere un po', ché la foto sarebbe anche potuta venire male.
Ecco, qui la si butta sull'ironico, ovviamente, quando ci sarebbe invece da incazzarsi con Chiesa e tutti gli speculatori più o meno prezzolati che in barba a ogni pudore spargono stronzate su simili tragedie. Un suggerimento a quelli de Il Fatto, che dagli ultimi dati risulta stia perdendo lettori e copie in maniera costante: smettete di dare spazio a Chiesa, magari qualcosa recuperate.

5,7 miliardi di ragioni faranno finire la faccenda Giulio Regeni a tarallucci e vino

Nessuno, nemmeno chi ama trascorrere le proprie giornate facendosi devastare il cervello da telequiz cretini in tv, credo sia così sprovveduto da non aver capito che quello di Giulio Regeni è un omicidio di stato destinato a rimanere insoluto e che finirà a breve nel dimenticatoio. È tristemente inevitabile, questo epilogo, e da una certa prospettiva è auspicabile che arrivi pure in fretta: se non altro avremo finito di farci prendere per il culo dal governo egiziano - pure la BBC fa notare che l'ultima versione partorita dalla congrega di Al Sisi è una solenne minchiata.
I motivi per cui tutto finirà in niente, o al massimo con l'inghiottire senza troppi problemi una qualsiasi versione di comodo egiziana, stanno anche nei 5,7 miliardi di dollari di interscambio (dati 2014) tra i due paesi, che entrambi si sono impegnati a portare a 6 entro la fine di quest'anno; sta nella presenza di Eni, Enel, Edison, Ansaldo, Banca Intesa Sanpaolo, Pirelli, Italcementi e altre 123 aziende italiane in Egitto; sta nell'Italia primo paese importatore dell'economia egiziana.
Ora, che il governo italiano accetti tutto questo - le apparentemente dure proteste di Renzi sono a esclusivo beneficio di telecamera - a qualcuno potrà anche andar bene; che si voglia sacrificare la verità su un crimine così efferato (Giulio Regeni è stato barbaramente torturato per giorni prima di essere finito) sull'altare del partenariato commerciale qualcuno lo potrà pure trovare plausibile, ma chiunque sarà ancora convinto che la dignità e il diritto di ottenere giustizia e verità vengono prima dei rapporti economici, non potrà non dire a questo governo di non essere d'accordo.

Tra Socci e Giacobazzi

È sempre un esercizio divertente leggere Antonio Socci. Divertente se preso per quello che è, ovviamente, e cioè niente di più di una piccola occasione per passare qualche minuto di buon umore. Chi scrive, ad esempio, solitamente si avvicina ai suoi pregevolissimi scritti con lo stesso spirito con cui su YouTube si gusta un monologo di Giacobazzi, uno sketch di Crozza e simili.
L'articolo con cui Socci, stamattina, porta le prove scientifiche della resurrezione di Cristo, avventurandosi in maniera molto ardita e pericolosa tra sindoni, universi, Pascal ecc., è ad esempio uno di quelli che da solo vale tutto il divertimento di due ore di Giacobazzi.

domenica 27 marzo 2016

Trivelle e astensione (e balle)

Già fa parecchio storcere il naso, o almeno dovrebbe farlo, il fatto che un capo di Governo bolli come inutile un referendum, a prescindere dalla sua natura e dal suo oggetto. Lo storcimento di naso si dovrebbe poi trasformare in irritazione quando si sapesse, e si sa, che a spingere per il fallimento è il segretario di un partito nel cui nome c'è l'aggettivo democratico. Ma queste sono elucubrazioni che in genere nascono spontanee solo in chiunque abbia una qualche propensione, più o meno innata, a far collidere almeno un paio di neuroni, unita all'altrettanto basilare propensione a non farsi prendere per il culo dall'imbonitore di turno, quindi è roba per pochi, insomma.
Tornando alla faccenda del referendum sulle trivelle, nulla qui si obietta sulla posizione di Renzi, che, come quella di tutti, è più che legittima, qui si obietta semmai sulle modalità con cui questa posizione viene data in pasto al pubblico. Se si è infatti un presidente del Consiglio degno di questo nome, e Renzi ovviamente non lo è mai stato, come del resto molti di quelli che l'hanno preceduto, non si va in tv a dire che un referendum è inutile e va fatto fallire con l'astensione, ma si va in televisione, si esprime la propria posizione argomentandone i motivi e si invitano poi gli aventi diritto ad andare a votare, magari in quella direzione. E non è di nessun rilievo l'argomentazione speciosa che pure altri premier di centrosinistra, in passato, hanno agito allo stesso modo su altre questioni referendarie. In primo luogo perché il fatto che in passato si siano tenuti comportamenti degni di biasimo su questi temi dovrebbe rappresentare uno sprone a non ripeterli; in secondo luogo perché, come da due anni Renzi va twittando per tutto il globo terracqueo, questo è il governo del #cambiaverso, se non erro - a meno che non si tratti di un #cambiaverso a targhe alterne.
Un'ultima nota sulla faccenda del mancato accorpamento con le amministrative, che il Pd si rifiuta di concedere e che farebbe risparmiare qualche centinaia di migliaia di euro di soldi pubblici. Non si può fare, dice sempre il solito noto, argomentando capziosamente che "lo prevede la legge italiana, non perché lo abbiamo scelto noi." Ovviamente sono tutte balle. Accorpamenti tra referendum ed elezioni si sono già svolti altre volte, in passato, e c'è pure una legge che li disciplina. Di leggi che li vietino non c'è notizia, almeno nel mondo reale. Poi, ovvio, in quello del paese delle meraviglie (e delle balle) tutto è possibile.

sabato 26 marzo 2016

Ricette per sconfiggere il terrorismo

Matteo Renzi ha le ricette giuste per sconfiggere il terrorismo: camionette dell'esercito, educazione e cultura. Serve la forza, insomma, è importante la mano dura, ma - dice - il grosso del lavoro va fatto a monte, attraverso "un gigantesco investimento educativo e culturale. Perché l'educazione è il principale fattore per la sicurezza di un popolo. [...] Ci investiremo, senza rinunciare alla nostra identità, ai nostri valori, ai nostri ideali."
Perbacco, e come non essere d'accordo con lui, e felici con lui, almeno stavolta, per questa alta dichiarazione d'intenti? Poi, a margine, ci sarebbe da far notare una infelice e sfortunata concomitanza, quella della pubblicazione dei dati Eurostat dove si certifica che l'Italia è all'ultimo posto in Europa negli investimenti nell'educazione e nella cultura. Non in posizioni basse, o magari medio-basse con qualcun altro ancora più in basso, come siamo abituati a essere per tutto il resto, no, per educazione e cultura siamo proprio all'ultimo posto.
Non se ne fa una colpa a questo esecutivo, intendiamoci - è già da almeno quattro o cinque lustri che si è imboccata questa tragica direzione - ma lo si incolpa semmai di aver proseguito nella medesima direzione senza accenni di cambi di rotta. E quindi niente, da un certo numero di anni viene tollerata e avallata quella che potremmo tranquillamente definire come ignoranza di stato senza che a nessuno freghi alcunché, col paradosso tragicomico espresso da capi di governo, con un background culturale forgiato da partecipazioni televisive a telequiz e giochi a premi, che ci raccontano che il terrorismo si batte con la cultura.
Prendiamo atto.

Pape Satàn Aleppe



E poi capitano quei sabati in cui ti riprometti che nel pomeriggio andrai a camminare, che rimane una promessa non mantenuta perché nel frattempo hai preso in mano il libro postumo di Eco, quello che una delle tue figlie ti ha regalato per la festa del papà.
E forse andrai a camminare domani.
Forse.

venerdì 25 marzo 2016

Riprova, D'Alema, sarai più fortunato

La proposta di D'Alema di istituire un 8x1000 da destinare all'Islam, a un primo impatto non sembra così balzana come si rivela essere a una più attenta valutazione. A livello di logica è sicuramente ineccepibile. Dal momento che il numero di seguaci del profeta, infatti, supera in Italia il milione, numero inevitabilmente destinato a crescere per ovvie ragioni, perché non inserire pure loro tra i beneficiari del famoso/famigerato 8x1000, dal momento che ne usufruiscono ad esempio confessioni come gli Avventisti, che contano poco più di un pugno di adepti?
Io, però, al posto di D'Alema avrei impostato il quesito in maniera leggermente diversa, tipo: perché non abrogare tout court l'8x1000 per tutti? E, già che ci siamo, perché non abrogare pure il famigerato Concordato, i cui danni sulla società italiana sfuggono tuttora a qualsiasi possibilità di valutazione? Oppure, ancora: se proprio non è possibile abrogare l'8x1000, perché non modificare almeno il truffaldino e perfido meccanismo di attribuzione, tramite il quale la solita Chiesa Cattolica si ciuccia pure l'inoptato dai contribuenti?
Dài, D'Alema, non è difficile, magari prova con la prossima uscita, eh?
(Tutto questo in attesa che un rivoluzionario vero tiri fuori una legge in cui si dica che le religioni, tutte le religioni, hanno l'obbligo di campare coi soldi versati loro volontariamente dai rispettivi seguaci, in caso contrario si arrangino.)

giovedì 24 marzo 2016

Chirú



È proprio vero: a volte i libri che ti sorprendono di più sono quelli che non ti aspettavi ti sorpendessero. Mi è capitato con Chirú, un libro in cui mi sono imbattuto per caso mentre ero in biblioteca. Mi ha colpito, oltre alla originalità della trama (col suo finale dolceamaro), la prosa dell'autrice, a me totalmente sconosciuta finché ho preso in mano questo suo libro. Michela Murgia sa scrivere, sa scrivere benissimo; la sua prosa è invidiabile e usa soluzioni di forma e di sintassi che sorprendono, avvincono, suscitano emozioni che costringono a restare incollati alle pagine, come è successo a me.
Leggerò anche gli altri suoi libri, sicuramente. Intanto, se avete occasione (Chirú è facilmente reperibile anche in biblioteca), leggetelo: garantisco io.

Questo è matto



Come era prevedibile, il lato più divertente del lavaggio dei piedi ai profughi da parte di Bergoglio, sono i commenti dei lettori del Giornale, commenti che nel loro insieme sottendono ciò che già ampiamente si sa: da certe parti a fare da padroni sono ignoranza e pregiudizi, null'altro. Niente di male, intendiamoci, il Giornale e altri campano su questo target di lettori e amen - sono gli stessi lettori che amano il Bergoglio del presepe e odiano il Bergoglio che predica l'accoglienza, e che dimenticano che il tizio della buona novella, quello in cui a parole dicono di credere, ha trascorso la vita a predicare la fratellanza universale.
Insomma, il Giornale è questa roba qua, in caso non si sia ancora capito.

martedì 22 marzo 2016

Tolleranza zero (per l'uso del cervello)



Nessuno, tantomeno lo scrivente, s'aspettava che i soliti noti s'astenessero dal fare uso della carneficina in Belgio per tirare acqua al mulino del loro squallido opportunismo politico. E infatti neppure le decine di morti e gli oltre 200 feriti, seminati tra aereoporto e metropolitana di Bruxelles, sono riusciti a fare breccia nella spessa scorza che riveste il cinismo bastardo di questa gentaglia.
E non staremo a spiegare alla Gelmini e ai Salvini (e a tutti gli altri) che questa tragedia non ha niente a che vedere con la crisi dei migranti - i terroristi identificati finora sono tutti cittadini europei. E non proveremo neppure a spiegare loro che i profughi che arrivano in Europa, quando ci arrivano, sono tutte persone che scappano anche da stragi come quella di Bruxelles, che là da loro sono la regola. No, non glielo spiegheremo, ci limiteremo a lasciarli galleggiare nel vuoto che giganteggia dentro le loro teste.

lunedì 21 marzo 2016

(...)

È difficile commentare tragedie come quella del pullman su cui viaggiavano dei ragazzi aderenti al progetto Erasmus, specie quando si tratta di tragedie che, almeno finora, non possono essere collegate a una qualsivoglia forma di dolo. Per dire, se il pullman avesse avuto un guasto tecnico, magari riconducibile a negligenza da parte dell'azienda proprietaria, sarebbe più facile indirizzare la rabbia verso qualcosa/qualcuno. In questo caso no, perché l'autista era perfettamente sobrio, non aveva assunto droghe e il mezzo sembra fosse perfettamente in regola; ci troviamo quindi di fronte, almeno da ciò che è emerso finora, a una persone più che coscienziosa e, oltretutto, con una lunga esperienza alle spalle. Certo, ha avuto un colpo di sonno, un errore (errore?) gravissimo per chi fa quel mestiere, ma qui si va tutt'al più sulla colpa, non certo sul dolo, e, converrete con me, è particolarmente difficile inveire e lanciare strali contro chi si prende senza tentennare la responsabilità intera della tragedia, ammettendo col cuore in mano di essere stato vittima di un colpo di sonno, senza nascondersi o mentire.
Ecco perché è difficile commentare.

Libri



Spesso quando entro in biblioteca so già cosa cercare, ma a volte succede invece che ci entri così, senza un'idea precisa, e allora è come se fossero i libri a venire incontro a me. Ho visto questo qui nello scaffale con le novità della narrativa, in mezzo agli altri, e sia il titolo che la copertina mi hanno attirato e spinto a prenderlo, senza pensarci tanto su. E niente, vado a iniziarlo, ché oggi il pomeriggio è anche piovoso e ideale per leggere.

domenica 20 marzo 2016

Basta bufale (sul Jobs Act)

È comprensibile l'irritazione di Renzi dopo gli sfottò di Brunetta e altri, sfottò seguiti ai dati Inps che certificano ciò che sapevano già tutti, Renzi compreso, e cioè che gli aumenti dei posti di lavoro registrati nel 2015 sono stati causati dagli incentivi economici alle aziende che assumevano, non dalle norme del Jobs Act. Finiti gli incentivi, crollo delle assunzioni. Fine della storia. Certo, la questione è più complessa - qui si sintetizza - ed è raccontata molto bene dal sempre ottimo Gilioli, ma il dato di fondo è quello: il Jobs Act è servito unicamente a indebolire i lavoratori sul piano contrattuale e delle tutele, nella (errata) convinzione che una maggiore flessibilità significasse aumento di posti di lavoro, il resto sono chiacchiere al vento e tweet demagogici e populisti, buoni solo ad irretire gli allocchi di turno, che ovviamente non mancano mai (altrimenti Renzi non sarebbe dov'è).

Avvisate Sallusti che Salah Abdeslam è cittadino europeo

Nella odierna gara a chi, giornalisticamente parlando, ce l'ha più lungo, una gara combattuta a suon di titoloni e scoop più o meno improbabili, la vittoria va quasi sicuramente al solito fogliaccio di zio Tibia, che è riuscito a evidenziare nel sommario dell'articolo - articolo, vabbe' - in cui si parla della cattura del criminale, che il terrorista più ricercato d'Europa "raccolse [udite udite] 3 complici in un centro di rifugiati tedesco." In realtà, scorrendo l'articolo, cosa che generalmente pochi fanno, si legge semplicemente che "la notte fra il 2 e il 3 ottobre" [...] "l'auto di Abedslam è rimasta ferma davanti ad un centro per rifugiati dove si trovavano molti siriani." Quindi? Che ha fatto? Ha raccattato qualcuno, lì, o no? Boh, non si sa. E, soprattutto, qual è la rilevanza e lo scopo di questa evidenziazione? La rilevanza si ferma al semplice dato di cronaca, nient'altro; lo scopo invece è chiarissimo: cercare di dare l'idea che ci sia un collegamento tra il terrorismo di matrice islamica e il fenomeno dei rifugiati, e tirare in questo modo acqua al mulino della propaganda stronza, perché falsa e strumentale, che contraddistingue da sempre Il Giornale e certi ambienti della destra xenofoba.
Inutile dire che in tutto il penoso scritto non si trova una riga in cui si accenni al fatto che il terrorista catturato oggi, unico superstite del commando di 10 persone responsabile della strage del Bataclan, era un cittadino europeo, così come cittadini europei erano gli altri terroristi deceduti.
Una prece per il giornalismo italiano.

Umanità

Leggo due notizie che attirano la mia attenzione. A Roma alcuni tifosi dello Sparta Praga molestano una donna seduta su un marciapiede mentre chiede l'elemosina. Uno di questi "tifosi" arriva ad urinarle addosso. Tutt'attorno c'è gente che assiste allo spettacolo, senza muovere un dito, qualcuno sembra addirittura che sorrida. La povera donna dopo alcuni minuti se ne va, umiliata.
A Parma i Carabinieri fanno irruzione in una casa di riposo dove inservienti e infermieri, ossia coloro che dovrebbero fornire assistenza agli ospiti della struttura, sono in realtà aguzzini senza scrupoli, che sottopongono le persone di cui dovrebbero prendersi cura ai peggiori maltrattamenti e umiliazioni. E sempre, in questi casi, mi viene da pensare alla differenza tra gli umani, quelli che non hanno umanità, e gli animali che - si dice - non hanno coscienza ma solo istinto, e in virtù proprio di questo istinto arrivano a uccidere altri animali. Per istinto, appunto. Non vedrete mai un leone urinare su una gazzella per umiliarla, solo noi ne siamo capaci.

venerdì 18 marzo 2016

Il DC9 di Pertini

Intendiamoci, a me fa piacere che si sia riusciti a salvare il velivolo che riportò a casa dalla Spagna Sandro Pertini e la nazionale di calcio, vittoriosa ai Mondiali del 1982, ma è quel tipo di piacere dettato più che altro dal riflesso condizionato che si attiva automaticamente ogni volta che va in porto un'iniziativa che sta a cuore a molte persone, nulla di più, perché se anche alla fine l'avessero rottamato non mi sarebbe fregato granché - va bene, odiatemi pure.
Alla fine credo non sarebbe fregato niente neppure alla stragrande maggioranza degli italiani, specialmente quelli alle prese con problemi un tantino più seri e quelli di cui di quell'aereo neppure sapevano l'esistenza, o che magari pensavano che fosse già stato rottamato da tempo. Ma sono sicuramente io a essere disfattista.

mercoledì 16 marzo 2016

Libri

Un altro dei libri presi dalla libreria di mia mamma, qui di sopra. Dal prezzo di copertina si intuisce la sua età, credo, no? C'è sempre un piacere antico nel prendere in mano un libro che non si è mai letto, specie se si tratta di un libro rimasto fermo in una libreria per svariati decenni, ed è un piacere che ho cominciato a provare da ragazzino, quando sotto al portico di casa mia leggevo i primi romanzi di King.

E niente, mi tuffo.


Quattro sigarette (racconto)

"Non avevi detto che avresti smesso? O ricordo male?” Maria appoggiò il pacchetto di Marlboro sul tavolo della cucina, dopo essersene messa una tra le labbra e averla accesa, poi riprese a cucinare.
“Sì, è vero, l’avevo detto, infatti questo sarà il mio ultimo pacchetto. Ormai mi conosci bene, sai che quando mi riprometto una cosa poi la mantengo.”
Alfonso era seduto al tavolo della cucina, sfogliava le pagine di cronaca locale del giornale.
“Sì, sì, lo so bene, conosco le tue promesse,” le rispose.
“Vedi il pacchetto? Ci sono dentro quattro sigarette, fumerò queste quattro e non ne toccherò più una. Questa volta sono decisa.” Alfonso fece un sorrisetto ironico, poi tornò alla lettura del giornale. Quel pomeriggio di fine marzo volgeva ormai al declino, lo stesso declino in cui navigava da tempo il loro matrimonio. Dalla finestra, il sole che calava dietro i palazzoni del quartiere illuminava di arancione una delle pareti della cucina. “Cosa si mangia stasera?” chiese poi Alfonso dopo aver chiuso il giornale.
“Polpette.”
“Che palle, ancora?”
“Se non ti vanno bene c’è Shamir qui di sotto, all’angolo, vatti a prende un kebab.”
“Non mi piacciono i suoi kebab, secondo me li riempie con carne marcia, mi meraviglio che non abbia ancora mandato nessuno all’ospedale, con quella robaccia.”
“Ah, quindi adesso aggiungiamo all’elenco anche i suoi kebab.”
“Quale elenco?”
Maria finì di preparare le polpette, mise il tegame sul fornello e accese il gas a fuoco moderato, poi si girò verso il marito, appoggiandosi al piano della cucina e prendendo tra le dita la sigaretta dopo aver tirato una boccata.
“Il lungo elenco di cose che non ti vanno bene: tua moglie, il tuo lavoro, questo appartamento, le rate del mutuo, i vicini di pianerottolo, la strada trafficata e rumorosa… tutta la tua vita, insomma. Ciliegina sulla torta: i kebab di Shamir. C’è altro? Anzi, modifico la domanda: c’è qualcosa che ti piace, o che ti è mai piaciuta, nella tua vita?”
Alfonso si alzò e uscì dalla cucina, si infilò la giacca e si avviò verso la porta. “Ci vediamo per cena,” borbottò. Scese le scale del palazzo, uscì in strada e si avviò verso il bar. La strada era trafficata, sul marciapiede camminava un sacco di gente, e tutto quel viavai gli ricordò il viavai di certe strade di certe metropoli americane, di quelle che si vedono nei film, tipo New York, ad esempio. Entrò nel bar e si diresse al flipper, inserì una moneta e il flipper prese vita, dando inizio a una girandola di musichette e lucine intermittenti. Non c’era nessuno, all’interno del bar, mentre fuori alcuni ragazzini se ne stavano senza fare niente e a cazzeggiare a cavallo dei rispettivi motorini. Alfonso rientrò a casa alle sette e mezza, dopo aver dato in pasto al flipper una discreta quantità di monete. Maria era già a tavola.
“Potevi anche aspettarmi,” le disse lui sedendosi a tavola.
“Era pronto, e sai che alle sette la cena è sempre in tavola, saresti potuto tornare in orario.”
“Una volta m’avresti aspettato.”
“Una volta era diverso: ti amavo, così come tu amavi me, e vivere insieme, qui, era bello, era un sogno, non un’agonia come adesso.” Alfonso non replicò e rimase in silenzio per un po’. Attraverso le tende della cucina guardava le finestre illuminate del palazzo di fronte. Immaginava che dietro a quelle finestre ci fossero persone felici, realizzate, contente della propria vita. Sapeva che le probabilità che ci fossero anche relitti umani come lui erano pressoché identiche, ma preferiva pensare che ci fossero solo persone felici. Maria aggiunse: “Domattina ho appuntamento dall’analista, lasciami i soldi prima di uscire.”
“Quante sedute hai fatto, finora?” le chiese Alfonso mentre si versava il vino nel bicchiere.
“Quattro.”
“E hai notato dei miglioramenti?”
“E tu? Tu li hai notati?” Alfonso restò in silenzio. “Eh già, figurati. Cosa te lo chiedo a fare? Alfonso, come abbiamo fatto a ridurci così? Perché dopo soli sette anni di matrimonio non ti frega più niente di me?”
“Potrei farti la stessa domanda.”
“È diverso, sai bene che io ti amo ancora, ma non posso andare avanti a vivere con un uomo a cui non frega più niente di me.”
“Non è vero che non mi frega più niente di te, è che spesso, col passare degli anni, molte cose cambiano.”
“Per me non è cambiato niente. Comunque le sedute dall’analista non mi servono a niente, se vuoi saperlo, ci vado perché in fondo è un diversivo dalla noia quotidiana e perché lì ho almeno qualcuno con cui parlare. Ah, l’ultima volta mi ha detto che ho tendenze suicide.”
“Eh?” fece Alfonso mentre si accendeva la sigaretta del dopo cena.
“Presento qualche indizio che potrebbe farlo sospettare, mi ha detto mercoledì scorso, comunque me lo confermerà con maggiore certezza dopo che avremo fatto un altro po’ di sedute.”

Il cellulare trillò nella tasca destra della sua tuta da lavoro verso le 11 e un quarto. Sul display comparve il numero di Maria e Alfonso si domandò cosa volesse a quell’ora. E poi non era l’orario in cui doveva essere dall’analista? Schiacciò il pulsante di ricezione. “Ehi, cosa c’è?” Con grossa sorpresa, Alfonso si sentì rispondere da una voce maschile.
“Buongiorno, sono un maresciallo dei Carabinieri e mi trovo nel suo appartamento. Dovrebbe venire subito a casa.”
“Perché? Cosa è successo?” disse Alfonso allarmato.
“Mi dispiace dirglielo ma è successa una disgrazia a sua moglie, dovrebbe venire a casa.”
“Oh cazzo…” Alfonso scese giù dal muletto e cominciò a correre verso la macchina, uscì sgommando dalla ditta e corse verso casa, incurante del traffico e dei limiti di velocità. Arrivò dopo 10 minuti e vide una gazzella dei Carabinieri e un’ambulanza davanti al portone del suo palazzo. Un capannello di curiosi si era radunato lì nei pressi e quando lui arrivò le persone si allargarono e lo lasciarono passare. Alfonso si gettò verso le scale e fece di corsa le rampe fino al suo pianerottolo. Arrivò mentre i due operatori dell’ambulanza uscivano mestamente e senza fretta. Sapeva cosa significava tutto ciò e una vampata gelida di dolore cominciò a farsi strada dentro di lui. All’interno trovò il maresciallo che aveva parlato con lui al telefono e un altro appuntato. In terra, un lenzuolo bianco copriva quello che doveva essere il corpo di Maria. Poco distante c’era sul pavimento un coltello da cucina e sangue dappertutto. Il maresciallo bloccò Alfonso, che voleva correre a sollevare il lenzuolo per avere quella conferma di cui sapeva benissimo non esserci bisogno.
“Mi spiace molto,” gli disse il maresciallo mentre continuava a tenerlo bloccato, “sua moglie si è suicidata tagliandosi le vene con uno dei vostri coltelli da cucina.” Alfonso si calmò, si liberò dalla stretta del militare e si mise a sedere sul pavimento della cucina appoggiandosi al muro, poi si prese la testa tra le mani e cominciò a singhiozzare. “Non possiamo toccare il corpo finché non saranno arrivati il medico legale e il magistrato di turno, che ovviamente vorrà farle qualche domanda, quando se la sentirà. Ah, dimenticavo, sopra il ripiano della cucina abbiamo trovato questi.” Il maresciallo diede un pacchetto di Marlboro vuoto ad Alfonso. Al suo interno c’era un foglietto di carta gialla, con scritto a matita un messaggio.

UN SACCO DI VOLTE HO PROMESSO DI SMETTERE DI FUMARE SENZA MAI MANTENERE LA PROMESSA. QUESTA VOLTA L’HO MANTENUTA.
CIAO.
MARIA.

Alfonso rilesse più volte il biglietto, poi lo abbandonò in terra, continuando a singhiozzare.

martedì 15 marzo 2016

C'è vita, qui fuori

Tra le cose di cui mi sono accorto da quando ho abbandonato facebook, c'è la vitalità che caratterizza la blogosfera, che mi ha piacevolmente sorpreso. Certo, sapevo bene che moltissimi dei miei contatti erano al contempo anche dei blogger, alcuni pure affermati e molto noti, ma non aveva mai riservato eccessiva attenzione alla cosa, perché mi accontentavo di leggere velocemente ciò che pubblicavano all'interno del social di Zuckerberg. Diciamo che facebook, in questo senso, tende molto ad anestetizzare l'attenzione a ciò che succede fuori a vantaggio della velocità e, spesso, dell'inconsistenza di ciò che succede dentro.
Invece questa qualità c'è, fuori, e tanta, ed è appunto qui che molti ottimi blogger amano ancora scrivere articoli come dio comanda (trovate alcuni di quelli che seguo maggiormente elencati nella colonna qui a destra). Insomma, c'è vita fuori da facebook, e merita di essere (ri)scoperta.

Rivalutazioni

Da circa cinque minuti sto rivalutando molto Fabio Volo.

domenica 13 marzo 2016

(...)

Sulla tristezza che mettono i centri commerciali la domenica pomeriggio si potrebbe scrivere un libro. Forse qualcuno l'ha pure fatto, chissà, bisogna che mi informi. A dire il vero i centri commerciali mettono sempre tristezza, in qualunque giorno della settimana, ma la domenica pomeriggio, specie d'inverno, siamo al parossismo.
Oggi, dopo forse un decennio che non lo facevo, ho messo piede all'Azzurro, a San Marino. Poca gente ma molto varia, tipo gruppetti di giovani, alcuni con capigliature dallo stile difficilmente inquadrabile, che stavano pigramente seduti ai tavolini dei due bar all'interno, cazzeggiando ognuno al proprio smartphone e scambiandosi battute divertenti, almeno secondo i loro parametri. Poi c'erano coppie di mezza età che passeggiavano annoiate per i lunghi corridoi lungo i piani quasi vuoti, ché gran parte dei negozi avevano la vetrina chiusa con dei teloni verdi. Poi c'erano alcuni genitori che facevano sollazzare i propri pargoli nelle varie giostrine disseminate all'interno. I genitori erano visibilmente annoiati, era chiarissimo. Le mamme, coi giacchetti sotto braccio, avevano il compito di controllare che i pargoli sulle giostrine non si facessero male, i papà stavano comodamente seduti sulle panchine, sfogliando il giornale o consultando le notifiche di qualche social sul telefonino.
Di tutta la mole di negozi che costellava la passeggiata sui vari piani l'ultima volta che ci sono stato, non c'era praticamente più niente, se si escludono i due bar e i pochi negozi di abbigliamento e scarpe - ah, dimenticavo la libreria - sopravvissuti all'estinzione. Al loro posto oggi ci sono coppie di anziani che su dei banchetti improvvisati, tipo mercato, vendono carabattole di tutti i tipi e libri e giornalini appartenenti a ere geologiche precedenti a questa.
E, su tutto questo, a farla da padrona c'era la tristezza, quella provocata dalla visione di gente annoiata che la domenica pomeriggio uccide pezzi della propria vita nei centri commerciali.

I tre anni del papa piacione

Tra il profluvio di titoloni che i media riversano sui fedeli in occasione dei tre anni di pontificato di Bergoglio, il più ricorrente parla di una fantomatica chiesa povera per i poveri, come ad esempio titola stamattina Repubblica - ormai tra il quotidiano di Scalfari e quello della CEI è praticamente impossibile trovare differenze. Ovviamente si tratta appunto solo di titoli a effetto, che hanno sempre buon gioco nel catturare l'attenzione e le menti dei poveri di intelletto e soprattutto di spirito, notoriamente i maggiori candidati per l'entrata nel regno dei cieli. In realtà, l'aura di povertà con cui papa Ciccio ha voluto ammantare la sua chiesa e il suo pontificato è riconducibile unicamente a qualche clochard in più fatto entrare in Vaticano rispetto al suo predecessore, tutto qua. Se si esce infatti dalla propaganda e si va al sodo, si può facilmente capire come la chiesa cattolica sia sempre una delle istituzioni più ricche del mondo, col suo miliardo all'anno di entrate dall'8x1000, un altro miliardino dall'obolo di san Pietro, con la proprietà esclusiva di un quarto del patrimonio immobiliare di Roma per non parlare di quello sparso in mezzo mondo.
Però Bergoglio va dall'ottico e paga di persona, esce con la sua Ford Fiesta blu e se ne va in giro per parrocchie, rimbrotta amichevolmente Bertone per il suo mega attico da 700 mq, restaurato, ovviamente a sua insaputa, con parte delle donazioni destinate al Bambin Gesù: tutto utile a dare l'immagine del cambio di rotta in senso francescano del carrozzone di cui è a capo. E i media sono ovviamente lì, tutti belli supini, azzerbinati come sempre a qualsiasi persona o istituzione che abbia soldi e potere. Un Bergoglio descritto come rivoluzionario, anche se, come sopra, se si va oltre la cortina fumogena degli annunci ci si rende conto che di rivoluzionario ha solo la capacità di spacciarsi come tale, se si esclude ovviamente la sua bravura nelle pubbliche relazioni - in definitiva ciò per cui è stato messo lì.
Ben pochi faranno notare che a livello dottrinale la chiesa di Bergoglio non si è spostata di una virgola rispetto a quella dei suoi predecessori, in particolar modo per quanto riguarda le spinose questioni dei cattolici omosessuali, delle unioni civili, dei divorziati risposati, del ruolo delle donne nell'organigramma dell'istituzione petrina ecc. Ben pochi faranno notare il flop (in termini di affluenza di fedeli e relativi ritorni economici) del Giubileo della Misericordia, che neppure l'esposizione del cadavere imbalsamato di Padre Pio ha saputo limitare. Sarà tutto bello e perfetto perché le trombe mediatiche diranno che è tutto bello e perfetto.
E i fedeli devoti non staranno troppo lì a indagare se sia vero o no, come da prassi.

sabato 12 marzo 2016

I libri sono vivi

Sono al riparo dal rischio descritto dal sempre attento Attivissimo perché non ho mai fatto uso di libri digitali, né ho intenzione di farne in futuro. Sono ghiotto di libri, ne "mangio" una media di 40/50 ogni anno, ma sempre e solo libri cartacei. Forse è snobismo, il mio, non lo escludo, e non escludo neppure che se ne provassi a leggere uno in formato elettronico non mi piacerebbe, ma non lo faccio perché i libri sono qualcosa di vivo, e temo che questa "vita" andrebbe persa nei freddi circuiti elettronici di un e-reader. So perfettamente che i moderni lettori di libri elettronici sono congegnati in modo da dare l'impressione di avere in mano un libro vero (stessa sensazione di sfogliare manualmente le pagine, possibilità di inserire note a margine, sottolineature, evidenziazioni ecc.), ma non riesco a farmi affascinare dall'idea.
Quando prendo in mano un libro non prendo in mano un oggetto ma una cosa che sento essere viva, e seguo sempre precisi rituali: butto un occhio alla trama e alle note biografiche dell'autore nei risvolti di copertina, "assaggio" il tipo di carta di cui è fatto (l'ultimo libro di Hawking che ho preso in mano, ad esempio, era stampato su carta lucida, tipo patinata, manco fosse Novella2000, e la cosa devo dire che mi ha fatto un po' senso), prendo confidenza con lo stile grafico usato dalla casa editrice (ognuna ne ha uno suo) per gestire la punteggiatura, i virgolettati ecc. Insomma, un libro è una cosa viva e la vita vive su carta, non su serie di bit, e una volta che si avrà in casa un libro di carta nessuno potrà mai revocare alcuna licenza. Non si revocano licenze alla vita.

giovedì 10 marzo 2016

Il miracolo che chiederebbe Bergoglio



Non è la prima volta che Bergoglio si sofferma sul tema della sofferenza dei bambini, e, intendiamoci, non è una domanda che si pone solo Bergoglio ma ogni persona dotata di un minimo di raziocinio. Insomma, se c'è 'sto benedetto Dio onnipotente (un aggettivo mica da poco, eh) che tutto sa, tutto vede, e tutto può, perché permette che esistano i reparti di oncologia pediatrica? Qualche tempo fa, rispondendo a un'analoga domanda rivoltagli da un bambino in carrozzella, Bergoglio rispose come ha fatto oggi: non c'è spiegazione, e farfugliò qualcosa tirando in ballo un brano de I fratelli Karamazov di Dostoewskij.
Per come la vedo io, la risposta più semplice a tale impegnativo quesito è probabilmente quella che non esiste alcun dio e che la sofferenza dei bambini appartiene alle normali dinamiche della vita, così come quella dei grandi, dei vecchi, di tutti. Che poi, pensandoci, non ho capito bene perché a Bergoglio dia pena soltanto la sofferenza dei bambini: quella dei grandi o degli anziani è forse una sofferenza di serie B?

Ultimo post su facebook

Chiuderò il mio account su facebook, come ho già accennato qui. Ci ho pensato parecchio su, prima di farlo, perché sono su quel social da parecchi anni e ci sono tutto sommato affezionato, ma sono giunto a questo passo perché mi sono reso conto che la creatura di Zuckerberg porta via troppo tempo ad altre cose più importanti, molto più importanti. Continuerò invece a scrivere su queste pagine, per i miei 32 lettori, perché qui non c'è l'assillo di essere sempre connessi e la schiavitù di stare lì a controllare ogni minuto le notifiche.
E poi bloggare è oggi ormai un'attività di nicchia, e a me le attività di nicchia piacciono un sacco.

martedì 8 marzo 2016

Slow Reading

Ho terminato Slow Reading, un libro illuminante. Credo pochi ignorino il fatto di essere vittime della schiavitù imposta dal bisogno di essere sempre connessi, schiavitù di cui non ho difficoltà di ammettere di essere spesso vittima pure io, ma molti di meno sono probabilmente quelli disposti ad ammetterlo. Slow Reading spiega, in maniera semplice e al tempo stesso dettagliata e articolata, i meccanismi e ne elenca le possibili cure - la dipendenza dall'ossessione di essere sempre connessi si cura semplicemente con un po' di buona volontà. Tutto questo per riscoprire il piacere, ormai definitivamente perduto - oggi più che mai, nell'era delle connessioni always-on - di leggersi un libro con la lentezza e la calma necessari per assaporarlo come si deve o, più in generale, di spegnere lo smartphone per un po' e prendersi del tempo per sé.
Se avete occasione, quando passate in biblioteca o in libreria fateci un pensierino, ne vale la pena.

lunedì 7 marzo 2016

La gravissima colpa dell'omicida di Luca Varani

Il povero Adinolfi si arrabbia con Repubblica, che effettivamente stavolta l'ha fatta grossa: nel raccontare l'efferato omicidio di Roma non ha specificato che il presunto assassino è omosessuale. È terribile questa cosa, se ci pensate, specie se si considera che i media, quando raccontano di omicidi efferati, specificano sempre che sono compiuti da eterosessuali (magari pure cattolici, vedi mai).
E niente, non vale neppure la pena commentare, provo solo una profonda pena per quest'uomo.

domenica 6 marzo 2016

I 70 anni di Gilmour



Se dovessi elencare tutti i motivi per cui sono affezionato a David Gilmour, dovrei scrivere un libro, inoltrandomi in una foresta di ricordi da cui difficilmente uscirei in breve tempo. Non ho memoria di chi mi fece conoscere i Pink Floyd, ho qualche idea ma non sono sicuro, ricordo solo che li conobbi in quel periodo di tempo, bellissimo ma a tratti incredibilmente travagliato, che sta a cavallo tra l'infanzia e l'adolescenza, che è poi il periodo in cui cominciavo a imparare i primi accordi sulla chitarra. Non credo che The dark side of the moon sia stato il loro disco più bello. È stato uno dei dischi più venduti della storia del rock, è vero, ma io gli ho sempre preferito Wish you were here, il successivo; lo trovo tuttora il loro capolavoro.
Da ragazzino non avevo molti soldi da spendere nei dischi - per inciso, oggi la situazione è rimasta quella - e ricordo che per risparmiare si compravano a turno. Eravamo sei sette ragazzini appassionati di musica, tutti con pochi soldi, e il sabato pomeriggio si andava tutti insieme giù a Rimini, alla mitica Dimar, che ovviamente oggi non esiste più, e si comprava a turni un disco. Gli altri lo registravano poi dall'originale su musicassette magnetiche.
Bei ricordi, alcuni tra i più belli di una giovinezza randagia e per certi versi rimediata, ma sicuramente spensierata. E con Gilmour e soci come colonna sonora.
Buon compleanno, vecchio orso.

venerdì 4 marzo 2016

(...)



(Da Non sei più mio padre, Eva Cantarella, Feltrinelli.)

140 anni

Il Corriere della Sera spegne oggi 140 candeline. Un bel traguardo, non c'è che dire - maliziando un po' potrei riportare l'ammontare di soldi pubblici che si è pappato in tutti questi decenni, ma lascio stare, se volete potete facilmente trovarne l'entità da voi. Tra le cose che mi piace far notare c'è che il Corriere è il quotidiano su cui in passato hanno lasciato la firma Buzzati, Calvino, Montale, Biagi, Montanelli, e solo per citare i più noti, mentre oggi abbiamo i Galli della Loggia, i Grasso e i Pigi Battista. Bah.

giovedì 3 marzo 2016

Omicidio stradale (e prescrizione)

Tra le misure contenute nel nuovo reato chiamato Omicidio stradale, quello che ha riempito di orgoglio la signora Boschi, c'è - leggo - il raddoppio dei tempi di prescrizione dei relativi processi. Ammesso che di questo nuovo tipo di reato ci fosse veramente bisogno - a me sembravano già abbastanza pesantine le norme precedenti - mi chiedevo: a quando il raddoppio dei tempi di prescrizione per altri tipi di reati, tipo ad esempio quelli fiscali e tributari? Anzi, non il raddoppio ma, come avviene già in tutti gli altri paesi europei, almeno la decorrenza dal momento del rinvio a giudizio, non dell'iscrizione nel registro degli indagati, oppure direttamente il congelamento fino a sentenza. Perché un processo per omicidio stradale è importantissimo, per carità, ma in Italia ci sono qualcosa come centomila processi all'anno (che corrispondono ad almeno altrettante persone che non avranno mai giustizia) che finiscono nel cesso perché è intervenuta la mannaia della prescrizione, e, guarda caso, per la maggior parte riguardano reati come corruzione, concussione, evasione fiscale, frode ecc. Ma anche altri, ovviamente, mica solo quelli fiscali.
Sta per cadere sotto la mannaia della prescrizione anche la strage ferroviaria di Viareggio, giusto per fare un esempio tra i tanti, quella in cui nel 2009 morirono bruciate vive 32 persone, e questo perché il reato di incendio colposo si prescrive dopo sei anni. E ai poveretti che si sono visti bruciare vivo qualcuno dei propri cari che gli raccontiamo? Che il responsabile la sfangherà perché la prescrizione ha annullato tutto? E si potrebbe continuare con altri esempi, eh. Allora, signora Boschi, si faccia prima una revisione strutturale della prescrizione, magari incanalata nella direzione di una maggiore tutela delle persone comuni e minore dei potenti (o almeno egualitaria) e poi magari si pavoneggi. Che ne dice?

mercoledì 2 marzo 2016

Il Salvini appeso dalla stupidità

A volte mi sfiora il dubbio che tra destra e sinistra, nelle espressioni rappresentate da alcuni loro presìdi e organizzazioni sul territorio, non ci siano grosse differenze per quanto riguarda il livello di stupidità, e nell'ambito della suddetta stupidità si può ascrivere tranquillamente la geniale idea di un centro sociale bolognese di appendere un pupazzo di Salvini a testa in giù dai piloni di un ponte della stazione. Sì dirà: è solo una provocazione. Certo che è solo una provocazione, come provocazione è il 99% delle cagate che Salvini dice o scrive sui social. E tu, genio di un centro sociale, per contestarlo che fai? Gli lanci un'altra provocazione, cioè scendi a contestarlo sul terreno a lui più congeniale e nel quale sguazza tutti i giorni, dandogli così, oltretutto, la possibilità di aggrapparsi al gancio sempre salvifico del vittimismo ("avete visto? Questa è la democrazia della sinistra!").
E niente, non se ne esce: stupido il primo, stupidi i secondi, tutti presi in una patetica competizione a chi dimostra il tasso maggiore di stupidità. Di spunti di intelligenza neppure l'ombra, ancora, all'orizzonte.

martedì 1 marzo 2016

(...)

Vittorio Sgarbi è una di quelle persone che se anche una volta su un milione ha ragione su qualcosa, la perde automaticamente per il modo in cui la dice. Non mi riferisco in particolare al suo commento sulla vicenda Vendola, che per decenza non riporto, mi riferisco in generale al tenore di tutte le sue uscite, tipiche proprio delle teste di cazzo.
Senza offesa, ovviamente, eh?