Pagine

venerdì 9 aprile 2010

Riforme, prove tecniche di suicidio

La scorsa settimana su Il Fatto Quotidiano scrivevo che la sconfitta alle elezioni regionali rappresentava l'ultima opportunità per il Pd. Da quel momento in poi il Partito Democratico si trovava di fronte a un'alternativa secca: o rinnovare profondamente la propria classe dirigente, o perire. Oggi sappiamo che il Pd ha scelto la seconda opzione. Il partito si suicida e pare intenzionato a farlo in tempi strettissimi. Nella inamovibile nomenklatura dei democratici sta infatti passando pure l'idea che è impossibile non collaborare con il premier Silvio Berlusconi nelle sue più volte annunciate (e fumose) riforme istituzionali.

L'analisi di molti funzionari di Bersani è più o meno questa: il centro-destra metterà mano alla costituzione in ogni caso. Se noi non partecipiamo alla nuova stesura della Carta va a finire che il premier e la Lega fanno tutto da soli e poi vanno al referendum confermativo (non hanno in parlamento una maggioranza dei 2/3 dei voti che permetterebbe loro di evitarlo) e lo vincono. Quindi piuttosto che far riscrivere tutta la legge fondamentale a Berlusconi e i suoi, meglio sporcarsi le mani (peraltro già poco pulite) e partecipare al gioco.

A mio avviso però questo ragionamento fa acqua da tutte le parti. Per una lunga serie di motivi. Vediamone qualcuno, partendo da quelli di principio, per arrivare poi a quelli che potremmo definire "strategici".

1) La nostra Costituzione è "rigida" (cioè molto difficile da modificare) proprio perché i padri costituenti - gente, è bene ricordarlo, di tutt'altra levatura storica e morale rispetto agli attuali parlamentari - volevano evitare che la maggioranza di turno potesse cambiare i connotati dello Stato a suo piacimento. Le Costituzioni sono infatti la base del convivere civile e devono essere pensate per sopravvivere al Berlusconi o al Bersani del momento. Per questo per cambiare la carta serve una maggioranza qualificata o un referendum confermativo. Insomma la maggior parte dei cittadini (rappresentati in parlamento attraverso i loro eletti) devono partecipare alla stesura. Oggi però i risultati delle ultime regionali ci confermano che questa classe politica è molto poco amata dagli elettori. Tra astensioni, schede bianche e nulle, il 45 per cento degli aventi diritti al voto ha detto chiaramente che cosa pensa delle proprie classi dirigenti. In Italia dunque c'è un difetto di rappresentatività. Un difetto di cui, chi si dice democratico, dovrebbe tenere conto.

2) I parlamentari non vengono eletti, ma nominati dai partiti. E partiti (così come i sindacati) non devono rispondere a nessuna regola che ne garantisca la democraticità. Detto in altre parole: si può davvero pensare che quattro o cinque segretari decidano leggi fondamentali che varranno per decenni per decine di milioni di persone? Io credo di no. Le costituzioni possono essere cambiate e scritte solo da chi è realmente scelto dal popolo. Se non è così non sono costituzioni, ma statuti, cioè concessioni da parte del monarca o dell'oligarchia.

3) Tutti, a partire dal nostro ben poco vigile presidente della Repubblica Napolitano, dicono che ci vogliono le riforme. Nessuno però spiega quali. Lo stesso Berlusconi ha annunciato che tutto è ancora allo studio e che in ogni caso verranno accolti se possibile i contributi dell'opposizione. Traduzione: non sappiamo bene cosa fare, ma vogliamo assolutamente fare qualcosa. Se questo è il metodo, c'è da rabbrividire.

4) Tra le tante materie messe confusamente sul piatto solo due punti paiono essere irrinunciabili per il centro-destra. Una sorta di super Lodo Alfano che renda il premier ingiudicabile (magari ricorrendo alla reintroduzione dell'autorizzazione a procedere per tutti i parlamentari) e il federalismo. Il primo punto però per Berlusconi rappresenta un pericoloso boomerang. Reintrodurre l'immunità significa dire ai cittadini del Paese più corrotto d'Europa (uno Stato in cui, secondo la banca mondiale, la corruzione costa ai contribuenti 50 miliardi l'anno) che la legge non sarà più eguale per tutti. È evidente che questa parola d'ordine (il principio di eguaglianza) in caso di referendum confermativo è uno slogan formidabile dato in mano a chi si vuole opporre. È facile prevedere che anche la maggior parte degli astenuti in caso di una norma che istituisse per legge (costituzionale) l'esistenza della Casta accorrerebbe alle urne per bocciarla. Berlusconi lo sa e per questo ora tende la mano al Pd. Possibile che Bersani e i suoi non lo capiscano? Domanda retorica. Io infatti credo - purtroppo - che i sedicenti democratici lo comprendano benissimo. E che, sotto sotto (ma molti di loro lo hanno persino detto pubblicamente), sperino che almeno questa parte del progetto vada in porto. Sul federalismo, poi, bisogna ricordare che la Lega è sì molto forte. Ma a livello nazionale rappresenta solo il 12 per cento di chi ha votato. Un po' poco per pensare che possa decidere per tutti. Anche perché solo pochi ani fa il federalismo è stato bocciato proprio dagli elettori.

5) Tenuto conto dei tempi previsti per le leggi costituzionali (doppie votazioni a tre mesi di distanza l'una dalle altre) è facile prevedere che la Grande Riforma passerà solo verso il termine della legislatura (tra due anni e mezzo circa) quando il Paese sarà già di fatto in campagna elettorale. Per il centro-sinistra presentarsi agli elettori con in tasca un biglietto da visita del genere è in tutta evidenza una follia. O meglio un dono insperato a chi sostiene, non senza qualche ragione, che tra i due schieramenti non vi sono differenze sostanziali. E tra copia e l'originale, si sa, l'elettore sceglie sempre l'originale (Berlusconi).

Cosa dovrebbe dunque fare l'opposizione? Semplice: partecipare alla fondazione dei comitati per la difesa della Costituzione. Dire chiaramente che un parlamento di nominati e non di eletti non può riscrivere la carta. E fare della reintroduzione delle preferenze (o meglio ancora, a mio gusto, del maggioritario secco di collegio) il suo cavallo di battaglia istituzionale. Questa sì che è una riforma sentita da tutti -anche dagli elettori di centro-destra - e oltretutto approvabile attraverso una legge ordinaria. Insomma, per una volta, il Pd dovrebbe dimostrare di avere dei principi e di essere disposto a battersi per essi. Lo farà? Non credo. Anche perché, e qui torniamo al punto iniziale, andando avanti di questo passo, presto sarà estinto.


Peter Gomez - voglioscendere.it - 08/04/2010

Nessun commento:

Posta un commento