Nell'inerzia generale in cui sta a bagno da un po' in qua il governo, solo un ministro pare non starsene con le mani in mano: Renato Brunetta. Vulcanico, energico, irriverente, pieno di idee su come eliminare i fannulloni e gli sprechi nella pubblica amministrazione. Diventato famoso più per i suoi proclami che per gli effetti delle sue riforme, anche se qualche scheletrino l'Espresso ha scoperto che potrebbe averlo anche lui, gli strali del ministro hanno colpito nel corso del tempo i poliziotti panzoni, i farabutti che fanno lavorare gli immigrati in nero, i registi parassiti, ecc...
L'ultima trovata è fresca fresca di ieri: inserire nei titoli di coda delle trasmissioni televisive e dei tiggì i compensi di conduttori e giornalisti. Perché? Boh, non si sa, lui si limita a dire che è una questione di trasparenza. Evidentemente a Brunetta sfugge che spessissimo i titoli di coda sono sfumati, ha fatto notare Fabrizio Frizzi, mentre Carlo Conti ha auspicato che accanto ai compensi del conduttore sia eventualmente indicato anche il volume degli introiti che chi conduce fa incamerare all'azienda.
Bah, per quanto mi riguarda trovo piuttosto triste che si spendano energie per queste cretinate quando appena l'altro ieri l'Istat comunicava che il numero di disoccupati in Italia ha superato quota 2.000.000 - bisogna tornare al 2004 per trovare qualcosa di simile -. Certo, la battaglia contro gli sprechi è sacrosanta, ma mentre si discute dei compensi di chi il lavoro ce l'ha assicurato e lautamente remunerato, i segnali dei primi violenti conflitti sociali a causa del dilagare della disoccupazione forse meritano almeno altrettanta considerazione.
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