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mercoledì 2 dicembre 2009

La crisi non insegna alle banche

Ricordate le scene, poco più di un anno fa, dei dipendenti della Lehman Brothers, che scatoloni in spalla abbandonavano subito dopo il crac le filiali americane ed europee in cerca di nuova occupazione? Molti pensavano che da quelle scene, compresi gli altri istituti bancari che sono poi falliti, i governi avrebbero imparato qualcosa, qualche lezione, ad esempio quella di smetterla di usare soldi pubblici dei contribuenti per chiudere le falle aperte dalla cosiddetta finanza spericolata. E' stato veramente così?

il Sole24Ore pubblica oggi un articolo che fa piazza pulita di ogni illusione in merito.

Ma a un anno dal crack delle borse non sembra che questa lezione sia servita. Soprattutto in Europa dove il perimetro di azione delle banche, invece di restringersi, si è allargato. Dal 2007 le attività degli istituti di credito sono cresciute del 25%. Negli Stati Uniti l'aumento è stato del 20 per cento.

Secondo una ricerca dell'agenzia Bloomberg, negli ultimi due anni, 353 istituti di credito hanno aumentato le loro attività. Tra loro 15 hanno addirittura superato il prodotto interno lordo nazionale (nel 2007 erano 10). Il valore degli asset della francese Bnp Paribas, per esempio, dal 2007 a oggi è cresciuto del 59%, raggiungendo l'astronomica quota di 2 mila e 290 miliardi di euro (il 117% del Pil francese). La britannica Barclays ha fatto segnare un +55% e ha iscritti a bilancio asset per mille e 550 miliardi di sterline (il 108% del Pil britannico). Quelli di Banco Santander sono pari al prodotto interno lordo spagnolo a quota 1,08 mila miliardi di euro.

A parole tutti i governi, dopo quei fatti, si sono impegnati per una riduzione delle dimensioni degli istituti di credito. Nei fatti, avviene per la finanza quello che avviene in tutti gli altri ambiti della vita sociale e pubblica: le crisi passano (dicono) e la memoria muore.

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