Beh, penso che l'anestesista, in qualità di medico, fosse al corrente delle sue responsabilità in merito e se le sia assunte consapevole del rischio cui andava incontro. Non essendoci alcuna chiara normativa al riguardo, ritengo che il confine tra sospensione di accanimento terapeutico ed eutanasia nel caso di Welby sia molto labile. Anche perchè io ancora non capisco che cosa voglia oggettivamente dire "accanimento terapeutico" (abbrevio in a.t.): se per a.t. si intende (come lo intendo io) sospendere ad es. terapie chemio ad un malato di cancro perchè non servono più a fermare la malattia troppo estesa e creano inutile sofferenza, ok, ma se per a.t. intendiamo (come nel caso di Welby) la respirazione artificiale forzata, beh, per assurdo non dovremmo più dare l'ossigeno ai vecchietti con edema polmonare, perchè cmq grazie a questo continuano a vivere, senza morirebbero. E' qui che si innesta il discorso "sì, ma per Welby la sua non era più vita" e quindi si va sul personale. Ora, a mio parere una legge deve dare una norma certa per tutti, cosa che in questo ambito diventa forse impossible da fare; ma se si decide individualmente, un momento di depressione, una forzatura esterna (magari per un'assicurazione sulla vita o un'eredità), una diagnosi sbagliata (per carità, solo ipotesi campate in aria) potrebbero condurre ad un atto azzardato, anche se non ritengo che uno possa dire "voglio morire" e subito lo terminano (ok, c'è carenza di posti letto, però ;)). Inoltre, per alcune persone come Welby, la presenza dei parenti, degli amici e la possiblità di comunicare comunque con l'esterno tramite congegni artificiali o solo tramite altre persone (permettendo di scrivere poesie, libri, iteragendo con il mondo), piuttosto che convinzioni profonde religiose e/o umanistiche, anche una vita fortemente "limitata" vale la pena di essere vissuta. Per concludere, la mia opinione è che l'atto dell'anestesista ha comunque avuto il pregio di spronare la collettività a ragionare su questa importante realtà. Bigfab.
> ...anche se non ritengo che uno possa dire "voglio morire" e subito lo terminano...
Questo è il punto. Welby chiedeva da anni di poter terminare di soffrire, e lo chiedeva nel pieno delle sue facoltà mentali. Sapeva cioè più che perfettamente la portata della sua richiesta (comprese le conseguenze).
Anonimo, io già in passato avevo proposto di guardare alla Costituzione e non sbandierare il fatto che (si dice) manchino le norme. Le norme non mancano affatto, nel senso che la Costituzione riconosce senza mezzi termini a chiunque, malato, di rinunciare alle cure. Tanto che, al contrario di quel che si dice, sarebbe l'obbligo della cura casomai che potrebbe essere in casi eccezionali imposto da una legge apposita, stante il rispetto della persona in ogni caso. Senza una legge specifica, mi pare chiaro che Welby chiedesse che gli venisse riconosciuto un diritto sancito dalla Costituzione.
Qui, nel caso Welby, non si parla di un malato che abbia perso conoscenza, ma di uno lucido che non voleva sottoporsi ad una terapia. L'articolo 32 secondo comma della Costituzione non lascia spazio a dubbi, e mi pare che il medico anestesista non abbia fatto che seguire la Costituzione. L'unico punto su cui il Gip si sta aggrappando è il sedativo, richiesto per altro da Welby. Il paradosso quindi è che se Welby si fosse lasciato staccare il respiratore senza sedativo avrebbe sofferto, e il medico, paradossalmente, sarebbe rimasto intoccabile. Le leggi vanno interpretate e vedremo come va a finire questa storia, se prevale il principio della tortura (se vuoi farti staccare la spina devi schiattare di dolore nello spirare) o della sostanza del diritto.
Costituzione art. 32 / 2
"Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana."
Beh, penso che l'anestesista, in qualità di medico, fosse al corrente delle sue responsabilità in merito e se le sia assunte consapevole del rischio cui andava incontro. Non essendoci alcuna chiara normativa al riguardo, ritengo che il confine tra sospensione di accanimento terapeutico ed eutanasia nel caso di Welby sia molto labile. Anche perchè io ancora non capisco che cosa voglia oggettivamente dire "accanimento terapeutico" (abbrevio in a.t.): se per a.t. si intende (come lo intendo io) sospendere ad es. terapie chemio ad un malato di cancro perchè non servono più a fermare la malattia troppo estesa e creano inutile sofferenza, ok, ma se per a.t. intendiamo (come nel caso di Welby) la respirazione artificiale forzata, beh, per assurdo non dovremmo più dare l'ossigeno ai vecchietti con edema polmonare, perchè cmq grazie a questo continuano a vivere, senza morirebbero. E' qui che si innesta il discorso "sì, ma per Welby la sua non era più vita" e quindi si va sul personale. Ora, a mio parere una legge deve dare una norma certa per tutti, cosa che in questo ambito diventa forse impossible da fare; ma se si decide individualmente, un momento di depressione, una forzatura esterna (magari per un'assicurazione sulla vita o un'eredità), una diagnosi sbagliata (per carità, solo ipotesi campate in aria) potrebbero condurre ad un atto azzardato, anche se non ritengo che uno possa dire "voglio morire" e subito lo terminano (ok, c'è carenza di posti letto, però ;)). Inoltre, per alcune persone come Welby, la presenza dei parenti, degli amici e la possiblità di comunicare comunque con l'esterno tramite congegni artificiali o solo tramite altre persone (permettendo di scrivere poesie, libri, iteragendo con il mondo), piuttosto che convinzioni profonde religiose e/o umanistiche, anche una vita fortemente "limitata" vale la pena di essere vissuta. Per concludere, la mia opinione è che l'atto dell'anestesista ha comunque avuto il pregio di spronare la collettività a ragionare su questa importante realtà. Bigfab.
RispondiElimina> Anche perchè io ancora non capisco che cosa voglia oggettivamente dire "accanimento terapeutico"
RispondiEliminaA. t.
> ...anche se non ritengo che uno possa dire "voglio morire" e subito lo terminano...
Questo è il punto. Welby chiedeva da anni di poter terminare di soffrire, e lo chiedeva nel pieno delle sue facoltà mentali. Sapeva cioè più che perfettamente la portata della sua richiesta (comprese le conseguenze).
Anonimo, io già in passato avevo proposto di guardare alla Costituzione e non sbandierare il fatto che (si dice) manchino le norme. Le norme non mancano affatto, nel senso che la Costituzione riconosce senza mezzi termini a chiunque, malato, di rinunciare alle cure. Tanto che, al contrario di quel che si dice, sarebbe l'obbligo della cura casomai che potrebbe essere in casi eccezionali imposto da una legge apposita, stante il rispetto della persona in ogni caso. Senza una legge specifica, mi pare chiaro che Welby chiedesse che gli venisse riconosciuto un diritto sancito dalla Costituzione.
RispondiEliminaQui, nel caso Welby, non si parla di un malato che abbia perso conoscenza, ma di uno lucido che non voleva sottoporsi ad una terapia. L'articolo 32 secondo comma della Costituzione non lascia spazio a dubbi, e mi pare che il medico anestesista non abbia fatto che seguire la Costituzione. L'unico punto su cui il Gip si sta aggrappando è il sedativo, richiesto per altro da Welby. Il paradosso quindi è che se Welby si fosse lasciato staccare il respiratore senza sedativo avrebbe sofferto, e il medico, paradossalmente, sarebbe rimasto intoccabile. Le leggi vanno interpretate e vedremo come va a finire questa storia, se prevale il principio della tortura (se vuoi farti staccare la spina devi schiattare di dolore nello spirare) o della sostanza del diritto.
Costituzione art. 32 / 2
"Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana."