venerdì 25 luglio 2025

Chi ci va, poi, a combattere?

A me piace leggere sempre i pro e i contro delle cose, e questo ovviamente vale anche per la questione del riarmo europeo e italiano e per la questione dell'aumento delle spese militari per difenderci. Leggendo e ascoltando le due campane, quelle favorevoli e quelle contrarie - quelle favorevoli si possono leggere ovunque, su qualsiasi media mainstream - a me convincono di più quelle contrarie. 

I motivi sono parecchi, ma quello principale è che non ho ancora trovato nessuno che mi spieghi in maniera seria e documentata chi è il nemico contro cui dobbiamo difenderci. È una domanda semplice, ma evidentemente la risposta non lo deve essere altrettanto, dal momento che nessuno è in grado di fornirla con criteri di serietà e senza il ricorso a bufale/barzellette tipo quella che i russi vorrebbero invaderci.

6 commenti:

  1. "chi è il nemico contro cui dobbiamo difenderci"
    Ovvio: la Russia... Dicono certi politici europei...😉
    Poco credibili, però...
    Il problema di fondo, almeno per quel che riguarda quelli italiani, è che sono stati votati dagli stessi loro concittadini.

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  2. Provo io Andrea a dare una mia personale spiegazione.
    Nel 2025 non assistiamo semplicemente a una corsa agli armamenti. Stiamo vivendo la fine di un’epoca, e l’inizio di una nuova fase di chiusura e contrapposizione globale.
    La globalizzazione, quella nata dopo la Guerra Fredda, fondata su mercato aperto, delocalizzazione e interdipendenza, non conviene più a chi l’aveva promossa. Gli Stati Uniti, primi promotori dell’apertura globale, oggi guidano invece la strategia del "de-risking": disaccoppiare l’Occidente dalla Cina sul piano tecnologico, commerciale, finanziario. L’UE segue, spesso più per obbedienza che per convinzione. Nel frattempo, Cina, Russia, India, Brasile e Sudafrica rilanciano i BRICS, aprendo ad alternative al dominio del dollaro e alle catene di fornitura occidentali. L’Arabia Saudita guarda a Pechino. L’Africa cerca margini di autonomia. Il mondo si frammenta. Non è più tempo di globalizzazione, ma di geopolitica dura. La guerra in Ucraina ha offerto la giustificazione perfetta per un riarmo generalizzato. Il bilancio NATO è in espansione. La Germania ha annunciato nel 2022 uno “Zeitenwende” (svolta storica): 100 miliardi di euro subito per le forze armate. L’Italia, nel Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa, ha portato la spesa militare ben oltre il 2% del PIL. Il Parlamento europeo nel 2024 ha votato la creazione di una vera industria militare continentale. Ma tutto questo per difenderci da chi, esattamente?
    Il nemico ufficiale cambia a seconda delle narrazioni: la Russia, certo, anche se non ha mai minacciato direttamente i paesi NATO. La Cina, per la sua influenza tecnologica e commerciale. L’Iran, la Corea del Nord... Si evocano fantasmi per tenere alta la tensione. E così si legittima un sistema in cui l’insicurezza è il motore dell’economia. Nel frattempo, le lobby armate prosperano. Lockheed Martin, Leonardo, Rheinmetall, Dassault, Raytheon: tutti i colossi della difesa vedono aumenti record di fatturato. I governi finanziano le industrie belliche con denaro pubblico, mentre tagliano sanità e scuola. E chi mette in dubbio la necessità del riarmo viene subito accusato di essere “filorusso”, “ingenuo”, “traditore”.
    In realtà, il ritorno ai blocchi serve a una cosa sola: ristabilire un controllo unipolare. Un mondo connesso e multipolare non è più sostenibile per chi vuole comandare da solo. La libertà di commercio, di informazione, di transito era accettabile finché i profitti finivano nelle mani giuste. Ora che la Cina guida l’export mondiale, che Mosca riorienta le sue rotte verso Oriente, che l’Africa rifiuta il neocolonialismo, le regole si riscrivono con la forza. E mentre si moltiplicano le esercitazioni militari, le basi NATO in Est Europa, i patti strategici USA-Giappone-Taiwan, una domanda resta inevasa:
    chi ci va, poi, a combattere?
    Perché i signori delle armi non combattono. Le loro guerre le fanno gli altri. I figli degli operai, dei disoccupati, degli esclusi. Come sempre.
    E intanto ci raccontano che è per la nostra libertà. La stessa che ci stanno togliendo, pezzo dopo pezzo.

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    1. La tua analisi è interessante e condivisibile. Non concordo solo dove dici che la globalizzazione non conviene più a chi l'aveva promossa. In realtà la globalizzazione conviene eccome agli americani. Infatti non la stanno smantellando, come potrebbe sembrare. Stanno smantellando la sua sovrastruttura, la sua idea, ma la globalizzazione reale, il suo telaio e la sua struttura, che sostanzialmente si definisce nel controllo dei mari, la stanno rafforzando. Ne parla Dario Fabbri a partire dal minuto 45 di questo suo intervento, che a me sembra molto interessante.
      https://youtu.be/dcMP6gRpiEQ?si=beezHXekw7-9Hu7V

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  3. Hai colto, Andrea, una distinzione decisiva: la globalizzazione come idea non coincide con la sua architettura strategica, e gli Stati Uniti, come ricordi bene anche attraverso Fabbri, continuano a mantenerne il telaio: dominio navale, supremazia finanziaria, controllo tecnologico.
    Forse si potrebbe dire che stanno mutando pelle senza cambiare ossatura. Smantellano la sovrastruttura universalista (libero scambio per tutti, interdipendenza come pace) perché è diventata pericolosa: ha permesso a potenze concorrenti di emergere e di parlare al mondo in proprio, senza chiedere il permesso. Quella che oggi chiamano “de-risking” sembra, in realtà, un’operazione chirurgica di mantenimento del centro e marginalizzazione delle periferie. Il commercio resta, le navi passano, le piattaforme si moltiplicano... ma si fa tutto secondo regole imposte e aggiornate a vantaggio di chi ha già le chiavi della sala macchine.
    Il multipolarismo spaventa perché implica un mondo in cui nessuno comanda del tutto, in cui la Cina può fare da polo autonomo, in cui anche l’Africa si permette di scegliere a chi vendere il litio. E allora si torna a militarizzare i nodi cruciali (Taiwan, Mar Rosso, Artico) non per interrompere la globalizzazione, ma per ricondurla a una logica di gerarchia rigida: una globalizzazione a stelle e strisce, rivestita da una nuova dottrina Monroe in versione planetaria. Detto questo, la tua obiezione è preziosa: ci obbliga a leggere in profondità. Non basta denunciare che qualcosa "finisce", bisogna capire come si trasforma per continuare a servire lo stesso potere.
    Grazie ancora per aver tenuto aperto il campo. Il tuo blog è uno di quei rari luoghi dove si può ancora discutere sul serio.

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    1. Beh, devo dire che per un blogger si tratta di un bel complimento, quindi grazie a te. Nel mio piccolo - come ho già scritto, si tratta di un blog di nicchia con pochi lettori - parlo di cose che mi interessano e quando questi argomenti incrociano l'interesse anche di altri a me fa solo piacere.

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