martedì 15 aprile 2025

35 anni

Mentre sono qui a casa in convalescenza e passo il tempo leggendo, sistemando un po' cucina e camera e trasformando in bit su queste pagine i miei pensieri sconclusionati, mi viene in mente che nell'aprile del 1990, il giorno esatto non lo ricordo, venivo assunto nell'azienda in cui lavoro tutt'ora. Magari per quelli della mia generazione era una cosa tutto sommato normale entrare in un posto e restarci intrappolati tutta la vita, ma per un giovane di oggi immagino che la sola idea si collochi tra il sorprendente e l'incredibile. Che poi in realtà nel mio caso non si è trattato di una trappola, nel senso che se avessi voluto niente mi avrebbe impedito di andarmene altrove. Invece sono rimasto lì perché in fondo non mi sono mai trovato male e a questo punto, salvo imprevisti (l'editoria oggi naviga in acque tutt'altro che buone), ci resterò fino al meritato riposo.

Negli anni Novanta del secolo scorso il mercato del lavoro era ancora pieno di opportunità e ricordo che uscivano regolarmente riviste di annunci economici con infiniti elenchi di aziende che cercavano addetti. Oggi è il contrario. Le riviste cartacee di annunci economici si sono trasferite sul web e gran parte dei suddetti annunci sono di lavoratori che cercano le aziende, non viceversa. All'epoca il contratto a tempo indeterminato era la regola, oggi una chimera. Che poi oggi molti giovani manco lo vogliono più il contratto a tempo determinato. Vedo Francesca, mia figlia minore, che ce l'aveva e l'ha stracciato in cambio della libertà di andare a lavorare dove le pare, di muoversi, di girare, cambiare aria continuamente senza incatenarsi a un posto come fece quel demente di suo padre. 

Sono scelte. Che noi vecchi matusa possiamo condividere o meno ma che non smuovono di un millimetro le intenzioni dei figli. Poi magari arriverà un giorno in cui si pentirà di questo eterno girovagare e deciderà di incatenarsi a qualche luogo. Ma c'è tempo. I miei 35 anni nella stessa azienda mi sembrano volati se mi volto a guardarli, mentre i pochi che ho davanti prima dell'eterno riposo mi sembrano infiniti. D'altra parte, come diceva già De André in tempi non sospetti, "il tempo è un signore distratto". Molto distratto e molto volubile, aggiungo io.

5 commenti:

  1. Ho lavorato fino a 67 anni e il mio lavoro lo svolgevo con passione e gioia. Negli anni 70, il Secolo XIX, giornale di Genova, aveva pagine e pagine dedicate alla ricerca di un'occupazione. C'era l'imbarazzo della scelta. In questo momento storico, i giovani hanno mille difficoltà e spesso accettano lavori sottopagati basta racimolare qualche euro. Che tristezza!

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    1. Vero. Poi c'è anche da aggiungere che se esiste un problema di occupazione per professioni "normali", diciamo così, ci sono grossi problemi da parte delle aziende a reperire personale altamente specializzato. Insomma, diciamo che la galassia lavoro è complessa e diversificata.
      Certo è che, in linea generale, precariato e basse retribuzioni al limite dello sfruttamento sono problemi reali, purtroppo.

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  2. Anch'io ho raggiunto 35 anni lavorando nella stesa azienda, Correos (le poste spagnole, per dire). Ma nei primi 90' in Spagna avere un posto pubblico (per tutta la vita, funzionario) era quasi l'unica opportunità di avere un lavoro con una certa stabilità.

    podi-.

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    1. Qua in Italia, invece, fino alla fine dei Novanta i contratti a tempo indeterminato sia nel pubblico che nel privato erano praticamente la regola. Poi è iniziata l'era della "flessibilità", il temine scelto per mascherare la precarietà.

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  3. Sarebbe stato meglio mille volte vivere nell'URSS che in questa società neoliberale e nichilista.
    I detrattori dell'URSS dicevano che in quel tipo di società non c'era speranza e i giorni erano tutti uguali... Ma per me mille volte meglio vivere in sicurezza che in una situazione di costante incertezza.

    Dopotutto la massima del neoliberismo fa rabbrividire

    "Vivere pericolosamente".

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