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martedì 8 febbraio 2022

Facoltà umanistiche da chiudere?

"Quanti laureati in Lettere, Beni culturali, Filosofia, Sociologia, Psicologia e anche Giurisprudenza ed Economia sono destinati a lavorare nel campo per cui hanno studiato? Quanti, per farlo, dovranno emigrare? Quanti faranno i rider, i commessi, gli assistenti senza borsa, le/i segretarie del professionista, quanti lavoreranno alle poste o occuperanno una cattedra nella scuola, senza formazione né voglia? E allora chiudiamole, queste fabbriche delle illusioni che sono le nostre facoltà, che formano sì persone competenti, ma disoccupate, sotto occupate o emigranti questuanti come furono i nostri nonni negli anni Cinquanta."

Lo sfogo della professoressa di lingua tedesca ripubblicato da Concita De Gregorio è uno sfogo-provocazione, naturalmente, ma affonda il coltello in una piaga che è da tanto tempo sotto gli occhi di tutti: la cultura non paga più. Come dice sempre Umberto Galimberti, chi oggi si laurea in filosofia la prima cosa che deve sapere è che non farà mai il professore di filosofia. Punto. Tutto il profluvio di romantica retorica sul valore della cultura, sulla necessità di acquisire un bagaglio di sapere per muoversi meglio nel mondo e cercare di venire a patti con la complessità della società in cui si vive, lascia ormai il tempo che trova. Cioè, chi ha voglia e possibilità di studiare, di approfondire, di padroneggiare una cultura, un sapere, magari anche per conto proprio, è chiaro che è più avvantaggiato, oggi, rispetto a chi non ha la possibilità (o l'interesse) a farlo, ma è un vantaggio che rimane improduttivo. Con quel vantaggio magari ti muovi meglio nel mondo, ne capisci meglio certi meccanismi complessi, certe dinamiche, ma non ci mangi, per farla semplice.

Non credo sia colpa di qualche soggetto in particolare, ammesso che si voglia provare a trovarlo, un colpevole; credo che, molto semplicemente, la società si sia evoluta (evoluta?) in una modalità esclusivamente "tecnica" che ha trasformato in inutile orpello, se non addirittura ostacolo, qualsiasi aspirazione di tipo umanistico. Ma l'uomo non è solo "tecnico", anzi per sua natura ne è l'esatto opposto. E quando abbiamo tolto la componente umana da una società, lasciandola in balia della sola razionalità tecnica, che cosa rimane?

16 commenti:

  1. Io studierei nuovamente Filosofia, ma credo che inevitabilmente certi percorsi di laurea non possano avere uno sbocco brillante come da aspettative.
    Non condivido la chiusura del tuo post, perchè la società mi pare di gran lunga in balia dell'ignoranza, altro che razionalità tecnica!

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    1. Intendevo razionalità tecnica come struttura, indirizzo, come forma ormai definitiva della nostra società. Poi, certo, che l'ignoranza regni sovrana è ormai certificato da ogni classifica e ogni rilevazione. E anche da ogni valutazione empirica che ciascuno è in grado di fare da sé.

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  2. «chi oggi si laurea in filosofia la prima cosa che deve sapere è che non farà mai il professore di filosofia»? Non posso fare a meno di pensare che conosco l'eccezione che conferma la regola: un mio compagno di liceo, a poco più di quarant'anni, è diventato professore ordinario presso l'università di Roma Tor Vergata. Ed è impegnato in un sacco di attività che vanno ben oltre l'astratta speculazione. A occhio e croce è uno dei più affermati tra noi ragazzi della V F. E pensare che, quando seppi che si era iscritto a Filosofia, scossi il capo perplessa...

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    1. Eh sì, è decisamente l'eccezione che conferma la regola. Chissà, magari di eccezioni come questa ce ne sono in circolazione più di quanto si pensi.
      È bello immaginarlo.

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  3. Il problema è grave e irrisolvibile perché la tecnica è già quella “amputazione d’anima “di cui parla il poeta Angelo Tonelli. Comincia con le scuole e si perfeziona con le università: “fabbriche di morte” secondo Ceronetti e ”cretinifici” secondo un mio collega che per lavoro ne ha prese addirittura due, obtorto collo. Quando mi iscrissi a Lettere moderne ero in compagnia di un mio amico, figlio di un noto poeta. Da fine poeta, noto per la sua sensibilità, quest’ultimo commentò cosi la scelta del figlio e di conseguenza anche la mia: ”Impiccati”. Oggi la situazione è notevolmente peggiorata e peggiorerà ulteriormente finché l’uomo, divenuto accessorio dei prodotti dalla tecnica, si riscimmierà, come nelle sarcastiche previsioni di Cioran. Agli ultimi umanisti spetterà il ruolo di attrazioni in un circo o in uno zoo.

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    1. Hai descritto scenari piuttosto tragici ma, temo, veritieri. Gli ultimi umanisti col ruolo di attrazioni in un circo o in uno zoo è un'immagine che mi ha fatto sorridere.
      Sorridere amaramente, intendo, eh...

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    2. Angelo Tonelli, bravissimo grecista!

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  4. Mio figlio sta per laurearsi in storia, la sua ragazza in filosofia. Entrambi vorrebbero insegnare, soprattutto mio figlio. Quando mi disse a quale facoltà voleva scriversi, subito pensai che stava commettendo un errore, che non avrebbe mai trovato il lavoro che desidera. Poi penso a mio marito, che ha evitato la facoltà umanistica alla quale avrebbe voluto iscriversi e si è iscritto a una scientifica che non gli piaceva solo per trovare più facilmente lavoro; è vero che l'ha trovato, ma nemmeno quello gli piace. Allora ho concluso che se anche mio figlio non riuscirà mai a fare il professore, almeno non avrà sofferto per gli anni dell'università XD

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    1. Mi hai fatto venire in mente un episodio raccontato da Umberto Galimberti in una sua conferenza. Un giorno, parlando con uno dei suoi studenti che era ormai prossimo alla laurea (all'epoca insegnava all'Università di Venezia), gli chiese se era cosciente del fatto che l'imminente laurea in filosofia ben difficilmente gli avrebbe permesso di trovare un lavoro inerente a ciò che aveva studiato. E lo studente gli rispose: "Professore, lo so che non troverò mai un lavoro come insegnante di filosofia, e probabilmente non troverò neppure nessun lavoro che ci abbia a che fare, ma non m'importa: io in questi anni in cui ho studiato ciò che mi piaceva sono stato bene."
      Una risposta bellissima e al tempo stesso terribile, se ci si pensa.
      Faccio ogni augurio possibile a tuo figlio e alla sua ragazza di riuscire a realizzare ciò che desiderano.

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  5. Hai usato un ossimoro inquietante che sintetizza la situazione meglio di mille parole: vantaggio improduttivo.
    Nel corso della mia vita studentesca ho capito varie cose, alcune purtroppo un po' tardi:
    - scegliere il proprio percorso di studi in base alle cose che ci piace studiare non vuol dire che ciò ci permetterà di fare la professione dei nostri sogni (da teoria a pratica c'è un abisso, specie nella nostra penisola ben poco meritocratica);
    - allora scegliere cosa studiare sulla base della professione che sogniamo di svolgere ci lascia probabilmente meno appassionati nello studio, ma più pronti a gettarci nel mondo del lavoro, ammesso che la nostra figura professionale abbia mercato;
    - non resta che studiare per quello che, estrapolando qualche dato, probabilmente ci farà lavorare, ma così facendo addio conciliare lavoro con passione, addio sogni, e impoverimento (non economico ma entusiastico) generale dei professionisti, con probabili frustrazioni che non si riesce a lasciare fuori casa e intaccano la sfera familiare.

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    1. Con probabili frustrazioni che non si riesce a lasciare fuori casa, così come descritte magnificamente da Galimberti in questi pochi minuti.

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    2. Devo aver letto una trascrizione di quel discorso qualche tempo fa. Non sono affatto parole nuove per me, e forse mi hanno "contaminato".

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  6. Mia figlia, una grande passione per la letteratura inglese, durante un open day per la scelta della facoltà universitaria chiese lumi a un docente della facoltà relativa a proposito degli sbocchi professionali. La risposta fu stupefacente: oltre alle professioni ovvia, le disse che molti dei suoi studenti si sono specializzati in legge e esercitano la professione di avvocato, grazie alle capacità sviluppate nell'analisi dei testi (mia figlia ha poi scelto chimica, ma questa è un'altra storia). La figlia di una mia amica ha deciso di laurearsi in storia, per specializzarsi poi in legge e occuparsi di human rights. Cosa voglio dire? Che le lauree umanistiche, se viste solo come "insegnantifici" sono ovviamente destinate a soccombere. Invece possono costituire una magnifica struttura di fondazione (scusate l'ingegnerese...) per professioni diverse: laureati in letteratura per la produzione di testi e contenuti per il web, laureati in lingue per miriadi di applicazioni in ambito AI, laureati in storia o in filosofia per l'avvocatura ( e laureati in matematica o fisica per l'analisi dei dati -banche e assicurazioni ringraziano...).
    Che un laureato in filosofia, con le sue capacità di analisi e speculative, abbia come unico sbocco professionale l'insegnamento è una cosa che grida vendetta! È solo italiana l'idea della laurea umanistica come viatico per l'insegnamento: in realtà possono essere fucina di magnifiche competenze sfruttabilissime in qualunque sistema economico evoluto. E temo che questo sia il problema...

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  7. >Che un laureato in filosofia, con le sue capacità di analisi e speculative, abbia come unico sbocco professionale l'insegnamento è una cosa che grida vendetta!

    Concordo con te, Flo, sono convinto anch'io che sia una cosa che grida vendetta. Ma credo occorra guardare in faccia la realtà. Io non so quanti siano i docenti che a un ragazzo che si iscrive a un corso di laurea in filosofia prospettino le possibilità che quell'illumonsto docente ha prospettato a tua figlia. In generale, a me sembra che la stragrande maggioranza di chi si iscrive a una facoltà umanistica abbia come aspettativa quella dell'insegnamento. Credo sia anche una sorta di forma mentis, se così vogliamo dire: studiare qualcosa che alla fine abbia una utilità immediata. Forse bisognerebbe cambiare la mentalità dilagante; forse bisognerebbe guardare altre realtà, anche fuori dall'Italia, che abbraccino prospettive più ampie...

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    1. Sia chiaro: ponti d'oro a chi aspira all'insegnamento! Ma che debba essere considerato l'unico sbocco professionale possibile è davvero limitante.
      E, urge sottolinearlo, specializzarsi in legge partendo da una laurea di primo livello in storia o filosofia o letteratura o che so io, è possibile in UK, dove la flessibilità del sistema universitario è straordinaria e dovrebbe essere studiata approfonditamente dai nostri sedicenti esperti.

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    2. L'Italia non è l'UK, purtroppo. Per certi aspetti è meglio che non lo sia, per altri sarebbe meglio che lo fosse. Il sistema universitario rientra indubbiamente tra questi.

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