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sabato 5 giugno 2021

Poca fede

Giovanni Panettiere, su Il resto del Carlino di stamattina, snocciola alcuni dati sul crescente fenomeno dell'ateismo nell'ultimo quarto di secolo, ben riassunti da questo grafico.


Il fenomeno dell'aumento dell'ateismo non è peculiarità del nostro paese, ma, con numeri addirittura più elevati, interessa anche paesi come Germania, Francia e molti del nord Europa. In generale è tutto l'Occidente che, progressivamente, tende ad abbandonare la religiosità in favore di una visione più disincantata dell'esistenza, e ciò è particolarmente evidente nei giovani.

Il fenomeno è complesso e ricco di sfaccettature, specialmente in riferimento a cosa si intende per fede. Il cardinal Martini, tempo fa, diceva che i credenti sono principalmente ascrivibili a due categorie: quelli della linfa e del tronco seguiti da quelli della corteccia, metafora che non mi pare necessiti di essere spiegata.

A questi ultimi, quelli della corteccia, appartengono i cosiddetti fedeli abitudinari, quelli che (a parole) dicono di credere ma che sono forieri di una religiosità che con la spiritualità non c'entra niente. Sono i credenti in chiave anti-islam, ad esempio (tipo Salvini), oppure i credenti per tradizione familiare o politica o di altro tipo. Oppure sono i credenti che in una religione cercano soprattutto un senso di conforto, di appartenenza, di comunità, di comunanza, di ritrovo, di sicurezza, in una società sempre più frammentata in cui la dimensione collettiva viene sempre più messa da parte in favore della dimensione individualistica.

Vittorino Andreoli, mi pare, in un suo libro scriveva che quando vede le grandi adunate in piazza San Pietro o altrove, dubita sempre che siano motivate solo dalla fede, quanto semmai dal bisogno delle persone di ritrovarsi con altre persone che condividono gli stessi valori religiosi, dove non è importante il valore religioso in sé quanto il bisogno di sentirsi meno soli.

In fondo, se ci si pensa, da questo punto di vista le religioni, tutte le religioni, hanno da sempre rappresentato una grande forma di terapia.

21 commenti:

  1. Bel post, Andrea. Buon sabato.

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  2. Il processo di secolarizzazione è ormai avviato da anni, e anche se non credo, ahimè, che le religioni scompariranno del tutto, penso che ci sarà un continuo ridimensionamento e qualche trasformazione forzata.

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    1. Neppure io credo che le religioni scompariranno. Magari cambieranno, ne nasceranno altre e cadranno nel dimenticatoio altre ancora, forse cambieranno forma, ma dato che i motivi per cui sono nate (risposte, bisogno di conforto, sicurezza, punti di riferimento) esisteranno sempre, pure esse esisteranno sempre.

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    2. La mia tesi di laurea fu su un teologo delle tue parti!

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    3. Mi sa che me l'avevi detto in un commento a un altro post, se non ricordo male. C'entrava con Agostino d'Ippona, vero?

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  3. Io faccio fatica a comprendere chi non crede, mentre sovente chi non crede ritiene di capire chi crede.

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    1. >Io faccio fatica a comprendere chi non crede

      Ti do pienamente ragione, tanto è vero che spessissimo io stesso ho difficoltà a comprendermi :-)

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  4. Da dove vengo, dove vado? L'uomo si è sentito frastornato,  quando si è posto questa domanda e ha chiesto una risposta  ai vari idoli che si è inventato. Nessuno gli ha saputo rispondere . La domanda resta  ma,  probabilmente ora l'umanità si affida più  alla scienza .

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    1. Sì, anche perché la scienza evolve, progredisce, mette continuamente in discussione sé stessa, e questo suo continuo progredire consente di fornire un sempre maggiore numero di risposte, laddove, invece, la granitica dogmaticità delle religioni non fornisce più risposte.

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  5. Intanto distinguerei tra atei ed agnostici.. di fondo sono comunque d'accordo.. ad un gran percentuali di credenti, potendo certificare che la loro vita termina qua sulla terra, cambierebbero religione subito..

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    1. Beh, nell'articolo che ho citato di parla di ateismo; l'agnosticismo, nelle sue due accezioni principali, è un'altra cosa.

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    2. Quel 60/40 è troppo drastico.. a meno che gli agnostici non siano in quel 60..

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  6. I giovani, proprio in quell'epoca della vita in cui si ha bisogno di credere e pare persino giusto morire per un ideale, scoprono che non c'è nulla che valga il sacrificio e abbandonano il campo. Quello religioso e quello dell'impegno personale. Peccato.
    La chiesa, intesa come istituzione, va troppo a rilento mentre il mondo corre e i fedeli si sentono sempre più lontani dai dettami che impone. Scandali di ogni natura, incoerenze, fratture interne e il dio pagano che spopola nel web proponendo nuovi valori, rompono rapporti e consuetudini che parevano durare per sempre, per nulla sostituiti da altri valori. Davvero peccato.
    Ciao Andrea.

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  7. Umberto Galimberti, un filosofo che a me piace molto, dice che non è un problema il fatto che i valori si svalutino o cambino; è una cosa, questa, che è successa regolarmente nel corso della storia umana e il mondo è andato avanti lo stesso. Il problema, semmai, nasce quando i valori cadono e non vengono sostituiti da altri, come dici tu. Non a caso lui definisce la nostra era l'epoca del nichilismo, di cui peraltro non si vede ancora l'uscita.
    Ciao Sari.

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  8. Non sono credente ma sono cresciuto e ho studiato in un ambiente religioso. Per dirti che mio cugino è un esorcista e mia cugina una suora comboniana, ho fatto il liceo in un collegio arcivescovile (per due anni il mio professore di matematica è stato uno Giulio Boscagli) e una parte della mia famiglia materna è di Comunione e Liberazione. Diciamo che è un continuo dialogo/scontro con loro. Certe volte mi viene da rispettare molto di piu' quei cattolici alla Costanza Miriano piuttosto che quei credenti che vorrebbero una Chiesa che si riforma costantemente, meno dogmatica, meno legata a eventi inspiegabili, all'insondabile e preferibilmente piu' razionale e aperta alla modernità e a noi stessi e alle diversità. Lo dico da non credente: Se togli tutti gli elementi soprannaturali da ogni religione (che sappiamo ormai bene quando e come si sono sviluppate) che cosa rimane se non le regole del buon vivere e allora perché dovresti credere e pregare e entrare in una moschea o in una sinagoga o in una chiesa? Ci entri perché sei solo, sei triste, hai bisogno di conforto, ti senti perso, non sai darti delle risposte. C'è una cosa che quasi solo le religioni e le spiritualità ormai sanno offrire gratuitamente al chiuso: spazi di silenzio e raccoglimento, di tempo che non deve essere pagato e dove nessuno ti disturba.

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  9. Concordo con alcune cose che dici. Penso però che non si entri in chiesa solo perché si ha bisogno di conforto o perché ci si sente persi o perché si cercano risposte, tutte motivazioni estremamente dignitose, queste, ma si entra in chiesa (moschea, sinagoga ecc.) anche per abitudine, consuetudine, vuota ritualità. Tutti atteggiamenti, questi ultimi, che il cardinal Martini ascrive nel novero di quelli osservati dai fedeli-corteccia.

    Per quanto riguarda la religiosità alla Costanza Miriano, non so bene cosa dirti. Il cattolicesimo di stampo reazionario non mi è mai piaciuto e, a dirla tutta, mi ha sempre un po' spaventato. Ora, è vero che se alla religione togli i dogmi rimangono semplicemente le normali regole del buon vivere che non necessitano di tutto l'armamentario religioso-liturgico per essere osservate, ma è altrettanto vero, come osservava Sari qui sopra, che la pena da pagare per mantenere questi anacronistici dogmi è la desertificazione delle chiese, cosa che per altro sta succedendo.

    Ho letto tempo fa un bellissimo saggio di Galimberti intitolato Cristianesimo, la religione dal cielo vuoto, in cui vengono analizzati in maniera spietata i motivi del progressivo svuotamento delle chiese e dell'inarrestabile incedere del secolarismo. In sostanza (non posso naturalmente riassumere un saggio qui), la perdita di fascino del cristianesimo è dovuto alla progressiva perdita della valenza sacrale del cristianesimo, conseguente alla perdita di ciò che una volta (chi andava a catechismo 50 o 60 anni fa lo sa benissimo) veniva chiamato il timore di Dio.
    Oggi non esiste più il timore di Dio, si è persa tutta la narrazione secondo cui Dio è sì buono ma anche terribile, del dio che se gli gira male ti manda all'inferno senza tanti complimenti, come sa chi ha letto l'antico testamento; oggi è in voga la narrazione del Dio padre eternamente buono, il dio misericordioso che anche se la combini grossa in fondo alla fine ti perdona e cose di questo genere.
    Uno dei motivi, forse il maggiore, che ha contribuito ad allontanare la gente dalla religione è anche questa perdita del timore di Dio. E una volta che Dio non fa più paura, perché lo fa fare di mettersi lì a seguire le sue regole?

    Naturalmente qui ci siamo infilati in un discorso che ben difficilmente può essere sviscerato nei commenti a un blog, ma è comunque per avere un'idea.

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  10. Sono d'accordo, infatti gli psicologi una volta lavoravano decisamente meno, bastavano le parole del parroco per trarre conforto dai mali della vita

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    1. Oltretutto, una volta la vita era più dura, c'era meno tempo da dedicare al cazzeggio e quindi ci si annoiava meno, di conseguenza c'erano anche meno motivi per rivolgersi agli analisti.

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  11. Non ho difficoltà a pensare che c'è una certa somiglianza tra la persona che va a parlare col monaco e chi si rivolge a uno psicoterapeuta:entrambi cercano un posto fuori dal mondo quotidiano dove cercare delle verità (per questo la figura del parroco è molto decaduta, perché è troppo coinvolto nella vita quotidiana). Poi credo che ci siano psicoterapeuti che cercano di aiutarti a riconoscere le tue vere verità e ad avere il coraggio di viverle anche andando controcorrente e psicoterapeuti che cercano di adattarti meglio alla vita esterna, alla società così come è. Allo stesso modo ci possono essere religiosi che si interessano a chi sei veramente e religiosi che cercano di ridurti pecora in un gregge di cui loro sono pastori.

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    1. Concordo, anche se tendo più a pensare che, molto più semplicemente, chi si rivolge a un prete o a uno psicoterapeuta lo faccia semplicemente per avere qualcuno con cui parlare, perché oggi non si ha più nessuno coi cui farlo. Sto generalizzando, naturalmente, ma è per rendere l'idea.

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