Quando iniziai, l'azienda era piccola, un paio di soci titolari e i dipendenti. Ci si conosceva tutti e i rapporti erano generalmente di stampo amichevole e familiare, non certo di natura gerarchica. Gli orari erano tutto sommato abbastanza flessibili e lo svolgimento delle mansioni era caratterizzato da una certa libertà. Col passare degli anni l'azienda, per riuscire a competere col modificarsi del mercato del lavoro, si è fusa con altre simili, inglobando altre realtà, cosa che naturalmente ha richiesto un certo numero di sacrifici in termini di posti di lavoro.
Oggi quella piccola azienda in cui iniziai è un piccolo ingranaggio di un "macchinario" molto più grande e articolato. Non c'è più la familiarità di una volta e le molteplici manovre di fusioni, acquisizioni, cessioni protrattesi nel corso degli anni hanno fatto sì che oggi io non sappia neppure che faccia abbiano i proprietari. So solo, genericamente, che mi trovo alle dipendenze di una grossa S.p.A con sede in Abruzzo.
Ciò ha comportato, giocoforza, la scomparsa della prima condizione che rendeva in un certo qual modo gradevole il lavoro: la familiarità a cui accennavo sopra, sostituita da una componente burocratica e gerarchica che ha trasformato noi lavoratori da persone a numeri. Quella libertà di manovra, diciamo così, che si respirava agli inizi e che permetteva a chi lavorava di godere di una certa quota di autonomia nello svolgimento del lavoro è sparita sotto il peso di orari precisi, turni, tempi contingentati e rigidi per pause pranzo e cena, asettici e freddi moduli per ogni tipo di richiesta, tipo permessi e ferie (una volta bastava avvisare il giorno stesso se ad esempio si aveva necessità di allontanarsi per un'ora).
Insomma, il lavoro - almeno il mio, magari non è dappertutto così - se una volta era organizzato sotto rapporti di relative familiarità e autonomia, ora è organizzato esclusivamente sotto rapporti di gerarchia, efficienza e produttività. Senza girarci tanto attorno, si è passati da un lavoratore considerato persona a un lavoratore considerato numero. Certo, so benissimo che le aziende non sono enti di beneficenza e che il faro che illumina il loro operare, oggi come allora, è quello del profitto, ma col tempo si è gradatamente persa, fino a esaurisi, quella componente umana nel rapporto lavoratore-azienda che tutto sommato rendeva sopportabile, spesso anche gradevole, lavorare con questa consapevolezza.
Essere considerati numeri, godere di considerazione limitatamente al livello di efficienza che si è in grado di raggiungere, avere coscienza che si può essere lasciati a casa senza troppe difficoltà o spiegazioni, non è esattamente il migliore degli incentivi per continuare a lavorare con impegno. Abbiamo perso l'umanità nei rapporti di lavoro, oltre che in quasi tutti gli altri ambiti sociali, e una società senza umanità è destinata, come del resto è ormai sotto gli occhi di tutti, al declino.
Un po' come quello che è successo nel cinema dove lavoro da quasi dieci anni (prima ho avuto altre esperienze lavorative) che qualche anno fa è stato assorbito da una catena con sede a Zurigo e da quel momento in poi tutto i rapporti umani sono andati velocemente deteriorandosi. Prima uno dei vecchietti, fratelli e proprietari, arrivavano ogni lunedi' mattina e durante le giornate e salutavano il personale con molta eleganza ed educazione. Erano (sono) molto severi, esigenti ma sempre attenti, rispettosi. Adesso siamo soltanto numeri, timbri, algoritmi. In questi mesi di Covid poi tante mie colleghe e colleghi sono stati licenziati senza nemmeno un messaggio o una telefonata anche se lavoravano al Cinema da tanti anni.
RispondiElimina(e comunque al cinema io faccio pulizie e popcorn, uno degli invisibili)
EliminaTutti, chi più chi meno, indipendentemente dalla professione, siamo invisibili.
EliminaCredo che tu possa immaginare quanto io sottoscriva questo tuo post. L'altroieri pomeriggio ho partecipato al party natalizio aziendale, che per ovvie ragioni si è svolto da remoto. Come da tradizione sono stati celebrati gli anniversari dei dipendenti di più lunga data: 5, 10, 20 e 30 anni. Ebbene, tre di questi – due con vent'anni di anzianità e quella più "anziana" di tutte, in azienda da trent'anni – condividono il mio stesso destino di doversene andare a breve non per propria scelta. Non sono l'unica, l'organico verrà ridotto di circa un terzo.
RispondiEliminaMi spiace. Purtroppo oggi è così: se si serve ancora, bene, altrimenti arrivederci e grazie.
EliminaNon credo serva a stare sul mercato (per lo più è una scusa) credo serva più che altro a raziare il più possibile
RispondiEliminaSecondo me è un mix delle due cose. Però, chissà...
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