Questo, che ho appena terminato, è forse il saggio che ho sottolineato di più e a cui ho fatto più orecchie tra quelli letti negli ultimi tempi, e che sicuramente rileggerò. È, in sostanza, un grande invito a non fossilizzarsi sulle idee acquisite, a scuotersi dalla pigrizia che impedisce di metterle in discussione, di sottoporle a critica rapportandole ai cambiamenti rapidi con cui si muove la società. E Galimberti invita all'uso del senso critico in maniera elemplare, smontando e illustrando le contraddizioni dei tanti miti di oggi: il culto della giovinezza, l'ossessione della crescita economica, la tirannia della moda, solo per citare quelli trattati in maniera più esaustiva.
È un libro pessimista, nel senso che non lascia grossi margini di speranza che in futuro ci siano cambiamenti di rotta rispetto alla direzione imboccata dalla società, dove ormai predomina l'incultura, la fascinazione per le "soluzioni" a colpi di slogan, il rigetto dell'analisi e della propensione al discernimento come mezzi per poter capire le cause, sempre più complesse, di ciò che succede. Significativo, tra i tanti, il passaggio in cui il filosofo dice che le nazioni progrediscono a partire dal livello culturale. Ed è facile capire cosa comporta questo per un paese, come il nostro, dove non si leggono più libri e che è agli ultimi posti, tra quelli europei, per la comprensione di un testo scritto.
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