Dice Poletti che se si va a votare prima che venga fissata la data del referendum sul JobsAct, ammesso ovviamente che la Consulta giudichi il referendum ammissibile, "il problema non si pone". In pratica è il governo stesso ad ammettere che si tratta di un problema, e il problema è appunto che una seconda sconfitta referendaria, e proprio su una delle riforme di punta del governo Renzi, farebbe crollare definitivamente un PD già ridotto in macerie dopo la bruciante sconfitta del 4 dicembre scorso. E allora al Nazareno si lavora alacremente per scongiurare il colpo di grazia che arriverebbe con un referendum chiesto a gran voce da oltre tre milioni di italiani - le firme raccolte per abrogare quella porcata di legge chiamata JobsAct sono circa 3,3 milioni, il che è tutto dire. Una delle ipotesi sul tavolo è che si faccia velocemente una legge elettorale con tutti i crismi della costituzionalità per poi con quella tornare al voto, voto che provocherebbe lo slittamento del referendum al 2018 e conseguente eliminazione del problema. Un'altra ipotesi è quella di intervenire con una modifica legislativa sulla riforma in modo da disinnescare il referendum, cosa che però sarebbe una mezza sconfessione della legge stessa. E non si può, dài.
Comunque sia, questi continuano a studiare e a lambiccarsi il cervello sugli stratagemmi migliori da mettere in campo per impedire che milioni di persone si pronuncino sul JobsAct. Perché sanno benissimo in quale direzione andrebbe quella pronuncia, ed è un rischio troppo grande.
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