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domenica 6 novembre 2016

Il tempo dell'odio

Dice Renzi alla Leopolda, riferendosi agli scontri di ieri, che "viviamo il tempo dell'odio". Vi ricorda niente questa frase? Niente niente? Dài, è facile; basta un minimo di memoria per ricordarsi che è lo stesso ritornello che tirava fuori Berlusconi, durante il suo malefico ventennio, quando la gente scendeva in piazza per contestarlo. Se ricordate, il suo partito - diceva - era il partito dell'amore che combatteva contro il partito dell'odio, un'entità abbastanza eterogenea in cui lui ci infilava chi manifestava, la sinistra, i giornali della sinistra, il PD (sì, il PD), la magistratura e non ricordo bene chi altri; in ogni caso, chiunque remasse contro. Ma il Renzi di oggi, come il Berlusconi di allora, si guarda bene dall'indicare se stesso come colui che ha avuto un ruolo non certo minoritario nel fomentare questo presunto odio, che forse è un sostantivo un po' forzato, esagerato - io direi più avversione - ma che comunque c'è, è inutile negarlo. C'è ora come c'era appunto ai tempi del tipo delle cene eleganti, e c'è perché entrambi hanno sempre abilmente coltivato questa dicotomia ed esacerbato questa conflittualità, insita già per natura nelle masse, tra (presunto) bene e (presunto) male e tra (presunto) odio e (presunto) amore per puro vantaggio e interesse personale.
Berlusconi lo faceva additando i nemici nelle categorie di cui sopra, Renzi lo fa apostrofando chiunque dissenta come gufo, rosicone e altri simpatici epiteti. L'ultimo in ordine di tempo degli esempi volti a classificare chi dissente come nemico, l'abbiamo avuto ascoltando come ha definito alla Leopolda chi è in disaccordo con la sua riforma costituzionale. E quando Renzi dice che questo referendum è un "derby", una "partita", una scommessa su se stesso, sul suo governo, non fa nient'altro che continuare ad aumentare l'intensità di questo conflitto. Nello stesso tempo dimostra che non ha capito niente dello spirito con cui ci si avvicina a una modifica della Costituzione, specie a una riforma di questa portata che in un colpo solo va a modificarne 47 articoli, sovvertendone l'impianto e lo spirito originario, quando ne sono stati toccati poco più di 40 negli ultimi 60 anni. Una riforma scritta assieme a un pregiudicato e inserita in quel famoso e misterioso patto del Nazareno, stretto col tipo che "quando noi saremo al governo Berlusconi sarà il primo a essere rottamato". Si è visto, infatti. Poi Berlusconi si è dissociato, come si sa, e adesso sta col no, una scelta fatta esclusivamente sulla base di piccoli e ignobili giochi di convenienze, baratti e interessi particolari, che, assieme a un governo che rappresenta meno del 20% degli elettori e andato al potere grazie a una legge elettorale dichiarata incostituzionale, rappresentano il terreno avvelenato su cui si incardina questa riforma costituzionale. Uno scempio mascherato da grande riforma della Costituzione, ma che è in realtà un concentrato di modifiche slegate, disomogenee, incoerenti, raffazzonate, e per la maggior parte neppure compiutamente definite e subordinate all'approvazione di leggi ordinarie future di cui ancora non c'è traccia.
Non c'è alcun odio, come ripete Renzi, ma c'è avversione nei confronti di uno scempio costituzionale di cui si capirà la gravità solo quando sarà troppo tardi per rimediare.

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