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martedì 18 ottobre 2016

Lavoro ed equità

Le persone non sono macchine. Devono essere motivate per lavorare sodo. E se pensano di essere trattate in modo iniquo, è difficile motivarle. Questo è uno dei punti centrali della moderna teoria economica del lavoro, sintetizzata nella cosiddetta teoria dei salari di efficienza, in base alla quale il modo in cui le imprese trattano i lavoratori - inclusa la remunerazione - incide sulla produttività.
Può sembrare di una banalità disarmante, questo assunto, e forse lo è, fatto sta che mi ha colpito, e probabilmente mi ha colpito perché non ci avevo mai pensato. Questa cosiddetta teoria dei salari di efficienza, riportata da Joseph Stiglitz nel suo saggio che sto leggendo in questi giorni, non è roba recente ma fu postulata addirittura un secolo fa dall'economista inglese Alfred Marshall, vissuto a cavallo tra il 1800 e il 1900. Conseguenza di questo assunto, che non è una semplice teoria ma il frutto consolidato di molteplici esperimenti economici, è che il lavoratore meglio retribuito è per l'impresa meno costoso, anche se sembra un paradosso, e questo perché la resa del lavoratore maggiormente incentivato è in proporzione maggiore di quella di un lavoratore meno incentivato per svariati motivi, non ultimo, appunto, quello economico. A un imprenditore, quindi, costa meno un lavoratore a cui elargisce uno stipendio maggiore. Scrive ancora Stiglitz:
La sensazione diffusa un tempo tra i lavoratori dell'Unione Sovietica di essere sfruttati da dirigenti che vivevano nel lusso svolse un ruolo importante nell'affossamento dell'economia sovietica e nel suo definitivo collasso. Come recitava una vecchia battuta sovietica: "Loro fanno finta di pagarci, e noi facciamo finta di lavorare."
E niente, domattina mi verrebbe voglia di fare due chiacchiere col mio titolare.

2 commenti:

  1. E noi abbiamo il jobsact che ha precarizzato come non mai il lavoro. Renzi ha capito tutto.

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  2. Forse pensava che la soddisfazione lavorativa si misurasse in voucher.

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