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lunedì 17 ottobre 2016

La pulsione acchiappa-clic che fa a pezzi il giornalismo

"Purtroppo su queste cose si scivola per la pulsione a pubblicare pezzi "pop" che portino clic."
La confessione che ho citato qui, è stata fatta da un "giornalista" al blogger e cacciatore di bufale Paolo Attivissimo e riportata in questo suo articolo in cui smonta la bufala del famoso questionario britannico frettolosamente etichettato come razzista. Non so se si riesca a comprendere appieno la portata di questa confessione. Non mi pare una cosa di poco conto. È in pratica l'ammissione che in certe redazioni la discriminante tra il pubblicare una notizia o cestinarla non è dettata dal fatto che si tratti di una bufala o meno, ma dai clic che può portare; se poi si tratta di una probabile bufala, beh, pazienza, qualcuno si prenderà la briga di sbufalarla, l'importante è attirare clic così gli inserzionisti sono contenti.
Quello che fa specie è che non stiamo parlando di siti o giornali di poco conto o di nicchia. La bufala del quesito razzista, che in realtà non lo era (bastavano due minuti di Google per capirlo), è stato ripresa da Corriere, Repubblica, Stampa e così via, cioè dai maggiori siti di (dis)informazione del nostro paese. L'aspetto curioso della faccenda è che un certo numero di anni fa, quando ci fu il boom dei blog, nacque una polemica piuttosto accesa e con notevoli strascichi tra blogger e giornalisti, con questi ultimi che accusavano appunto i primi di essere dilettanti che pubblicavano qualsiasi cosa capitasse loro a tiro senza stare tanto a verificare e approfondire. Non era vero, ovviamente. Adesso la verità su chi fossero i veri bufalari è venuta a galla, e lo ammettono tranquillamente pure loro.

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