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giovedì 19 febbraio 2009

Il Popolo della Libertà (di chi?)

Quale è la prima cosa che fa venire in mente una coalizione con questo nome? Ovviamente la libertà. E, di conseguenza, un partito il cui modus operandi è strettamente vincolato all'osservanza di questo principio. Peccato che invece, specialmente nell'ultimo periodo, la direzione presa dai provvedimenti partoriti non sembra proprio dettata da questo principio.

Come sapete (ormai dovreste saperlo di sicuro), è in discussione in questo periodo il decreto sulle intercettazioni. Lo so, ne ho già parlato ancora, ma il fatto è che ogni tanto qualche genio pensatore aggiunge o toglie qualcosina a tutto il disegno di legge con l'unico risultato di peggiorarlo un pochino di più ogni volta.

L'ultimo emendamento, inserito nel testo (già passato alla Commissione Giustizia della Camera) dalla parlamentare del Pdl Deborah Bergamini, prevede il carcere da un minimo di uno a un massimo di tre anni per i giornalisti che pubblicano i testi di intercettazioni destinate alla distruzione perché non ritenute utili ai fini delle indagini. Questo provvedimento va ad aggiungersi ad altri, firmati da altri parlamentari e inseriti nel medesimo disegno di legge, che prevedono ad esempio la stessa pena per chi pubblica intercettazioni non attinenti all'indagine in corso. In più - altra chicca - i giornalisti non potranno più rivelare il nome del magistrato titolare di una certa inchiesta e neppure di cosa tratta l'inchiesta stessa. In pratica una cortina di silenzio totale su tutto.

Ecco, per riassumere meglio, il testo di questi tre particolari provvedimenti:

- DIVIETO PUBBLICAZIONE - Per i media le indagini diventeranno
'top secret'. Non si potranno più pubblicare gli atti
dell'indagine preliminare, neanche l'iscrizione nel registro
degli indagati di qualcuno, o quanto acquisito al fascicolo del
Pm o del difensore, fino al termine dell'udienza preliminare.
Anche se gli atti non saranno più coperti da segreto.

- NO A NOMI E IMMAGINI PM - Il ddl prevede lo stop alla
pubblicazione di nomi o immagini di magistrati ''relativamente
ai procedimenti e processi penali a loro affidati'', salvo che
l'immagine non sia indispensabile al diritto di cronaca.

- CARCERE PER I GIORNALISTI - Torna il carcere per i
giornalisti. Con due emendamenti approvati in extremis e'
prevista la pena da uno a tre anni per chi, ''con volontà di
dolo'', pubblica intercettazioni per le quali sia stata ordinata
la distruzione o relative ''a conversazioni o flussi di
comunicazione riguardanti fatti e circostanze o persone estranee
alle indagini di cui sia stata disposta l'espunzione''.
Aumentano anche le sanzioni per gli editori, fino a 370mila euro
per chi pubblica violando gli obblighi di legge. (fonte)


Ecco, questi tre emendamenti - ricordo, partoriti da un partito che si richiama alla libertà - dovrebbero avere come fine la salvaguardia di questa benedetta privacy, sull'altare della quale si sta ormai sacrificando di tutto, compreso il buon senso. Per carità, nessuno mette in dubbio il fatto che ci siano stati più volte abusi nell'uso (anzi, abuso) di queste benedette intercettazioni, ma un conto è regolamentare e un conto è censurare.

Infatti, se osservate bene, vi accorgete facilmente che questa legge non rappresenta nient'altro che la pietra tombale sul diritto di cronaca, in questo caso di quella giudiziaria. Ricordo che il diritto di cronaca è garantito dalla Costituzione, e precisamente dal quel famoso art. 21 al quale (a parole) tutti si richiamano ma che con disinvoltura viene spesso dimenticato. Mettere in galera i giornalisti che pubblicano atti di inchieste in corso, infatti, a mio avviso è un'operazione che ha ben poco a che fare sia con la libertà, sia col sacrosanto diritto dell'opinione pubblica di sapere cosa sta succedendo, e ricorda un po' i metodi non proprio democratici coi quali molti regimi dittatoriali impongono il silenzio e mettono il bavaglio all'informazione.

Si possono fare alcuni esempi. E uno che calza a pennello è stato evidenziato da articolo21.info, il quale scrive:

Se oggi il magistrato Tizio scarcera uno stupratore assassino, ne assume in prima persona la responsabilità, davanti alla legge, all’opinione pubblica, alle procedure disciplinari. Se il nome del magistrato dovesse rimanere segreto, non sarebbe Tizio il responsabile della scarcerazione, ma genericamente “ il magistrato”. Sarebbe cioè tutta intera la istituzione Magistratura a finire sotto accusa e ad essere chiamata a pagare il fio dell’esecrazione popolare, con una evidente e corrosiva opera di delegittimazione del suo ruolo e delle sue funzioni.

Mi sembra abbastanza chiaro il concetto. E anche il fatto che non si possa più parlare di un'inchiesta giudiziaria finché non inizia il processo è una cosa i cui effetti potrebbero essere imprevedibili. Scrive Marco Travaglio sul suo blog:

Casi di cronaca normali come anche casi di delitti dei colletti bianchi noi non potremo più dire nulla sulle indagini in corso se non “arrestato un tizio”. Se dico che hanno arrestato un tizio posso dire che l'hanno arrestato per stupro, se dico che hanno arrestato uno per stupro non posso più dire il suo nome. O dico il reato o il nome di chi è accusato di averlo commesso, insomma non avrò più la possibilità di fare una cronaca completa in tempo reale per informare i cittadini di quello che succede.
Così quando arresteranno un vostro vicino di casa per pedofilia, voi potrete sapere che è stato arrestato per pedofilia soltanto cinque o sei anni dopo, quando inizierà il processo.
Voi capite che cambia la vita di una famiglia sapere che il vicino di casa è sospettato di pedofilia o non saperlo, perché per cinque anni si sta attenti dove vanno i bambini quando si gira lo sguardo dall'altra parte, se lo si sa.
Se non lo si sa non si sta attenti, ma naturalmente quando poi avremo casi di pedofilia, stupro o altro dovuti al fatto che la gente non ha preso le precauzioni perché non è stata adeguatamente informata, allora poi sapremo con chi dovremo prendercela.

Questo è un probabile scenario di ciò che potrebbe succedere qualora il ddl diventasse legge, ma vale la pena segnalare che se questo obbrobrio legislativo fosse stato già in vigore, noi non avremmo saputo niente, almeno fino all'inizio del processo, ad esempio del caso Parmalat, dello scandalo della clinica Santa Rita di Milano e altri. Ora, ci sarà sicuramente alla base di tutto questo una ragione. Voglio dire, ci sarà un motivo recondito alla base di un progetto, disegno di legge o chiamatelo come volete che di fatto impone il silenzio e vìola il nostro sacrosanto diritto di sapere le cose.

Il problema è che in questo momento mi sfugge.

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