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lunedì 8 settembre 2008

Quando il blogger viene condannato per... stampa clandestina

Lo so, a prima vista può essere difficile crederlo, ma è successo davvero. Breve riassunto della vicenda.

Carlo Ruta è un blogger siciliano (in realtà è molte altre cose, ma per comodità indico blogger perché con lo specifico caso è ciò che ha più attinenza) che verso metà giugno di quest'anno è stato condannato dal tribunale di Modica (Ragusa) per il reato - udite udite - di stampa clandestina (sentenza e motivazioni, depositate in questi giorni, qui). Il reato di stampa clandestina è previsto dalla legge n. 47 del 1948 (sì, avete letto bene), e nelle intenzioni dei legislatori di allora si applicava alla carta stampata ogniqualvolta, da chicchessia, veniva messa in circolazione una pubblicazione cartacea che non fosse preventivamente stata registrata presso la cancelleria del tribunale di competenza.

Ovviamente, con l'evoluzione delle tecnologie (per intenderci l'avvento di internet), questa legge ha subìto alcuni adeguamenti volti ad ammodernarla e tentare di renderla compatibile coi tempi odierni. Ha così visto la luce la famigerata legge 62/2001, il cui primo comma del primo articolo recita:

Per «prodotto editoriale», ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici.

Voilà, questo miracolo di insulsaggine giuridica, che di fatto estende il concetto di prodotto editoriale equiparando automaticamente una pagina web a un giornale cartaceo, è ciò su cui si è probabilmente basato il giudice di Modica per emettere la sua sentenza, frutto nient'altro che di un'interpretazione in senso restrittivo della norma. E tutto questo nonostante un successivo Decreto Legge del 2003 (questo), sancisca al comma 3 quanto segue:

La registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62.

A questo punto lo scenario che si apre è perlomeno inquietante, perché la sentenza del giudice di Modica decreta praticamente l'illegalità di ogni pagina web, di ogni sito, di ogni blog, di ogni forum o newsgroup non opportunamente "bollinato". Tutta internet è clandestina a questo punto. Questo blog, su cui state leggendo queste righe, al semplice girare di scatole di qualcuno che sta in alto (o anche in basso) può essere tranquillamente bollato come stampa clandestina con tutte le conseguenze del caso.

Come scrivevo sopra, ci fu all'epoca dell'uscita della legge una presa di posizione generalizzata e indignata degli utenti della rete, tanto che il solo sito Punto Informatico raccolse più di 35.000 firme in pochi giorni. Si cercò con varie iniziative di sensibilizzare chi stava allora nella stanza dei bottoni perché cancellasse quelle due righe da una legge incredibile che non esiste in nessun altra parte del mondo (tranne che in Cina). Ma niente da fare.

L'idea che ogni blog debba essere registrato da qualche parte per poter essere utilizzato, fa il paio con l'idea che chi ha una bicicletta la debba iscrivere al P.R.A. Cosa comporta tutto questo? E' semplice: la gente starà sempre più lontana dai blog, dai forum, dai luoghi cioè dove circolano le notizie senza filtro: in una parola, dalla democrazia. Per il semplice fatto che se prende piede questo perverso meccanismo saranno sempre meno le persone a cui verrà voglia di aprire un blog o scrivere in una community di qualsiasi tipo.

Non so se si tratti semplicemente e solamente di una (comunque pericolosa) coincidenza, ma tutto questo avviene proprio mentre sono in atto tentativi tutt'altro che velati di controllare internet e più in generale l'informazione libera: alcuni dirigenti di Google, come scrivevo ieri, stanno ad esempio per essere rinviati a giudizio perché ritenuti responsabili di ciò che hanno combinato altri utenti; Mediaset - così, giusto per non farsi mancare niente - ha intentato una causa contro Youtube (apparentemente per motivi di copyright), Barbareschi (PdL) ha appena annunciato un disegno di legge per limitare Youtube, e oggi la pubblicazione delle motivazioni di questa incredibile sentenza. Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che è imminente una riforma della giustizia che tra le altre cose prevede grosse penalizzazioni per i giornalisti che pubblicano cose non gradite, capite come tutti questi elementi, apparentemente slegati, possano essere in realtà inquadrati in quella che potrebbe essere definita una sorta di strategia di controllo dell'informazione.

La storia offre anche l'occasione di assistere a divertenti (anche se c'è poco da ridere) siparietti e a grottesche contraddizioni a cui da tempo ci hanno abituato i nostri politici. E dispiace, un po', vedere che tale occasione ci viene offerta (inconsapevolmente?) questa volta da Antonio di Pietro, politico che ho sempre ritenuto (e che continuo a ritenere) una spanna sopra la maggior parte di tutti gli altri.

Lo stesso ex magistrato, infatti, ha qualche giorno fa dato spazio alla vicenda nel suo blog. Nel suo articolo scrive di una interrogazione rivolta al Ministro della Giustizia da Giuseppe Giulietti, deputato dell'Italia dei Valori. Scrive Di Pietro:
L’onorevole Giulietti, deputato eletto nell’ Idv e portavoce dell’associazione Articolo 21, ha già chiesto al Ministro della giustizia tramite un'interrogazione a risposta scritta di rivedere la disciplina della materia [prodotti editoriali e internet, ndr] affinché non si lasci spazio alla censura.
E in un passo della suddetta interrogazione, Giulietti scrive:
"...tale sentenza, unica in Italia e in tutta Europa, sta creando allarme nell'opinione pubblica nazionale e in particolare nel mondo della comunicazione, per gli effetti devastanti che potrà avere sul terreno dei diritti di critica e delle libertà riconosciute nel nostro paese, tenuto conto che, secondo la logica prevalsa, la quasi totalità dei siti web italiani, per il solo fatto di esistere, potrebbero essere considerati fuorilegge, in quanto appunto «stampa clandestina», e ciò, secondo l'interrogante, in spregio a ogni regola della democrazia."
Bello. Bellissimo. Di Pietro si dimentica però di dire che Giulietti, che tramite questa interrogazione esprime tutta la sua più viva preoccupazione per quanto successo, è stato uno dei relatori della legge che ha permesso al giudice di emettere questa sentenza. Ecco uno stralcio di un articolo pubblicato da interlex.it ad aprile del 2001:
E veniamo a Giuseppe Giulietti, relatore del disegno di legge, che in un'intervista a Wayvision dice: "Questa legge prevede che solo e soltanto chi vuole accedere con la propria attività imprenditoriale ai benefici fiscali, cioé al credito d'imposta, deve registrarsi in Tribunale. Chi ha un proprio sito 'personale' o anche chi comunque lo aggiorna periodicamente, ma non è interessato ai benefici, non deve registrarsi da nessuna parte".
Anche Giulietti fa qualche confusione tra i due registri, ma è interessante un'altra sua affermazione: "Ho fatto immediatamente richiesta, e spero che ciò avvenga al più presto, di una circolare esplicativa e ufficiale da parte della Presidenza del Consiglio, da diffondere in rete e sugli altri mass media, per mettere fine a tutta questa storia".
Ovviamente, della suddetta circolare non si è mai vista neppure l'ombra, e, anzi, al crescere della protesta del popolo del web, Giulietti ha detto in un memorabile comunicato stampa di aprile del 2001:
"Nessun pericolo alla libertà in Internet dalla legge sull'editoria"
E ancora:
"E non c'è nessun rischio per le cosiddette attività amatoriali e per le libere attività già in atto nella rete. Non c'è mai stato il problema di ridurne la libertà e il loro raggio di azione. In ogni caso, siccome non si può mettere in discussione la libertà della rete, ribadisco che ci sarà immediatamente un chiarimento autorevole e definitivo per ogni allarme e per ogni paura ingiustificata." (fonte)
Ovviamente, neppure il fantomatico chiarimento si è mai visto da sette anni a questa parte, e la conseguenza l'abbiamo appunto avuta con la sentenza di Modica.

Che dire di più? Niente, se non che internet non è evidentemente ancora matura al punto giusto per essere oggetto di una regolamentazione seria che tenga finalmente conto della sua natura. Non è ancora pronta per essere accettata come strumento di democrazia orizzontale, dove non c'è come in tv uno che parla e gli altri che, alla stregua di poveri idioti, stanno a sentire passivamente. E se c'è una certezza, è che finché nella stanza dei bottoni ci saranno ancora personaggi come quelli a cui la tv e la politica ci hanno abituato (e assuefatto), che pensano di regolare la rete con le stesse leggi con cui si regolavano i giornali 60 anni fa, ogni speranza in tal senso resterà una pia illusione.

In favore di Carlo Ruta è online una petizione. Chi vuole aderire può farlo qui.

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