martedì 1 ottobre 2019

Tra Bufalo Bill e Tran Tran

"Sono in salotto coi piedi in ammollo Penso di te, solo che sei un accollo Minchia che accollo, whoa, non ti seguo su Insta', no
Mi ami mo' che mi vedi su una rivista
Mando baci alle fans, eh, non mi metto le Vans, wooh."

Il testo che leggete qui sopra è un estratto dalla "canzone" intitolata Tran Tran, di tale Sfera Ebbasta, che su Youtube vanta una decina di milioni di visualizzazioni. Perché ho tirato in ballo 'sto tipo? Perché oggi mi sono imbattuto in un gruppo di ragazzini, alla fermata dell'autobus, che riuniti attorno a uno smartphone cantavano a voce alta questo pezzo. Dal momento che ho notato che i video presenti sul canale del tipo hanno tutti svariati milioni di visualizzazioni, presumo che Sfera Ebbasta sia un po' l'equivalente dei cantautori che ascoltavamo noi genitori attempati quando avevamo l'età dei ragazzini alla fermata.

A proposito dei suddetti cantautori, mi è venuto in mente un pezzo chiamato Bufalo Bill, di Francesco De Gregori. A un certo punto recita: "...e vent'anni sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più.
E mi ricordo infatti un pomeriggio triste, io col mio amico Culo di gomma, famoso meccanico.
Sul ciglio di una strada a contemplare l'America, diminuzione dei cavalli e aumento dell'ottimismo."

Che differenza c'è tra i due testi? La prima, direi, è che quella del rapper è una descrizione di una serie di situazioni banalissime che non abbisognano di alcuna spiegazione. Il testo di De Gregori, invece, è più ermetico. Decisamente più ermetico. Direi incomprensibile. Il tipo di testo che spinge chi lo ascolti a chiedersi cosa significhi e a pensarci su per cercare di comprenderlo. Ci si sforza, in qualche modo (a me succede ancora oggi ogni volta che lo ascolto), si utilizza il cervello alla ricerca di una soluzione.

Ma la soluzione non c'è, non ci può essere, perché si tratta di poesia, di immagini evocative che razionalmente non hanno alcun significato e, per questo, permettono alla mente di ognuno di definirle a proprio piacimento, di interpretarle in maniera soggettiva. La bellezza di quei versi, insomma, sta tutta nella loro incomprensibilità ed evocatività, sublimate nell'immagine dell'io narrante che si siede sul ciglio di una strada, assieme al suo amico, a contemplare una misteriosa America che può essere l'alter ego di chiunque o di qualsiasi cosa.

Sintetizzando brutalmente, mi verrebbe da dire che la differenza tra noi genitori attempati e i nostri figli, è che noi siamo cresciuti coi poeti, i nostri figli con banali e mediocri cronisti di una altrettanto banale e mediocre quotidianità.

1 commento:

Fedora Rigotti ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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