giovedì 28 febbraio 2013

Thyssen

Ho letto della riduzione generalizzata, in appello, delle pene inflitte agli amministratori della Thyssenkrupp. Pur correndo il rischio (abbastanza concreto, ritengo) di essere fatto oggetto di contumelie, dico alcune cose.

In primo luogo, non mi sento di solidarizzare coi parenti delle vittime, che hanno occupato l'aula di giustizia con slogan, urla e ingiurie all'indirizzo dei giudici. Intendiamoci, la loro rabbia la comprendo, e bene (sono pure io un operaio), ma il metodo con cui è stata manifestata, no. Il motivo è molto semplice: non trovo né corretto né coerente solidarizzare coi giudici quando emettono sentenze di nostro gradimento e ricorrere alle ingiurie quando sentenziano in modo non corrispondente alle nostre aspettative.

Il processo Thyssen va avanti dal 2007; da allora sono state fatte perizie, contro-perizie, sono stati ascoltati miriadi di testimoni, vagliate vagonate di prove e indizi. Se i giudici, dopo tutto questo, hanno ritenuto di derubricare il reato da omicidio volontario a omicidio colposo con colpa cosciente, l'hanno evidentemente fatto basandosi su questa moltitudine di elementi. Ecco perché non condivido il "maledetti!" - lo scrive repubblica.it - con cui sono stati apostrofati dai parenti delle vittime, così come non condivido l'ondata generale di indignazione che corre sul web. Noi facciamo presto: apriamo un sito, leggiamo della riduzione di pena e ci incazziamo. Facile, non trovate? E forse fin troppo comodo.

L'indignazione e l'incazzatura avranno un senso quando i giudici avranno depositato le motivazioni della sentenza. Chi avrà voglia le leggerà e poi, dopo aver valutato quello che ha letto, deciderà se incavolarsi o meno. Almeno, in questo modo, l'incavolatura sarà basata su elementi concreti e non sulla "pancia".

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